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Valutazione probatoria: assoluzione per foto sfuocate

La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione di un imputato dal reato di detenzione e porto d’arma. La decisione si fonda sulla scarsa nitidezza delle immagini di videosorveglianza, che non permettevano di identificare con certezza un oggetto come una pistola. La Corte ha ritenuto valida la valutazione probatoria del giudice di merito, che aveva accolto l’ipotesi alternativa della difesa (secondo cui l’oggetto era un cellulare), applicando il principio del “ragionevole dubbio”.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Valutazione Probatoria: Assoluzione Confermata per Immagini Video Incerte

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 12476/2024) ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento penale: la condanna deve fondarsi su prove certe, al di là di ogni ragionevole dubbio. Il caso in esame offre uno spunto cruciale sulla valutazione probatoria di immagini di videosorveglianza di scarsa qualità e dimostra come un’ipotesi alternativa plausibile possa portare a un’assoluzione.

I Fatti del Caso: Pistola o Cellulare?

La vicenda giudiziaria trae origine da un alterco culminato in un ferimento da arma da fuoco. L’imputato, inizialmente condannato in primo grado per detenzione e porto d’arma, era stato ripreso da telecamere di sorveglianza mentre poggiava un oggetto su un muretto. Secondo l’accusa, quell’oggetto era una pistola, successivamente utilizzata dall’antagonista contro l’imputato stesso.

In appello, la difesa ha proposto una ricostruzione alternativa: l’oggetto non era un’arma, bensì un telefono cellulare, che l’imputato avrebbe poggiato sul muretto su richiesta del suo interlocutore, il quale temeva di essere intercettato. La Corte d’Appello, riesaminando gli atti, ha accolto questa tesi, assolvendo l’imputato. La ragione? Le immagini video, e in particolare i fotogrammi utilizzati come prova, erano di qualità talmente bassa da non permettere un’identificazione certa dell’oggetto.

Il Ricorso dell’Accusa e la Valutazione Probatoria Contesa

Il Procuratore Generale ha impugnato l’assoluzione, presentando ricorso in Cassazione. Secondo l’accusa, la Corte d’Appello aveva compiuto una valutazione probatoria errata e incompleta. In particolare, si contestava il fatto che i giudici si fossero basati su copie in bianco e nero dei fotogrammi, senza visionare il filmato originale a colori, e che non avessero dato il giusto peso alle testimonianze di un agente di polizia giudiziaria e della convivente dell’antagonista, i quali affermavano di aver riconosciuto una pistola.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato e confermando la sentenza di assoluzione. Il ragionamento dei giudici di legittimità si è concentrato sulla correttezza logica della motivazione della Corte d’Appello.

La Cassazione ha chiarito che la valutazione probatoria della Corte territoriale non era manifestamente illogica. I giudici d’appello avevano correttamente esteso il loro giudizio di scarsa nitidezza non solo a un singolo fotogramma, ma a tutte le immagini successive, concludendo che la ricostruzione dell’accusa rimaneva puramente ipotetica.

Un punto cruciale della decisione riguarda il valore delle testimonianze. La Corte ha stabilito che la deposizione di un testimone, che interpreta una fotografia, non può sostituirsi al giudizio diretto del collegio giudicante. Se i giudici, osservando la prova visiva, la ritengono inidonea a fornire certezze, questa valutazione prevale.

Peraltro, l’introduzione da parte della difesa di un’ipotesi alternativa e ragionevole (l’oggetto come cellulare) ha creato quel “ragionevole dubbio” che, ai sensi dell’articolo 533 del codice di procedura penale, impone l’assoluzione. La Corte ha anche svalutato la testimonianza della convivente dell’antagonista, giudicandola non neutrale e sottolineando l’impossibilità di provare che un’eventuale arma consegnatale fosse la stessa di cui si discuteva.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza il principio “in dubio pro reo”. La responsabilità penale non può basarsi su congetture o su prove ambigue. Quando la prova principale, come un filmato di videosorveglianza, è di qualità insufficiente a identificare un oggetto cruciale e la difesa fornisce una spiegazione alternativa plausibile, il giudice ha il dovere di assolvere. La decisione sottolinea che l’onere di provare la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio spetta interamente all’accusa, e il fallimento nel fornire prove chiare e inequivocabili deve necessariamente andare a vantaggio dell’imputato.

Perché la Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione dell’imputato?
La Corte ha confermato l’assoluzione perché ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello non fosse manifestamente illogica. La scarsa qualità delle immagini video giustificava pienamente il dubbio sulla natura dell’oggetto in questione, rendendo l’ipotesi accusatoria incerta e non provata al di là di ogni ragionevole dubbio.

Una testimonianza può prevalere su una prova video, anche se di scarsa qualità?
No. La sentenza chiarisce che la deposizione di un testimone che interpreta una prova visiva (come una fotografia o un fotogramma) non può sostituirsi alla valutazione diretta del giudice. Se il collegio giudicante ritiene che l’immagine sia troppo poco nitida per fondare un giudizio di colpevolezza, questa valutazione autonoma prevale sull’interpretazione del testimone.

Cosa significa il principio del “ragionevole dubbio” in questo specifico caso?
In questo caso, il “ragionevole dubbio” è sorto perché, a fronte di una prova d’accusa incerta (le immagini sfuocate), la difesa ha introdotto un’ipotesi alternativa plausibile e concreta (l’oggetto era un cellulare e non una pistola). Questa alternativa ha reso impossibile raggiungere la certezza processuale necessaria per una condanna, obbligando il giudice, secondo l’art. 533 del codice di procedura penale, a pronunciare una sentenza di assoluzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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