Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27603 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27603 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/04/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 309/2025
– Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 26/09/2024 della Corte d’Assise d’Appello di Napoli
Vista la requisitoria del Sost. Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Di COGNOME ha riferito, sia sul mandante (nella persona di COGNOME NOME), sia sulla identità degli autori dell’omicidio, da lui indicati nelle persone di COGNOME NOME e COGNOME Salvatore, con precisa attribuzione dei rispettivi ruoli. Di COGNOME era stato coinvolto nella fase preparatoria ed aveva procurato, a suo dire, la parrucca che venne indossata dal COGNOME, acquistandola in un negozio sito nei pressi della stazione ferroviaria di Napoli. Si sarebbe occupato nella fase immediatamente successiva dell’incendio della autovettura Opel Astra utilizzata dai sicari e della rottamazione dell’arma. Le fonti del Di COGNOME sono gli stessi COGNOME e COGNOME con cui ha cooperato per eseguire l’omicidio.
Si Ł ribaditala piena convergenza dei contributi narrativi circa la genesi dell’omicidio, con sussistenza dell’aggravante del finalismo mafioso ed il ruolo attribuito, per quanto qui di interesse, al COGNOME.
Secondo il ricorrente, la decisione di merito si discosta dai canoni interpretativi dettati in piø occasioni da questa Corte di legittimità nei casi di valutazione di chiamate in reità de relato .
Anche la ‘stampella’ fornita dal dichiarante COGNOME non poteva ritenersi valido punto di sostegno alle dichiarazioni di accusa provenienti dal COGNOME in ragione della sospetta progressione narrativadelle sue dichiarazioni.
Il principio – ormai definitivamente recepito nel sistema processuale – per cui la penale responsabilità deve essere accertata «al di là di ogni ragionevole dubbio» (nel senso che il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciar fuori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta risulti priva del benchŁ minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana, secondo l’assunto di Sez. I n. 31456 del 21.5.2008, rv. 240763) altro non Ł che la
Lì dove si apprezzi l’inosservanza di tali precetti, pertanto, la motivazione della sentenza può risultare viziata non tanto in punto di mera logicità interna quanto in ragione del generale dovere di rapportare il giudizio sul fatto alle regole decisòrie tipiche della fase presa in esame, come affermato in piø occasioni da questa Corte di legittimità (si veda, tra le altre, Sez. VI n. 8705 del 24.1.2013, che, pur occupandosi in via diretta del caso di una condanna intervenuta nel giudizio di secondo grado, efficacemente qualifica in via generale la tipologìa di vizio in questione – derivante dalla violazione del canone di giudizio di cui all’art. 533 – in termini di «peculiare concretizzazione del vizio dell’ apparenza di motivazione»).
2.2 Ciò posto, vanno anche ricordate le principali coordinate giurisprudenziali in tema di controllo motivazionale emerse nella presente sede di legittimità.
Le funzioni di controllo sull’apparato argomentativo, delimitate dalla avvenuta esplicazione dei motivi di ricorso, possono comportare diversi livelli di verifica :
verifica circa la completezza e la globalità della valutazione operata in sede di merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcellizzazioni del materiale indiziario raccolto (in tal senso, tra le molte, Sez. II n. 9269 del 5.12.2012, COGNOME , Rv. 254871) nŁ omettere la valutazione di elementi obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (in tal senso Sez. IV, n.14732 del 1.3.2011, COGNOME , Rv 250133 nonchŁ Sez. I, n.25117 del 14.7.2006, COGNOME , Rv 234167) ;
verifica circa l’assenza di evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda in particolare la ricorrente affermazione della necessità di scongiurare la formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioŁ su dati ipotetici e non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile ex multis in Sez. VI n. 6582 del 13.11.2012, COGNOME , Rv 254572 nonchŁ in Sez. II n. 44048 del 13.10.2009, COGNOME , Rv 245627);
– verifica circa l’assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio (cd. contradditorietà interna) ;
– verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi valorizzati nell’ambito del percorso seguito (applicazione dell’art. 192) e circa l’assenza di incompatibilità di detto significato con specifici atti del procedimento indicati ed allegati in sede di ricorso (cd. travisamento della prova) lì dove tali atti siano dotati di una autonoma e particolare forza esplicativa, tale da disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante (in tema di incidenza del travisamento, ex multis , Sez. I n. 41738 del 19.10.2011, Rv 251516, ove si Ł precisato, sul punto, che «.. non Ł, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente contrastanti con particolari
accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, nŁ che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione piø persuasiva di quella fatta propria dal giudicante; ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente piø significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento» ).
