Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29940 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29940 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Cologno Monzese il 06/04/1968 Nasca NOMECOGNOME nato a Saronno il 21/10/1971 COGNOME NOMECOGNOME nato a Milano il 08/09/1963 avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 15/05/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME
udite le conclusioni del Procuratore generale, che, nel richiamarsi alla memoria già depositata, ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020, ha invocato declaratoria di inammissibilità dei ricorsi; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento, e dell’avv. NOME COGNOME, difensore di Trimboli NOME, che si è riportato alle conclusioni rassegnate con memoria di replica ed al ricorso, chiedendone l’accoglimento, ed ha, previa esibizione del decreto di ammissione al Patrocinio a spese dello Stato del proprio assistito, chiesto la liquidazione dei compensi;
RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 15 maggio 2024 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma di quella, appellata, con cui il Tribunale di Monza, il 12 luglio 2023 -nel procedimento pendente nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME imputati, anche in concorso con altri, come in rubrica di volta in volta indicato, COGNOME del reato di cui agli artt. 81 cpv, 73 comma 4, dPR 309/90 (capo 21), COGNOME del reato di cui agli artt. 81 cpv, 73 comma 4, dPR 309/90 (capo 23), COGNOME Nasca e Trirnboli Domenico dei reati di cui agli artt. 81 cpv, 110 cod. pen. e 1 e 7 L.895/1967 (capo 29 e 30), Nasca del reato di cui agli artt. 81 cpv, 1, 2, 4 e 7 L. 895/67 (capo 31), Bernabò del reato di cui agli artt. 1 e 7 1.895/67 (capo 37), Bernabò del reato di cui agli att. 81 cpv, 110 cod.pen., 2 e 7 I. 895/67 (capo 38)- aveva condannato COGNOME alla pena di anni otto di reclusione e euro 40.000 di multa, con interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e interdizione legale durante l’esecuzione della pena, Nasca alla pena di anni sei di reclusione ed euro 24.000 di multa, con interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, COGNOME alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione ed euro 18.000 di multa, con interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, ha assolto COGNOME NOME dal reato a lui ascritto al capo 30) per non aver commesso il fatto (contestualmente dichiarando l’inefficacia di ogni misura cautelare disposta per il capo medesimo ) e confermato la condanna nel resto (capi 21, 29), con pena rideterminata in complessivi anni cinque e mesi quattro di reclusione e 16.600 euro di multa, di cui quattro mesi di reclusione ed euro 600 di multa per il reato già giudicato con la sentenza del Tribunale di Milano del 2 maggio 2018, ritenuto in continuazione con quello di cui al capo 29) contestato nel presente procedimento; ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a Nasca con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 15 dicembre 2020, irrevocabile il 23 febbraio 2021, e gli ordini di non menzione della condanna pronunciati, nei confronti di COGNOME Corte di Cassazione – copia non ufficiale
con sentenza della Pretura di Monza dell’Il ottobre 1988 irrevocabile il 18 novembre 1988 , con sentenza della Corte di appello di Milano del 21 aprile 1988, con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 15 dicembre 2020, irrevocabile il 23 febbraio 2021. Ha confermato la sentenza nel resto.
Hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei difensori di fiducia, tutti gli imputati:
Il ricorso nell’interesse di COGNOME è affidato a tre motivi.
3.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge -in relazione agli artt. 125, 192 e 546 cod.proc.pen.- e correlati vizi della motivazione, asseritamente mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, per essere la sentenza censurabile sotto il profilo logico-giuridico e per travisamento del fatto che riverbererebbe in illogicità e contraddittorietà della motivazione.
COGNOME con atto depositato il 1 ottobre 2024;
Nasca con atto depositato il 28 ottobre 2024; Trimboli con atto depositato 1’8 ottobre 2024.
