Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27085 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27085 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/07/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.NOME COGNOME impugna l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria dell’Il aprile 2025 con la quale è stato rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria del 13 agosto 2024 che aveva respinto la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
L’ordinanza impugnata è stata adottata a seguito di sentenza rescindente emessa da questa Corte il 7 gennaio 2025 con la quale era stata disposto l’annullamento della precedente ordinanza e rinviato per nuovo giudizio al Tribunale di Reggio Calabria competente ai sensi dell’articolo 309 comma 7 cod. proc. pen.
2.Con i motivi di ricorso, sintetizzati nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., il difensore del ricorrente denuncia violazione della legge (in relazione agli articoli 299 e 275, comma 3, cod. proc. pen. e al reato di cui agli artt. 629-416-6/5.1 cod. pen. ascritto). Sostiene il ricorrente che l’ordinanza impugnata, incorrendo nel vizio di motivazione, non ha individuato il quadro normativo di riferimento, già riassunto dalla difesa con l’istanza con la quale era stata chiesta la sostituzione della misura della custodia in carcere, in relazione agli elementi che denotano la rescissione dei collegamenti con l’ambiente criminale di provenienza anche alla luce del comportamento tenuto dal COGNOME durante la detenzione (il COGNOME ha conseguito la laurea in giurisprudenza; ha frequentato e conseguito il relativo diploma ed ha partecipato al percorso formativo in carcere) e, a questo riguardo, richiama alcuni precedenti di questa Corte che valorizzano proprio tali aspetti. Il Tribunale avrebbe dovuto condurre un’approfondita verifica delle ragioni per le quali potesse ritenersi immanente l’esigenza di mantenere la misura cautelare. Rileva, inoltre, l’erronea valutazione dell’ordinanza impugnata in relazione alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME e, soprattutto, trascura che nel giudizio di Cassazione la sentenza del cd. processo Trash è stata annullata con rinvio essendo risultato, non accertata la partecipazione dell’imputato all’associazione in parola. L’ordinanza impugnata tenta di recuperare l’attualità delle condotte ascritte al ricorrente attraverso le dichiarazioni (te di tali COGNOME e COGNOME ma non si è posta nella prospettiva di verificare che la condotta dell’imputato si sia protratta oltre il 2017 aspetto questo che nel procedimento cd. Trash ha comportato anche la remissione in libertà del COGNOME per scadenza dei termini di custodia cautelare. L’ordinanza impugnata ha, in sostanza, valorizzato le vicende per le quali l’imputato si trova ristretto, finendo con l’applicare in termini esponenziali ed automatici i profili comportamentali che integrano la condotta materiale del reato per cui si procede. Sono state, pertanto, valorizzate circostanze inerenti alla gravità dei fatti ma senza che questi elementi di giudizio siano stati poi posti a confronto con il tempo trascorso e con i comportamenti successivi dell’imputato. La documentazione prodotta dalla difesa in particolare le dichiarazioni del collaboratore COGNOME che è stato a lungo detenuto con il ricorrente e il comportamento carcerario mantenuto nonché la complessiva condotta di socializzazione, sono stati ritenuti recessivi rispetto agli elementi, risalenti nel tempo, desumibili dalle condotte all’imputato. Rileva, infine, che le ragioni per le quali il Tribunale ha ritenuto che l’imputato fosse inadeguata’ alla misura degli arresti domiciliari in Voghera, luogo distante da quello di commissioni dei fatti sono immotivate, anche perché non risultano acquisiti elementi per ritenere perduranti i rapporti associativi. E’ stata, poi, valorizzato anche la sua Corte di Cassazione – copia non ufficiale
sottoposizione alla misura di prevenzione anche questa per fatti risalenti nel tempo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
2.11 tema posto dall’odierno ricorso, come quello oggetto della sentenza rescindente di questa Corte, concerne la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura applicata al De Stefano in relazione al reato di cui agli artt. 110, 629, 416-b/S.1 cod. pen., condotta protrattasi fino al 2018, fatto per il quale il ricorrente ha riportato condanna anche in grado di appello. In tale fase la Corte di merito aveva respinto la richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari non ritenendo cessato il pericolo di reiterazione di reati dello stesso genere e, soprattutto, rescisso il collegamento dell’imputato con l’associazione di stampo ndranghetista, a favore della quale e con metodo mafioso era stato imposto il pagamento di una tangente, riscossa in più tranches e per più anni, in danno di NOME COGNOME, imprenditore a capo dell’A.RAGIONE_SOCIALE che si era aggiudicatata i lavori di ristrutturazione del centro storico della città di Reggio Calabria.
In ragione del ruolo di primo piano rivestito dal ricorrente nel reato per cui si procede e nel contesto mafioso di riferimento è stata, inoltre, ritenuta inadeguata a realizzare le finalità di prevenzione la misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico in Voghera, città distante dal reggino, luogo in cui era maturata la condotta di associazione a delinquere di stampo ndranghetista e nella quale si inserisce il reato per cui si procede a carico del COGNOME.
Il Tribunale del riesame ha valutato il pericolo di reiterazione e non provata la rescissione dei collegamenti dell’imputato con l’associazione di stampo ndranghetista che faceva capo all’omonimo clan COGNOME, strutturato su base familiare; il tempo trascorso dai fatti; la definizione del processo in grado di appello; l’annullamento con rinvio con sentenza di questa Corte della condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. (cd. processo Trash) poiché non ne era stata accertata la sua persistente affiliazione al clan dei COGNOME in epoca successiva al 2017 e in un contesto che avrebbe registrato contrapposizioni anche nell’ambito dello storico gruppo familiare dei COGNOME.
