Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 47290 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 47290 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a LIMBADI il 27/08/1961
avverso l’ordinanza del 28/05/2024 del TRIB. di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito, per l’indagato, l’avv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro in data 24 aprile 2024 era stata applicata a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in quanto gravemente indiziato: del delitto previsto dagli artt. 110, 575, 577, n. 3 e 416-bis.1 cod. pen., perché, in concorso con altri soggetti (alcuni già condannati in via definitiva per tale reato nell’ambito della cd. operazione Gringia), con premeditazione, mediante l’esplosione di colpi di armi da fuoco, cagionavano, in Vibo Valentia il 6 luglio 2012, la morte di NOME COGNOME in particolare NOME COGNOME inteso COGNOME, esponente apicale dell’omonima consorteria alleata con i Patania, quale mandante dell’omicidio di un esponente di spicco del clan rivale dei Piscopisani, operante nelle frazioni di Piscopio e di Vibo Marina (capo E), dei delitti di detenzione e porto delle armi impiegate per l’omicidio, costituite da una pistola semiautomatica Beretta calibro 9×19 parabellum (capo E1) e da un revolver Sturm Ruger SP101 calibro 357 Magnum, con matricola abrasa (capo E2), nonché della ricettazione della prima delle armi indicate (capo E3).
1.1. Con ordinanza in data 28 maggio 2024, il Tribunale di Catanzaro ha rigettato il riesame proposto nell’interesse di COGNOME avverso il provvedimento genetico. All’uopo ha evidenziato l’acquisizione di un adeguato compendio indiziario a carico dell’indagato, costituito: quanto alla ricostruzione del contesto in cui l’omicidio era maturato, dalle risultanze dei procedimenti di cui alle operazioni denominate RAGIONE_SOCIALE e Romanzo Criminale, grazie alle quali era stata accertata l’esistenza della consorteria mafiosa dei COGNOME, alleata del clan COGNOME, nonché la commissione, tra il 2011 e il 2012, di una lunga sequela di omicidi nell’ambito della faida tra gli stessi COGNOME e il gruppo antagonista dei “Piscopisani”; quanto allo specifico episodio dell’omicidio di NOME COGNOME ucciso per vendetta dopo l’omicidio “eccellente” di NOME COGNOME, il 18 settembre 2011, dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 292 e 273, 273, comma 1-bis, 192 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110, 575 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Il Tribunale di Catanzaro non avrebbe dato conto delle ragioni della gravità del quadro indiziario a carico di COGNOME facendo applicazione di massime di esperienza illogiche e di giudizi congetturali, ritenendo sufficienti le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in contrasto con i canoni interpretativi dell’art. 19 comma 3, cod. proc. pen., richiamati dal comma 1-bis dell’art. 273 stesso codice.
Quanto a COGNOME, il Tribunale non ne avrebbe verificato l’attendibilità intrinseca, limitandosi a richiamare il contenuto delle sue propalazioni, benché egli abbia riferito in modo aspecifico, senza fornire alcun dato spaziale o temporale idoneo a contestualizzare le sue affermazioni, riferendo oltre i 180 giorni dall’inizio della collaborazione, senza alcun vaglio critico delle sue propalazioni, in particolare in ordine alla possibilità che egli abbia subìto negative influenze o possa averle rilasciate al fine di meglio accreditarsi con le autorità inquirenti al fine di ottene i vantaggi riconosciuti ai collaboratori. Il Tribunale del riesame, dunque, avrebbe dovuto vagliare la personalità del chiamante, le sue motivazioni, il contesto delinquenziale in cui è entrato in contatto con il chiamato, l’immediatezza, la costanza, la reiterazione, la logicità, l’articolazione e la verosimiglianza delle accuse, la possibilità che fosse a conoscenza della faida tra i Patania e i Piscopisani perché imputato nel processo cd. COGNOME. Inoltre, il collaboratore non avrebbe fornito particolari specifici in ordine al ruolo di COGNOME nell’omicidio, non indicando un solo episodio su cui i Patania si sarebbero interfacciati con lui.