2.3 Dunque il controllo di legittimità sull’apparato argomentativo deve seguire le scansioni sin qui brevemente rievocate, che consentono di restare in un ambito, appunto, di controllo e non di sovrapposizione della propria valutazione a quella del giudice del merito.
Nel caso che ci occupa la ricostruzione del fatto si Ł dipanata sul crinale della attribuzione soggettivaal ricorrentein ragione della esistenza di piø fonti dichiarative di accusa.
3.1 Ed allora, quanto al profilo della convergenza tra piø fonti dichiarative, va ulteriormente precisato che la copiosa elaborazione della regola normativa di cui all’art. 192 comma 3 cod.proc.pen., in tema di valore probatorio della chiamata in correità, consente ormai di superare lo scetticismo iniziale espresso da autorevole dottrina nei confronti del dato normativo in questione (definito come formula malriuscita , trattandosi di argomento non codificabile, in quanto involge questioni da clinica giurisprudenziale ).
Il dato di partenza – come Ł noto – Ł rappresentato dalla ‘ non autosufficienza dimostrativa’ delle dichiarazioni del soggetto ‘coinvolto’ nell’accadimento posto al centro dell’accertamento (perchŁ si tratta del coimputato, in medesimo o separato procedimento, o dell’ imputato di reato connesso o collegato) ai fini di sorreggere una affermazione di penale responsabilità (connotata ai sensi dell’art. 533 cod.proc.pen.) del soggetto ‘chiamato’ in reità o in correità.
La ragione di tale ‘cautela valutativa’, di particolare incidenza, va cercata, come Ł noto, nel riconoscimento – a monte – della esistenza di un interesse(Sez. I , 30.1.’97, imp. Barcella ), di cui il soggetto narrante (proprio in quanto coinvolto, sia pure in diversa misura, negli stessi fatti narrati) Ł in tutta evidenza portatore (interesse astrattamente identificabile in piø possibili matrici, che vanno dalla eventuale scelta di accrescere le responsabilità altrui tendendo a ridimensionare le proprie, alla eventualità di utilizzo della sede processuale come strumento di ‘regolamento di conflitti’ maturati altrove, sino allanecessità di maturare l’accesso a benefici di carattere processuale e sostanziale) e che, pertanto, si pone come elemento tale da determinare un deficit parziale di attendibilità, colmabile solo mediante il rinvenimento di elementi autonomi, capaci di asseverare la veridicità del contenuto rappresentativo.
Da qui l’esistenza di una necessaria valutazione congiunta con dati di conferma esterni alla dichiarazione (lì dove si sia affermata la responsabilità del chiamato) o la ‘presa d’atto’ dell’assenza di ulteriori elementi capaci di accrescere la qualità dimostrativa delle dichiarazioni e la loro portata cognitiva (con affermazione della mancata prova della responsabilità del chiamato).