Così in relazione al capo 23), con contestazione ‘bifasica’, relativa, per un verso, alla condotta antecedente all’arresto del coimputato COGNOME -consistita nel sostentamento economico e nell’apporto di altri ausili materiali al gruppo criminale in fase di approvvigionamento delle partite di droga, secondo prospettazione in difetto di prova della reale consumazione del reato da parte dei dialoganti, della cui concretizzazione non vi è certezza, così come dello stesso esborso di denaro-, per altro verso alla condotta successiva all’arresto di Bellante, e dunque succe all’il marzo 2018, secondo prospettazione dubbia anche in forza della primigenia sua qualificazione giuridica da parte del Giudice della cautela, che la aveva inquadrata quale favoreggiamento personale; entrambe ritenute invece provate, dalla Corte di appello territoriale, sulla scorta del contenuto delle conversazioni intercettate, secondo prospettazione difensiva senza reale confronto con le censure difensive.
Così, anche, in relazione ai capi 37) e 38), relativamente ai quali la Corte territoriale avrebbe ritenuto il requisito della serietà in capo alle trattative condo dall’imputato per l’acquisto delle armi, contraddittoriamente attestando “mancanza di serietà della controparte”, potenziale venditrice, desumendola dal contenuto letterale delle conversazioni intercettate, argomento da cui la difesa trarrebbe la prova, o quanto meno il dubbio, circa la sussistenza stessa delle armi oggetto di trattativa.
Così, infine, in relazione al capo 38), per essere stata la affermazione di responsabilità basata sul contenuto di conversazioni intercettate tra soggetti terzi rispetto all’imputato.
Richiamati, dunque, i passi ritenuti salienti delle conversazioni intercettate, l difesa invoca l’annullamento della sentenza con riferimento ai capi di imputazione che lo riguardano.
3.2. Col secondo motivo deduce violazione di legge -in relazione all’art. 114 cod. pen., erroneamente non ritenuto- e correlato vizio della motivazione, asseritamente mancante, contraddittoria e manifestamente illogica.
Il tutt’altro che marginale apporto economico offerto dall’imputato per l’acquisto di stupefacenti e di armi ritenuto dalla Corte territoriale confliggerebbe con gli argomenti probatori offerti dalla difesa.
3.3. Col terzo motivo deduce violazione di legge -in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod.pen.- e correlato vizio di motivazione, asseritamente mancante, contraddittoria e manifestamente illogica.
La motivazione del rigetto delle generiche sarebbe stereotipata e preconcetta, distonica rispetto al compendio probatorio disponibile.
4. Il ricorso nell’interesse di Nasca è affidato a due motivi
4.1. Col primo si deduce violazione di legge in tema di valutazione della prova, consistente esclusivamente nel compendio delle conversazioni intercettate, asseritamente valutate in violazione del disposto dell’art. 192 cod.proc.pen., e con secondo vizio di motivazione in ordine al contenuto delle conversazioni stesse. Il ricorso si diffonde nella rilettura delle conversazioni ritenute rilevanti, per proporn una differente, più favorevole all’imputato, rilettura.
Il ricorso nell’interesse di Trimboli è affidato a tre motivi.
5.1. Col primo e col secondo motivo si deduce vizio di motivazione, asseritamente illogica e contraddittoria, in relazione, rispettivamente, alla imputazione di cui a capo 21 e al capo 29.
La Corte di appello avrebbe recepito l’impianto accusatorio della Procura procedente, fatta propria dal Tribunale e reiterata all’esito dell’appello in difetto prova della responsabilità del ricorrente oltre ogni ragionevole dubbio, sulla scorta delle mere risultanze delle intercettazioni caratterizzate da espressioni criptiche di cui la difesa, non contestata la riferibilità al mondo degli stupefacenti, ed i assenza di riscontri fattuali diversi da perquisizione, e sequestro, di soli 29,6 grammi di stupefacente del tipo hashish rinvenuti nella disponibilità del ricorrente il 4 aprile 2018, disconosce la efficienza probante dei reati imputati.
Del pari il ricorso muove censure con riferimento al capo 29 relativamente al quale la sentenza avrebbe omesso di valutare la tesi difensiva.
5.2. Col terzo motivo di deduce vizio di motivazione in relazione al rigetto della riqualificazione del reato di cui al capo 21 nella fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90.
