Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26550 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26550 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a MILANO il DATA_NASCITA NOME COGNOME NOME NOME a PAVIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a TAURIANOVA il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/11/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Procuratore generale, in persona del Sostituto dott.ssa NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore AVV_NOTAIO, in sost. dell’AVV_NOTAIO per RAGIONE_SOCIALE, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
udito il difensore AVV_NOTAIO per COGNOME NOME, e in sost. dell’AVV_NOTAIO.
NOME COGNOME per RAGIONE_SOCIALE, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore AVV_NOTAIO, in sost. dell’AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 4/11/2020 dal Tribunale di Pavia nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME (non ricorrente) e COGNOME NOME assolvendo COGNOME NOME dai reati ascrittigli ai capi 27) e 28), COGNOME NOME dalla cessione di cocaina contestata al capo 29), NOME dal reato ascrittogli al capo 16) e così riducendo la pena per COGNOME NOME, ritenuto il delitto contestato al capo 26) assorbito nel capo 25), ad anni sei, mesi nove di reclusione ed euro 31.500 di multa, per COGNOME NOME, ritenute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, ad anni tre di reclusione ed euro 18.000 di multa e sostituendo la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici con l’interdizione per la durata di anni cinque, per COGNOME NOME ad anni quattro di reclusione ed euro 20.000 di multa. La Corte territoriale ha, invece, confermato la sentenza di primo grado con riguardo alla condanna nei confronti di COGNOME NOME in relazione al delitto di cui al capo 19) al quale, previo giudizio di equivalenza tra circostanze attenuanti generiche e recidiva, era stata inflitta la condanna alla pena di anni sei di reclusione ed euro 30.000 di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici.
2. NOME COGNOME, ritenuto responsabile dei delitti di cui ai capi 22) 23) 24) 25) e 28), propone ricorso per cassazione censurando la sentenza, con il primo motivo, per vizio di motivazione consistente nella mancata indicazione dei criteri di valutazione delle prove a carico e delle ragioni dell’inattendibilità delle prove contrarie e per violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. nonché per contrasto con le risultanze probatorie. In particolare, con riferimento al capo di imputazione 25), in relazione al valore indiziario delle intercettazioni telefoniche del 4 e 5 dicembre 2013 e, con riferimento al capo di imputazione 22), anche per contrasto con la testimonianza resa dai testi COGNOME e COGNOME e con le annotazioni di servizio di O.C.P. prodotte nonché con le trascrizioni peritali delle intercettazioni telefoniche del 16 e 17 novembre 2013. La Corte ha ritenuto provata la responsabilità dell’imputato seguendo un iter argomentativo di tipo logico-deduttivo COGNOME dall’intercettazione COGNOME di COGNOME conversazioni COGNOME telefoniche COGNOME e COGNOME di messaggistica delle quali non sono indicati i numeri progressivi. L’episodio di cui al capo 25) non ha alcun riscontro oggettivo, si tratta dunque di c.d. «droga parlata», e l’omessa indicazione delle conversazioni captate tra tutti i soggetti coinvolti nell’episodio non consente di verificare la correttezza del ragionamento seguito dalla Corte per ritenere provato trattarsi di uno scambio di stupefacenti.
