Valutazione della Recidiva: la Cassazione Spiega i Criteri Corretti
La corretta valutazione della recidiva è un tema centrale nel diritto penale, poiché incide direttamente sulla determinazione della pena. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza sui principi che i giudici di merito devono seguire, specificando che non è sufficiente un mero richiamo ai precedenti penali, ma è necessaria un’analisi approfondita del legame tra il passato criminale dell’imputato e il nuovo reato commesso.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. L’unico motivo di doglianza riguardava la sussistenza della recidiva, che il ricorrente riteneva essere stata applicata in modo erroneo. Secondo la difesa, la corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato la scelta di considerare i precedenti penali come indicativi di una maggiore pericolosità sociale.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 44137 del 2024, ha respinto il ricorso, dichiarandolo “manifestamente infondato” e quindi inammissibile. I giudici hanno confermato la piena correttezza della decisione impugnata, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Oltre la Gravità del Reato nella Valutazione della Recidiva
Il cuore della pronuncia risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha supportato la sua decisione. La Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la valutazione della recidiva non può basarsi unicamente su elementi astratti come la gravità dei fatti o l’arco temporale in cui i reati sono stati commessi.
Il giudice di merito ha l’obbligo di effettuare un’analisi concreta e specifica, seguendo i criteri dettati dall’articolo 133 del codice penale. Questo significa che deve esaminare il rapporto esistente tra il reato per cui si procede (il reato “sub iudice”) e le condanne precedenti. L’obiettivo è verificare se, e in quale misura, la condotta criminale passata sia sintomatica di una “perdurante inclinazione al delitto”.
In altre parole, il giudice deve accertare se questa inclinazione abbia agito come un “fattore criminogeno”, ovvero come una causa che ha influito sulla commissione del nuovo reato. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente richiamato precedenti specifici che dimostravano una “maggiore capacità a delinquere” del ricorrente, motivando in modo adeguato la sua decisione.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza rafforza l’idea che l’applicazione della recidiva non è un automatismo, ma il risultato di un giudizio ponderato e personalizzato. Per gli operatori del diritto, ciò significa che le sentenze che applicano la recidiva devono contenere una motivazione rafforzata, che vada oltre il semplice elenco dei precedenti iscritti nel casellario giudiziale.
È necessario che il giudice dimostri di aver compiuto quel collegamento logico tra passato e presente criminale che la legge richiede. Di conseguenza, una difesa attenta potrà contestare con successo l’applicazione della recidiva qualora la motivazione del giudice risulti generica, apparente o non ancorata a elementi concreti che dimostrino la reale pericolosità sociale derivante dai precedenti e la loro influenza sul nuovo reato.
Come deve avvenire la valutazione della recidiva secondo la Corte di Cassazione?
La valutazione non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti o sull’arco temporale dei reati. Il giudice deve esaminare in concreto il rapporto tra il nuovo reato e le condanne precedenti, verificando se queste indichino una perdurante inclinazione al delitto che abbia agito come fattore criminogeno, secondo i criteri dell’art. 133 del codice penale.
È sufficiente avere precedenti penali per vedersi applicata la recidiva?
No. Secondo l’ordinanza, non è sufficiente. Il giudice deve accertare in modo specifico come la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una tendenza a delinquere che ha influito sulla commissione del reato “sub iudice”. Un semplice richiamo ai precedenti non è sufficiente.
Qual è stata la decisione finale della Corte nel caso esaminato?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. Ha ritenuto che il giudice di merito avesse applicato correttamente i principi sulla valutazione della recidiva e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44137 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44137 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 20/12/1965
avverso la sentenza del 19/10/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME
ritenuto che l’unico motivo di ricorso che contesta la sussistenza della recidiva è manifestamente infondato;
che il giudice di merito ha fatto corretta applicazione (si veda, in particolare, pag. 4 della sentenza impugnata ove correttamente si richiamano i precedenti specifici ed espressivi di una maggiore capacità a delinquere dell’odierno ricorrente) dei principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sul! arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra i fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2024.