Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7704 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7704 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI ROMA
nel procedimento a carico di:NOME nato a ROMA( ITALIA) il 09/09/1966 NOME nato a ROMA (ITALIA) il 24/12/1969
COGNOME NOME
COGNOME NOME
COGNOME NOME
NOME
COGNOME NOME
NOME
COGNOME NOME
RAGIONE_SOCIALEL.R. PT COGNOME RAGIONE_SOCIALE)
INDIRIZZO SRL (L.R. PT RAGIONE_SOCIALE)
RAGIONE_SOCIALE (L.R. PT RAGIONE_SOCIALE)
MINISTERO DEL TESORO
RAGIONE_SOCIALE
avverso il decreto del 30/04/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnato decreto.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 14/11/2022, il Tribunale di Roma, Sez. misure di prevenzione, ha applicato nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni due, nonché ha disposto la confisca di beni mobili ed immobili, meglio in decreto specificati, direttamente od indirettamente a loro riconducibili, sul presupposto che gli stessi fossero frutto del reimpiego di proventi illeciti percepiti, e stante l sproporzione tra patrimonio e redditi leciti.
In punto pericolosità sociale, il Tribunale ha ritenuto sussistente a carico dei proposti una pericolosità sociale generica ex art. 1 lett. b) d. Igs. 159 del 2011, osservando in particolare come i procedimenti definitivi e pendenti a loro carico avessero disvelato che i medesimi avevano vissuto abitualmente con i proventi di attività illecite, principalmente di natura fallimentare distrattiva, per un periodo perinnetrato dal 2009 al 2018, arco temporale da proiettarsi in avanti con riguardo agli investimenti effettuati ed all’apertura di nuove società.
Su impugnazione delle parti interessate, la Corte di appello di Roma, con decreto del 30/04/2024, ha revocato la misura di prevenzione personale applicata ai proposti, nonché il sequestro e la confisca di tutti i beni immobili, quote societarie e conti correnti indicati nel dispositivo del decreto di primo grado.
La Corte ha innanzitutto ritenuto che la pericolosità sociale dei proposti non potesse essere estesa sino al 2018, dal momento che i procedimenti penali che avevano coinvolto i proposti attenevano a condotte commesse in epoca antecedente: essi avevano in particolare ad oggetto condotte astrattamente lucrogenetiche consumate tra il 2009 ed il 2012; quanto alle più recenti ipotesi criminose, oggetto del procedimento n. 9922/21 (per i reati di cui agli artt. 416, 512 bis e 648 ter cod. pen.), osservava la Corte come il GIP competente, investito della richiesta cautelare di sequestro preventivo, con provvedimento non impugnato, avesse ritenuto insussistente il “fumus commissi delicti” per tutti i reati ad eccezione di una tentata truffa, che tuttavia non aveva generato alcun profitto: secondo la Corte romana, il Tribunale, a fondamento della prima decisione, aveva «rivisitato il materiale investigativo già acquisito in sede di cognizione in maniera esorbitante í poteri che sono propri della prevenzione, addirittura prospettando nuove ipotesi di reati che il PM non aveva nemmeno ipotizzato e iscritto nel registro degli indagati».
La riperimetrazione della pericolosità sociale dei proposti sino al 2012 ha implicato, secondo la valutazione della Corte territoriale, la revoca nei confronti dei due proposti della misura di prevenzione personale per assenza del requisito dell’attualità.
Parimenti, in ordine alle misure reali, la Corte evidenziava come i beni oggetti di confisca fossero stati costituiti o acquisiti in epoca successiva alla cessazione di pericolosità di entrambi i proposti, e ne disponeva conseguentemente la revoca.
In particolare, la RAGIONE_SOCIALE f9sata costituita nel 2019 e non risultakW.avere mai beneficiato di flussi finanziari esogeni riconducibili ai proposti; anche con riferimento alle soc. RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, non vi era prova che le stesse avessero beneficiato direttamente dei flussi di denaro provenienti dalle bancarotte distrattive fallimentari e concordatarie.
Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, deducendo un unico articolato motivo con il quale lamenta violazione di legge per omessa motivazione, non essendosi la Corte confrontata con gli elementi evidenziati nel decreto di primo grado, e totale travisamento degli atti.
Rileva innanzitutto il Procuratore come sia totalmente assente la motivazione in ordine alle impugnazioni proposte da COGNOME NOME, a.u. della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, intestatario delle quote della società RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME. (a.u. della RAGIONE_SOCIALE, NOME; del pari difetta la motivazione sottesa alle intervenute revoche (disposte in dispositivo) con riferimento alle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE.