5.3. Col quarto motivo si deduce vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena, dolendosi, in realtà, nuovamente della affermazione di responsabilità, più che, concretamente, della genericamente contestata erronea determinazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono tutti inammissibili.
Ricorso COGNOME
Col primo motivo, ripreso, quanto alla rilevanza dell’apporto economico prestato al fine della consumazione dei reati imputatigli, nel secondo motivo di ricorso, la difesa del ricorrente lamenta erronea valutazione della prova giungendo ad allegare un preteso travisamento dei fatti contestati nelle rubriche dei reati di cui ai capi 23), 37) e 38).
Osserva il Collegio che la affermazione di responsabilità già resa dal Tribunale di Monza, intanto con riferimento al reato in tema di stupefacenti, ed avversata con l’atto di appello (con argomentazioni sostanzialmente riproposte con il ricorso in trattazione) è stata dalla Corte territoriale confermata sulla scorta di una puntuale disamina delle fonti probatorie.
La Corte territoriale ha, innanzi tutto, ribadito lo statuto probatorio relativo a cd. ‘droga parlata’, in quanto risultante dalla assolutamente consolidata elaborazione giurisprudenziale di legittimità in tema di valutazione, ex art. 192 cod.proc.pen., delle risultanze intercettative (cfr. pag 25 e segg della sentenza impugnata), fonti ritenute, tutte, nella specie, conducenti univocamente alla prova di colpevolezza, (ri)affermata nell’alveo di una trattazione di ampio respiro relativa al contenuto dei dialoghi tra COGNOME e COGNOME -coimputato giudicato in procedimento separato- e altri coimputati.
Ha condiviso le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale, in ordine alla «messa a disposizione di ingenti somme di denaro funzionali al finanziamento dell’acquisto di partite di droga», e al «sicuro apporto causale alla consumazione del reato, costituendone precondizione e una forma di rinforzo dei propositi delittuosi di Bellante stesso» prima della di lui carcerazione,
consolidati poi, successivamente all’arresto, con condotte «funzionali al mantenimento e all’implementazione delle attività delittuoso poste in essere dalla di lui compagna, NOME COGNOME», risultano validate dalla rinnovata lettura delle conversazioni intercettate. Con la conseguenziale affermazione da parte dei giudici di merito della prova del finanziamento degli acquisiti da parte del ricorrente, finanziamento attestato da Bellante, insieme con la disponibilità dello stesso non solo a, genericamente, finanziare, ma, anche, a rispettare le scansioni temporali dettate dal COGNOME, e con l’aiuto, materiale e morale, profuso in favore della di lui compagna, per la riscossione dei crediti e la custodia del denaro, in un’ottica di piena collaborazione e compartecipazione rispetto al traffico.
Con riferimento ai reati in tema di armi (capi 37 e 38) ha confermato la sentenza del Tribunale, che aveva ritenuto, da un lato, per la serietà della trattativa intessuta dal ricorrente, il pericolo concreto per il bene tutelato dalla norma pur in assenza del concreto trasferimento delle armi, dall’altro, la detenzione di armi in capo al COGNOME -il quale neppure aveva contestato la falsità di quanto risultante, al proposito, dalle intercettazioni-, ciò puntualmente rivisitando le emergenze intercettative (tra il ricorrente, COGNOME e COGNOME e COGNOME, cfr. pag 37 e segg. della sentenza impugnata), ricostruendone, in fatto, una lettura coerente alla prospettazione accusatoria, dalla difesa neppure concretamente contestata se non con mere astratte asserzioni, sfornite di addentellati probatori.
1.1. A fronte di tanto il motivo risulta meramente contestativo, quindi inammissibile per genericità intrinseca ed estrinseca, non confrontandosi concretamente con la motivazione resa, comunque inammissibile perché finalizzato ad una rilettura delle emergenze probatorie in questa sede non consentita. Le censure sollevate dal ricorrente, oltre che generiche e completamente disancorate dalla motivazione della sentenza impugnata, non tengono conto infatti della circostanza per cui il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare, in una diversa ottic argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prov effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli a processo. Anche a seguito della modifica dell’art. 606, lett. e), cod. proc. p la I. 46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittim possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illog della motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicat motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesa criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la corr
dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (Sez. 6, n.752 del 18.12.2006; Sez. 2, n. 23419 del 2007, COGNOME; Sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012 ).