Nell’interpretare la locuzione altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità -contenuta nell’art. 192 comma 3 cod.proc.pen. – va peraltro ricordato che la conferma imposta dalla normanon Ł direzionata alla persona del dichiarante (soggetto la cui attendibilità Ł da valutarsi previamente , in rapporto alla esistenza di indicatori logici e storici tali da asseverare la sua partecipazione al fatto narrato o comunque da rappresentare in
modo chiaro le modalità della sua conoscenza) ma alle specifiche dichiarazioni (come già ritenuto, tra le altre, da Sez. VI nella decisione del 7.5.1999, ric. COGNOME , ove si Ł affermato con chiarezza che una lettura del genere sarebbe contraria non solo alla ratio legis , ma anche alla lingua italiana, perchØ la particella .. ne .., nell’espressione ‘ ne confermano l’attendibilità’ va riferita al soggetto della frase, che Ł il sostantivo ‘le dichiarazioni’ , le quali, appunto, devono essere confortate da altri elementi che ne confermino l’attendibilità). Tale deve essere la ‘direzione’ degli elementi di riscontro.
Con ciò, peraltro, non si intende certo negare che il primo momento di ‘apprezzamento’ di un contributo narrativo resta quello della verifica soggettiva di attendibilità del dichiarante, commisurata essenzialmente alla costanza e complessiva coerenza logica della narrazione in sŁ considerata (con eventuale giustificazione di accrescimenti narrativi solo se ed in quanto dipendenti dalle prove ‘di resistenza’ cui la fonte Ł sottoposta attraverso il contraddittorio dibattimentale, ove realizzato). Ma Ł pur vero che nel particolare ambito relazionale dei contesti criminali, gli indicatori di attendibilità ‘tradizionali’ – storicamente elaborati sul modello del ‘teste indifferente’ – appaiono ribaltati, posto che il livello di attendibilità soggettiva Ł qui correlato alla avvenuta emersione di indicatori tesi a rappresentare l’effettiva ‘inclusione’ del dichiarante nel contesto umano che ha condotto alla realizzazione del crimine (l’esperienza umana deviante crea, dunque, le condizioni di ‘inclusione’ nel circuito ove, in ipotesi, si sono appresi i fatti; v. per tutte Sez. VI n. 4108 del 17.2.’96, COGNOME, rv 204436). Del resto, se così non fosse non vi sarebbe necessità dell’elemento convalidante ‘autonomo’ per orientare il giudizio verso la responsabilità dell’incolpato.
3.2 E’ pertanto con tale consapevolezza che in sede di merito va affrontato il tema della attendibilità intrinseca, orientato – al di là degli ovvi profili di coerenza logica della narrazione – alla constatazione di : a) esistenza, o meno,di dati storici rappresentativi della avvenuta inclusione del dichiarante nel particolare contesto relazionale in cui risulta maturato il fatto narrato; b) esistenza, o meno, di elementi di chiara smentita su un segmento ‘significativo’ della specifica narrazione, tali da incidere complessivamente sul giudizio di attendibilità.
In particolare, quanto al secondo aspetto, va anche precisato che Ł compito del giudice del merito, in presenza di elementi di fatto chiaramente antagonisti ai contenuti narrativi portati dal dichiarante, esporre in modo logico i criteri adoperati per realizzare un eventuale, possibile «frazionamento» della narrazione complessa. Ove tale esposizione non soddisfi i criteri della piena coerenza logica, il passaggio esplicativo si espone ad annullamento.
