Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7769 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7769 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MILETO il 31/05/1965
avverso la sentenza del 06/06/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
uditi i difensori di COGNOME avvocato COGNOME del foro di CATANZARO, e avvocato NOME COGNOME, del foro di ROMA, i quali chiedono l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 6 giugno 2023, la Corte di appello di Catanzaro, a seguit di rinvio disposto dalla Corte di cassazione il 30 novembre 2021, ha, in parzi riforma della decisione emessa il 22 luglio 2015 dal Giudice dell’udien preliminare del Tribunale della stessa città, dichiarato NOME COGNOME responsabile del delitto di omicidio volontario pluriaggravato e, concesse circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza con le aggravan diverse da quella di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. (ovvero con quelle commissione del fatto da parte di cinque o più persone e con premeditazione), l ha condannato alla pena, ridotta di un terzo per la scelta del rito abbrevia diciotto anni e otto mesi di reclusione.
Le menzionate pronunzie sono state emesse nel procedimento scaturito dall’omicidio di NOME COGNOME, commesso in Cutro il 24 giugno 1992, fatto d cui è stato chiamato a rispondere, tra gli altri, NOME COGNOME, d «COGNOME», il quale, in prima battuta, era stato condannato, in entrambi i g di giudizio, alla pena di trenta anni di reclusione.
A carico di COGNOME – indicato come soggetto alla guida della Fiat Croma, a bordo della quale il commando omicida si è recato presso la falegnameria gestita da vittima, detta «tre dita», vettura che era stata procurata da NOME COGNOME, che la aveva rubata a Legnano e portata in Calabria – si ponevano, fondamentalmente, le dichiarazioni accusatorie di NOME COGNOME, esponente dell ‘ndrina di Mesoraca, nella quale COGNOME avrebbe militato, e di NOME COGNOME direttamente coinvolto nell’omicidio su input di NOME COGNOME e presente all’agguato, in quanto guidatore di una Mercedes utilizzata a scopo supporto logistico.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 37865 del 01/12/2017, dep. 2018, ha annullato la pronunzia di secondo grado, emessa dalla Corte di assise di appe di Catanzaro il 23 giugno 2016, individuando profili critici relativi: all’int attendibilità delle propalazioni di Cortese, che avrebbe dovuto essere vagli anche in rapporto ad ulteriori acquisizioni istruttorie e, in primis, alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, figlio della vittima, che ha riconosciuto in NOME COGNOME, anziché in NOME COGNOME il guidatore della Fiat Croma adoperata dag autori dell’omicidio; alla riconosciuta appartenenza di NOME COGNOME da un la e di NOME COGNOME dall’altro, alla consorteria di ‘ndrangheta di Mesora contraddetta dall’assoluzione di entrambi, in esito a separati proc dall’addebito associativo; all’insufficiente considerazione riservata all’assolu
all’esito del primo grado di giudizio, di NOME COGNOME indicato quale mandante dell’uccisione di NOME COGNOME; all’attitudine delle dichiarazioni di NOME COGNOME provenienti de relato dal solo NOME COGNOME a fungere da riscontro a quelle di NOME COGNOME
La Corte di assise di appello, in sede di rinvio, ha rinnovato l’istruzione dibattimentale procedendo all’escussione di NOME COGNOME indicato quale mandante dell’omicidio (ma già processato a tale titolo ed assolto con sentenza irrevocabile) e divenuto, nel frattempo, collaboratore di giustizia, e NOME COGNOME, lui pure medio tempore pentitosi.
È, quindi, pervenuta, con sentenza del 13 giugno 2019, all’assoluzione di NOME COGNOME per non aver commesso il fatto, dalla contestazione omicidiaria, in ragione: dell’assenza di congruo riscontro – e, anzi, della smentita operata da NOME COGNOME – in ordine all’assunzione, da parte dell’imputato, del ruolo assegnatogli da COGNOME; dell’insuperabile vizio di circolarità che connota il contributo di NOME COGNOME, latore di informazioni acquisite dallo stesso COGNOME; della ridotta utilità, in prospettiva accusatoria, delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME in ordine alla partecipazione di COGNOME al delitto, pure de relato e non provenienti da fonte indipendente e suscettibile di verifica e controllo.
La Corte di cassazione – pronunciatasi su impulso, stavolta, del Procuratore generale – ha annullato, con sentenza del 30 novembre 2021, la seconda decisione di appello sul rilievo, innanzitutto, dell’assenza, nella decisione della Corte catanzarese, di ogni valutazione in merito all’apporto, potenzialmente decisivo, di NOME COGNOME a dire del quale COGNOME lo avrebbe messo a parte suo coinvolgimento nell’omicidio, ciò che costituiva, per lui, motivo di vanto.
Ha, in proposito, segnalato che le conoscenze di COGNOME avrebbero dovuto essere considerate alla luce non solo di quanto esposto da NOME COGNOME circa il soggetto che questi aveva visto alla guida della Fiat Croma ma anche del positivo giudizio di credibilità che la stessa Corte di assise di appello aveva riservato ai collaboratori COGNOME e COGNOME all’atto di confermare la responsabilità del coimputato NOME COGNOME condannato per il concorso nell’omicidio.
Ha, quindi, enunciato i canoni ermeneutici che governano l’apprezzamento del contributo di chi sia stato informato dal diretto protagonista del suo coinvolgimento in un episodio criminoso e quelli che, in una prospettiva più generale, orientano la congiunta delibazione delle dichiarazioni accusatorie rese da imputati dello stesso reato ovvero di reato connesso o probatoriamente collegato, per poi evidenziare la distonia tra i pertinenti approdi interpretativi ed il percorso argomentativo, non scevro da tratti di superficialità, seguito dalla Corte di assise di appello.