E la Corte territoriale ha, con motivazione congrua ed immune da cedinnenti logici, fondato l’affermazione di responsabilità come sopra riassunto.
Quanto alle obiezioni della difesa circa la lettura, fornita dalla Corte di appello delle dichiarazioni intercettate, va ricordato che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tal valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 – 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, COGNOME, Rv. 239724). È possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/20 17, 2018. COGNOME, Rv. 272558 – 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516 – 01; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252190 – 01; Sez.2, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, COGNOME, Rv. 237994).
Si rammenta, ancora, che gli indizi raccolti nel corso di conversazioni telefoniche intercettate, a cui non abbia partecipato l’imputato, possono costituire fonte diretta di prova, senza necessità di reperire riscontri esterni, a condizione che siano gravi, precisi e concordanti; le intercettazioni vanno valutate verificando che: a) il contenuto della conversazione sia chiaro; b) non vi sia dubbio che gli interlocutori si riferiscano all’imputato; c) per il ruolo ricoperto dagli interloc nell’ambito dell’associazione di cui fanno parte, non vi sia motivo per ritenere che parlino non seriamente degli affari illeciti trattati; d) non vi sia alcuna ragione p ritenere che un interlocutore riferisca il falso all’altro (Sez. 6, n. 5224 d 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611). E si osserva che tutte le cennate condizioni sono, nella specie, ricorrenti.
Tuttavia, la difesa non ha dedotto illogicità evidenti desumibili dal testo dell sentenza impugnata, nè ha assolto il peculiare onere di rappresentare in modo adeguato l’eventuale vizio di travisamento della prova (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, dep. 03/10/2008, COGNOME, Rv. 241023), ed ha, anzi, esplicitamente
dedotto un travisamento del fatto che, si ribadisce, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217).
1.2. Ritiene, perciò, questa Corte di ribadire la correttezza del percorso logico giuridico conducente alla affermazione della sussistenza degli elementi costitutivi di tutti i reati contestati a Bernabò, così in tema di droga come in tema di armi, rammentando, a tale ultimo proposito, che risulta espressamente dal corpo della sentenza (cfr. pag 41) che il ricorrente, nel conversare con NOME COGNOME ed un altro soggetto, dichiarava di essersi recato in località Buccinasco al fine di “sondare il terreno”, affermazione logicamente ritenuta dalla Corte territoriale eloquente ai fini della verifica degli elementi costitutivi della fattispecie contestata, in quan atta a comprovare che la trattativa per l’acquisto delle armi era in corso, che l’imputato odierno ricorrente aveva già incontrato i presunti rivenditori, forte di un ruolo, decisorio, derivantegli, anche, e ancora una volta, dalla circostanza di essere egli il finanziatore dell’operazione, dunque impegnato a vagliare l’affidabilità della controparte contrattuale alfine riconosciuta inesistente, da cui l’irritazione degli acquirenti.
Nessuna logica censura può, dunque, muoversi, rispetto alla ricostruzione ed interpretazione della vicenda, da cui, senza vizi di manifesta illogicità, la Corte territoriale ha correttamente dedotto che le trattative fossero concretamente riscontrate.
Nel mentre -si aggiunge- neppure in questa sede il ricorrente ha contestato la non corrispondenza al vero delle conversazioni che attestano la anche materiale detenzione delle armi oggetto di imputazione al capo 38).
2. il secondo motivo è, del pari, inammissibile.
2.1. L’invocato riconoscimento della attenuante della minima partecipazione al reato imputatogli in concorso è stato dalla Corte territoriale rinnegato sulla scorta del rilievo di un contributo tutt’altro che marginale, in quanto necessario e decisivo per l’attività criminale come comprovato dalla viva voce di COGNOME, che ne attesta l’essenzialità, in quanto finanziatore, per la prosecuzione del ‘business’ (cfr. pag 61), in quanto prezioso collaboratore per le sue capacità organizzative (esemplare la gestione della trattativa per l’acquisto delle armi), in ragione dell’ausil prestato, dopo l’arresto di Bellante, ad NOME COGNOME (nel rintraccio dei debitori e nella riscossione dei crediti, nella custodia del denaro provento dei traffici illeci anche mercè la disponibilità a proteggerne l’identità nell’ambiente onde
proteggerla, anche nell’ipotesi di eventualità di sequestri e sì da rafforzarne i propositi criminosi.
2.2. Si tratta di argomentazioni, coerenti con le risultanze probatorie, che, nel solco dei principi oggetto di consolidato insegnamento di questa Corte, ostano allo svolgimento di censura alcuna verso la sentenza, immune così dal postulato vizio di violazione di legge come di motivazione, svolta, invece, senza cedimenti logici. 2.3. Ribadisce il Collegio il principio secondo cui in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen., non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell'”iter” criminoso (in termini, ex multis, Cass. pen. n. 34539/2021).
2.4. Le spiegate risultanze probatorie, individuate dalla Corte di merito, a sostegno del diniego danno congrua ragione della correttezza della adottata decisione, posto che il contributo spiegato dal ricorrente lungi dal presentarsi minimale, risulta, invero, essenziale sia in costanza dell’operatività del dominus, imprenscindibile dopo il suo arresto.
Le opposte emergenze asseritamente offerte dalla difesa risultano o meramente allegate, o disconfermate dal complesso argomentativo della decisione resa, da cui il ruolo di finanziatore del ricorrente risulta attestato senza ombra di dubbio.
2.5. Il motivo è, dunque, inammissibile almeno per genericità estrinseca, non confrontandosi con la motivazione impugnata, comunque manifestamente infondato.
Quanto al terzo motivo di ricorso, avuto riguardo alla censura relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche osserva questo Collegio che la sentenza fa correttamente applicazione del principio per cui le attenuanti generiche richiedono elementi positivi di favorevole valutazione che non prospettati dalla difesa alla Corte territoriale non vengono neppure indicati nel ricorso in trattazione. La concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 7, Ord. n. 10291 del 09/01/2024, Mele, n.m.; Sez. 5, n. 2504 del
27/11/2023, dep. 2024, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, COGNOME, Rv. 275440 – 01; Sez. 3, n. 9836 del 9 marzo 2016, COGNOME, Rv. 266460 – 01). Quanto alla commisurazione della pena la motivazione della Corte territoriale è ampia (cfr, pagg. 62-65 della sentenza) ed è estremamente puntuale nella valutazione di ogni possibile aspetto rilevante, benché neppure se ne avvertisse una stringente necessità a fronte di una pena base prossima al minimo e ben lontano dalla media edittale (cfr. Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019 e Sez. U. n. 47127 del 24/06/2021) ed in considerazione della modestia dei disposti aumenti per continuazione, in ogni caso neppure contestati dalla difesa. La graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.. Per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c pen. con espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 27886901, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01). Nel giudizio di cassazione è dunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3. Il ricorso è, dunque, nella sua totalità inammissibile.
Ricorso Nasca
Preliminarmente alla disamina del merito delle censure difensive osserva il Collegio che il ricorso è stato depositato il 28 ottobre 2024.
Il termine ultimo per la presentazione dell’impugnazione deve individuarsi nel 9 ottobre 2024, considerato che la sentenza è stata pronunciata il 15 maggio 2024, alla presenza dell’imputato, con riserva, ex art. 544 cod.proc.pen., di giorni 70 per il deposito della motivazione, e considerati i 45 giorni previsti in ragione di siffat modalità di deposito della motivazione e i 30 giorni ulteriori, di sospensione feriale.
Il ricorso, pertanto, depositato soltanto il 28 ottobre 2024, è per tale ragione inammissibile.
Ricorso Trimboli
Il primo motivo di ricorso è generico e inammissibile in quanto contesta la valenza probatoria delle risultanze delle intercettazioni per la pretesa assenza di riscontri laddove, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, ben possono le sole intercettazioni telefoniche costituire prova dell’addebito.
