Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 753 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 753 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 07/01/1977 avverso la sentenza del 12/04/2024 della Corte d’appello di Napoli Con l’intervento del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Proc. Gen. Dr.ssa NOME DE
COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 aprile 2024 la Corte di appello di Napoli ha confermato, per quanto ancora rileva in questa sede, quella emessa, all’esito di giudizio abbreviato, il 4 febbraio 2020 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli con la quale NOME COGNOME Ł stato condannato per i delitti di tentato omicidio commesso il 19 marzo 2016 in danno di alcuni esponenti del clan mafioso COGNOME, e per i connessi reati in materia di armi e di riciclaggio del furgone utilizzato per raggiungere il luogo dell’attentato.
1.1. Le convergenti sentenze di merito hanno ricostruito il fatto prendendo le mosse dall’intervento degli agenti di polizia che, su segnalazione di fonte confidenziale, il 19 marzo 2016, si recavano nei pressi del bar INDIRIZZO , situato nel quartiere di Pianura.
In base a quanto appreso dalla fonte e dalla visione delle immagini riprese da alcune telecamere, gli operanti accertavano che, da un furgone Doblò , giunto sul posto poco prima, era sceso un soggetto armato di pistola che aveva tentato di sparare in direzione di alcune persone che stazionavano davanti al locale.
A causa dell’inceppamento dell’arma, l’azione non era riuscita, nonostante il tentativo di sbloccare la pistola ripreso dalle immagini che, tuttavia, non consentivano di riconoscere il volto (coperto) dell’autore dell’azione il quale si era successivamente dato alla fuga.
Il furgone veniva trovato tre giorni dopo; all’interno vi era una tanica di benzina.
In base a quanto successivamente dichiarato dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME, l’operazione era stata decisa, fra gli altri, da NOME COGNOME e dallo stesso COGNOME nel contesto della lotta tra il gruppo capeggiato dai NOME COGNOME e quello contrapposto dei COGNOME.
COGNOME, unitamente a NOME COGNOME era stato l’esecutore materiale, svolgendo anche
il compito di specchiettista consistito nella segnalazione della presenza delle vittime designate davanti al bar .
COGNOME era stato colui che era sceso dal furgone, procurato ai killer dallo stesso NOME COGNOME e guidato da COGNOME mentre NOME COGNOME si era occupato del successivo recupero degli autori materiali.
Sul punto sono state richiamate (in particolare nella sentenza di primo grado) anche le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME.
In seguito al fallimento dell’azione, NOME COGNOME era stato ucciso proprio da NOME COGNOME in quanto ritenuto poco affidabile.
1.2. Ripercorsi i principi affermati da questa Corte in punto di criteri di valutazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, la Corte di appello ha esaminato i motivi di gravame proposti nell’interesse di COGNOME.
E’ stata valorizzata la natura autoaccusatoria delle dichiarazioni dei collaboratori e l’ammissione, da parte di NOME, di ulteriori azioni omicidiarie, fra le quali quella ai danni di COGNOME del quale il dichiarante ha fatto ritrovare il corpo che era stato seppellito unitamente a documenti di identità contraffatti fornitigli da NOME COGNOME.
La non totale sovrapponibilità delle dichiarazioni dei collaboratori Ł stata giudicata indice della mancanza di concertazione e, dunque, elemento di ulteriore conferma dell’affidabilità delle fonti.
L’esistenza di motivi di rancore tra COGNOME e l’imputato, inoltre, non ha compromesso l’attendibilità soggettiva del primo, tenuto conto della lunga militanza all’interno del gruppo mafioso capeggiato da COGNOME
E’ stata valorizzata la convergente indicazione dell’imputato quale soggetto che aveva deciso l’azione di fuoco ai danni degli avversari e la descritta presenza dello stesso al momento dell’arrivo degli autori dell’agguato nell’abitazione di INDIRIZZO immediatamente dopo il fatto.
