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Valutazione discrezionale: no a pregiudizi etnici

La Corte di Cassazione annulla la decisione del Tribunale di Sorveglianza che negava misure alternative a una detenuta. Il diniego era basato su un errore di fatto sul domicilio e su una valutazione discrezionale viziata da pregiudizi etnici, ignorando relazioni positive sul percorso carcerario della donna.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Valutazione discrezionale: No a pregiudizi etnici nella concessione di misure alternative

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, riafferma un principio fondamentale dello Stato di diritto: la valutazione discrezionale del giudice non può mai sfociare in arbitrio o basarsi su generalizzazioni e pregiudizi, in particolare quelli di natura etnica. Il caso riguarda il diniego di misure alternative alla detenzione per una donna, una decisione fondata su presupposti errati e motivazioni carenti che la Suprema Corte ha censurato, annullando il provvedimento e rinviando per un nuovo esame.

I Fatti del Caso

Una donna condannata per rapina pluriaggravata e lesioni, con una pena residua superiore ai due anni, si era vista rigettare per due volte la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale dal Tribunale di Sorveglianza. La prima ordinanza era già stata annullata dalla Cassazione perché il Tribunale aveva omesso di considerare una relazione positiva del gruppo di osservazione del carcere.

Nonostante il rinvio, il Tribunale di Sorveglianza ha nuovamente respinto la richiesta, commettendo, secondo la Cassazione, errori ancora più gravi. In particolare, il giudice di merito ha confuso l’abitazione in cui la ricorrente avrebbe dovuto risiedere con quella dove avrebbe svolto attività lavorativa come badante, concludendo erroneamente per l’inidoneità del domicilio. Inoltre, ha nuovamente ignorato le conclusioni favorevoli di ben due relazioni dell’équipe multidisciplinare, che attestavano un percorso di recupero positivo.

Limiti alla valutazione discrezionale del Giudice

Il cuore della decisione della Cassazione si concentra sui limiti imposti al potere di valutazione discrezionale del giudice di sorveglianza. Sebbene il giudice abbia un margine di autonomia nel decidere se concedere o meno un beneficio, questa autonomia deve essere esercitata entro i binari della logica, della coerenza e del rispetto dei fatti processuali.

L’Errore Fattuale sul Domicilio

Il primo vizio rilevato dalla Corte è un palese errore di fatto. La disponibilità di un domicilio idoneo è un requisito essenziale per la concessione di misure alternative. Il Tribunale ha confuso l’alloggio offerto da un’amica per la residenza, con la casa dove la donna avrebbe lavorato. Questo equivoco ha portato alla conclusione, del tutto infondata, che la richiedente non avesse un luogo stabile e controllabile dove eseguire la misura, condizionando negativamente l’intera decisione.

La Carente Analisi delle Relazioni Positive

Il secondo grave difetto è la motivazione contraddittoria e carente. Il Tribunale, pur dando atto dell’esistenza di due relazioni di osservazione favorevoli (datate 26 settembre 2024 e 22 marzo 2025), le ha liquidate senza una confutazione adeguata. Tali relazioni evidenziavano il riconoscimento della responsabilità da parte della detenuta, il comportamento corretto e un percorso di superamento degli atteggiamenti vittimistici, con un accresciuto livello di affidabilità. Disattendere tali elementi oggettivi richiede una motivazione rafforzata, che nel caso di specie è mancata.

Le Motivazioni: il Divieto di Generalizzazioni Etniche

La parte più significativa della motivazione della Cassazione riguarda il richiamo del Tribunale alla “storia personale della ricorrente, la sua appartenenza alla comunità Rom e il sistema valoriale di riferimento”. La Suprema Corte ha stigmatizzato questo approccio, evidenziando come il fattore culturale sia stato implicitamente elevato a elemento ostativo alla concessione del beneficio, senza un’analisi individualizzata e attuale della persona.

In altre parole, il giudice non può basare la propria valutazione discrezionale su stereotipi o generalizzazioni legate all’etnia o al contesto familiare di origine del condannato. Ogni valutazione deve essere concreta, personalizzata e fondata sugli specifici progressi compiuti durante il percorso trattamentale. Prescindere da questi elementi concreti per rifugiarsi in categorie astratte e potenzialmente discriminatorie costituisce un grave vizio di motivazione che viola i principi fondamentali dell’ordinamento.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici di merito. La decisione di concedere o negare una misura alternativa alla detenzione deve basarsi su un’analisi rigorosa e individualizzata. La valutazione discrezionale non è un potere assoluto, ma una funzione da esercitare con logica, coerenza e, soprattutto, senza pregiudizi. Gli elementi oggettivi, come le relazioni positive delle équipe di osservazione, non possono essere ignorati senza una solida e puntuale argomentazione contraria. Il riferimento a fattori culturali o etnici come elemento negativo a priori è inammissibile e vizia irrimediabilmente la decisione.

Un giudice può ignorare le relazioni positive sul percorso di un detenuto nel decidere su una misura alternativa?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se un giudice intende discostarsi dalle conclusioni favorevoli contenute nelle relazioni di osservazione, ha l’obbligo di fornire una motivazione adeguata e una confutazione puntuale, non potendosi limitare a disattenderle senza spiegazione.

L’appartenenza a una specifica comunità culturale o etnica può essere usata come motivo per negare un beneficio penitenziario?
Assolutamente no. La valutazione del giudice deve essere sempre individualizzata e basata sul percorso concreto della persona. Utilizzare l’appartenenza etnica o il sistema valoriale di riferimento come un fattore ostativo implicito, senza un’analisi personalizzata, costituisce una generalizzazione inammissibile e vizia la motivazione del provvedimento.

Un errore del giudice nel valutare i fatti, come l’idoneità del domicilio, che conseguenze ha?
Un errore su un presupposto di fatto essenziale, come la disponibilità di un domicilio idoneo, invalida l’intero percorso logico-argomentativo del giudice. Poiché il domicilio è un requisito imprescindibile per l’ammissione alla misura, un errore su questo punto rende la decisione illegittima e ne comporta l’annullamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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