Osserva il Collegio che le conclusioni alle quali sono giunti i Giudici di merito s fondano sull’interpretazione delle numerose conversazioni telefoniche ed ambientali delle quali hanno dato ampiamente conto. Il ricorrente ne sollecita una diversa interpretazione, operazione preclusa in sede di legittimità. L’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza -nella specie ínesistenti- della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 5, n. 35680 del 10/06/2005, Rv. 232576; Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007, Rv. 239636; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724; Sez. 6, n. 11794 del 11/12/2013, Rv. 254439; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258164). E’ possibile prospettare, in questa sede, una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv. 259516; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Rv. 237994). Tale orientamento interpretativo è stato autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715, secondo cui, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione de giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (principio ripreso e confermato d Sez. 3, n. 35593 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 267650, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME Rv. 268389, e da Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.1.La generica sollecitazione di una lettura alternativa delle conversazioni intercettate in assenza di una specifica deduzione del travisamento del loro
contenuto rende di per sé inammissibile il ricorso sul punto senza considerare, peraltro, che il dedotto malgoverno dell’art. 192 cod. proc. pen. -tra le righe della formale contestazione del vizio di motivazione- sconta la genericità delle allegazioni difensive che rifuggono dal confronto serrato e critico con la ratio decidendi nel suo complesso, avuto riguardo a tutte le conversazioni indicate dalla Corte di appello a sostegno della decisione.
La lettura della motivazione palesa come sia con riferimento al capo 21, che con riferimento al capo 29 -rispetto al quale in particolare la sentenza ha ben valutato la tesi difensiva mirante a fornire, allora come ora col ricorso in esame, una spiegazione diversa e lecita di quanto emergente dalle intercettazioni- la stessa sia esente da ogni possibile vizio.
Quanto al capo 21, contestato a COGNOME in concorso con COGNOME, si osserva che già in appello l’odierno ricorrente aveva contestato la lacunosità dell’impianto probatorio a suo carico. E che la Corte di appello (cfr. pag 27 e segg) ha puntualmente dedotto sia in merito all’apporto concorsuale di COGNOME, sia in merito alla responsabilità di COGNOME, al cui proposito già il Tribunale aveva ritenuto che «le plurime conversazioni captate abbiano restituito nitidamente l’operatività delittuosa dell’imputato che si riforniva stabilmente da Bellante hashish e marijuana ogni volta per un chilogrammo complessivo», facendosi carico della diretta rilettura delle emergenze restituite dalle conversazioni intercettate tra COGNOME e COGNOME, tra Bellante e Trimboli – inequivoche anche perché neppure sempre criptiche coi letterali riferimenti a ‘fumo’, ‘cremino’, alle quantit disponibili, indicate in svariati chili, ed alla capacità di acquisto di Trimboli odier ricorrente, ‘una alla volta’-, tra COGNOME e la compagna COGNOME, sì da pervenire alla fondata e non manifestamente illogica conclusione (chiosata a pagina 30 e, conclusivamente, a pag. 32) , in coerenza con le fonti qui sinteticamente indicate col rinvio allo spaccato motivazionale alle pagine della sentenza impugnata, che «tali indizi sono compatibili anche con la tesi dell’accusa secondo la quale COGNOME si riforniva da Bellante ogni volta per il quantitativo di un chilogrammo, per poi cederle a diversi acquirenti». Conclusione frutto della lettura del compendio risultante dalle intercettazioni e riscontrata, benchè non ve ne fosse necessità, dagli esisti della perquisizione del 12 giugno 2023. Osserva, infatti, la Corte di appello (cfr. pag 32) che «ur non volendo tenere in conto tale sequestro, alla luce di quanto pocanzi delineato, da un lato le intercettazioni forniscono, anche in tale caso, una prova diretta delle attività delittuose poste in essere dall’imputato COGNOME, che non necessita di alcun riscontro oggettivo; dall’altro l’iter logico che conduce alla condanna dell’imputato stesso è certamente fondata su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto al capo 29), relativo alla disponibilità, in capo a Nasca, di diverse armi, anche da guerra, cedute a Trimboli, grazie alla intermediazione di Bellante, la Corte territoriale, dato atto dell’approdo decisorio del Tribunale, ha, ancora una volta, direttamente ripercorso (cfr. pag 38 e segg) le risultanze delle intercettazioni, sia quelle pregresse all’entrata in scena dell’odierno ricorrente, sia quelle direttamente intercettate tra Trimboli e Bellante, e tra Bellante e Nasca, sì da giungere alla conclusione, non manifestamente illogica, della necessaria consistenza degli indizi in capo a Trimboli anche in relazione al capo 29 di imputazione, nella sua funzione di intermediario per la commercializzazione di armi, anche da guerra, quali bazooka e Kalashnikov.