PoichØ l’azione delittuosa non Ł stata interrotta a seguito di un’azione volontaria dello sparatore, ma a causa dell’inceppamento dell’arma (per come emerso dalle immagini delle videoriprese), Ł stata esclusa la ricorrenza della desistenza volontaria.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore Avv. NOME COGNOMEarticolando tre motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla valutazione delle chiamate in correità e reità e sulla intrinseca attendibilità dei collaboratori e dei riscontri.
In particolare, sarebbe stata pretermessa l’analisi della credibilità soggettiva dei collaboratori e, con particolare riferimento a NOME COGNOME, non sarebbero stati oggetto di disamina e valutazione l’astio e il risentimento nutriti dallo stesso nei confronti dell’imputato.
La circostanza Ł stata riferita dall’altro collaboratore, COGNOME.
A fronte di tale indicazione, la Corte di appello avrebbe omesso di esaminare il percorso che ha condotto Romano alla scelta di collaborare con la giustizia e liquidato la questione senza considerare che il dichiarante ha taciuto la circostanza.
Per quanto riguarda NOME COGNOME i giudici di merito avrebbero trascurato di considerare che lo stesso non ha mai riportato alcuna condanna quale partecipe del clan COGNOME e che, nel corso dell’interrogatorio del 3 novembre 2017, non Ł stato in grado di riconoscere l’imputato in fotografia.
Inoltre, le dichiarazioni dei due collaboratori non sarebbero convergenti in punto di contenuto della deliberazione omicidiaria e cioŁ sulla circostanza che l’ordine di uccidere gli avversari avesse un oggetto preciso (come indicato da Romano), ovvero contenesse solo una generica indicazione di uccidere gli avversari (in tal senso, COGNOME).
Anche con riferimento all’indicazione del vero mandante, sarebbero riscontrabili profili di disallineamento delle dichiarazioni dei due collaboratori, avendo COGNOME fatto riferimento all’imputato ed COGNOME, invece, al solo COGNOME.
La fase successiva alla commissione dell’azione delittuosa sarebbe stata descritta dai collaboratori in termini, tra loro, contrastanti e anche tale aspetto sarebbe rimasto estraneo al percorso giustificativo dei giudici di merito.
E’ stata evidenziata, inoltre, la mancata motivazione sulle dichiarazioni di NOME COGNOME che (riferendo circostanze apprese dai due collaboratori) ha indicato proprio costoro, e non anche COGNOME come organizzatori ed esecutori dell’agguato.
A fronte di tali imponenti discrasie, Ł stata censurata la motivazione secondo cui, invece, la mancanza di sovrapponibilità delle dichiarazioni poteva considerarsi indice di attendibilità delle stesse.
In punto di riscontri, il ricorrente ha evidenziato l’impossibilità di ritenere le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME a supporto e conferma di quelle rese da NOMECOGNOME nonchØ la mancanza di elementi tali da individuare una convergenza sui tempi e le modalità di perfezionamento del mandato omicidiario.
Errato sarebbe anche il passaggio della motivazione in cui i filmati sono stati ritenuti un riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori, trattandosi di dato informativo (peraltro presente in rete e, dunque, visibile da tutti) del tutto estraneo al tema del mandato omicidiario, oggetto del presente procedimento.
2.2. Con il secondo motivo ha eccepito il vizio di motivazione per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Sarebbe mancato, nel caso di specie, ogni riferimento alle ragioni che hanno indotto la Corte di appello a negare la riduzione della pena ai sensi dell’art. 62 bis cod. pen.
In sostanza, i giudici di merito hanno reso una, non consentita, motivazione implicita ritenendo ogni valutazione sul punto assorbita per effetto del giudizio in ordine alla responsabilità.
2.3. Con il terzo motivo ha eccepito la violazione di legge e il vizio di motivazione in riferimento alla mancata giustificazione sui singoli aumenti operati ai sensi dell’art. 81 cod. pen. a titolo di continuazione.
Anche su tale punto, il ricorrente ha censurato le conclusioni sbrigative alle quali Ł pervenuta la Corte di appello che ha omesso di motivare sul punto.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł complessivamente infondato.