Quanto alle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME, essi non riferirebbero fatti concernenti direttamente COGNOME in relazione ai reati che gli si addebitano.
Inoltre, con riferimento a COGNOME, le sue sarebbero propalazioni de relato, apprese da NOME COGNOME, che il Tribunale avrebbe ritenuto attendibili senza rilevarne la genericità, essendo privi di connotati individualizzanti, e senza considerare che egli non aveva indicato la fonte di COGNOME in merito all’omicidio. Inoltre, mentre COGNOME avrebbe indicato come causale dell’omicidio di COGNOME l’assassinio, da parte dei Piscopisani, di Palurnbo, COGNOME l’avrebbe individuata nell’omicidio di COGNOME.
Quanto alle propalazioni di NOME COGNOME esse sarebbero generiche e aspecifiche, essendosi egli limitato a riferire di essere stato coinvolto nella preparazione dell’omicidio ed essendo la sua attività a disposizione dei Patania terminata verso la metà di aprile 2012, sicché non avrebbe fornito alcun apporto utile a supportare la chiamata in reità di Comito.
Dunque, il Tribunale non avrebbe espresso un’autonoma valutazione del materiale indiziario, limitandosi a evidenziare una serie di elementi fattuali, già elencati nell’ordinanza genetica, aggirando le obiezioni difensive attraverso generiche letture “probabilistiche” del ruolo di COGNOME. Tuttavia, l’obbligo di motivare l’ordinanza genetica e di quella di riesame non può dirsi assolto con la mera elencazione di taluni elementi di fatto, occorrendo una valutazione
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argomentata delle fonti indiziarie singolarmente assunte e complessivamente considerate, sicché la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe solo apparente, fondandosi sull’acritica trasposizione del testo di intere risultanze investigative (costituite in particolare dalle propalazioni di COGNOME, COGNOME e COGNOME), senza rispondere alle censure difensive contenuti nella memoria depositata in udienza. Infatti, nel provvedimento impugnato non si rinverrebbe accenno alla “influenza” esercitata da COGNOME sulla decisione presa dai COGNOME di assassinare di Fortuna.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 273, 192, 546 comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e degli artt. 43, 61, n. 2, 81 cod. pen., 2 e 4, legge n. 895 del 1967, 23, commi 3 e 4, legge n. 110 del 1975, in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei delitti in materia di armi, richiedendo la consolidata giurisprudenza di legittimità che. fini della configurabilità de concorso in detenzione o porto illegale di armi, è necessario dimostrare la concreta ed effettiva disponibilità dell’arma da parte del compartecipe, non essendo sufficiente la semplice consapevolezza che l’altro sia armato.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen. e dell’art. 416-bis.1 cod. pen., con riferimento a tutti i reati-fine
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, il giudice deve dare conto del perché la condotta di violenza o minaccia costituisca specifica applicazione anche di metodo mafioso, prescindendo dall’appartenenza o meno degli autori del reato al sodalizio la cui esistenza viene utilizzata per determinare la peculiare intimidazione. La motivazione del provvedimento sul punto appare apodittica, omettendo di valorizzare ai fini del decidere condotte specificamente evocative di forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo e limitandosi a ritenere integranti la circostanza aggravante le mere caratteristiche soggettive di chi agisce, ritenute idonee a determinare una condizione di assoggettamento e omertà. Né il provvedimento fornisce una congrua motivazione in ordine alla finalizzazione della condotta alla agevolazione del sodalizio criminale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Giova premettere che in materia di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sensi dell’art. 273 cod. proc. pen. deve avere ad oggetto la violazione di norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo
del provvedimento impugnato, senza potersi estendere alla ricostruzione dei fatti o all’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori; apprezzamento che, ove non manifestamente illogico, si sottrae a qualunque possibilità di censura nel giudizio di cassazione. Ne consegue che non è consentito dedurre profili di doglianza che, pur investendo, in apparenza, la motivazione, si risolvono, in realtà, nella richiesta di una diversa valutazione di circostanze fattuali esaminate dal giudice di merito, il quale abbia dato adeguato conto delle ragioni poste a fondamento della decisione sulla gravità del quadro indiziario attraverso una congrua motivazione degli elementi indizianti, la quale risponda ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460 – 01; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01). A quest’ultimo proposito, va poi chiarito che, diversamente da quanto opinato dalla difesa, la nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 5 n. 36079, del 5/06/2012, COGNOME, Rv. 253511 – 01). Al fine dell’adozione della misura cautelare, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare «un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato» in ordine ai reati addebitati. In altri termini, in sed cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., ove occorre, invece, la prova critica, logica e indiretta del fatto, contrapposta alla prova dirett acquisibile con i mezzi previsti dal codice di rito (Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299 – 02). In ogni caso, resta ferma la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, compiuta allo stato degli atti e preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (cfr. Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, COGNOME, Rv. 234598 – 01; Sez. 1 n. 11058 del 2/03/2010, COGNOME, Rv. 246790 – 01; Sez. 1 n. 19517 del 1/04/2010, COGNOME Rv. 247206 – 01; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, S., Rv. 264213 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1. Sotto altro profilo, va ricordato che la valutazione delle dichiarazioni rese dai chiamanti in correità o in reità rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’art. 12 cod. proc. pen. deve avere ad oggetto la credibilità soggettiva del dichiarante, l’attendibilità delle dichiarazioni e l’esistenza di riscontri esterni; vaglio che non si deve articolare lungo linee separate, posto che l’uno aspetto influenza necessariamente gli altri,
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sicché il giudice è chiamato a una considerazione unitaria degli stessi, pur logicamente scomponibili, dovendo il convincimento formarsi sulla base di un vaglio globale di tutti gli elementi di informazione legittimamente raccolti nel processo (cfr. Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143 – 01). E in particolare quanto ai riscontri che devono supportare tali chiamate ai sensi dell’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., richiamato dall’art. 273, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 11, legge n. 63 del 2001, essi devono essere univoci e individualizzanti, ovvero tali da consentire un collegamento diretto e obiettivo con i fatti contestati e con la persona destinataria dei medesimi (Sez. 1, n. 19517, del 1/04/2010, COGNOME, Rv. 247206 – 01; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, S., Rv. 264213 – 01; Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, P., Rv. 269683 – 01). E quando la chiamata in correità o in reità de relato abbia come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, devono essere rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum; d) vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse (Sez. 1, n. 36065 del 03/05/2024, COGNOME, Rv. 286948 – 01; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tanto premesso in termini generali, deve osservarsi che il ragionamento indiziario svolto dai due provvedimenti di merito, con particolare riguardo alla valutazione delle chiamate in reità e correità, appare conformarsi alla già richiamata cornice di principio.
3.1. Il Tribunale del riesame, infatti, ha adeguatamente dato atto dell’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza previsti dall’art. 273 cod. proc. pen., anche attraverso il richiamo agli elementi indiziari più compiutamente illustrati nell’ordinanza genetica.
Sotto un primo profilo, infatti, è stato evidenziato come l’esistenza di una consorteria criminale di tipo mafioso, facente capo alla famiglia COGNOME, operante nei comuni di Stefanoconi e Gerocarne, sia emersa dalle risultanze dei procedimenti penali n. 4648/12 e n. 3682/13 RGNR iscritti a partire dalle operazioni RAGIONE_SOCIALE e Romanzo criminale, nell’ambito dei quali era stata ricostruita
la lunga sequela di omicidi realizzati nel solco di una faida con il gruppo antagonista dei Piscopisani tra il 2011 e il 2012; era stato chiarito, da parte dei collaboratori di giustizia, che i COGNOME erano alleati del clan COGNOME, di cui faceva parte NOME COGNOME, interessato all’eliminazione degli esponenti del clan dei Piscopisani per arginare la loro egemonia nella provincia di Vibo Valentia. Dunque, i provvedimenti di merito hanno posto in luce, in particolare grazie alla sentenza emessa all’esito del procedimento COGNOME, il contesto mafioso nel quale sono stati commessi gli omicidi e i tentati omicidi avvenuti tra il settembre 2011 e il luglio 2012, riconducibili alla faida tra la famiglia COGNOME, referente dei COGNOME nella zona di Stefanoconi, e il gruppo di Piscopio.