1.2. A fronte di tanto i motivi primo e secondo risultano intanto meramente contestativi, quindi inammissibili per genericità intrinseca ed estrinseca, non confrontandosi concretamente con la motivazione resa, comunque inammissibili perché finalizzati ad una rilettura delle emergenze probatorie in questa sede non consentita.
Si richiama quanto argomentato, in diritto, al § 1.1. della trattazione del ricorso COGNOME.
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Quanto al terzo motivo di ricorso si osserva che la motivazione 53Corte sulla impossibilità di qualificare il capo 21 ai sensi del comma quinto dell’articolo 73 dPR 309/90 viene sostenuta in ricorso esclusivamente sulla base dei quantitativi sequestrati in occasione di una perquisizione estranea alla contestazione ed utilizzata, dalla Corte territoriale, solo quale riscontro della contiguità del Trimbo al mondo degli stupefacenti.
Laddove le risultanze delle intercettazioni oggetto di interesse della sentenza impugnata e sopra richiamate dicono di ricezione reiterata di quantitativi di stupefacente, ogni volta, di un chilo.
Incoerente allora la censura difensiva rispetto alla stessa imputazione può, solo, comunque rammentarsi la irrilevanza del mero dato ponderale a sostanziare la qualificazione del reato ai sensi della ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 dPR 309/90.
La norma invocata dal ricorrente prevede una serie di «indicatori» da cui desumere la «lieve entità»: i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero (si tratt di una disgiuntiva corrispondente al termine latino «vel») la qualità e quantità delle sostanze. Le Sezioni Unite della Corte sono reiteratamente intervenute sul punto, affermando in primo luogo (Sez. U, Sentenza n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911-01) che la fattispecie in esame è configurabile «solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi,
modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio». Tale principio è stato poi ribadito, dopo Vautonomizzazione della fattispecie, dalle Sezioni semplici, affermandosi (Sez. 3, Sentenza n.23945 del 29/04/2015, COGNOME, Rv. 263651-01) che «la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 anche all’esito della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio».
Nel caso di specie I con evidenza, gli indicatori della speciale tenuità, non allegati dalla difesa, non sono, comunque, sussistenti, anzi risultano contraddetti dalle complessive risultanze probatorie sicché, anche sul punto, la sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi costantemente affermati da questa Corte di legittimità e risulta immune da censure.
Anche il quarto ed ultimo motivo è inammissibile, per genericità (sono affetti da genericità «intrinseca» i motivi intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come nel caso di appelli fondati su considerazioni generiche o astratte, o comunque non pertinenti al caso concreto (ex multis, Sez. 6, n. 3721 del 2016 e Sez. 1, n. 12066 del 05/10/1992, Makram), ovvero su generiche doglianze concernenti l’entità della pena a fronte di sanzioni sostanzialmente coincidenti con il minimo edittale (ex multis, Sez. 6, n. 18746 del 21/01/2014, COGNOME, Rv. 261094) ), oltre che, comunque, infondato per aver la Corte territoriale fatto buon governo dei principi che devono guidare la determinazione della pena, tema cui ha dedicato tre pagine di motivazione con una puntuale valutazione di tutti i possibili elementi di rilievo ex art. 133 cod.pen.
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Ne consegue la inammissibilità di tutti i ricorsi con onere per i ricorrenti, ai sens dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 11 marzo 2025
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La Consigliera est.
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