3.Va premesso che il sindacato della Corte di cassazione, anche in materia cautelare, ove sia dedotto il vizio di motivazione, è limitato alla verifica dell’adempimento, da parte del giudice di merito, degli obblighi impostigli dall’art. 292 stesso codice, limite che rileva anche nell’ipotesi in cui oggetto del ricorso sia
il provvedimento di rigetto dell’appello avverso l’ordinanza del giudice del merito che non abbia accolto la richiesta di sostituzione della misura cautelare. Il controllo di legittimità deve, anche in tal caso, limitarsi alla verifica dell’esistenza, nella decisione impugnata, di una motivazione adeguata e non manifestamente illogica, idonea a dimostrare il perdurare delle esigenze cautelari previste dall’art. 274, sul presupposto implicito che non siano venute meno nel frattempo le condizioni di applicabilità della predetta misura cautelare.
4.Ritiene il Collegio che le censure difensive siano generiche, anche per aspecificità, poiché il ricorrente si è limitato a reiterare le medesime deduzioni sviluppate nell’appello, senza confrontarsi con le argomentazioni della ordinanza impugnata e dolendosi in definitiva soltanto del mancato accoglimento delle censure difensive.
Il Tribunale, infatti, con argomentazioni che non appaiono manifestamente illogiche e fondate su dati rilevanti ai fini della sussistenza del perdurare o meno di rapporti del ricorrente con l’associazione mafiosa di riferimento, ha ritenuto che il tempo trascorso dai fatti; il positivo comportamento processuale del ricorrente nel corso dell’esecuzione della misura applicatagli per l’odierno procedimento e in relazione all’esecuzione del precedente titolo cautelare (quello del processo cd. Trash, eseguito nell’anno 2015, ed estinto solo per decorrenza dei termini), non costituiscono elementi ic idonei a dimostrare la rescissione dei legami con il sodalizio ndranghetista per il quale il ricorrente ha riportato, altresì, l’applicazione della misura di prevenzione personale per fatti commessi fino al 2018.
In particolare, il Tribunale ha valorizzato elementi che, già in sede di applicazione della misura, avevano escluso l’efficacia deterrente dell’esecuzione pena alla quale l’imputato era stato sottoposto per la sua risalente condanna per reato associativo (in relazione a fatti del 2011) evidenziando che, poco dopo la sua scarcerazione del 2015, l’imputato aveva commesso il reato per cui si procede muovendosi all’interno della medesima compagine associativa e associandosi, ai fini della commissione del reato di estorsione, ai medesimi coimputati del processo per reato associativo NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Si tratta di circostanze che, secondo le conseguenti determinazioni del Tribunale, affatto illogiche, rifluiscono anche sulla effettiva rilevanza dell’annullamento con rinvio della condanna del COGNOME intervenuta nel processo cd. Trash (non ancora definito in appello) perché proprio le dichiarazioni di NOME COGNOMEl’imprenditore vittima dell’estorsione contestata nel presente procedimento) e del collaboratore di giustizia NOME COGNOME consentono di collocare il ricorrente nel medesimo contesto associativo e criminale oggetto del
processo Trash e, quindi, all’associazione di riferimento cui faceva capo il ricorrente.
Né il Tribunale ha omesso di valutare, ma anche in tal caso pervenendo alla conclusione che si tratti di elemento recessivo, il comportamento del ricorrente nel corso della sua detenzione, la sua partecipazione al processo di risocializzazione avendo conseguito la laurea in giurisprudenza e un diploma di master. Anche in tal caso, il risultato delle valutazioni compiute nel percorso di risocializzazione a cura dei competenti uffici penitenziari, non è esaustivo del giudizio di pericolosità sociale, come rileva l’ordinanza impugnata riportandone l’esito secondo cui “invitato a riflettere sembrerebbe capace di una sincera assunzione di responsabilità”. Una conclusione che, secondo il Tribunale, non depone univocamente per una chiara presa di distanza dal vissuto criminale che è ben strutturato nella personalità del ricorrente.
Il Tribunale ha ritenuto irrilevante la circostanza che la misura degli arresti domiciliari sarebbe stata eseguita a Voghera valorizzando, viceversa, i collegamenti della mafia reggina, e di un cugino del ricorrente, già suo coimputato, proprio con gli “ambienti” lombardi vicini alla ndrangheta e, infine, ha ricordato come il COGNOME, in passato, si fosse reso latitante, per oltre quattro anni, fino alla cattura avvenuta solo nel 2009 in relazione al primo processo per reato associativo.
Si tratta di aspetti che il ricorso non esamina – se non evocando l’apoditticità del richiamo del Tribunale ai collegamenti dell’imputato con il contesto familiare di appartenenza- e che, viceversa, l’ordinanza impugnata ha ritenuto rilevanti per inferirne anche il pericolo che l’imputato possa, come in passato, sottarsi alla esecuzione della pena valendosi di legami criminali e di appoggi in ambito ndranghetistico.
Come anticipato, il Tribunale, con argomenti solidamente ancorati a dati processuali significativi, ha ritenuto indimostrata la rescissione dei legami associativi del ricorrente e il pericolo, concreto e attuale, di reiterazione di reati di criminalità organizzata della stessa specie di quello per cui si procede valorizzando le specifiche modalità e circostanze dei fatti e la storia giudiziaria dell’imputato che va letta nel suo complesso e non può risolversi nella partecipazione al percorso di risocializzazione, che si rivela parziale, né incentrarsi sull’esito processuale, ancora sub iudice, del processo cd. Trash.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve dichiararsi inammissibile e i ricorrente deve essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e, considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore
della Cassa delle ammende. La cancelleria è delegata agli adempimenti indicati in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
I- ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 15 luglio 2025
La Consigliera relatrice
Il Presidente