Si contesta poi la limitazione dell’arco temporale di manifestazione della pericolosità sociale dei proposti dal 2009 al 2012, avendo la Corte d’appello omesso di confrontarsi con quanto evidenziato dal Tribunale in ordine alle condotte illecite poste in essere dai proposti sino al 2018.
La Corte, con una censurabile tecnica grafico-motivazionale, ha aderito acriticamente alle tesi propugnate in atti di gravame avanzati dalle difese dei proposti, senza tuttavia confrontarsi con le argomentazioni di segno opposto del Tribunale.
Con riferimento ai reati fallimentari, la Corte ha ancorato la fine della pericolosità sociale non alla dichiarazione di fallimento, come motivatamente effettuato dal Tribunale, ma in relazione all’epoca in cui furono poste in essere le condotte distrattive; quanto poi all’analisi delle indagini confluite nel proc. n. 9921/21, i Giudici di appello, anziché effettuare – come doveroso – un’autonoma valutazione dei fatti, si sono limitati a prendere atto dell’esito favorevole ai proposti di provvedimenti cautelari, senza considerare che l’unico limite all’autonoma valutazione è costituito solo dalle pronunce irrevocabili di assoluzione, e non certo da provvedimenti cautelari passibili di rivalutazione, come avvenuto peraltro nel caso di specie, dal momento che il Tribunale del Riesame, su impugnazione del PM, ha poi
disposto il sequestro preventivo del capitale sociale delle società utilizzate dai proposti per fini illeciti, tutte fittiziamente intestate a terzi (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), con decisione che, a seguito del rigetto da parte della Corte di legittimità del ricorso proposto dagli odierni proposti, è irrevocabile.
Quanto alla soc. RAGIONE_SOCIALE, la motivazione del decreto impugnato consta esclusivamente di una sintesi dei motivi di appello, senza alcuna considerazione autonoma in ordine alla disposta confisca, né adeguata valutazione delle argomentazioni di segno opposto del Tribunale; analogo vizio si riscontra nella parte del decreto che tratta dei beni personali di COGNOME NOME, della soc. INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE, della confisca in danno dei discendenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, dei conti correnti intestati a COGNOME NOMECOGNOME dei motivi proposti da NOME COGNOME e della confisca di RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE
Il sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’impugnato decreto.
Con provvedimento del 10/09/2024 la Corte di appello di Roma, su istanza del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Roma, ha sospeso l’esecuzione del provvedimento impugnato ex art. 27 comma 3 bis d. Igs. 159 del 2011.
Con memoria telematicamente depositata i difensori di NOME COGNOME hanno chiesto il rigetto o la declaratoria di inammissibilità del ricorso avanzato dalla parte pubblica.
I difensori di NOME COGNOME e dei terzi interessati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME hanno depositato a loro volta una memoria con la quale chiedono la declaratoria di inammissibilità del ricorso del P.G.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Giova ricordare quale sia il perimetro del giudizio di questa Corte di legittimità nel vagliare le decisioni in tema di misure di prevenzione reali. Si è, infatti, chiarito (ex plurimis con la sentenza delle Sezioni unite n. 33451 del 29/05/2014, Repaci) come, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione sia
ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575 (ed ora dall’art. 10, terzo comma, per le misure personali, e 27, secondo comma, per le misure reali, d. Igs. 6 settembre 2011 n. 159). Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso la motivazione omessa o del tutto apparente. Con pronunce successive al dettato della sentenza COGNOME si è precisato che il vizio – di omessa o apparente motivazione – ricorre: – quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 1, n. 6636 del- 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080); – quando il travisamento della prova per omissione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., altrimenti estraneo al procedimento di legittimità in tema di misure di prevenzione reali, abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo così da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435).
GLYPH Coglie allora nel segno la censura mossa dalla parte pubblica ricorrente alla struttura stessa dell’impugnata ordinanza, in seno alla quale la Corte territoriale, sulla generica premessa di una condivisione dei motivi di appello formulati dalle parti, si è limitata ad indicare, sintetizzandoli, detti motivi, senza tuttavia estrinsecare in modo chiaro e palese l’iter argomentativo proprio dell’organo giudicante.