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Su queste premesse, la Corte di cassazione ha demandato al giudice del nuovo – rinvio la «rimeditazione complessiva delle prove dichiarative costituite dal narrato di tutti i collaboratori di giustizia, compreso NOME COGNOME, inspiegabilmente pretermesso nell'analisi delle vicende attinenti all'omicidio COGNOME», ovvero una nuova verifica, da condursi secondo i descritti parametri ermeneutici di ordine generale e nel rispetto del principio, consacrato all'art. 533 cod. proc. pen., secondo cui l'affermazione di responsabilità postula il superamento della soglia dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
Con la sentenza qui impugnata, la Corte di assise di appello ha riaffermato, in linea di continuità con quella di primo grado, la consapevole ed efficiente partecipazione di NOME COGNOME all'omicidio di NOME COGNOME.
Dopo avere tracciato le coordinate ermeneutiche di riferimento, ha positivamente scrutinato l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME con riferimento alla posizione di NOME COGNOME oltre che a quella di NOME COGNOME pervenendo ad una conclusione che ha reputato compatibile tsia con i contrari esiti del procedimento promosso, sulla scorta anche delle sue propalazioni accusatorie, nei confronti del cugino NOME COGNOME che con la pregressa assoluzione di Grano dall'addebito associativo.
Ha, in particolare, rilevato che COGNOME sebbene dichiarante de relato, perché informato da COGNOME, deve ritenersi soggetto credibile, a dispetto delle imprecisioni nelle quali è incorso, specificamente in merito al luogo in cui è stata incendiata la vettura utilizzata per commettere l'omicidio ed al momento in cui egli è stato messo a parte del proposito delittuoso.
Ha, poscia, più ampiamente esaminato i contributi di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, replicando, per ciascuno di loro, alle censure svolte dalla difesa dell'imputato, per il solo COGNOME sin dalla proposizione dei motivi di appello avverso la sentenza di primo grado.
Ha, infine, concluso che la combinata e sinergica considerazione degli apporti di COGNOME e COGNOME, ulteriormente corroborati da quello di COGNOME, comprova, al di là di ogni ragionevole dubbio, la fondatezza, nei confronti di COGNOME, dell'addebito omicidiario, e che, invece, rilevanza marginale deve essere assegnata alle dichiarazioni di NOME che «per quanto attendibili, risentono di un ricordo non preciso su quanto appreso relativamente alla fase esecutiva dell'omicidio».
NOME COGNOME propone, con l'assistenza degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, che, in ossequio alla previsione dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione e la cui esposizione è preceduta da una premessa ricostruttiva e di metodo, riepilogativa dello scenario complessivo nel quale l'omicidio di NOME COGNOME si è innestato e, in sintesi, dello sviluppo processuale.
7.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al vaglio delle dichiarazioni dei collaboratori.
Ricorda, innanzitutto, che la giurisprudenza della CEDU ha da tempo rimarcato la necessità di porre particolare attenzione laddove, come nel caso di specie, l'accusa si imperni, in via pressoché esclusiva, su chiamate in reità o correità, che mai possono assurgere al rango, come sancito dalla Corte di cassazione con la prima sentenza di annullamento, di veri e propri atti di fede.
Segnala, in particolare, che le dichiarazioni di COGNOME non appaiono sovrapponibili a quelle di COGNOME, in particolare con riferimento al numero dei componenti il commando omicida (che COGNOME quantifica in quattro, mentre COGNOME parla di tre persone, omettendo di indicare COGNOME) ed al luogo in cui la Fiat Croma venne data alle fiamme, e che in questo senso si è univocamente pronunciata la Corte di cassazione con la prima sentenza di annullamento.
Aggiunge che la credibilità di NOME COGNOME è incrinata, in termini complessivi, dall'assoluzione di NOME COGNOME e di NOME COGNOME dall'addebito associativo loro rispettivamente mosso (quale partecipe, COGNOME, e dirigente, COGNOME, del dan di 'ndrangheta che sarebbe stato attivo in Mesoraca nella prima metà degli anni '90, cioè in epoca comprendente quella del fatto in contestazione) ed imperniato proprio sulle dichiarazioni di NOME COGNOME.
Quanto a COGNOME nota, è ben possibile che egli abbia maliziosamente riversato conoscenze lucrate attraverso gli organi di stampa e l'ascolto dell'esame di NOME COGNOME e non già in forza della diretta e personale partecipazione all'omicidio che, in realtà, non risulta suffragata da elementi diversi ed ulteriori rispetto all sue dichiarazioni confessorie.
Né, rileva ancora, può trascurarsi, come fa la Corte di assise di appello nella sentenza impugnata, come Cortese sostenga che COGNOME e COGNOME sono stati coinvolti su input di NOME COGNOME il quale, nondimeno, non è stato mai chiamato a rispondere dell'omicidio di NOME COGNOME e, anzi, è stato, come detto, assolto dall'addebito associativo.
Il ricorrente dubita, poi, dell'attitudine a corroborare l'impianto accusatorio delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Quanto al primo – latore di confidenze altrui (in specie, di NOME COGNOME e quindi, dichiarante, al pari di COGNOME e COGNOME, de relato evidenzia, tra l'altro, l'indicazione dell'autista della Fiat Croma in NOME COGNOME, anziché i
NOME COGNOME il quale, invece, avrebbe, a suo dire, viaggiato sull'auto quale passeggero.