Va dunque evidenziato – restando sul tema – che vi può essere ‘irrilevanza’ di un elemento di smentita lì dove il suo oggetto possa ritenersi marginale nell’economia del racconto (si veda, sul tema, Sez. I n. 34102 del 14.7.2015, rv 264368), mentre si ricorre alla «frazionabilità» lì dove la smentita Ł – su un fatto specifico – rilevante, ma la narrazione Ł stata positivamente vagliata in riferimento ad altri episodi storici. In particolare, il limite intrinseco della «frazionabilità» Ł rappresentato dalla complessità e articolazione della dichiarazione che, per essere frazionabile, deve avere ad oggetto episodi storici autonomi e distinti, non intimamente correlati. La c.d. valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie (per la quale l’attendibilità del dichiarante, anche se denegata per una parte del suo racconto, non viene necessariamente meno con riguardo alle altre parti, quando queste reggano alla verifica giudiziale del riscontro), in tanto Ł ammissibile in quanto non esista un’interferenza fattuale e logica fra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti che siano adeguatamente riscontrate. Detta interferenza, peraltro, si verifica solo quando fra la prima parte e le altre esista un rapporto di causalità necessaria ovvero quando l’una sia
,
imprescindibile antecedente logico dell’altra (così Sez. I n. 468 del 18.12.2000, ric. Orofino rv 218720, e, di recnte, Sez. VI n. 35327 del 22.8.2013, ric. Arena , rv 256097; Sez. V n. 46471 del 19.10.2015, rv 265874).
3.3 Va anche sottolineato che nella scelta semantica operata dal legislatore quanto alla identità dell’elemento convalidante ( altri elementi di prova ) si Ł voluto evidenziare :
-la natura ontologica degli elementi utilizzati come riscontro, nel senso che gli stessi non possono consistere in meri sospetti (non basati su dati sensibili con capacità informativa, ma solo su elaborazioni soggettive) ma devono possedere una autonoma consistenza e una, sia pur limitata, capacità rappresentativa;
la correlazione con il principio di pertinenza (ai sensi dell’art. 187 cod.proc.pen.) tra detti elementi e l’imputazione contestata.
Dunque il riscontro – seppure in via mediata – non può limitarsi ad accrescere l’attendibilità intrinseca del dichiarante, ma deve essere riferibile (sia pure solo sul piano logico-deduttivo) ai fatti delittuosi attribuiti nella specifica decisione all’indagato .
Ovviamente, tale idoneità probatoria dell’elemento di riscontro non va intesa – a sua volta – in termini di «autosufficienza», dovendo comunque lo stesso fungere da ‘necessario completamento’ della narrazione oggetto di verifica ( cfr ., tra le molte, già Sez. VI n. 5649 del 22.1.1997, ric. Dominante , nella parte in cui si precisa che la funzione processuale degli ‘altri elementi di prova’ Ł semplicemente quella di confermare l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie, il che significa che tali elementi sono in posizione subordinata ed accessoria rispetto alla prova derivante dalla chiamata in correità, avendo essi idoneità probatoria rispetto al thema decidendum non da soli, ma in riferimento alla chiamata; altrimenti, in presenza di elementi dimostrativi della responsabilità dell’imputato, non entra in gioco la regola dell’art.192 co.3, ma quella generale in tema di pluralità di prove e di libera valutazione di esse da parte del giudice; nello stesso senso, tra le molte, Sez. VI n.4108 del 17.2.1996, ric. COGNOME , rv 204439. Così come, secondo il chiaro insegnamento derivante già da Sez. VI, 6.3.2000 ric. Fortugno , il dato probatorio (della piø diversa natura e provenienza) valorizzabile in chiave di riscontro può anche riferirsi a fatti apparentemente secondari , dai quali sia possibile risalire, con logica deduzione, all’oggetto dell’accusa.
Nel compiere l’ operazione valutativa, pertanto, va accuratamente vagliata la ‘capacità dimostrativa’ del singolo elemento di riscontro, secondo criteri capaci di selezionare – sul piano logico – l’apporto fornito.