La decisione della Corte territoriale appare quindi priva di concreta motivazione in ordine alla revoca delle misure ablatorie e di prevenzione relative ai beni ritenuti nella disponibilità dei proposti NOME e NOME COGNOME
Come evidenziato dal PG ricorrente, l’analisi delle doglianze avanzate in atti di appelli con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE, ai beni personali di NOME COGNOME, alle quote e patrimonio della INDIRIZZO srl, alla confisca in danno dei discendenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, ai conti correnti intestati a NOME COGNOME, nonché all’impugnazione nell’interesse di NOME COGNOME, ed alla confisca di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, è avvenuta da parte della Corte d’appello di Roma attraverso la sola ‘esposizione sintetica delle censure mosse da parte degli appellanti.
Peraltro, la mera esposizione dei motivi di appello, senza che sia dato apprezzare il momento prettamente valutativo della Corte, è stata condotta senza operare un reale ed effettivo confronto con l’ampia motivazione del decreto di primo
grado. La totale pretermissione degli elementi posti a fondamento del primo decreto, anche solo per confutarne la fondatezza, integra quindi il denunciato vizio di violazione di legge.
È fondata anche la censura inerente la totale assenza di motivazione, anche grafica, in ordine alla disposta revoca delle confische delle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE.
Fondato appare anche il rilievo censorio inerente la riperimetrazione della pericolosità sociale operata dalla Corte romana, che ha limitato la pericolosità sociale dei proposti NOME e NOME COGNOME al periodo temporale dal 2009 al 2012, con conseguente accoglimento dei relativi motivi di appello sia in punto applicazione della misura personale della sorveglianza speciale, sia in ordine alle disposte confische, revocate sul presupposto che i beni oggetto della misura ablatoria fossero stati acquisiti in periodo temporale estraneo al nuovo perimetro temporale.
La Corte romana (pag. 3), in particolare, dopo avere enumerato i procedimenti penali coinvolgenti i proposti, senza soffermarsi nello specifico su alcuno di essi, sottolineava, in modo generico, come tutti avessero ad oggetto condotte lucrogenetiche consumate tra il 2009 ed il 2012, concludendo che il Tribunale avesse «esteso senza il supporto di elementi concreti il perimetro sino al 2018», osservando come nel giudizio di prevenzione rilevasse non la condizione obiettiva di punibilità del delitto fallimentare, «ma l’epoca in cui l’agente ha posto in essere una condotta infedele in danno del patrimonio aziendale con conseguente indebito arricchimento».
Quanto poi al procedimento n. 9922/21, pendente in fase di indagini a carico dei proposti per le ipotesi di reato di cui agli artt. 416, 512 bis e 648 ter cod. pen., i Giudici dell’appello di prevenzione hanno osservato (pag. 3) come «tutte le condotte oggetto dell’indagine sono state dichiarate insussistenti dal GIP, che, investito della richiesta cautelare di sequestro preventivo, ha ritenuto carente il fumus commissi delicti per tutti i reati, ad eccezione di un tentativo di truffa, che non avendo prodotto alcun profitto, non consentiva l’emissione dell’invocato provvedimento cautelare… Né il provvedimento del GIP è stato mai impugnato dall’ufficio inquirente, ed ha perciò assunto il valore di giudicato cautelare».
In relazione al momento consumativo del delitto di bancarotta, si duole a ragione il Procuratore ricorrente che la Corte romana, omettendo del tutto di confrontarsi con le argomentazioni svolte dal Tribunale nel decreto di primo grado abbia, in contrasto con gli approdi ermeneutici di questa Corte di legittimità, abbia ancorato la pericolosità sociale non alla dichiarazione di fallimento, ma alle attività distrattive poste in essere.
Secondo la condivisibile disamina effettuata dal Tribunale di primo grado (pagg. 15, 16), infatti, la valutazione della pericolosità sociale dei proposti era da correlare
alla «condotta complessivamente considerata, condotta che trasmutata in fattispecie di bancarotta fraudolenta ai danni dell’intero ceto creditorio una volta intervenuto l’accertamento dello stato di insolvenza e la dichiarazione di fallimento».
Ancor più evidente appare l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoriale nel retrodatare la pericolosità sociale dei proposti svilendo l’importanza sul punto della pendenza a carico dei fratelli COGNOME del p.p. 9921/2021, e valorizzando in modo del tutto acritico un provvedimento cautelare favorevole ai ricorrenti emesso dal GIP.