Il giudice di primo grado aveva esamiNOME gli scambi di SMS iniziati la sera del 4 dicembre 2013 tra l’utenza in uso allo COGNOME e l’utenza numero 3207820534, ma si trattava di comunicazioni per concordare un appuntamento. Il 5 dicembre 2013, verso le ore 13:20, lo COGNOME, in auto insieme alla compagna e ai figli, seguito dai carabinieri in borghese in servizio di OCP in contemporanea con l’ascolto delle conversazioni telefoniche, si era recato a Basiglio per incontrare l’utilizzatore della predetta utenza e, dopo uno scambio di SMS, si era recato presso la trattoria RAGIONE_SOCIALE in Rozzano, dalla quale poi era uscito con un involucro di cellophane nero; nella stessa zona aveva incontrato un conoscente, COGNOME NOME, con il quale aveva concordato di incontrarsi il giorno prima, e gli aveva consegNOME l’involucro. Sebbene gli operanti non avessero effettuato alcun sequestro dell’involucro e non avessero effettuato alcun controllo sul locale presso il quale COGNOME si era recato, il giudice ha ritenuto trattarsi di cessione di stupefacenti. La testimonianza degli operanti e la testimonianza di COGNOME NOME avevano, però, introdotto la prova che quest’ultimo e i titolari del locale non avessero precedenti in materia di stupefacenti e, in particolare, NOME aveva dichiarato di aver avuto contatti di tipo lavorativo con riferimento all’acquisto di veicoli usati. L’agente COGNOME ha dichiarato di aver dedotto che si trattasse di stupefacente perché la busta era simile a quella consegnata da COGNOME a COGNOME in data 7 dicembre 2013 (quest’ultimo era stato tratto in arresto per detenzione di grammi 527 di marijuana). A fronte dei motivi di appello (con i quali si era evidenziato come le conversazioni non avessero contenuto criptico né allusivo a scambi illeciti, non risultassero ulteriori diversi scambi illeciti COGNOME e COGNOME, quest’ultimo non avesse riportato condanne o segnalazioni in materia di stupefacenti, neppure con riferimento al fatto di cui al presente giudizio, in occasione dell’arresto di COGNOME del 7 dicembre lo stupefacente fosse contenuto in un sacchetto di carta in un involucro di cellophane trasparente, il teste COGNOME avesse riferito trattarsi di documenti relativi a un’autovettura, del tutto in linea con il contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate), la Corte ha confutato le allegazioni difensive travisando la deposizione del teste COGNOME e seguendo un iter argomentativo privo di coerenza logica e in contrasto con il dato letterale delle testimonianze e del contenuto delle conversazioni intercettate. Il mero sospetto dell’operante che si fosse in presenza di una cessione di stupefacente costituisce un fatto indiziante non certo. La decisione si pone contrasto con l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., che impone una valutazione rigorosa degli indizi a carico dell’imputato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1. Con riferimento al capo 22) la Corte ha aderito alla tesi difensiva del coimputato COGNOME, che ha confessato di aver consegNOME allo COGNOME la sola marijuana, assolvendolo dalla cessione di cocaina; tuttavia, ha confermato
integralmente il fatto ascritto allo COGNOME argomentando che questi avrebbe ricevuto la cocaina da altro soggetto. Così sono state disattese la testimonianza dell’operante COGNOME e le risultanze dell’annotazione di 0.C.P., che avevano monitorato la condotta di COGNOME, COGNOME e COGNOME il giorno 16 novembre 2013 dalle ore 18:00 sino all’arresto del COGNOME; il teste COGNOME aveva dichiarato che lo COGNOME aveva incontrato solo il COGNOME e aveva precisato di non aver mai perso di vista lo COGNOME. La Corte ha, invece, apoditticamente dubitato che lo COGNOME si fosse incontrato con altro soggetto tra le ore 20:15 e le ore 20:26 in quanto in questo lasso di tempo gli operanti lo avrebbero perso di vista, ma la circostanza è esclusa dalle risultanze probatorie fatte proprie dal giudice di primo grado, ossia il verbale di OCP del 16 novembre 2013 e la testimonianza di COGNOME. La Corte ha omesso di indicare analiticamente i motivi per i quali ha deciso in contrasto con quanto affermato dal giudice di primo grado; l’utenza monitorata n.3249247613, per errore attribuita al COGNOME, non evidenziava l’effettività dell’incontro. Neppure la telefonata successiva del pomeriggio del 17 novembre 2013, erroneamente attribuita a COGNOME ma in realtà da questi solo ricevuta, aveva contenuto sospetto. Gli elementi istruttori deponevano per l’estraneità dello COGNOME alla consegna della cocaina, che in realtà il COGNOME, come da quest’ultimo precisato, aveva ricevuto da altri. Neppure è possibile ipotizzare la responsabilità del ricorrente a titolo di concorso con il COGNOME, non essendo stati evidenziati elementi di prova tali da dimostrare la consapevolezza da parte dello COGNOME del possesso in capo al COGNOME della cocaina.