3.4 Non appare inutile, pertanto, evidenziare una preliminare distinzione di carattere generale – nel contesto qui esaminato – tra :
elementiche rappresentano la mera possibilità che il narrato del collaborante corrisponda al vero (ciò accade, ad esempio, nell’ipotesi in cui il dichiarante abbia rappresentato, come elemento rilevante, l’avvenuto colloquio con altre persone in carcere o in un determinato luogo frequentato dai protagonisti del colloquio; la comune detenzione di tali soggetti nel periodo indicato o la frequentazione del luogo in questione Ł un dato che obiettivamente sorregge la possibile verificazione del colloquio, ma nulla dimostra, in via aggiuntiva, circa la sua effettività o il suo contenuto. O ancora, lo stato di libertà dell’incolpato al momento della commissione del fatto rende solo astrattamente possibile la sua attribuzione al soggetto indicato, e così via):si tratta, in tal caso , di semplici elementi di non/smentita , di certo utili sul piano della verifica di attendibilità intrinseca del dichiarante, ma che non possiedono una ‘autonoma’ capacità di asseverazione dei fatti posti a base della contestazione e non possono, quindi ritenersi riscontri alla narrazione operata nel senso imposto dall’art. 192 comma 3 ;
b) elementi che accrescono la verosimiglianza della narrazione, pur rappresentando un fattodiverso da quello oggetto di prova, ma ad essoricollegabile sia sul piano oggettivo che, soprattutto, soggettivo. Sul punto, Ł stato ritenuto, in molti arresti giurisprudenziali, che la riscontrata, duratura appartenenza ad un gruppo delittuoso, con uno specifico ruolo, accresce la probabilità della partecipazione, dei diversi soggetti chiamati, alle azioni delittuose comesse da quel gruppo, in ciò incrementando il quantum di conoscenza posto a base della chiamata, e ciò specie in relazione alla consumazione di quei reati che siano concretamente ‘espressivi’ del programma delittuoso comune ( tra le molte, Sez. I, 30.3.’04, n.17886, ric. Vollaro rv 228282; Sez. IV, 10.12.’04 n. 5821, COGNOME ; nonchØ Sez. VI n. 1472 del 2.11.1998, ric. Archesso , rv 213446; Sez.II, 23.10.’03, ric. Avarello ;Sez. VI, n.41352 del 24.9.2010, ric. COGNOME , rv 248713; Sez. VI n. 47304 del 12.11.2015, rv 265355) così come gli elementi tesi ad asseverare taluni antecedenti causali del fatto, indicati nella dichiarazione principale, accrescono il valore persuasivo della chiamata in correità. Si tratta, in tal caso, di riscontri indiretti , di natura logico-indiziaria , atteso che il rapporto tra il fatto da provare e il contenuto informativo del dato conoscitivo «di supporto» richiede l’applicazione di un criterio inferenziale che consente di operare, nell’ambito della necessaria valutazione unitaria e congiunta, il raccordo tra le diverse circostanze probatorie (si veda, sul punto Sez. I n. 16792 del 9.4.2010, rv 246948, nonchŁ Sez. I n.16548 del 14.3.2010, rv 246935, sull’obbligo di valutazione unitaria e congiunta dei diversi dati conoscitivi acquisiti) ;
c) elementi che accrescono la verosimiglianza della narrazione, rapportandosi, in via diretta ai fatti (o alle persone) oggetto di prova (in tal senso, la verifica positiva circa particolari specifici dell’azione delittuosa – difficilmente conoscibili o non divulgati in precedenza – accresce la complessiva idoneità rappresentativa della narrazione ;il possesso di mezzi o cose utilizzate per la commissione del reato o dallo stesso derivate, conformemente alla narrazione del dichiarante, in capo all’incolpato, Ł da ritenersi altamente significativo, in assenza di razionali ipotesi alternative;la stessa acclarata convergenza di piø fonti dichiarative – dotate di reciproca autonomia genetica- parimenti si pone come dato accrescitivo rispetto alla dichiarazione di base, come riaffermato da Sez. U. n. 20804 del 29.11.2012, COGNOME ed altri) : si tratta di elementi qualificabili come riscontri «diretti», atteso il rapporto immediato tra il fatto da provare e il contenuto informativo dell’elemento di sostegno alla narrazione .
