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Valutazione pena: Cassazione e limiti del ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13900/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello. La Corte ha stabilito che la valutazione della pena e delle circostanze attenuanti, se motivata in modo logico dal giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità. Le lamentele del ricorrente sono state respinte in quanto mere doglianze di fatto, confermando la condanna e la sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Valutazione pena: i limiti del ricorso in Cassazione

L’ordinanza n. 13900 del 2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui confini del giudizio di legittimità, in particolare per quanto riguarda la valutazione della pena. Spesso, la difesa tenta di contestare in Cassazione la congruità della sanzione decisa nei gradi di merito, ma la Corte ribadisce un principio fondamentale: il suo ruolo non è quello di un terzo giudice di merito. Analizziamo come la Corte ha affrontato le doglianze di un ricorrente, dichiarandole inammissibili perché basate su censure di fatto, non di diritto.

I Fatti di Causa

Un imputato, condannato dalla Corte d’Appello di Palermo, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi nella sentenza. In particolare, la difesa contestava:
1. La mancata esclusione della recidiva qualificata, ritenendola immotivata.
2. L’erronea applicazione della legge penale per il mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di lieve entità (art. 62, n. 4 c.p.).
3. Una violazione generale dei criteri di commisurazione della pena stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale.

In sostanza, il ricorso mirava a ottenere una nuova e più favorevole valutazione degli elementi che concorrono a determinare l’entità della sanzione.

La Decisione della Corte e la corretta valutazione della pena

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. La decisione si fonda su una netta distinzione tra il giudizio di fatto, riservato ai tribunali di merito, e il giudizio di legittimità, proprio della Cassazione. Quest’ultima non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella, logicamente motivata, dei giudici precedenti.

Per quanto riguarda la recidiva, la Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse adeguatamente giustificato la sua applicazione, evidenziando come i molteplici precedenti penali specifici dell’imputato rivelassero una sua accresciuta pericolosità sociale.

Sull’attenuante del danno di lieve entità, i giudici hanno qualificato le lamentele come “mere doglianze in punto di fatto”. La Corte d’Appello aveva già spiegato, con argomenti corretti, perché non potesse essere riconosciuta: il valore economico dello stupefacente (pari a 125 dosi) e la somma scambiata (€50) non integravano i requisiti di un lucro di “lieve entità”.

Le motivazioni

La Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la valutazione della pena è un’attività discrezionale del giudice di merito. Il controllo della Cassazione è limitato a verificare che tale valutazione non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Se la sentenza impugnata fornisce una motivazione adeguata, che tiene conto dei criteri dell’art. 133 c.p. (gravità del reato e capacità a delinquere del reo), la decisione è insindacabile.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva ritenuto la pena congrua in base all’entità del fatto e alla personalità negativa dell’imputato. Questa motivazione, seppur sintetica, è stata giudicata sufficiente e coerente, precludendo ogni ulteriore discussione in sede di legittimità. I rilievi del ricorrente, in ultima analisi, chiedevano una nuova ponderazione degli stessi elementi già vagliati, un’operazione non consentita in Cassazione.

Conclusioni

L’ordinanza conferma che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. Le contestazioni relative alla quantificazione della pena o al riconoscimento delle attenuanti sono ammissibili solo se denunciano un vizio di motivazione radicale, come l’illogicità manifesta o l’assenza totale di giustificazione. In assenza di tali vizi, le valutazioni del giudice di merito, sostenute da argomentazioni coerenti, rimangono definitive. La decisione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, a riprova della pretestuosità del ricorso.

Quando un ricorso in Cassazione sulla misura della pena viene considerato inammissibile?
Un ricorso sulla misura della pena è inammissibile quando le censure non denunciano un vizio di legge o una motivazione manifestamente illogica, ma mirano a una nuova valutazione della congruità della pena, che è un giudizio di merito riservato ai gradi precedenti.

Perché la Corte non ha concesso l’attenuante del danno di lieve entità?
La Corte ha rigettato la richiesta perché il giudice di merito aveva già motivato correttamente il diniego. La valutazione si basava su elementi di fatto, come il valore economico dello stupefacente (125 dosi) e la somma di denaro coinvolta (€50), considerati non sufficienti a configurare un lucro di “lieve entità”.

Come viene giustificata la mancata esclusione della recidiva qualificata in questo caso?
La decisione di non escludere la recidiva qualificata è stata considerata ben motivata dalla Corte di merito, la quale ha evidenziato come i molteplici precedenti penali specifici dell’imputato dimostrassero una sua accresciuta e concreta pericolosità sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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