3.2. Tra i suddetti episodi è stato collocato anche l’omicidio di NOME COGNOME commesso il 18 settembre 2011, ricostruito a partire dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME che ha indicato NOME COGNOME quale mandante dell’omicidio, nonché dei collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME.
3.2.1. Il primo, materiale autore dell’azione unitamente a NOME COGNOME ha reso dichiarazioni auto ed etero-accusatorie anche nei confronti di COGNOME indicato quale mandante, riferendo di aver preso parte a una prima riunione, alla quale erano presenti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME finalizzata a definire i dettagli dell’azione criminosa, nonché a una successiva riunione alla quale partecipavano i medesimi soggetti, nel corso della quale il collaboratore apprendeva che NOME era stato individuato quale bersaglio dell’azione omicidiaria poiché aveva preso parte all’agguato contro NOME COGNOME con il ruolo di “specchiettista”. COGNOME era il soggetto deputato, insieme ad Alessandria, all’organizzazione logistica dell’omicidio, in particolare al procacciamento e alla custodia delle armi e del motociclo destinati all’agguato, ed era stato colui che, materialmente, aveva indicato NOME al killer, sicché non potevano avanzarsi dubbi in ordine alla conoscenza dell’accaduto. Le sue dichiarazioni, pur rese in data 25 ottobre 2021, ad oltre 180 giorni dall’inizio della collaborazione, avviata il 12 aprile 2019, sono stante ritenute utilizzabili in sede cautelare, come sancito dalle Sezioni unite con la sentenza n. 1151 del 13 gennaio 2009, Perito, secondo cui esse non possono essere utilizzate a dibattimento, salvi i casi di irripetibilità della prova. E generica è stata ritenuta l’affermazione difensiv secondo cui la tardività delle accuse mosse da Comito sarebbe spiegabile con il fatto che egli avrebbe appreso le circostanze narrate dagli atti del procedimento COGNOME, avendo in realtà tratto il suo bagaglio conoscitivo dalla militanza all’interno della organizzazione criminale e non emergendo dagli atti motivi di contrasto o di inimicizia con l’accusato, né condizionamenti esterni che possano aver influito sulla veridicità delle dichiarazioni.
3.2.2. NOME COGNOME, nell’interrogatorio del 23 dicembre 2022, dichiarava di avere appreso notizie in merito all’omicidio di NOME e di COGNOME NOME, da NOME COGNOME, soggetto vicino a NOME COGNOME in quanto genero di NOME COGNOME. COGNOME aveva collocato l’omicidio di NOME all’interno di una “guerra” tra i COGNOME e “COGNOME” in quanto i primi «volevano cacciarlo e prendersi tutto il suo territorio a livello ‘ndranghetistico» e in quanto COGNOME NOME, ritenuto un esponente della criminalità organizzata nel territorio di Vibo Marina contiguo a Mancuso, era stato assassinato; sicché COGNOME aveva voluto che NOME fosse ucciso per ritorsione e con le stesse modalità, alla presenza della moglie e dei figli. Secondo il Collegio, COGNOME doveva considerarsi attendibile in quanto non ricordava alcuni dettagli e ignorava chi avesse informato Punta della contesa tra Mancuso e i Piscopisani, ma chiariva che COGNOME era cresciuto con NOME COGNOME cugino di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, dall’altro stava con la figlia di NOME COGNOME e aveva con lui un bellissimo rapporto, a tal punto stretto da giustificare sicuramente questo tipo di confidenze. Le circostanze narrate erano sufficientemente dettagliate in ordine alla provenienza delle informazioni e al periodo di riferimento e il legame stretto tra Punta e NOME COGNOME, nonché la relazione sentimentale di Punta con la figlia di NOME COGNOME (vicino a Pantaleone COGNOME), rendono del tutto plausibile la veridicità del narrato di Guastalegname.