Aggiunge che anche COGNOME si è limitato, negli interrogatori successivamente resi, ad esporre quanto appreso da altri soggetti in termini tutt'altro che precisi e costanti, assegnandogli il ruolo di autore materiale dell'omicidio, cioè di killer, ed attribuendo a diverso partecipe (NOME COGNOME, detto «COGNOME») quello di autista della Fiat Croma.
Ritiene, comunque, che gli apporti di NOME e COGNOME, più che fungere da elemento chiarificatore per la valutazione dei narrati di COGNOME e COGNOME abbiano prodotto l'effetto opposto.
Al riguardo, sottolinea, tra l'altro, che NOME ha detto di avere mutuato le proprie conoscenze da NOME COGNOME con conseguente sussistenza del vizio di circolarità della prova, posto che il boss cutrese, allora in ascesa, risulta essere stato fonte anche delle informazioni riferite da COGNOME, e rimarca, ulteriormente, che il racconto del collaboratore è inficiato da numerose discrasie ed imprecisioni, quale quella che indica in «NOME COGNOME» le generalità di uno degli autori del delitto.
Per quanto concerne COGNOME, il ricorrente rammenta: che COGNOME, menzionato quale latore delle confidenze trasmesse all'autorità giudiziaria, ne ha smentito la narrazione; che COGNOME sostiene di essere entrato in contatto con lui in un lasso temporale, quello compreso tra il 2004 ed il 2006, in cui egli è stato costantemente ristretto in regime di arresti domiciliari tra Roma e Varese; che COGNOME ha indicato l'autista della Fiat Croma in persona diversa da lui e, precisamente, in NOME COGNOME ria.
7.2. Con il secondo motivo, NOME COGNOME eccepisce, nuovamente, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alle numerose e gravi falle logiche della ricostruzione operata dai giudici di merito, che attengono, via via: all'impossibilità di ricondurre lo stesso COGNOME, nel periodo di interesse, ad una specifica congrega di 'ndrangheta e di considerare esistente ed operativa, in Mesoraca e negli anni '90, la presunta cosca COGNOME; alla rilevanza delle dichiarazioni rese, nell'immediatezza, da NOME COGNOME figlio della vittima, in ordine all'individuazione degli autori e, specificamente, di colui che era posto alla guida della Fiat Croma, riconosciuto in NOME COGNOME le cui caratteristiche somatiche sono, per quanto accertato anche dai Carabinieri del RIS, incompatibili con quelle dell'odierno ricorrente, indicato quale autore del delitto anche dalla moglie di NOME COGNOME nel corso di una conversazione con una interlocutrice rimasta ignota, intercettata nei giorni seguenti all'omicidio.
Il ricorrente sviluppa, in tal modo, censure comprovanti, tanto più se congiuntamente considerate, la manifesta illogicità e la contraddittorietà del
ragionamento seguito dalla Corte territoriale e lamenta quindi, in diritt violazione dei canoni ermeneutici tratti dalla giurisprudenza di legittimità e sco per tutte, nella sentenza, resa a sezioni unite, n. 20804 del 29/11/2012, 2013, Aquilina.
Tanto, in relazione sia all'apprezzamento dell'esistenza di un nucleo essenzi sul quale compiere la verifica della c.d. convergenza del molteplice sia all'attit di ciascuna chiamata in reità o correità chiamata a fungere di riscontro a qu residue.
7.3. Con il terzo motivo, NOME COGNOME eccepisce violazione della legge processuale sul rilievo per cui, dopo l'annullamento della prima sentenza di appe e l'assoluzione nel primo giudizio di rinvio, la successiva condanna non è s preceduta, come sarebbe stato necessario anche sulla scorta di quanto statui nella sentenza rescindente, dalla nuova assunzione di tutti i collaboratori.
Ascrive, in proposito, alla Corte di assise di appello di avere arre significativo vulnus al diritto di difesa, per come, del resto, ha più ripre riconosciuto dalla Corte EDU, ferma nello stigmatizzare le violazioni dell'art. 6 d Convenzione.
Afferma, dunque, che l'esigenza posta a fondamento dell'art. 603, comma 3bis cod. proc. pen. – nel testo, applicabile ratione temporis, introdotto dalla legge n. 103 del 2017 – emerge, identica, anche nel caso di giudizio di rinvio, laddo si tratti di valutare una prova dichiarativa decisiva per la colpevolezza o l'inn dell'imputato
Evoca, al riguardo, una pronuncia della Quinta sezione di questa Corte, emessa il 2 settembre 2004, che ha sancito la necessità della rinnovazione istrutto anche nell'ambito del giudizio di rinvio, in tal senso militando, a suo mod vedere, anche le indicazioni che si traggono dalla più nota giurisprude convenzionale e, tra le altre, da Dan contro Moldavia del 2011 e Hanu contr Romania del 2013.
7.4. Con il quarto motivo, COGNOME lamenta violazione di legge e vizio motivazione per avere la Corte di assise di appello disatteso il motiv impugnazione concernente la premeditazione dell'omicidio senza la profusione del dovuto impegno argomentativo in relazione sia agli elementi costitutivi del circostanza che all'estensione dell'aggravante nei suoi confronti.