Vanno doverosamente premesse alcune considerazioni di carattere generale sui parametri di valutazione del primo motivo di ricorso proposto dall’imputato, nella parte in cui denuncia vizi di motivazione della sentenza impugnata.
2.1. Giova ribadire che «il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perchØ sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei
motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. (La Corte ha precisato gli atti del processo invocati dal ricorrente a sostegno del dedotto vizio di motivazione non devono semplicemente porsi in contrasto con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante, ma devono essere autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione risulti in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione)» (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, COGNOME, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708).
Occorre, altresì, ricordare quanto affermato da Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 con la quale Ł stato enunciato il principio per cui «in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito».
Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 e Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965 hanno, altresì, chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicchØ sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
2.2. Essendosi in presenza di una doppia sentenza conforme, va ulteriormente precisata un’ulteriore circostanza in ordine ai motivi di censura aventi ad oggetto il percorso motivazionale seguito dal giudice di merito.
¨ costante il principio per cui, «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale». (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218, e altre conformi).
2.3. Inoltre, con riferimento alla eccepita violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. illustrata nel primo motivo, sia pure cumulativamente alle censure alla motivazione ivi articolate, deve rilevarsi l’inammissibilità non potendo formare oggetto di ricorso per cassazione sulla base dell’arresto per cui «in tema di ricorso per cassazione, Ł inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027).
Si tratta di principio coerente anche con quanto sostenuto da Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME Rv. 277518 con la quale Ł stato affermato che «in tema di ricorso per cassazione, Ł inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in
relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità».
2.4. Altra considerazione di carattere preliminare, tenuto conto che una parte consistente del compendio probatorio Ł costituito da fonti collaborative, riguarda i criteri che devono essere seguiti per la valutazione delle relative dichiarazioni.
Sul punto, vanno richiamati i costanti arresti in base ai quali «nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale» (Sez. U., n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145).
Si tratta di orientamento che costituisce la specificazione del collegato principio, anch’esso da intendersi ribadito in questa sede, per cui «in tema di chiamata in reità, poichØ la valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante e quella della attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni non si muovono lungo linee separate, posto che l’uno aspetto influenza necessariamente l’altro, al giudice Ł imposta una considerazione unitaria dei due aspetti, pur logicamente scomponibili; sicchØ, in presenza di elementi incerti in ordine all’attendibilità del racconto, egli non può esimersi dal vagliarne la tenuta probatoria alla luce delle complessive emergenze processuali, in quanto – salvo il caso estremo di una sicura inattendibilità del dichiarato – il suo convincimento deve formarsi sulla base di un vaglio globale di tutti gli elementi di informazione legittimamente raccolti nel processo» (Sez. n. 11599 del 13/03/2007, COGNOME, Rv. 236151).
Sul tema, per completezza, si richiama, inoltre, l’ulteriore principio per cui «le dichiarazioni accusatorie rese da due collaboranti possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che si proceda comunque alla loro valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità, in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi» (Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004, COGNOME, Rv. 230592 ed altre conformi successive).
Il primo motivo Ł infondato nella parte in cui critica la motivazione della sentenza della Corte napoletana e inammissibile laddove articola la violazione di legge processuale con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen.
Alla luce di quanto esposto, la decisione della Corte di appello deve essere esaminata unitamente a quella di primo grado avendo adottato le due sentenze di merito moduli decisori coincidenti.
3.1. La credibilità soggettiva dei collaboratori COGNOME ed COGNOME chiamanti in correità di COGNOME nella vicenda processuale di interesse, Ł stata esaminata in termini ineccepibili dai giudici di merito che hanno espressamente considerato entrambi i profili di criticità illustrati nel ricorso.
COGNOME, intraneo al gruppo camorristico al cui vertice si collocava proprio l’imputato, Ł stato
ritenuto attendibile soggettivamente benchØ sia emerso, dalle dichiarazioni di NOME COGNOME che egli aveva avuto alcuni screzi con i fratelli di NOME COGNOME NOME e NOME.