3.2.3. Le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME, seppure non direttamente attinenti alla partecipazione del ricorrente nell’omicidio NOME, hanno rivelato elementi significativi dei contatti, nel medesimo periodo, tra COGNOME e i COGNOME. COGNOME era stato coinvolto nei preparativi dell’azione omicidiaria in esame sino alla metà del mese di aprile 2012 allorché, su richiesta di NOME COGNOME (COGNOME), era stato mandato ad aiutare NOME COGNOME nella faida delle “preserre”, a conferma di quanto riferito da COGNOME, secondo il quale COGNOME sovraintendeva alle maggiori attività criminose del territorio.·
3.3. Tanto premesso, osserva il Collegio che il Tribunale di Catanzaro ha fatto corretta applicazione dei già richiamati principi, normativi e giurisprudenziali, i tema di valutazione della chiamata in reità o in correità in sede cautelare, operando un attento scrutinio sulla credibilità soggettiva e sulla attendibilità, intrinseca ed estrinseca, dei contributi dichiarativi, contenenti informazioni, anche di natura autoaccusatoria, essenziali per ricostruire il fatto e caratterizzate da adeguato grado di .dettaglio quanto alle fasi prodromiche ed esecutive del delitto.
In particolare, quanto a Comito, dopo avere premesso che il generico interesse a fruire dei benefici premiali non è di per sé solo elemento idoneo ad intaccare la credibilità del dichiarante, il Collegio di merito ha sottolineato la mancanza di motivi di contrasto o di astio nei confronti dell’accusato, la coerenza e precisione del narrato (pag. 5). Indi ha evidenziato come le sue dichiarazioni siano state
riscontrate dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME (la cui credibilità è stata riconosciuta in quanto la fonte delle sue conoscenze, NOME COGNOME era cresciuto con NOME COGNOME, cugino di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, e stava con la figlia di NOME COGNOME, a sua volta vicino a NOME COGNOME, sicché quel tipo di confidenze era giustificato); dalla sentenza di condanna, emessa a carico di COGNOME all’esito del processo c.d. COGNOME, per l’omicidio di NOME COGNOME e per i tentati omicidi di COGNOME e COGNOME (fatti accertati che confortano la ricostruzione accusatoria anche in ordine ai capi d’incolpazione provvisoria ascritti a COGNOME, in specie sul contesto nell’ambito del quale è maturata le decisione di procedere all’eliminazione, con determinate modalità, di COGNOME) e, ancora, dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME.
Secondo la difesa, tali elementi indiziari non costituirebbero idonei elementi di riscontro. Tuttavia, va rammentato che i riscontri dei quali necessita la chiamata in correità possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, ivi comprese altre chiamate in correità, senza che detti riscontri debbano avere lo spessore di una «prova autosufficiente», posto che, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Campo, Rv. 276744 – 01).
Nel caso di specie, la puntuale narrazione di COGNOME il quale, partecipe del commando omicida, ha indicato COGNOME quale mandante dell’omicidio di COGNOME ha trovato adeguati riscontri sia nella ricostruzione del contesto, ovvero della faida mafiosa tra i COGNOME–COGNOME e i Piscopisani cui faceva capo COGNOME sia nel racconto di NOME COGNOME che ha confermato tale contesto e ha sottolineato come i Piscopisani volessero cacciare “COGNOME” «e prendersi tutto il suo territorio a livello ‘ndranghetistico», sia nelle dichiarazioni di NOME COGNOME che ha riferito di essere stato coinvolto nei preparativi dell’azion omicidiaria in esame sino alla metà di aprile 2012, confermando il contesto in cui l’omicidio era stato commesso e la sua riferibilità al gruppo dei COGNOME, al cui interno NOME COGNOME sovraintendeva alle maggiori attività criminose del territorio.«
Tale complessivo giudizio appare il frutto di un non illogica valutazione del compendio indiziario fin qui acquisito e del tutto adeguato in rapporto alla fase incidentale in cui è stato compiuto, ovviamente suscettibile di ulteriori evoluzioni nella successiva fase di merito. Dunque, le osservazioni critiche della difesa non riescono a disarticolare in maniera decisiva il ragionamento indiziario compiuto dal giudice della cautela e da quello del riesame, né paiono fondate in ordine alla asserita mancanza di connotati individualizzanti; mentre la giustificazione offerta in ordine alle discrasie contenute rispetto ad alcuni particolari delle narrazioni appare anch’essa immune dai lamentati vizi, tenuto conto delle differenti fonti da
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cui i collaboratori attingevano le relative informazioni e alla non concordemente riferita riconducibilità dell’omicidio al gruppo COGNOME–COGNOME.