7.5. Con il quinto motivo, COGNOME si duole – ancora una volta in chiave sia di violazione di legge che di vizio di motivazione – dell'applicazione dell'aggravan speciale ex art. 416-bis.1 cod. pen. che, nella sua prospettiva, avrebbe dovut essere esclusa in ragione, da un canto, dell'attuazione del proposito criminoso modalità cruente ma, nondimeno, scevre dal ricorso a qualsivoglia «simbologia
mafiosa» e, dall'altro, dell'incertezza residuata in ordine alla matrice ed alla finalità del delitto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel complesso, infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
La Corte di assise di appello ha proceduto al vaglio dell'impugnazione proposta da NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado muovendo, in ossequio al disposto dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen., dalle precise e vincolanti indicazioni contenute nella più recente sentenza di annullamento, attinenti, in sostanza, al nuovo scrutinio dell'attendibilità di NOME COGNOME ed NOME COGNOME, alla reciproca sovrapponibilità dei rispettivi apporti, nonché alla verifica dell'attitudine delle dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME a fungere da valido riscontro all'impostazione accusatoria.
A tal fine, dopo avere ricordato, preliminarmente, le regole che presidiano sia la verifica dell'attendibilità estrinseca ed intrinseca del narrato dei collaboratori giustizia .che l'acquisizione di rilevanti conferme di fonte esterna, ha analizzato funditus il tema della credibilità di NOME COGNOME sul quale è pervenuta a conclusione positiva, in linea con quanto già esposto dal Giudice dell'udienza preliminare.
Dato atto della coerenza logica e della costanza delle propalazioni rese da COGNOME a proposito del coinvolgimento di NOME COGNOME nell'omicidio di NOME COGNOME ha stimato che, sul piano generale, la loro attendibilità non sia elisa dall'esito del procedimento intentato nei confronti del cugino NOME COGNOME la cui assoluzione è derivata, per quanto si evince dalla sentenza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro il 12 aprile 2011, dall'astio che il collaboratore ha mostrato di nutrire verso il congiunto e dalla reticenza da lui serbata in ordine alle ragioni che avevano determinato lo scadimento delle relazioni tra i due, ciò che ha precluso a quei giudici di effettuare «quell'esame logico e critico delle dichiarazioni accusatorie e del percorso collaborativo che soltanto può consentire di ritenere la chiamata scevra da condizionamenti e dunque pienamente utilizzabile ai fini della decisione».
La Corte di assise di appello ha considerato, al riguardo, che le perplessità manifestate in altra sede giudiziaria in ordine all'attendibilità delle accuse mosse da NOME COGNOME al parente non ridondino sulle valutazioni da compiersi nel presente procedimento, giacché il collaboratore non ha adombrato il coinvolgimento di NOME COGNOME COGNOME nella vicenda de qua agitur e si è limitato a supporre, in replica a specifica domanda, che il congiunto, al pari degli altri
componenti del sodalizio, fosse a parte della decisione di uccidere COGNOME la cui paternità era ascrivibile alla delinquenza organizzata cutrese che, in autonomia, aveva sollecitato ed ottenuto la cooperazione, a titolo individuale, di due esponenti del gruppo stanziato in Mesoraca, cioè di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Tanto, in ossequio al consolidato e condiviso principio per cui «In tema di chiamata di correo, l'esclusione dell'attendibilità per una parte del racconto non implica, per il principio della cosiddetta "frazionabilità" della valutazione, un giudizio di inattendibilità con riferimento alle altre parti intrinsecamente attendibil e adeguatamente riscontrate, a condizione che: non sussista un'interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti l'inattendibilità non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante; sia data una spiegazione alla parte della narrazione risultata smentita – per esempio, con riferimento alla complessità dei fatti, al tempo trascorso dal loro accadimento o alla scelta di non coinvolgere un prossimo congiunto o una persona a lui cara – in modo che possa, comunque, formularsi un giudizio positivo sull'attendibilità soggettiva del dichiarante» (così, tra le tante, Sez. 6, n. 25266 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270153 – 01).
La Corte di assise di appello ha, al contempo, osservato che plastica conferma della complessiva attendibilità di NOME COGNOME si trae dalla circostanza che NOME COGNOME, pure chiamato a rispondere, nell'ambito del presente procedimento, di concorso, quale mandante, nell'omicidio di NOME COGNOME, è stato condannato, con sentenza definitiva, sulla scorta di un compendio indiziario comprendente anche le propalazioni di tale collaboratore di giustizia.
Né, ha aggiunto, l'utilizzabilità in chiave accusatoria, in questa sede, delle dichiarazioni rese da COGNOME a carico di COGNOME, specie con riferimento alla militanza dell'imputato nella compagine mafiosa stanziata in Mesoraca, trova ostacolo nell'assoluzione dello stesso COGNOME, all'esito di precedente, separato procedimento, dalla contestazione associativa, esito processuale che, pur precludendo il nuovo esercizio dell'azione penale per il reato oggetto, in quella sede, di accertamento, non impedisce, secondo quanto da tempo stabilito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le più recenti, Sez. 2, n. 43885 de 05/04/2019, COGNOME, Rv. 277590 – 01), che le circostanze di fatto raccolte nel corso del procedimento penale conclusosi con sentenza irrevocabile di assoluzione vengano utilizzate, come elemento di giudizio autonomo, in vista dell'accertamento di reati diversi da quelli già giudicati.
Ciò posto, ha ritenuto che le ragioni che hanno condotto, nel 2006, all'assoluzione di NOME COGNOME dal reato di associazione mafiosa, legate alla non integrale sovrapponibilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME con
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quelle, non aliene da sintomi di genericità, di NOME COGNOME recedano rispetto ai sopravvenuti elementi di conoscenza, discendenti dai contributi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, vagliati in combinazione anche con l’originario apporto di NOME COGNOME la cui attendibilità era stata positivamente attestata già nel procedimento suggellato dall’assoluzione di NOME COGNOME da lui indicato, sin dall’origine della sua collaborazione con la giustizia, quale soggetto, soprannominato «COGNOME», organicamente inserito nella cosca e coinvolto nelle relative dinamiche delittuose, anche di natura omicidiaria.
La Corte di assise di appello ha, in particolare, dato conto di quanto rispettivamente esposto da COGNOME e COGNOME circa la militanza `ndranghetistica di Grano grazie alle informazioni assunte per tramite di NOME COGNOME l’uno, e dall’odierno ricorrente, l’altro.
Ha, quindi, concluso che «le concordi dichiarazioni dei predetti collaboratori, di cui due (COGNOME Felice e COGNOME NOME) hanno avuto quale fonte ultima proprio COGNOME Giuseppe, in ordine all’affiliazione del COGNOME alla consorteria mafiosa di Mesoraca e la concorde indicazione del concorso di questi in un grave delitto quale l’omicidio del COGNOME, su richiesta di COGNOME, consentono di ritenere incidentalmente accertata la partecipazione dell’attuale imputato alla predetta associazione a delinquere di stampo mafioso, con ciò superando il precedente giudicato sotto il profilo dell’accertamento fattuale…».
Successivamente, la Corte di assise di appello ha rilevato che la comune appartenenza di COGNOME e COGNOME alla cosca di Mesoraca ed il ruolo di vertice ricoperto, al tempo dal secondo rendono più che plausibile che l’odierno imputato abbia comunicato all’autorevole sodale ciò che egli aveva compiuto in esecuzione del compito affidatogli.
In risposta a specifiche obiezioni difensive, ha, altresì, osservato che l’incostante indicazione, nei diversi interrogatori, del luogo in cui gli autori dell’omicidio avevano dato alle fiamme l’autovettura utilizzata per il delitto e del momento in cui egli era stato messo a parte del proposito criminoso, non inficia la complessiva attendibilità del racconto di COGNOME, dovendosi considerare, quanto alla prima circostanza, che COGNOME riferì, a distanza di otto e, poi, di diciotto anni, di un fatto che non era caduto sotto la sua diretta percezione, ciò che spiega l’imprecisione nel ricordo di un particolare, comunque, non essenziale, e, con riferimento alla seconda, che COGNOME è stato chiaro e lineare nel descrivere tempi, modi e contenuti delle informazioni via via ricevute.
L’incedere argomentativo del giudice del rinvio appare esente dai vizi denunciati, con i primi due motivi, dal ricorrente, il quale ripropone obiezioni che, già sottoposte al vaglio della Corte di assise di appello, sono state disattese all’esito di un iter motivazionale adeguatamente calibrato sulle emergenze istruttorie così come sugli istituti coinvolti, interpretati in conformità ai più diffusi e condivisi indirizzi applicativi, onde incensurabili si palesano, in questa sede, le conclusioni raggiunte in merito alla sussistenza della cosca di Mesoraca, al rango rivestito in seno ad essa da NOME COGNOME alla militanza di NOME COGNOME, all’attendibilità delle dichiarazioni rese, a suo carico, da NOME COGNOME.
La motivazione della sentenza impugnata, completa e scrupolosa, appare in questo passaggio così come nella delibazione di tutti i principali contributi dichiarativi – pienamente sintonica con la lezione ermeneutica impartita dalla giurisprudenza di legittimità e compendiata, in primis, nella nota sentenza «Aquilina».
Lungi dal riconoscere acritica ed incondizionata fiducia agli apporti, ontologicamente «sospetti», provenienti dai collaboratori di giustizia, la Corte di assise di appello ne offre, invero, una valutazione attenta e prudente, frutto della considerazione di tutti i profili critici, che vengono scrutinati alla luce delle evidenz disponibili e tenendo conto del contenuto di ciascuna propalazione, della condizione soggettiva e del pedigree criminale di chi la ha resa, dell’individuazione del nucleo centrale e della compatibilità, sul piano logico e fattuale, di elementi indiziari provenienti da fonti reciprocamente ed autenticamente autonome.
Può dunque ritenersi, in replica all’obiezione mossa dal ricorrente con il primo motivo, che la peculiare genesi del compendio indiziario raccolto a carico di NOME COGNOME nel presente procedimento non si è tradotta, in concreto e sul piano effettuale, nella violazione del diritto dell’imputato ad un equo processo, consacrato all’art. 6 della Convenzione EDU.
Analogo è il giudizio da esprimersi, nell’ottica del giudizio di legittimità, proposito del contributo di NOME COGNOME, collaboratore rivelatosi, in linea generale, senz’altro affidabile che, a distanza di sedici anni dalla morte di NOME COGNOME ha ammesso – in un frangente in cui, in relazione a tale fatto di sangue, non era stato ancora avviato, nei suoi confronti, alcun procedimento penale – di esserne stato corresponsabile.
La Corte di assise di appello non ha mancato di dar conto delle obiezioni articolate dal ricorrente con riferimento, in primo luogo, all’individuazione del soggetto che, in occasione dell’esecuzione del mandato omicidiario, si trovava alla
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guida della Fiat Croma, riconosciuto da NOME COGNOME in NOME COGNOME, detto «COGNOME».