2.2. Con il secondo motivo deduce erronea interpretazione e applicazione dell’art. 99 cod. pen. con riferimento all’art. 27 Cost. e all’art. 106, comma 2, cod. pen. in ragione dell’effetto della declaratoria di estinzione della pena per esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Il Procuratore generale, dando atto del positivo percorso compiuto dal ricorrente nel corso dell’ultimo decennio, provato docunnentalmente dalla difesa, aveva concluso chiedendo il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva ma la Corte ha espresso un giudizio negativo alla luce dei numerosi precedenti penali specifici, omettendo l’esame della recente documentazione prodotta nell’interesse dell’imputato e omettendo di considerare che le condanne precedenti erano risalenti al 2011 e che dal 2013 a oggi l’imputato non ha riportato altre condanne, oltretutto concludendo nel gennaio 2022 la misura alternativa dell’affidamento in prova con declaratoria di estinzione della pena pronunciata dal Tribunale di Sorveglianza di Milano. La Corte ha, dunque, ignorato la buona condotta dell’imputato dal 2013 a oggi e ha violato il principio secondo il quale l’estinzione di ogni effetto penale determinata dall’esito positivo
dell’affidamento in prova al servizio sociale comporta che delle relative condanne non si possa tener conto agli effetti della recidiva. La difesa chiede che la pena sia rideterminata escludendo la recidiva e applicando la riduzione prevista per le concesse circostanze attenuanti generiche.
3. NOME COGNOME, ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 1, T.U. Stup. per avere illecitamente ceduto a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME 2992,1 grammi netti di sostanza del tipo marijuana in Assago in data 16/11/2013, propone ricorso per cassazione censurando la sentenza, con unico motivo, per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 157 e 161 cod. pen. per non avere la Corte territoriale rilevato l’intervenuta prescrizione del reato, maturata prima del giudizio di appello. L’episodio di cessione di marijuana è datato 16 novembre 2013 e, sommando al termine di prescrizione il massimo aumento previsto dall’art. 161, comma 2, cod. pen. ai sensi dell’art. 99, comma 2, cod. pen., nonché il periodo di sospensione di 64 giorni a seguito dell’emergenza pandennica, si sarebbe dovuto accertare che la prescrizione del reato era già maturata prima della definizione del giudizio di appello in data 19 gennaio 2023. La difesa sostiene l’inapplicabilità del cosiddetto «doppio aumento del termine prescrizionale», teoria che ritiene ampiamente superata, in base al quale l’aumento di pena per la recidiva specifica infraquinquennale inciderebbe sia sull’aumento del termine ordinario di prescrizione sia sul prolungamento del termine massimo per effetto degli atti interruttivi. Considerato che tale teoria comporterebbe la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, si ritiene che della recidiva si sarebbe dovuto tenere conto solo ai sensi dell’art. 161, comma 2, cod. proc. pen.
4. NOME, ritenuto responsabile del delitto contestato al capo 18) per avere acquistato da NOME NOME e comunque detenuto per la successiva vendita a terzi gr. 48,8 netti di cocaina in Casarile il 24 ottobre 2013, propone ricorso per cassazione censurando la sentenza, con il primo motivo, per vizio di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto la responsabilità dell’imputato per il capo 18) in contraddizione con gli argomenti esposti a sostegno dell’assoluzione dal reato ascrittogli al capo 16). La Corte territoriale ha ritenuto che i rapporti di amicizia tra il COGNOME e il NOME, o la semplice circostanza che quest’ultimo era a conoscenza della presenza di sostanza stupefacente nel garage di NOME e NOME, non fossero sufficienti a ritenerlo corresponsabile del reato contestato al capo 16); il medesimo giudice, smentendo se stesso, è tuttavia giunto a opposte determinazioni con riferimento al reato di cui al capo 18), attribuendo un differente valore probatorio a elementi
che aveva già ritenuto insufficienti a provare il coinvolgimento del NOME nella commissione del reato. La motivazione è, pertanto, contraddittoria e insufficiente. In particolare, in data 24 ottobre 2013 NOME era stato intercettato mentre si lamentava dell’arresto dell’amico COGNOME e ricordava al suo interlocutore di avere detto a COGNOME di non portare con sé NOME COGNOME. NOME aveva aggiunto che l’amico non sarebbe uscito dal carcere e che, quindi, lui non avrebbe più avuto i soldi, affermando poi di dover pagare l’avvocato al COGNOME. Tali elementi, si assume, non avendo efficacia probatoria diretta né univoca, avrebbero imposto un chiarimento circa la provenienza dei soldi dei quali NOME stesse parlando, ben potendo riguardare anche rapporti debitori tra i due, avulsi dallo spaccio, e anche circa le spese per l’assistenza legale, non potendosi escludere che l’amicizia tra i due potesse essere l’unica ragione giustificativa di tale impegno.
Con il secondo motivo deduce difetto di motivazione in merito alla quantificazione della pena, ridotta per il venir meno del reato continuato. Il giudice di appello ha ridotto di un solo mese la pena irrogata in primo grado senza indicare i criteri di calcolo seguiti né il motivo per il quale abbia ritenuto più grave il delitto di cui al capo 18). Nella quantificazione della pena i giudici non hanno tenuto conto delle circostanze evidenziate dalla difesa quali l’assenza di precedenti specifici, il lasso di tempo intercorso tra i fatti contestati e l’attua giudizio, nel corso del quale NOME ha interrotto ogni consumo di stupefacenti e ha cambiato vita, la riconducibilità dei fatti all’ipotesi di cui all’art. 73, comma T.U. Stup.
NOME COGNOME, ritenuto responsabile del reato contestato al capo 19) per avere ceduto illecitamente a COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME grammi 48,8 netti di cocaina il 24 ottobre 2013, propone ricorso per cassazione censurando la sentenza, con il primo motivo, per violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte d’appello operato un mero rinvio agli argomenti svolti nella sentenza impugnata, ripercorrendo le incongruenti motivazioni della sentenza di primo grado in maniera acritica senza dare conto delle doglianze espresse dalla difesa nei motivi di impugnazione, che si è limitata a ritrascrivere. Si tratta, si assume, di motivazione apparente.
5.1. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e travisamento della prova per avere la Corte di appello operato un mero rinvio al compendio probatorio in atti in assenza di un compiuto riferimento agli elementi relativi alla fattispecie concreta. Si tratta di una motivazione apparente resa in violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. in quanto non è riferibile alle risultanze processuali.
5.2. Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 192 e 234 cod. proc. pen. in tema di valutazione delle prove documentali e travisamento della prova in quanto la Corte di appello ha confermato la responsabilità dell’imputato sulla scorta di elementi di prova che, in realtà, costituiscono frutto di un ulteriore travisamento delle emergenze processuali. La sentenza di primo grado aveva rinvenuto le prove in una temeraria lettura parziale delle trascrizioni delle telefonate intercorse tra gli imputati NOME, NOME e NOME, mentre nessun accenno era stato dedicato alle conversazioni che confermavano la tesi dell’imputato in merito ai motivi dell’incontro. La ricostruzione travisava il reale significato delle frasi e interpretava in malam partem le risultanze del servizio di osservazione attuato dai Carabinieri in occasione dell’incontro tra NOME e COGNOME. La Corte ha confermato che la prova dell’incontro tra NOME e NOME fosse desumibile dalle conversazioni telefoniche che avevano preceduto e seguito l’incontro e il tribunale a sua volta aveva riportato il contenuto delle trascrizioni delle telefonate, tuttavia travisandole. Nell’intercettazione n. 182 del 23 ottobre 2013 NOME e NOME si erano accordati per vedersi la sera per un incontro veloce ma risultava difficile interpretare i riferimenti al denaro come reperimento della somma da portare a NOME per il pagamento dello stupefacente, anche perché nella successiva telefonata n. 195 delle ore 11:11 il NOME aveva fatto riferimento alla questione «soldi» che lo stesso COGNOME avrebbe dovuto affrontare con «NOME», ossia a una questione non collegata alla cena a casa di NOME. Nella successiva intercettazione della telefonata n. 254 delle ore 17:36 del 23 ottobre 2013 i due si erano accordati per andare a casa di NOME, dove si sarebbero trattenuti sino alla fine del primo tempo della partita di Champions League e dopo aver ceNOME. Nell’intercettazione n. 730 del 24 ottobre 2013 il NOME si lamentava della perdita dei soldi che evidentemente, e diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, non erano stati consegnati al NOME. Nessuno si era lamentato della perdita dello stupefacente, avvalorando la teoria difensiva che non fosse stato perfezioNOME alcun accordo con NOME NOME ma che la droga rinvenuta nell’auto avesse altra provenienza. Per altro verso, sono state trascurate conversazioni più rilevanti, ossia l’intercettazione del 21 ottobre 2013 ore 16:13:17 in cui il NOME e il NOME parlavano in maniera generica; l’intercettazione del 22 ottobre 2013 ore 9:31:19 tra il NOME e il NOME, in cui i conversanti si accordavano per cenare e vedere la partita insieme a NOME. Quello che la Corte di appello ha definito un fugace incontro che sarebbe servito per la consegna del denaro per il pagamento dello stupefacente, era in realtà una cena, inconciliabile con le finalità illecite ricostruite dall’accusa e fatte propri dagli organi giudicanti. Ad avvalorare il travisamento della prova vi è l’esito del Corte di Cassazione – copia non ufficiale
servizio di O.C.P. davanti all’abitazione di COGNOME, nel corso della quale gli operanti non avevano visto alcun passaggio di oggetti, buste, pacchetti o denaro. Le dimensioni del pacchetto contenente lo stupefacente, sequestrato e fotografato in occasione dell’arresto del COGNOME e del COGNOME, erano tali da non poter passare inosservate. Non si è tenuto conto del verbale di interrogatorio del COGNOME, nel quale egli ha dichiarato le modalità di acquisto dello stupefacente, sebbene tale verbale fosse stato richiamato dalla difesa; i giudici di appello hanno svalutato la circostanza del fermo del COGNOME a distanza di un’ora e mezza dal suo passaggio dall’abitazione del COGNOME senza che gli agenti o gli operanti avessero avuto la possibilità di osservarne gli spostamenti e i movimenti. La sentenza è, dunque, incorsa nella violazione dell’art. 192 cod. proc. pen, per avere i giudici omesso di esporre i criteri utilizzati nella valutazione degli elementi di prova in correlazione con lo standard probatorio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Con memoria del 23 maggio 2024 il difensore di COGNOME NOME ha sviluppato i motivi di ricorso insistendo per l’accoglimento.
All’odierna udienza, disposta la trattazione orale ai sensi degli artt.23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n.137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, 16 dl. 30 dicembre 2021, n.228, convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, n.69, 35, comma 1, lett. a), 94, comma 2, d. Igs. 10 ottobre 2022, n.150, 1, comma 1, legge 30 dicembre 2022, n.199 e 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n.215, le parti hanno rassegNOME le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, nella parte nella quale si censura la conferma della condanna in relazione al reato contestato al capo 25), è inammissibile. La difesa si duole del fatto che la Corte territoriale abbia omesso di indicare i numeri progressivi delle conversazioni sulle quali ha basato il proprio giudizio, trascurando che le due sentenze di merito, conformi, si integrano reciprocamente e che, dunque, non è necessario che il giudice di appello riproduca nella motivazione i dati identificativi delle conversazioni, già puntualmente riportati nella sentenza di primo grado. Come indicato dalla stessa difesa, infatti, il giudice di primo grado aveva riportato le conversazioni e i
messaggi dai quali si era desunto che lo COGNOME avesse consegNOME a NOME COGNOME la sostanza stupefacente, descrivendo la piena corrispondenza tra le telefonate e i messaggi, da una parte, e i servizi di osservazione contestualmente effettuati, dall’altra. In particolare, lo COGNOME, dedit all’attività di spaccio, conclamata dalle altre condotte accertate nel medesimo procedimento, dopo aver concordato tramite SMS con l’utilizzatore dell’utenza NUMERO_TELEFONO un incontro, era uscito dalla sua abitazione prendendo l’auto insieme alla moglie e ai due figli alle ore 12:47; la famiglia aveva raggiunto INDIRIZZO a Basiglio fermandosi all’interno di un parcheggio e lo COGNOME aveva incontrato due soggetti, poi ritornando alla sua autovettura e continuando a tenersi in contatto con l’utenza NUMERO_TELEFONO. Alle ore 13:30 la famiglia aveva raggiunto Rozzano e l’auto si era fermata davanti a una trattoria, ove i medesimi soggetti incontrati in INDIRIZZO attendevano lo COGNOME; quest’ultimo era entrato e uscito dalla trattoria, stringendo nella mano un involucro voluminoso. L’utilizzatore dell’utenza 3207820534 lo aveva nuovamente contattato per avere conferma che fosse tutto a posto. Lo stesso giorno lo COGNOME si era messo d’accordo con NOME COGNOME, che aveva incontrato in INDIRIZZO a Milano e al quale aveva consegNOME il pacchetto. A fronte di tale compendio indiziario, la cui valutazione in senso conforme all’accusa risulta non manifestamente illogica né contraddittoria, la Corte territoriale ha, da un lato, valorizzato la testimonianza dell’agente COGNOMECOGNOME COGNOME quale aveva ravvisato una similitudine tra il pacco ritirato dalla trattoria e quello sequestrat successivamente al correo COGNOME, contenente 500 grammi di marijuana, nonché l’inverosimiglianza della tesi difensiva secondo cui lo COGNOME avrebbe consegNOME a COGNOME il pezzo di ricambio di un veicolo. Nel ricorso si propone una lettura alternativa del medesimo compendio, tendente a sollecitare una diversa valutazione degli elementi istruttori già esaminati nelle sentenze di primo grado e di appello con argomentazioni non manifestamente illogiche né contraddittorie. I giudici di merito hanno, da un lato, fornito una lettura complessiva di una serie di indizi, tra loro concordanti, dotati di certezza, segnatamente il concordato incontro con persone poi raggiunte una prima volta a Basiglio e una seconda volta a Rozzano, il continuo scambio di messaggi altrimenti privi di senso, il prelevamento di un involucro da una trattoria presso la quale la famiglia non ha sostato per pranzare, la successiva verifica da parte dell’iniziale interlocutore del buon fine dell’operazione, l’immediato incontro con NOME COGNOME e la consegna del medesimo involucro a quest’ultimo; dall’altro, hanno spiegato per quale ragione l’ipotesi difensiva fosse inverosimile. Tanto è sufficiente per ritenere che il motivo non costituisca censura ammissibile in quanto non si tratta di argomenti idonei a sostenere la manifesta illogicità della motivazione o l’incertezza dei dati indiziari Corte di Cassazione – copia non ufficiale
sui quali si è fondata la pronuncia, limitandosi a evidenziare asserite incongruenze inidonee a destrutturare un compendio indiziario di evidente spessore.
2. A diversa conclusione conduce la censura inerente al reato contestato al capo 22), segnatamente con riguardo alla detenzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina. La Corte territoriale ha, infatti, ritenuto sussistente i «ragionevole dubbio» che NOME COGNOME avesse ceduto allo COGNOME, oltre alla marijuana, anche i 276 grammi di cocaina successivamente rinvenuti nella disponibilità del COGNOME. Tuttavia, ne ha desunto che lo COGNOME fosse stato rifornito di cocaina da parte di un terzo soggetto extracomunitario titolare dell’utenza 3249247613 che il ricorrente potrebbe aver incontrato nel periodo in cui gli operanti lo avevano perso di vista tra le 20.15 e le 20.26. La sentenza non spiega come tale ricostruzione possa collimare con quanto indicato dalla sentenza di primo grado a proposito della ricostruzione dei fatti riferita dall’agente COGNOME in relazione al servizio di pedinamento svolto il 16 novembre 2013; nella ricostruzione del fatto contenuta a pag. 55 della sentenza di primo grado la prova della cessione è stata descritta dal teste allorché lo COGNOME «si avvicinava poi a COGNOME a bordo dello scooter e la COGNOME gli passava lo stesso sacchetto consegNOMEgli da COGNOME. COGNOME lo riponeva sulla pedaliera ed entrambi ripartivano, percorrendo la strada statale 35 in direzione di Pavia e Certosa». Successivamente, il COGNOME era stato fermato dinanzi al cancello dell’abitazione dello COGNOME e trovato in possesso di tre buste di plastica bianca contenenti 276 grammi di cocaina e circa 3 chili di marijuana. La Corte territoriale, una volta escluso che il sacchetto consegNOME dal COGNOME contenesse anche la cocaina, non ha spiegato in quale occasione lo COGNOME avesse consegNOME al COGNOME la cocaina ricevuta da altro soggetto extracomunitario quando gli operanti lo avevano perso di vista. Lo stesso acquisto della cocaina da un terzo risulta desunto da elementi indiziari non adeguatamente vagliati alla luce delle deposizioni testimoniali; il giudice di appello avrebbe dovuto esaminare tale diversa ipotesi ricostruttiva alla luce del fatto che, come si legge nella sentenza di primo grado, gli operanti avevano organizzato il servizio assicurandosi che tutte le pattuglie tenessero costantemente sotto controllo visivo lo COGNOME, il COGNOME e la COGNOME nonché alla luce di quanto dichiarato dal teste COGNOME, riportato a pag. 56 della sentenza di primo grado, a proposito del fatto che un collega che seguiva a piedi lo COGNOME e la COGNOME mentre si avviavano al Mc Drive per comprare del cibo aveva constatato che i due non avevano incontrato alcun soggetto; viceversa, risulta accertato dal giudice di primo grado che lo COGNOME avesse interloquito solo con Corte di Cassazione – copia non ufficiale
il COGNOME e che quest’ultimo gli avesse consegNOME tre buste di plastica bianche. La motivazione offerta a pag. 15 della sentenza impugnata risulta, dunque, contraddittoria in quanto, pur avendo ritenuto sussistente il ragionevole dubbio che lo COGNOME avesse ricevuto la cocaina da NOME COGNOME, ha poi confermato la sentenza di condanna dello COGNOME anche per la detenzione e cessione della cocaina al COGNOME sulla base di un ragionamento fondato su elementi indiziari non certi e privi di adeguato confronto con l’insieme delle emergenze istruttorie valorizzate dal giudice di primo grado.
4. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è manifestamente infondato. Va, in primo luogo, evidenziato che la recidiva, anche se ritenuta subvalente, incide sul calcolo del termine di prescrizione (ex plurimis, Sez. 1, n. 36258 del 07/10/2020, Lattanzi, Rv. 280059 – 01). In secondo luogo, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, in quanto circostanza aggravante ad effetto speciale, incide sia sul computo del termine-base di prescrizione ai sensi dell’art. 157, comma 2, cod. pen., sia
sull’entità della proroga di suddetto termine in presenza di atti interruttivi, ai sensi dell’art. 161, comma 2, cod. pen. (Sez. 2, n. 57755 del 12/10/2018, COGNOME, Rv. 274721 – 01); tale principio non viola il divieto di bis in idem sostanziale nè l’art. 4 Prot. 7 CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso Zolotoukhine c. Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione (Sez. 4, n. 44610 del 21/09/2023, COGNOME, Rv. 285267 – 01). Ne consegue che il reato non era prescritto alla data della sentenza di appello e che il ricorso, fondato su tale unico motivo, è inammissibile.
5. Il primo motivo di ricorso proposto da NOME non supera il vaglio di ammissibilità in quanto tende a una diversa valutazione del compendio indiziario, già adeguatamente valutato dai giudici di merito, del quale propone una lettura più favorevole al ricorrente senza, peraltro, confrontarsi con gli elementi inerenti alle conversazioni intercorse tra il NOME e il NOME, valutati dai giudici nelle conformi sentenze di merito. Il vizio di contraddittorietà della motivazione deve essere interno al percorso giustificativo della décisione e ricorre quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine a uno stesso fatto o a un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva del provvedimento, ovvero si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice, conducenti ad esiti diversi, siano state poste a base del suo convincimento (Sez.5, n.19318 del 20/01/2021, COGNOME, Rv. 281105); deve, dunque, escludersi che il vizio di contraddittorietà della motivazione possa avere come termini di raffronto il provvedimento e i dati istruttori sulla base della loro asserita erronea interpretazione. Tale vizio non è, dunque, rilevabile nel caso in esame in quanto, come chiaramente espresso a pag. 17 della sentenza impugnata, le intercettazioni esaminate dal giudice di primo grado e dalla Corte di appello hanno evidenziato la condotta concorsuale del NOME nella detenzione di 54 grammi di cocaina rinvenuti nel furgone del COGNOME, senza che tali acquisizioni fossero state validamente poste in discussione dalle argomentazioni difensive. Legittimamente i giudici di merito hanno ravvisato elementi sintomatici del concorso nel reato nell’avere il NOME fornito indicazioni al COGNOME su come comportarsi per evitare i controlli di polizia, nell’essersi rammaricato di aver perso il guadagno a causa dell’arresto del correo, nel ritenersi obbligato a pagare le spese di difesa dell’arrestato. Elementi strettamente inerenti al fatto contestato, dunque non comparabili con le ragioni assolutorie relative al diverso fatto contestato al capo 16). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il secondo motivo del ricorso di NOME è manifestamente infondato. Premesso che la pena è stata determinata nella misura minima edittale, osserva il Collegio che la statuizione secondo la quale fosse da considerare più grave il reato di cui al capo 18), non contrastata con i motivi di appello, era presente nella sentenza di primo grado e che il tribunale aveva applicato l’aumento per la continuazione di 10 giorni di reclusione ed euro 1000 di multa per ciascuno degli episodi contestati al capo 16). Il giudice di appello ha correttamente elimiNOME l’aumento corrispondente al reato satellite, riproponendo la pena di anni quattro di reclusione ed euro 20.000 di multa già applicata per il reato di cui al capo 18) in primo grado; non era, dunque, richiesta alcuna motivazione sul punto. Non risulta sottoposta al giudice di appello la censura inerente alla qualificazione del fatto per il quale è intervenuta condanna.
6. Il ricorso proposto da COGNOME COGNOME non supera il vaglio di ammissibilità.
Il primo e il secondo motivo di ricorso contengono generiche indicazioni di orientamenti giurisprudenziali in tema di vizio di motivazione senza alcun specifico riferimento alle censure difensive asseritamente trascurate o al compendio probatorio rispetto al quale la sentenza sarebbe priva di motivazione. Osserva il Collegio che la genericità del motivo di ricorso con il quale si lamenta l’omessa motivazione su una censura formulata in grado di appello, senza alcuna indicazione del tenore di tale censura, non consente alla Corte di legittimità di valutare se il motivo di appello sul quale la Corte territoriale non si è pronunciata fosse, a sua volta, ammissibile. E’ stato, in proposito affermato in precedenti pronunce che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700 – 01)
Con riguardo al terzo motivo, premesso che il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567 – 01), il Collegio rileva l’assenza di allegazioni circa la decisività degli argomenti asseritamente trascurati. La difesa propone, a ben vedere, una lettura
alternativa delle risultanze istruttorie senza alcun confronto con le ragioni esposte alle pagg. 17-18 della sentenza impugnata.
In particolare, contrariamente a quanto indicato dal ricorrente, la Corte territoriale ha valorizzato l’insieme delle conversazioni che hanno preceduto e seguito l’incontro tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, tali da chiarire pienamente il motivo dell’incontro, corroborate dal fatto che il COGNOME fosse giunto all’appuntamento con NOME a bordo del proprio Fiorino, sul quale era stata successivamente rinvenuta la sostanza stupefacente.
La difesa omette di confrontarsi con la circostanza, ritenuta rilevante dai giudici di appello, secondo la quale nel corso di tutta l’operazione NOME fosse stato sempre in contatto telefonico con NOME, che si era poi rammaricato della perdita di guadagno a seguito del sequestro dello stupefacente. Circa la ragionevolezza della versione difensiva fornita dal COGNOME, la Corte è pervenuta a una valutazione negativa anche alla luce delle modalità sospette dell’incontro, rivelate dal fatto che il NOME, prima di incontrare il COGNOME, avesse fatto scendere dal Fiorino il COGNOME, rimasto nascosto dietro una siepe, temendo evidentemente qualche controllo da parte delle forze dell’ordine, in piena sintonia con il contenuto di quanto intercettato successivamente in una dichiarazione nella quale NOME si lamentava che il NOME non avesse seguito il suo consiglio di non portarlo con sé.
Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla condotta di detenzione di cocaina contestata al capo 22) con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano; il giudice del rinvio provvederà all’eventuale rideterminazione del trattamento sanzioNOMErio nei confronti di tale imputato.
I ricorsi di COGNOME NOME, NOME e NOME NOME sono inammissibili; a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), alla condanna di tali ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla detenzione di cocaina contestata al capo 22 con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte d’ appello di Milano, anche per l’eventuale rideterminazione del trattamento sanzioNOMErio.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, NOME e NOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 6 giugno 2024
Il Consiglie COGNOME stensore COGNOME
Il Presi ente