Venendo, quindi, ai reati satellite in materia di armi, la difesa ha correttamente richiamato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo i quali ai fini della configurabilità del concorso in detenzione o porto illegale di armi non è sufficiente la semplice consapevolezza che l’altro sia armato (Sez. 2, n. 11126 del 28/05/1991, Riggio, Rv. 188500 – 01), essendo invece necessario che ciascuno dei compartecipi abbia la disponibilità materiale di esse e si trovi, pertanto, in una situazione di fatto tale per cui possa, comunque, in qualsiasi momento, disporne (Sez. 1, n. 6796 del 22/01/2019, Susino, Rv. 274806 – 01).
Nondimeno, premessa la natura dell’omicidio, riconducibile a una faida tra gruppi mafiosi, e considerato il suo carattere di delitto commesso con premeditazione, il riconoscimento, sia pure al livello di gravità indiziaria postulato dalla natura incidentale dell’accertamento, del ruolo di mandante in capo a COGNOME, consente pacificamente, secondo la corretta valutazione compiuta in sede cautelare, l’attribuzione al medesimo dei delitti strumentali alla commissione del reato principale. Costituisce non illogica applicazione di una massima di esperienza tratta da analoghe vicende processuali, l’affermazione secondo cui la deliberazione di un omicidio da parte del capo di una cosca mafiosa, comporti un concorso quantomeno morale nelle attività necessariamente e immediatamente strumentali alla sua realizzazione, come il porto delle armi utilizzate per la relativa esecuzione. E del resto si è condivisibilmente affermato, nella giurisprudenza di legittimità, che risponde di concorso in porto illegale di armi colui che aderisce a un’impresa criminosa comportante l’impiego, nel luogo programmato, di un’arma di cui il compartecipe abbia l’esclusiva disponibilità (Sez. 1, n. 40702 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 274364 – 01), non potendo il concorso di persone nel porto o nella detenzione di una arma essere escluso dalla semplice appartenenza dell’arma a uno solo dei concorrenti, se con questo gli altri abbiano programmato dei reati prevedendo la necessità della utilizzazione dell’arma e abbiano poi realizzato questi reati accompagnandosi nel luogo in cui essi dovevano essere consumati (Sez. 2, n. 46286 del 23/09/2003, Inglese, Rv. 226971 – 01). E, ancora, che concorre nei delitti di illecita detenzione e di illecito porto in luo pubblico di arma colui che partecipa insieme ad altri all’ideazione e alla preparazione di un reato da commettere con armi, essendo irrilevante il suo mancato intervento materiale durante la fase esecutiva del reato programmato (Sez. 1, n. 6223 del 05/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285785 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ne consegue, pertanto, l’infondatezza delle relative censure svolte con il secondo motivo.
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Quanto, infine, alle doglianze articolate con il terzo motivo in relazione configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen., anche caso l’astratta condivivisibilità dei principi richiamati dalla difesa in ord necessaria dimostrazione del fatto che una condotta violenta costituisca specif applicazione di metodo mafioso, ovvero della violenza più penetrante, energica e efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti (Sez. 2, n. 3256 12/04/2023, COGNOME, Rv. 285018 – 02), appare nella specie infrangersi con il da emerso da plurimi elementi indiziari, che riconduce l’omicidio a una faida tra clan mafiosi. Ne consegue, pertanto, che la ritenuta operatività dell’aggravante app supportata da un solidissimo compendio di riscontro e che deve riteners manifestamente infondata l’affermazione secondo cui il provvedimento non fornirebbe una congrua motivazione in ordine alla finalizzazione della condotta al agevolazione del sodalizio criminale.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigetta con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
6.1. Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà de ricorrente, la Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma disp. att. cod. proc. pen. ter;
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in data 24 ottobre 2024
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