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Valutazione pericolosità: quando è legittima?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un condannato residente all’estero. La decisione si fonda su due principi chiave per la valutazione pericolosità: l’irreperibilità del soggetto in Italia, che impedisce l’indagine socio-familiare, e la legittimità di considerare anche condanne non ancora definitive come indicatori di rischio. La Corte ha ritenuto che questi elementi costituiscano un ostacolo insormontabile alla concessione di misure alternative alla detenzione.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Valutazione Pericolosità: Irreperibilità e Condanne Non Definitive Bloccano le Misure Alternative

L’ordinanza n. 4087/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui criteri che guidano la concessione delle misure alternative alla detenzione. In particolare, il provvedimento si sofferma su come la valutazione pericolosità del condannato sia influenzata da due fattori cruciali: la sua irreperibilità sul territorio nazionale e la presenza di condanne non ancora passate in giudicato. La Suprema Corte ha stabilito che tali elementi possono legittimamente ostacolare l’accesso ai benefici penitenziari.

I Fatti del Caso

Un soggetto condannato, di fatto residente all’estero, si è visto negare dal Tribunale di Sorveglianza una misura alternativa alla detenzione. La decisione del Tribunale era basata principalmente sulla sua irreperibilità in Italia e sulla conseguente impossibilità per l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (U.e.p.e.) di svolgere la necessaria indagine socio-familiare. A nulla sono valsi i documenti, prodotti in lingua straniera, attestanti la residenza, il lavoro e i redditi all’estero. Inoltre, il Tribunale aveva tenuto conto di alcune condanne non definitive per reati come estorsione, furto e violazione di una misura di prevenzione. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte e la Valutazione Pericolosità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni del ricorrente ‘manifestamente infondate’. La decisione si articola su due pilastri fondamentali che chiariscono come deve essere condotta la valutazione pericolosità sociale.

L’Irreperibilità come Ostacolo all’Indagine Socio-Familiare

Il primo punto cardine riguarda l’impossibilità materiale di effettuare l’indagine sulla situazione personale, familiare e sociale del condannato. La Corte ha ribadito che questa indagine è un elemento essenziale per il giudizio del Tribunale di Sorveglianza. La mancanza di contatti con le autorità italiane e l’impossibilità di verificare il contesto di vita del soggetto rendono impossibile una valutazione completa e ponderata. I documenti prodotti dal ricorrente, seppur relativi alla sua vita all’estero, non possono sostituire l’analisi approfondita richiesta dalla legge italiana.

La Rilevanza dei Procedimenti Pendenti nella Valutazione

Il secondo punto, altrettanto significativo, è la conferma che nella valutazione pericolosità possono essere considerati anche procedimenti penali pendenti e condanne non ancora definitive. La Corte ha sottolineato come questo orientamento sia consolidato nella giurisprudenza. Sebbene tali condanne non rappresentino una prova definitiva di colpevolezza, esse costituiscono indici concreti che il giudice può e deve valutare per formulare un giudizio prognostico sul rischio di recidiva e sull’affidabilità del soggetto.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di logicità e concretezza. La concessione di una misura alternativa non è un atto dovuto, ma una decisione discrezionale basata su una prognosi favorevole circa il percorso di reinserimento del condannato. Se mancano gli elementi essenziali per formulare tale prognosi – come una chiara conoscenza del contesto socio-familiare – o se esistono indicatori negativi – come la pendenza di accuse per reati gravi – il giudice può legittimamente negare il beneficio. L’ordinanza chiarisce che il giudizio del Tribunale di Sorveglianza non è stato illogico nel considerare l’irreperibilità e le pendenze penali come elementi ostativi, confermando la correttezza del suo operato.

Conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione ribadisce un messaggio chiaro: chi aspira a ottenere una misura alternativa alla detenzione deve garantire la propria reperibilità e collaborazione con le autorità giudiziarie. Residere all’estero non è di per sé un impedimento, ma lo diventa quando si traduce in una sostanziale impossibilità per lo Stato di effettuare le dovute verifiche. Inoltre, il provvedimento conferma che il ‘curriculum’ criminale di una persona, anche se non ancora definito da sentenze irrevocabili, ha un peso determinante nella valutazione della sua pericolosità sociale. La decisione sottolinea quindi l’importanza di un approccio rigoroso e completo nella concessione di benefici che incidono profondamente sull’esecuzione della pena.

Essere irreperibili in Italia impedisce di ottenere una misura alternativa?
Sì, secondo questa ordinanza, l’irreperibilità è un elemento ostativo perché impedisce al Tribunale di Sorveglianza di svolgere la fondamentale indagine socio-familiare sul condannato, necessaria per valutare la concessione del beneficio.

Le condanne non ancora definitive possono influenzare la decisione su una misura alternativa?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che, ai fini della valutazione della pericolosità sociale del soggetto, è legittimo considerare anche le condanne non definitive e i procedimenti penali pendenti, in quanto indicatori rilevanti per il giudizio.

Presentare documenti che attestano la propria vita all’estero è sufficiente per l’indagine del Tribunale di Sorveglianza?
No, la documentazione relativa a residenza, lavoro o redditi all’estero non è ritenuta sufficiente a sostituire l’indagine socio-familiare che deve essere svolta dalle autorità italiane competenti, come l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (U.e.p.e.).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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