È pacifico il principio secondo cui, ai fini della formulazione del giudizio di pericolosità, funzionale all’adozione di misure di prevenzione, è legittimo avvalersi di elementi di prova o indiziari tratti da procedimenti penali, anche nel casi:, di processi definiti con sentenza di assoluzione irrevocabile, a condizione che degli stessi non sia effettuata una rilettura in termini del tutto divergenti sul piano del loro significato valorizzandoli in chiave accusatoria secondo criteri già giudicati incongrui nel processo penale (Sez. 2, n. 19880 del 29/03/2019, Rv. 276917; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Rv. 266364). E’, infatti, regola iuris unanimemente riconosciuta come vigente in materia quella secondo cui, in tema di misure di prevenzione, il giudice, attesa l’autonomia tra processo penale e procedimento di prevenzione, può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del proposto ex art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati, con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività, quei fatti che, pur ritenuti insufficienti – nel merit o per preclusioni processuali – per una condanna penale, possono, comunque, essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (Sez. 2, n. 15704 del 25/01/2023, Rv. 284488; Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, Rv. 282655): questo perché – si è spiegato – l’elevato standard di legalità richiesto dalla giurisprudenza costituzionale per il prOcedimento di prevenzione, si riflette, non tanto sulle modalità di accertamento, quanto sull’oggetto della verifica di pericolosità generica, che deve appuntarsi sull’esistenza di elementi di fatto individuabili con adeguata precisione e puntualità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Dei principi generali richiamati occorre fare applicazione per stigmatizzare l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoriale nel ritenere che dalla pendenza a carico dei NOME COGNOME del procedimento 9922/21, per i delitti di cui agli artt. 416, 512 bis e 648 ter cod. pen., si potessero trarre elementi probatori o indiziari utili a fondare il giudizio di pericolosità sociale nei confronti dei proposti ai sensi dell’art. 1, lett. b) d.lgs. 159/2011.
Nel caso di specie, è infatti totalmente mancata una disamina dei fatti da parte della Corte territoriale che, arrestandosi dinnanzi ad un provvedimento cautelare favorevole ai proposti, ha poi omesso di condurre la doverosa analisi degli elementi
eventualmente indizianti di cui al citato proc. 9922/21, mancando in tal modo di operare un’autonoma valutazione, onde pervenire ad una ragionata conclusione in ordine alla sintomaticità o meno di tali condotte in punto pericolosità sociale dei proposti.
È quindi evidente l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte nel ritenere che i consolidati principi, come sopra richiamati, relativi all’autonomia della valutazione del giudice della prevenzione, che trovano la loro base normativa nell’art. 29 d. Igs, 159 del 2011, non potessero valere nel caso in esame in cui «sono stati emessi provvedimenti cautelari favorevole ad entrambi i proposti e basati sugli stessi elementi analizzati dal giudice della prevenzione».
Peraltro nel caso di specie, il Procuratore ricorrente ha evidenziato come il provvedimento cautelare del GIP favorevole ai proposti sia stato riformato dal Tribunale del Riesame che, a seguito di appello del PM, con provvedimento divenuto irrevocabile (Cass., Sez 2, n. 14022 del 11/07/2024), ha disposto il sequestro preventivo del capitale sociale delle società utilizzate dai proposti, fittiziamente intestate a terzi RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Quanto alla possibilità per il giudice della prevenzione di trarre elementi sintomatici di pericolosità sociale da procedimenti anche non irrevocabili, oltre ai principi consolidati di questa Corte di legittimità già sopra richiamati, va anche ricordato come, nel giudizio di prevenzione, operi la regola della piena utilizzazione di qualsiasi elemento indiziario desumibile anche da procedimenti penali in corso: è quindi possibile utilizzare nel giudizio di prevenzione, ai fini del giudizio di pericolosità sociale del proposto, elementi di prova o indiziari tratti da procedimenti penali non ancora conclusi, naturalmente confrontandosi in modo autonomo con gli elementi stessi per stabilire se essi, una volta accertati, per la consistenza e il significato che posseggono, siano idonei a fondare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’applicazione della misura (Sez. 1, n. 24707 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 273361; Sez. 6, n. 36216 del 13/07/2017, COGNOME, Rv. 271372; Sez. 5, n. 1831 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265862).
Gli evidenziati errori di diritto in cui incorsa la Corte d’appello di Roma impongono l’annullamento del provvedimento impugnato, ai fini di una rivalutazione complessiva che dovrà tenere conto dei rilievi esposti.
Pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di appello di Roma; come chiarito Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, «la natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; per contro, la natura decisoria
dell’atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla
decisione oggetto di impugnazione» (conf. Sez. 5, n. 19426 del 20/04/2021,
COGNOME, Rv. 281253).
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di
Roma.
Così deciso il 27/11/2024