Ma la identificazione della esatta direzione (fermo restando il vaglio preliminare di attendibilità intrinseca) e delle possibili ‘categorie’ di elementi di riscontro esterno, qui abbozzata, non esaurisce, ovviamente, il tema in trattazione.
Se si risale alla ratio della cautela valutativa, imposta circa l’affidabilità probatoria delle dichiarazioni del correo, si comprende agevolmente quale sia il rilievo del metodo valutativo da seguire nell’ipotesi in cui ci si trovi di fronte a piø dati istruttori accomunati – come nel presente processo – dalla provenienza «interna» al circuito criminale posto a monte dell’evento trattato.
La condivisibile preoccupazione del legislatore (espressa anche da norme apparentemente solo descrittive di adempimenti procedurali come l’art. 141 bis cod.proc.pen. o delimitanti l’area del diritto di difesa come l’art. 106 comma 4 bis ) Ł anche quella di evitareinquinanti circolarità dichiarative tra le varie fonti, tali da determinare una pluralità soloapparente di dati dimostrativi tesi ad asseverare il coinvolgimento dell’imputato nel fatto.
Se infatti Ł corretto – per quanto sinora detto – ipotizzare il reciproco incremento probatorio, tra le diverse chiamate, ciò chiama in causa la massima di tipo logico per cui
quando piø fonti, dotate di piena autonomia sul piano della esperienza percettiva, finiscono con il riferire fatti tendenzialmente coincidenti nel loro nucleo essenziale, ciò aumenta oggettivamente le probabilità che i fatti narrati corrispondano al vero.
3.5 Ma tale assunto Ł strettamente correlato alla verifica non solo in punto di attendibilità generica del singolo dichiarante, quanto da operarsi sul versante dellacoerenza e costanza narrativa (con assenza di sospetti incrementi tra il contenuto originario delle dichiarazioni e le affermazioni successive) nonchŁ sulla ricorrenza degli ulteriori presupposti messi in rilievo – da ultimo – nella decisione Sez. U. n. 20804/2013 del 29.11.2012 ric. COGNOME ed altri (rv 255143 – 255145) intervenuta sul tema del cd. riscontro «incrociato» tra piø chiamate in reità (le fonti plurime de auditu ).
Nella indicata pronunzia (a sua volta punto di approdo di precedenti orientamenti che ormai risulta inutile citare) pur constatandosi l’assenza di una «catalogazione gerarchica in senso piramidale» dei tipi di prova, sganciata dal concreto contesto processuale, e pur riaffermandosi, in via generale, il valore e l’immanenza del principio del libero convincimento del giudice, si pone particolare attenzione al rigore metodologico che deve governare un simile procedimento valutativo e al correlato «aggravio» dell’onere motivazionale.
In termini generali, la valutazione congiunta delle chiamate (siano esse dirette o de relato ) risulta significativa – a fini di dimostrazione del fatto- lì dove ricorrano le seguenti evenienze :
la convergenza delle chiamate in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione;
l’ indipendenza delle medesime, intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente o di altri condizionamenti inquinanti;
la specificità nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e deve riguardare sia il fatto nella sua oggettività che la riferibilità dello stesso all’incolpato, fermo restando che deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della concordanza delle plurime dichiarazioni di accusa sul nucleo centrale e piø significativo della questione fattuale da decidere;
-l’autonomia genetica , vale a dire la derivazione non ex unica fonte onde evitare il rischio della circolarità della notizia, che vanificherebbe la valenza dell’elemento di riscontro esterno e svuoterebbe di significato lo stesso concetto di convergenza del molteplice.
In presenza di tali caratteristiche le «plurime chiamate in correità (o in reità)» legittimamente concorrono a formare – in modo non rivalutabile in sede di legittimità – la base fattuale della affermazione di responsabilità del chiamato (in assenza di concrete ipotesi alternative di ricostruzione dei fatti) proprio in ragione della loro verificata autonomia genetica e in riferimento alla massima di esperienza prima ricordata, rispettosa dei canoni normativi di valutazione della prova (quando piø fonti, ritenute affidabili e rilevanti nonchŁ dotate di piena autonomia sul piano della esperienza percettiva, riferiscono fatti tendenzialmente coincidenti nel loro nucleo essenziale, ciò crea le condizioni per l’affidamento del giudice sulla corrispondenza al vero dei fatti narrati).
In sede di legittimità, pertanto, essendo inibita la rielaborazione autonoma della rilevanza e consistenza del dato probatorio, Ł doverosa la verifica – in rapporto al contenuto delle doglianze -del corretto inquadramento delle categorie logiche e giuridiche in punto di qualificazione dell’ elemento di prova, realizzate in sede di merito su tale complesso terreno ricostruttivo, nonchŁ l’avvenuta applicazione dei profili metodologici sin qui richiamati (in tal senso, di recente, Sez. VI n. 33875 del 12.5.2015, rv 264577), frutto della costante opera di mediazione interpretativa affidata alla Corte di Cassazione.
In particolare negli arresti successivi Ł stato ulteriormente precisato che in tema di
chiamata in correità, qualora i riscontri esterni siano costituiti da ulteriori dichiarazioni accusatorie, esse devono convergere in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione ed avere portata individualizzante , intesa quale riferibilità sia alla persona dell’incolpato che alle imputazioni a lui ascritte , senza che possa pretendersi la piena sovrapponibilità dei loro rispettivi contenuti narrativi , dovendosi piuttosto privilegiare l’aspetto sostanziale della concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere (così Sez. VI n. 47108 del 8.10.2019, rv 277393).
Ora, confrontando la portata dei principi sin qui esposti con le argomentazioni espresse dai giudici del meritova anzitutto rilevato che vi Ł una posizione ampia e chiara del giudice di secondo grado su tutte le doglianze difensive.
In particolare, la Corte di Assise di Appello ha messo in evidenza che:
a)il percorso narrativo del COGNOME si alimenta – in larga misura – da un vissuto in ‘presa diretta’, dato il coinvolgimento personale in attività antecedenti e posteriori alla consumazione del reato ed ha pertanto una particolare forza dimostrativa non oggetto di confutazione;
b)le plurime dichiarazioni poste a riscontro (sia COGNOME che COGNOME) trovano piø punti di assoluta convergenza tanto nel movente che nella individuazione dell’esecutore materiale nella persona del COGNOME;
c)ulteriori elementi di riscontro logico sono tratti dalla certa appartenenza al sodalizio mafioso tanto dei dichiaranti che delle persone accusate.
Ora, i punti oggetto di riproposizione nell’atto di ricorso riguardano pretesi deficit di attendibilità intrinseca del COGNOME e del COGNOME che sono stati oggetto di ampia e logica valutazione nella decisione impugnata ove si Ł dato conto delle ragioni di superamento delle pretese discrasie o di ciò che la difesa interpreta come progressione narrativa.
Non vi Ł pertanto alcun profilo di metodo che possa formare oggetto di ulteriore sindacato nella presente sede di legittimità.
Quanto al secondo motivo, lo stesso Ł manifestamente infondato.
La Corte di secondo grado alle pagine 33-35 motiva diffusamente sul punto relativo al trattamento sanzionatorio ed individua concrete e solide ragioni di diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche (particolare gravità del fatto anche in rapporto alle modalità della sua commissione, intensità del dolo e negativo giudizio sulla personalità). Si tratta di aspetti che non possono trovare alcuna forma di rivisitazione, specie a fronte di allegazioni che non esprimono alcuna reale necessità di ridimensionamento della sanzione, come la ‘vetustà del fatto’ (che non ne ridimensiona la elevata gravità) e il lungo periodo detentivo – per la commissione di altri reati – cui Ł stato sottoposto il ricorrente.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila, ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 30/04/2025
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME