Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44701 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44701 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 03/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a Copertino il 31/03/1956
COGNOME NOME nato a Copertino il 28/10/1969 avverso la sentenza del 06/11/2023 della Corte di Appello di Lecce
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso e le conclusioni depositate dal difensore dell’imputato COGNOME e dal difensore delle parti civili;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
udite le conclusioni del difensore delle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi e depositato comparsa conclusionale e nota spese; fi udite le conclusioni del difensore del ricorrente COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso e chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato;
udite le conclusioni dei difensori del ricorrente COGNOME Avv. NOME COGNOME e AVV. NOME COGNOME che hanno insistito nei motivi di ricorso e chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo dei rispettivi difensori, propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza del 6 novembre 2023 con la quale la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza emessa, in data 24 ottobre 2018, dal Tribunale di Lecce, li ha condannati alla pena di anni 8 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa in relazione al reato di estorsione.
NOME COGNOME con il primo motivo di ricorso, lamenta erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen. e degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen.
I giudici di appello, procedendo ad una analisi parziale e parcellizzata delle argomentazioni difensive, avrebbero omesso di valutare adeguatamente i motivi di appello e di analizzare le fonti di prova poste a fondamento della decisione.
2.1. La Corte di merito, con percorso argomentativo apodittico, avrebbe ritenuto attendibili le persone offese ed i testi di accusa, senza tenere conto delle numerose contraddizioni che caratterizzerebbero le rispettive dichiarazioni e della mancanza di riscontri esterni.
L’omessa indicazione ed analisi delle contraddizioni interne ed esterne segnalate con l’atto di appello avrebbe impedito una corretta valutazione circa l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie.
2.2. La Corte territoriale, con motivazione congetturale, si sarebbe limitata ad affermare l’inattendibilità del teste NOME COGNOME (il quale aveva riferito di aver saputo da NOME COGNOME che lo stesso aveva denunciato il COGNOME ed il COGNOME solo per dare credibilità alla denuncia sporta nei confronti del COGNOME, denuncia conseguente al fatto che quest’ultimo “aveva fatto protestare il genero COGNOME NOME .’ -vedi pag. 17 del ricorso-) senza, peraltro, disporre l’esame del testimone oculare NOME Grande e senza trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica per le determinazioni di competenza in ordine al reato di falsa testimonianza.
2.3. La Corte distrettuale, con motivazione apparente, si sarebbe limitata a ricondurre le contraddizioni e le illogicità che contraddistinguono le propalazioni di NOME COGNOME ad una “ignoranza per quanto colpevole” (vedi pag. 10 del ricorso).
La motivazione, inoltre, sarebbe del tutto apodittica nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto “non decisiva” la mancata indicazione nelle quattro denunce presentate dal Pinto della circostanza “che il Tulipano in caso di mancato pagamento, avrebbe fatto saltare tutto” (vedi pag. 9 del ricorso).
2.4. La motivazione sarebbe carente in ordine ai motivi di appello con cui era stata affermata l’inattendibilità dei testi NOME COGNOME ed NOME COGNOME in considerazione delle numerose lacune e contraddizioni espressamente indicate nell’atto di impugnazione.
Il percorso argomentativo sarebbe, inoltre, generico e apodittico in ordine al lamentato contrasto tra la ricostruzione dei fatti fornita da NOME COGNOME e quanto riferito da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.5. La motivazione sarebbe generica e fondata su una mera supposizione nella parte in cui i giudici di appello, hanno affermato l’inattendibilità del test NOME COGNOME senza indicare e descrivere l’episodio “narrato dal suo parente p.o.” (vedi pag. 13 del ricorso).
2.6. L’assoluta inattendibilità delle persone offese NOME COGNOME e NOME COGNOME sarebbe dimostrata da quanto dichiarato da quest’ultimo in ordine al fatto che il dirigente del Commissariato dr. COGNOME avrebbe ritardato la trasmissione all’Autorità giudiziaria dell’informativa di reato per favorire il COGNOME, aggiungendo l’espressione “poi ti regoli tu che devi fare” (vedi pag. 17 del ricorso) ed avrebbe suggerito al COGNOME di coinvolgere il COGNOME ed il COGNOME “se no voi andate dentro e loro escono fuori” (vedi pag. 18 del ricorso).
La difesa ha lamentato la carenza di motivazione in ordine alle doglianze con cui è stato affermato che tali propalazioni comporterebbero la commissione da parte del Carozzo di gravissimi reati “tralasciando di esercitare un suo preciso obbligo di legge” solo per favorire il COGNOME (vedi pag. 17 del ricorso).
Il Tredici, con il secondo ed il terzo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 629 in relazione all’art. 628, comma terzo, n. 1 cod. pen. ed omessa motivazione in ordine al motivo aggiunto di appello con cui era stata chiesta l’esclusione della circostanza aggravante delle persone riunite.
L’istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato che le minacce sarebbero state pronunciate esclusivamente dal COGNOME e mai in presenza del COGNOME con conseguente insussistenza della contestata aggravante.
Il ricorrente, con il quarto motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 99 cod. pen. e dell’art. 521 cod. proc. pen.
Il Tribunale avrebbe ritenuto sussistente la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale senza tenere conto che il capo di imputazione farebbe esclusivo riferimento alla “recidiva reiterata” con conseguente violazione dell’art. 521 cod. pen.
Inoltre, la Corte di merito avrebbe aumentato la pena base, ai sensi dell’art. 63 comma quarto cod. pen., senza specificare quale delle due aggravanti
(recidiva e persone riunite) sia stata presa in considerazione ai fini dell’aumento di pena con ulteriore violazione dell’art. 521 cod. pen.
5. Il Tredici, con il quinto motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 99 cod. pen. e carenza di motivazione in ordine al riconoscimento della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale.
I giudici di merito, con motivazione apparente, avrebbero ritenuto giustificato l’aumento di pena a titolo di recidiva esclusivamente in considerazione della presenza di precedenti penali, senza argomentare in alcun modo in ordine alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente.
NOME COGNOME con il primo motivo di ricorso, lamenta erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen. in relazione alla prima parte della condotta estorsiva.
La motivazione sarebbe illogica e contraddittoria in quanto i giudici di merito, dopo aver evidenziato che il COGNOME si sarebbe accordato con gli imputati affinché gli stessi impedissero l’aggiudicazione a terzi di immobili di sua proprietà, hanno affermato che il COGNOME sarebbe stato minacciato “di non rientrare mai più in possesso dei beni” (vedi pag. 3 del ricorso); tale ricostruzione sarebbe totalmente disancorata da quanto dichiarato dalla persona offesa con conseguente modifica del fatto contestato in violazione dell’art. 521 cod. proc:. pen.
La difesa ha evidenziato, inoltre, che nella prima fase della condotta descritta dalla persona offesa non sarebbe stata pronunciata alcuna espressione minatoria in quanto l’attività di turbativa d’asta concordata e mai attuata sarebbe stata chiesta dal COGNOME con conseguente insussistenza dell’elemento materiale del reato di estorsione.
Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta omessa motivazione in relazione alla penale responsabilità in ordine al reato di estorsione.
A giudizio della difesa, il COGNOME, avendo partecipato esclusivamente alla prima fase della vicenda, non avrebbe profferito minacce né in sua presenza sarebbe stata pronunciata alcuna espressione minatoria. L’unica minaccia sarebbe stata, infatti profferita dal COGNOME nel corso di un incontro con il COGNOME nel corso del quale il COGNOME non era presente.
La motivazione sarebbe, pertanto, del tutto carente in ordine al motivo di appello con cui la difesa aveva eccepito la mancanza di prova in ordine alla responsabilità concorsuale del COGNOME, non avendo i giudici di appello argomentato alcunché in ordine a tale doglianza.
Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 110 cod. pen. e degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen.
La Corte territoriale avrebbe affermato, con motivazione carente ed assertiva’ che le minacce pronunciate dal Tredici sarebbero addebitabili anche al COGNOME senza indicare gli elementi probatori fondanti tale apodittica affermazione; in particolare non vi sarebbe prova alcuna che la somma riscossa dal COGNOME sia riconducibile alla condotta minatoria del Tredici e non al compenso pattuito per l’attività di intermediazione svolta dal ricorrente.
L’estraneità del COGNOME alla seconda fase della vicenda sarebbe, peraltro, ricavabile dalle dichiarazioni rese da NOME COGNOME la quale nel riferire le minacce subite dalla persona offesa avrebbe usato l’espressione “ci avrebbe fatto saltare in aria”, espressione che non consente interpretazioni alternative al mancato coinvolgimento del ricorrente nelle minacce prospettate dal Tredici.
Il COGNOME, con il quarto motivo di ricorso, lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 546 cod. proc. pen. nonché apparenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla penale responsabilità dell’imputato.
I giudici di appello avrebbero argomentato in modo del tutto apparente in ordine alla ritenuta attendibilità della persona offesa, facendo riferimento a mere formule di stile generiche e stereotipate con conseguente vizio di motivazione.
La decisione sarebbe, inoltre, fondata su criteri meramente probabilistici che condizionerebbero l’affidabilità della ricostruzione storica compiuta dai giudici di appello; in particolare i giudici di appello avrebbero desunto la penale responsabilità del Pagano dalla mera percezione di somme di denaro, senza considerare che tali somme costituirebbero il pagamento dell’originaria pattuizione finalizzata alla turbativa d’asta richiesta dal COGNOME.
Il difensore del ricorrente COGNOME in data 13 settembre 2024, ha depositato conclusioni scritte con le quali ha insistito nei motivi di ricorso.
Il difensore delle parti civili, in data 2 ottobre 2024, ha depositato comparsa conclusionale e nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso dedotto dal Tredici ed il quarto motivo proposto dal COGNOME sono fondati per le ragioni che seguono.
1.1. Giova, preliminarmente, evidenziare che la prova dichiarativa, acquisita dalla persona offesa -costituita parte civile-, esige un vaglio particolarmente
rigoroso, mediante riscontro intrinseco ed estrinseco del narrato. Ciò implica che il tema dell’attendibilità del dichiarante non può essere affrontato facendo ricorso a congetture o opinioni disancorate da concreti segmenti fattuali e da condivise massime di esperienza.
Il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata deve avere, infatti, ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull’id quod plerumque accidit ed insuscettibili di verifica empirica (Sez. 1, n. 18118 del 11/02/2014, COGNOME, Rv. 261992-01; da ultimo Sez. 4, n. 22040 del 16/05/2024, COGNOME, non massimata).
1.2. Ciò premesso, va rilevato che la motivazione in esame può essere definita “apparente” poiché essa non ha dato adeguatamente conto delle censure e deduzioni difensive in punto di giudizio di responsabilità e qualificazione giuridica dei fatti, non le ha esaminate analiticamente né disattese con specifiche argomentazioni, previo preciso richiamo a risultanze probatorie aderenti al compendio processuale.
In particolare, quanto al nucleo della ricostruzione alternativa offerta dagli imputati, la Corte di merito, con percorso argomentativo viziato da manifeste disarmonie logiche, si è assunta il compito di ‘giustificare’ le plurime anomalie emergenti dalle dichiarazioni delle persone offese e dei testimoni della Pubblica accusa, piuttosto che verificare nei fatti – e non nelle opinioni del decidente – le tracce della coerenza o dell’incoerenza dei racconti.
Deve essere ribadito, in proposito, che, ai fini della valutazione dell’attendibilità del contenuto delle dichiarazioni accusatorie, il giudice può fare riferimento anche a valutazioni di carattere logico, purché queste abbiano, diversamente da quanto avvenuto nel caso di specie, valenza univoca ovvero assurgano a massime di esperienza o a fatti notori (Sez. 2, n. 29648 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 277018-02).
1.2.1. Quanto alle numerose contraddizioni ed illogicità delle propalazioni delle persone offese NOME COGNOME e NOME COGNOME segnalate dalle difese, la Corte territoriale ha omesso di farsi carico di esse, limitandosi a ritenerle non decisive e ad assegnare -senza discussione- l’illogicità della condotta tenuta dal COGNOME ad una “ignoranza per quanto colpevole” (vedi pag. 2 della sentenza impugnata),
Così per la mancata indicazione nelle reiterate denunce sporte dal COGNOME della minaccia di “far saltare tutto” prospettata dal coimputato COGNOME i giudici di appello hanno ritenuto, con motivazione del tutto apodittica e contraddittoria, che tale carenza -indicata in sentenza come “rilevante” -non rappresentasse un
fattore di inattendibilità della narrazione del Pinto. Asserzione che manifesta la sostituzione di un fatto decisivo, che avrebbe dovuto essere narrato ab origine dalla persona offesa, con una mera ipotesi del decidente.
Inoltre, la Corte di merito ha affermato, con argomentazione estremamente sintetica, che l’attendibilità delle dichiarazioni delle parti civili sarebbe rafforza da “elementi di riscontro dichiarativo e documentale” (vedi pag. 4 della sentenza impugnata), senza indicare in alcun modo a quali elementi facesse riferimento tale assertiva affermazione.
1.2.2. I giudici di appello non hanno, inoltre, argomentato in ordine alla doglianza con cui le difese avevano evidenziato le discordanze tra le dichiarazioni rese dalla parte civile NOME COGNOME e dal testimone oculare NOME COGNOME limitandosi ad affermare, in modo assertivo, la marginalità della deposizione di quest’ultimo (vedi pag. 3 della sentenza oggetto di ricorso).
1.2.3. La motivazione con cui i giudici di appello hanno affermato l’inattendibilità del teste a discarico NOME COGNOME oltre a non essere ancorata ad alcuna evidenza probatoria, è viziata dall’utilizzo di mere congetture ed espressioni ipotetiche ed interrogative (“quando mai NOME COGNOME avrebbe avuto interesse a denunciare insieme con il COGNOME anche altri due signori ovvero il COGNOME e il COGNOME per dare più forza alla falsa denuncia, se ben sapeva chi erano i due?” nonché “perché avrebbe dovuto accusare falsamente proprio due soggetti con significativi trascorsi criminali? Sarebbe stato mille volte meno pericoloso calunniare due innocui incensurati” -vedi paci. 3 della sentenza impugnata) che rendono la motivazione meramente apparente.
1.2.4. La motivazione appare illogica e contraddittoria nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto “non valorizzabili” le dichiarazioni rese da NOME COGNOME in quanto il teste non avrebbe confermato la versione resa dalla persona offesa perché legato all’imputato COGNOME da un rapporto di affinità, affermazione che non tiene conto del fatto che NOME COGNOME è anche cugino della stessa parte civile NOME COGNOME.
Ancora una volta, i fatti vengono sostituiti dalle congetture, neppure giustificate da condivise massime di esperienza in quanto non si comprende per quale motivo il teste avrebbe dovuto favorire il COGNOME a discapito del cugino NOMECOGNOME
La motivazione della sentenza di appello si basa, in definitiva, su un argomentare che mette apoditticamente in linea circostanze di fatto per dedurne un quadro indiziario di tale gravità da fondare la responsabilità penale degli imputati. Tuttavia, il nesso motivazionale utilizzato appare molto labile e
sostanzialmente frutto di un salto logico; è evidente, invece, come la Corte di merito avrebbe dovuto interrogarsi sulla valenza delle prove raccolte a superare il vaglio del criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio necessario per fondare l’accusa ai sensi dell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. e, in ogni caso, avrebbe dovuto dar conto del collegamento degli indizi valorizzati con la sicura responsabilità degli imputati.
Il rispetto del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio sottende, infatti, una motivazione adeguata, che rifletta una valutazione completa del compendio probatorio, letto anche alla luce del contributo conoscitivo e critico offerto dalla difesa, e dia conto dunque delle criticità emerse, risolvendole sulla base degli elementi che valgono a suffragare l’assunto accusatorio, in assenza di residue ipotesi alternative, adeguatezza motivazionale non riscontrabile nel caso di specie.
In conclusione, deve darsi atto di come la motivazione del provvedimento impugnato non si riveli coerente al canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, previsto dall’art. 533 cod. proc. pen. con la necessità che i giudici di appello rimodulino le proprie affermazioni circa la responsabilità dei ricorrenti e si conformino ad un canone valutativo della responsabilità penale costituzionalmente orientato.
Ne consegue l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato e la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Lecce, che si pronuncerà sulle criticità esaminate dal Collegio, in piena aderenza ai principi ermeneutici indicati, ma con altrettanta ampia libertà del giudice del rinvio di orientarsi nel senso di riproporre l’esito decisorio già adottato ovvero di discostarsene.
I restanti motivi di ricorso sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo di ricorso dedotto dal Tredici e del quarto motivo proposto dal Pagano.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Lecce.
Così deciso, il 03 ott bre 2024.