Sul punto, ha spiegato, anche in questo caso con dovizia di pertinenti argomentazioni, che è ben possibile che COGNOME – tratto in inganno dalla contiguità di La Grotteria con il gruppo avversario dei RAGIONE_SOCIALE, oltre che dal tipico copricapo indossato dall’autista del veicolo, identico a quello che La Grotteria era solito portare – abbia maturato una convinzione erronea della quale, peraltro, non ha informato le forze dell’ordine, preferendo, con ogni probabilità, seguire la logica della faida, come indirettamente ma implicitamente attestato dall’uccisione, nel giro di poche settimane, di NOME COGNOME e, quindi, di NOME COGNOME fratello di NOME.
Né, ha aggiunto, induce a diversa conclusione il fatto che NOME COGNOME, moglie della vittima, non abbia notato, affacciandosi dal balcone della sua abitazione, che il conducente della Fiat Croma indossava un cappello, avendo ella, ragionevolmente, posto marcata attenzione, secondo l’id quod plerumque accidit, al diverso malvivente che impugnava l’arma letale, seduto dal lato passeggero dell’automobile, secondo quanto, del resto, confermato dall’imprecisa indicazione del colore della vettura, che la donna descrisse come chiaro, in contrasto con le dichiarazioni di NOME COGNOME ed NOME COGNOME concordi nel ricordare che la Croma era verniciata in blu scuro.
Il ragionamento sviluppato, sul punto, dalla Corte di assise di appello appare esente da fratture razionali e frutto, piuttosto, della ponderata delibazione delle evidenze disponibili, che il ricorrente contesta, con il secondo motivo, senza emanciparsi da un’ottica ispirata alla confutazione ed alla sterile prospettazione di una differente esegesi delle emergenze istruttorie, in quanto tale radicalmente inidonea ad eccitare l’esercizio del potere censorio del giudice di legittimità, che postula l’enucleazione, all’interno della motivazione del provvedimento impugnato, di profili di manifesta illogicità o contraddittorietà dei quali, nel caso in esame, non vi è traccia.
La Corte di assise ha, poi, esaminato gli ulteriori profili critici segnalati dall’imputato in relazione alla credibilità del racconto di Cortese, concernenti il numero degli occupanti della Fiat Croma, che NOME COGNOME ha invece indicato in cinque, e la plausibilità, sul piano logico, dell’affermazione, proveniente dal collaboratore, secondo cui NOME COGNOME si sarebbe recato a bordo di un motocarro Ape 50, presso la falegnameria gestita da COGNOME per accertarsi della sua presenza e, tornato sul luogo, distante circa quattro chilometri, in cui il commando si era portato in attesa di entrare in
azione, aveva informato i correi della possibilità di eseguire il mandato di morte.
Sotto il primo profilo, ha stimato, alla luce delle dichiarazioni rese dai soggetti escussi e di canoni di logica ordinaria, che NOME COGNOME abbia avuto una fallace percezione, conseguenza della fugacità dell’incontro e dei movimenti di coloro che occupavano il sedile posteriore dell’autovettura, e che più corretta si riveli, invece, l’indicazione di COGNOME, a dire del quale quattro erano le persone a bordo della Croma.
Per quanto attiene, poi, al sopralluogo di COGNOME, la Corte di assise di appello ha ritenuto, anche in questo caso sulla scorta della sinergica valutazione di tutti gli apporti dichiarativi e della considerazione di distanze e tempi di percorrenza, che è ben possibile che, nel tempo intercorso tra il primo accesso del solo COGNOME e l’arrivo dei killers, quantificabile nell’ordine di circa venti minuti, COGNOME, il quale si era già recato presso la sua officina, sia temporaneamente tornato nella contigua abitazione familiare a causa del malfunzionamento di un frigorifero che gli era stato segnalato dalla figlia, per poi ridiscendere nel luogo in cui venne raggiunto da COGNOME e dai suoi complici.
La Corte di assise di appello ha, subito dopo, disatteso la doglianza difensiva vertente sull’attendibilità del racconto di COGNOME nella parte in cui assume di essere stato informato da NOME COGNOME del coinvolgimento nel progetto omicidiario di due partecipi – NOME COGNOME e NOME COGNOME – individuati, su richiesta dello stesso COGNOME, tra i membri della consorteria di Mesoraca, all’epoca diretta da NOME COGNOME.
In proposito, ha, tra l’altro, osservato:
che nulla autorizza a dubitare della sincerità di COGNOME nel riferire della confidenza elargitagli da un personaggio appartenente alla sua stessa congrega criminale e, al tempo, in forte ascesa nell’organigramma del sodalizio;
che priva di decisivo rilievo si palesa l’assoluzione di NOME COGNOME dal reato di associazione mafiosa che, per quanto emerge dalla relativa sentenza, è dipesa da ragioni che non precludono, in questa sede, una ricostruzione che vede lo stesso NOME COGNOME intraneo, in posizione di vertice, ad una compagine, attiva in Mesoraca, dalla composizione soggettiva diversa e più ampia rispetto a quella ipotizzata nel procedimento conclusosi con la richiamata sentenza liberatoria, conseguente all’assenza di prova certa della partecipazione di almeno tre soggetti, requisito in difetto del quale, è noto, il reato necessariamente plurisoggettivo non è configurabile;
che del pari irrilevante è l’omessa contestazione, nei confronti di NOME COGNOME, del concorso nell’omicidio di NOME COGNOME, frutto di
insindacabili valutazioni dell’organo inquirente in relazione alla misura ed alla pregnanza del coinvolgimento (qualificabile, a seconda della prospettiva prescelta, in chiave di ricezione di mere informazioni, di nulla osta alla partecipazione di suoi accoliti o di assenso, causalmente efficiente, alla deliberazione omicidiaria) del leader della cosca di Mesoraca;
che il contingente stato detentivo, riferito al tempo delle comunicazioni con NOME COGNOME di NOME COGNOME non ha costituito ostacolo insormontabile a contatti tra i due, che ben possono essere stati stabiliti, in un’epoca in cui la legislazione volta a contenere la libertà comunicazione per i soggetti chiamati a rispondere del reato di associazione mafiosa era ancora allo stato embrionale, grazie all’ausilio di compiacenti intermediari.
La Corte di assise di appello ha, quindi, disatteso l’obiezione difensiva incentrata sulla ventilata possibilità che Cortese, lungi dall’ave personalmente preso parte al delitto, abbia sfruttato le conoscenze maturate grazie all’ascolto delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME ed alla lettura d giornali e si sia, per tale via, abbandonato a mere millanterie, oltre che a una sostanziale autocalunnia.
In proposito, ha rilevato come COGNOME abbia arricchito il racconto di COGNOME (il quale, tra l’altro, era ignaro della sua partecipazione al delitto particolari, inerenti all’organizzazione, alla distribuzione dei ruoli ed a composizione del commando, che appaiono coerenti con il suo effettivo concorso, con un ruolo di rilievo (egli aveva, infatti, procurato, in Lombardia, il veicolo da utilizzare per l’esecuzione del delitto, lo aveva portato in Calabr ed aveva, altresì, cooperato alla fase successiva all’uccisione di NOME COGNOME), nel fatto in contestazione, del quale, hanno, ancora una volta, ribadito i giudici calabresi, egli non era stato, sino a quel momento, chiamato a rispondere, ciò che ha concorso a convincere i giudici di merito – a dispetto di quanto a viva voce obiettato dal ricorrente ed all’esito, piuttosto, di u traiettoria motivazionale scevra da deficit razionali e sempre aderente ai dati istruttori – della sincerità della sua confessione.
Priva di incidenza sulla sicura attendibilità di Cortese è, h conclusivamente osservato la Corte di assise di appello, l’imprecisa indicazione del rapporto di parentela tra NOME COGNOME e l’omonimo NOMECOGNOME
Nell’economia della decisione impugnata, l’affermazione della penale responsabilità di NOME COGNOME per l’omicidio di NOME COGNOME discende
dalla concomitante valorizzazione dei contributi di NOME COGNOME ed NOME COGNOME collaboratori di elevata attendibilità, che hanno rif circostanze apprese da fonti reciprocamente autonome (COGNOME avendo, peraltro, personalmente partecipato al delitto), onde insussistente è il paventato rischi circolarità della prova.
I due collaboratori hanno offerto, in merito alla vicenda de qua agitur, racconti la cui complessiva sovrapponibilità non trova contraddizione nel presenza di marginali discrasie, quale quella, segnalata con i motivi di rico afferente la presenza, a bordo della Fiat Croma ed unitamente a NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, di NOME COGNOME menzionato da COGNOME in virtù, deve ragionevolmente desumersi, della più precisa conoscenza dei fatti causa, e non anche da COGNOME, latore, si ribadisce, di informazioni elargiteg Grano.
La Corte di assise di appello ha tratto ulteriore argomento, al fine d conferma della sentenza di primo grado, dalle dichiarazioni di COGNOME, mentre espressamente sancito l’irrilevanza, nel delineato e granitico quadro indiziari quelle di NOME COGNOME – che pure ha, incidentalmente, stimato attendibili onde si palesa superfluo l’esame delle doglianze che il ricorrente articola riferimento all’apporto di detto collaboratore di giustizia.
Per quanto concerne NOME COGNOME la Corte di assise di appello ha innanzitutto, attestato la generale credibilità del dichiarante, affin n NOME COGNOME in quanto genero del fratello del boss, e collocato, dunque, in una posizione familiare tale da permettergli di acquisire le conoscenze rivers all’autorità giudiziaria.
La Corte territoriale, dopo avere attestato, in termini generali, l’attendi di NOME COGNOME (che il ricorrente non contesta), ha reputato l’attitudi quanto da lui esposto a corroborare l’accusa mossa a NOME COGNOME avendo egli appreso della partecipazione dell’odierno imputato all’omicidio di NOME COGNOME da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e, infine, dallo stesso COGNOME.
Ha, al contempo, disatteso, con motivazione aliena da crismi di manifest illogicità o contraddittorietà, le censure articolate da COGNOME con spec riferimento: alla smentita proveniente da COGNOME, le cui dichiarazioni ha sti inattendibili, anche perché condizionate dal timore di essere personalment coinvolto nel procedimento penale; alla plausibilità della ricostruzione che v COGNOME, COGNOME e COGNOME riservare a COGNOME un trattamento altament confidenziale e, successivamente, COGNOME, affiliato ad una cosca alleata con que capeggiata da NOME COGNOME rivelargli i dettagli esecutivi del delitto egli era stato coautore; alla concreta possibilità che COGNOME e COGNOME siano e
in contatto in un’epoca in cui il secondo si era trovato, a lungo ma non costantemente, in regime di arresti domiciliari, ovvero in una condizione che, hanno rilevato i giudici catanzaresi, non preclude, in assoluto, il mantenimento delle relazioni in ambito delinquenziale; all’indicazione, da parte di COGNOME, di NOME COGNOME quale autista della Fiat Croma, che ha reputato frutto di un misunderstanding, derivato dall’illazione, della quale si è sopra già detto, secondo cui COGNOME sarebbe stato ucciso perché sospettato, a torto, di essere stato alla guida di quel veicolo, nonché da modi, tempi e contenuti dei colloqui intercorsi con i soggetti che lo avevano informato sull’accaduto, tutti concordi nell’attestare la presenza di NOME COGNOME nella fase esecutiva del delitto.
Il ragionamento seguito dalla Corte di assise di appello si rivela, anche in questo caso, tetragono alle obiezioni del ricorrente, che si appuntano su aspetti (la contraddizione tra le dichiarazioni di COGNOME e quelle di COGNOME; la possibilità che COGNOME e COGNOME, tra il 2004 ed il 2005, si siano effettivamente incontrati; l’indicazione in NOME COGNOME, da parte di COGNOME, del guidatore della Fiat Croma) che, come detto, i giudici di merito hanno debitamente scandagliato, pervenendo a conclusioni che, supportate da un solido e non illogico apparato argomentativo, sfuggono al sindacato di legittimità.
Ne discende, anche sotto questo residuo versante, l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso.
5. Passibile di rigetto è, del pari, il terzo motivo, con il quale COGNOME, evocando un lontano ed isolato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 40828 del 22/09/2004, COGNOME, Rv. 229923 – 01), lamenta che la Corte di assise di appello abbia adottato la decisione, quale giudice del rinvio a seguito di annullamento della sentenza di secondo grado, sulla base dei soli atti già acquisiti e senza disporre, a fronte di espressa richiesta di parte, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’assunzione delle prove rilevanti.
A tal fine, è sufficiente rilevare, in punto di fatto, che, nel caso di specie, non risulta (cfr. pag. 39-40 della sentenza impugnata, ove si dà analiticamente atto dell’attività svolta dal giudice del rinvio e delle richieste istruttorie avanzate dalla difesa dell’imputato, circoscritte all’acquisizione, prontamente disposta dal giudice procedente, di un verbale di interrogatorio di NOME COGNOME) che COGNOME abbia sollecitato la nuova audizione, nel contraddittorio, dei collaboratori di giustizia sulla scorta delle cui propalazioni egli è chiamato a rispondere dell’omicidio di NOME COGNOME onde
inconferente si palesa il richiamo a precedente pronunzia della Corte di cassazione
In proposito, va, per completezza, osservato che è pacifico, nella produzione di questa Corte, che «Il giudice del rinvio, investito del processo a seguit annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, non è tenuto a riaprire l’istruttoria dibattimentale ogni volta che le parti ne facciano richiesta, poi suoi poteri sono identici a quelli che aveva il giudice la cui sentenza è s annullata, sicché egli deve disporre l’assunzione delle prove indicate solo se stesse sono indispensabili ai fini della decisione, così come previsto dall’art. cod. proc. pen., oltre che rilevanti, secondo quanto statuito dall’art. 627, co 2, cod. proc. pen.» (Sez. 1, n. 12690 del 03/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv 278703 – 01; Sez. 5, n. 52208 del 30/09/2014, Rv. 262116 – 01; Sez. 1, n. 28825 del 09/05/2014, COGNOME, Rv. 260939 – 01).
Sul piano propriamente giuridico, del resto, l’interpretazione propugnata da ricorrente – che fa leva sull’essere il giudice del primo rinvio pervenu all’assoluzione dell’imputato sulla base di un compendio indiziario quas integralmente coincidente con quello successivamente valorizzato in funzione della condanna di COGNOME – si pone in contrasto con quella costantemente seguita in sede di legittimità, secondo cui «In tema di rinnovazione dell’istruttoria nel giud di rinvio, non sussiste l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decis quando, in tale giudizio, si pervenga ad una decisione di condanna conforme a quella resa in primo grado e difforme rispetto a quella di assoluzione pronunziat in appello e annullata dalla Corte di cassazione, poiché, in tal caso, si confi un’ipotesi di “doppia pronuncia conforme” che salda la condanna all’esito del giudizio rescissorio con quella emessa dal primo giudice» (Sez. 5, n. 6552 de 24/11/2020, dep. 2021, Costantino, Rv. 280671 – 01).
Né, va conclusivamente aggiunto, la prospettazione del ricorrente trova indiretto appiglio nel testo dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. che, nella versione applicabile ratione temporis (in quanto entrata in vigore il 30 dicembre 2022, mentre il secondo giudizio di rinvio si è aperto il 16 marzo 2023), circoscri l’obbligo di rinnovazione istruttoria, in caso di ribaltamento, in appello, di sen assolutoria adottata in primo grado, alle prove dichiarative acquisite dibattimento o in sede di giudizio abbreviato c.d. condizionato, quali non son quelle utilizzate a riprova della fondatezza dell’addebito mosso a NOME COGNOME
Il quarto e quinto motivo sono inammissibili perché vertenti su question non introdotte con l’atto di appello presentato dall’avv. NOME COGNOME il 26 nove 2015, avverso la sentenza di primo grado che, alla pag. 177, ha espressamente attestato la ricorrenza delle circostanze aggravanti della premeditazione e de
commissione del fatto al fine di agevolare l’attività dell’organizzazione mafiosa imperniata sulla famiglia COGNOME.
In proposito, occorre rammentare, con la giurisprudenza di legittimità, che «Nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto per motivi concernenti le
statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile, poiché la
sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato»
(Sez. 3, n. 2343 del 28/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274346 – 01).
7. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo
periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali.
Così deciso il 26/11/2024.