Tale rilievo Ł stato ritenuto tale da non incrinare la credibilità del collaboratore, tenuto conto che, nonostante quell’aggressione (peraltro, non direttamente ascrivibile all’imputato), NOME aveva continuato a far parte del clan Mele diventandone figura di vertice e partecipando ad azioni criminali riferibili allo stesso gruppo.
Peraltro, come già la sentenza di primo grado (pag.56), Ł stato valorizzato anche il fatto che il dichiarante ha reso dichiarazioni autoaccusatorie, circostanza che rileva ai fini della disamina del profilo di credibilità del collaboratore la cui attendibilità, peraltro, non può essere, di per sØ, smentita dall’esistenza di mere ragioni di astio e risentimento nei confronti del destinatario della chiamata (Sez. 1, 33519 del 21/06/2017, COGNOME, Rv. 270531).
COGNOME Ł stato ritenuto attendibile anche prescindendo da sentenze di condanna definitive nei suoi confronti per avere rivestito la qualità di partecipe del gruppo mafioso a capo del quale si collocava COGNOME
Il dato della mancanza di una decisione di condanna per avere ricoperto il ruolo di associato al predetto clan non assume certamente valore decisivo per smentire l’attendibilità del dichiarante la cui intraneità alle dinamiche criminali del medesimo contesto delinquenziale risulta ampiamente illustrata nella sentenza di primo grado alle pagg. 56 e 57.
Inoltre, i giudici di merito non hanno omesso di prendere in esame il profilo di criticità sollevato dal ricorrente, avendo valutato la circostanza del mancato riconoscimento dell’imputato in fotografia, da parte del collaboratore.
Il dato Ł stato, infatti, esaminato e spiegato a pag. 56 della sentenza di primo grado ove si legge che COGNOME, pur avendo riconosciuto NOME nel corso dell’interrogatorio del 3 novembre 2017, non aveva riconosciuto NOME COGNOME «nella fotografia n. 12 che lo ritraeva, giustificando il mancato riconoscimento dichiarando ‘chiedo scusa Ł COGNOME. Nella foto Ł giovanissimo, ora ha i capelli brizzolati ed Ł piø grasso. E’ uno dei capi del clan COGNOME. E’ il NOME COGNOME di cui ho parlato nel corso di questo e dei precedenti interrogatori’».
Ebbene, il ricorso, sul punto, ha omesso di prendere in considerazione tale passaggio della motivazione della sentenza di primo grado che integra quella di appello, essendo ad essa conforme, trascurando di spiegare per quale ragione quella giustificazione sia viziata.
D’altronde, il ricorrente ha lamentato, sul punto, una omessa motivazione della sentenza di appello con argomentazione priva di autosufficienza non avendo indicato, alla luce del punto della sentenza di primo grado ora segnalato, se e in quali termini la falla giustificativa fosse stata evidenziata alla Corte di assise di appello (fra le molte, Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745).
Sul punto, infatti, le pagg. 11 e 12 del ricorso nulla hanno illustrato.
3.2. Le critiche che riguardano l’omessa motivazione sulla figura del collaboratore COGNOME non colgono nel segno in quanto si tratta di dichiarante che non ha assunto un rilievo decisivo ai fini della ricostruzione del fatto e sul quale la sentenza di primo grado ha svolto considerazioni che non si rivelano essenziali in funzione dell’affermazione della penale responsabilità di COGNOME.
Peraltro, risulta dallo stesso provvedimento impugnato come il ricorrente, nel proporre appello avverso la decisione di primo grado, abbia evidenziato l’irrilevanza delle dichiarazioni del predetto COGNOME (pag. 5 della sentenza della Corte napoletana).
Il collaboratore ha riferito quanto appreso da NOME ed COGNOME e la natura delle dichiarazioni rese esclude che le stesse possano avere una valenza decisiva per la ricostruzione del fatto.
Per quanto riguarda, piø propriamente, il profilo della credibilità intrinseca dei due collaboratori,
i giudici di merito hanno evidenziato la coerente indicazione dell’ascrivibilità all’imputato della decisione di eseguire l’attentato, della messa a disposizione del gruppo di fuoco del veicolo FiatDoblò , della presenza di NOME COGNOME nell’abitazione nella quale si erano recati i due collaboratori, unitamente a COGNOME, immediatamente dopo la fallita operazione di fuoco (ritenendo marginali alcune discrasie tra i due in merito al momento in cui COGNOME era giunto nel luogo predetto) e la sostanziale convergenza delle dichiarazioni dei due in ordine alle modalità dell’agguato, indicato come avvenuto secondo circostanze fattuali coerenti con le videoriprese.
In tale percorso argomentativo non Ł dato ravvisare alcuna essenziale frizione motivazionale, essendosi mosse le argomentazioni dei giudici di merito in aderenza totale rispetto ai parametri fisati da questa Corte, come sopra ampiamente richiamati.
In punto di credibilità intrinseca, in particolare, risulta illustrata la ragione della convergente indicazione degli esponenti del clan COGNOME come obiettivo dell’azione delittuosa, avendo Esposito chiarito che quello era l’obiettivo degli autori dell’agguato e che Ł stato, fra gli altri, lo stesso COGNOME a indicare quale era lo scopo dell’azione.
A questo proposito, si segnala quanto esposto alle pagg. 40 e 48-49 della sentenza di primo grado, per come sinteticamente richiamato anche a pag. 9 della sentenza di appello.
Si colloca in piena coerenza con tale ricostruzione la convergente indicazione della presenza dell’imputato nel luogo ove si sono recati gli autori dell’azione immediatamente dopo il compimento della stessa.
Esaustiva e priva di vizi evidenti la motivazione della sentenza di appello che, in risposta al corrispondente motivo di impugnazione, ha valorizzato il nucleo centrale di quanto riferito, ritenendo marginali le discrasie dichiarative, siccome non riferite a quella presenza ma a fasi ad essa antecedenti.
Il motivo di ricorso, infine, non indica sotto quali profili le segnalate discrasie in ordine allo svolgimento dei fatti e, soprattutto, l’assenza di riscontri sulle modalità dell’agguato, possano avere rilievo ai fini della ricostruzione del ruolo di mandante dell’imputato.
Ritenuta esaustiva la motivazione in ordine al ruolo di mandante assolto da NOME COGNOME la eventuale presenza di discrasie dichiarative (in ogni caso ampiamente giustificata dai giudici di merito) non determina automaticamente la carenza di credibilità e la rilevante frattura motivazionale pretesa dal ricorrente, proprio in ragione della condotta ascritta e provata in capo all’imputato e alla diversa prospettiva avuta dai collaboratori che, nella fase ideativa ed esecutiva dell’agguato hanno avuto incarichi diversi.
A ciò si aggiunga che l’indicazione da parte del giudice di primo grado (sul punto in termini conformi la sentenza di appello) degli elementi di convergenza delle due dichiarazioni anche in ordine a dati essenziali ai fini della esecuzione dell’azione (pag. 59 della sentenza), pure presa in considerazione dal ricorrente, Ł stata contestata in termini generici e già disattesi nelle precedenti fasi, come, ad esempio, con riguardo alla presenza dei video dell’agguato su internet .
Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente.
Entrambi sono inammissibili.
Costituisce arresto qui condiviso quello per cui «Ł inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione» (Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306).
La mancata concessione delle attenuanti generiche, motivata dal giudice di primo grado con il riferimento alla negativa personalità dell’imputato e alla mancanza di ogni contributo alla
ricostruzione del fatto, Ł stata censurata, con la proposizione dell’atto di appello, mediante il solo riferimento alla «precarietà del compendio indiziario» che costituisce, all’evidenza, argomento chiaramente generico e manifestamente eccentrico rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
Inoltre, manca nell’atto di impugnazione di merito ogni riferimento alla eccessività degli aumenti a titolo di continuazione, con la conseguenza che il corrispondente motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Da quanto esposto, discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 23/10/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME