Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18099 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18099 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato ad Avellino il 17/01/1979
avverso la sentenza del 25/10/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME difensore delle parti civili NOME e COGNOME NOMECOGNOME il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia rigettato e che il ricorrente sia condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle suddette parti civili, come da allegata nota spese;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25/10/2024, la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del 17/01/2024 del G.i.p. del Tribunale di Roma, emessa in esito a giudizio abbreviato, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di sei anni e sei mesi di reclusione ed € 2.000,00 di multa per il reato di rapina pluriaggravata (dall’essere stata la minaccia commessa con armi, da persone travisate e da più persone riunite, dall’essere stato il fatto commesso nei confronti di persone ultrasessantacinquenni e dall’avere cagionato alle stesse un danno
patrimoniale di rilevante gravità) in concorso (con NOME COGNOME e NOME COGNOME) ai danni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
Avverso tale sentenza del 25/10/2024 della Corte d’appello di Roma, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a sei motivi.
2.1. Il primo motivo è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) e d), cod. proc. pen., «con riferimento alla inutilizzabilità dei contenuti dell memoria del cellulare sottoposto a sequestro dall’A.G. di Milano, trasmessi all’A.G. di Roma e alla mancanza assoluta di motivazione sulle doglianze esposte dalla difesa sul punto nell’atto di appello».
Il COGNOME rappresenta che, con il proprio atto di appello, aveva dedotto IManutilizzabilità degli elementi di prova derivanti dalla estrapolazione dei dati dei cellulari in uso al Sarno», per avere il pubblico ministero presso il Tribunale di Milano, il quale aveva trasmesso i suddetti dati al pubblico ministero presso il Tribunale di Roma, sottoposto a sequestro probatorio il telefono cellulare del Sarno acquisendo illegittimamente in modo indiscriminato tutti i dati che erano contenuti in tale dispositivo.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Roma «eludeva totalmente l’assunto difensivo, cestinando direttamente il motivo di impugnazione» o, comunque, motivando in modo solo apparente su di esso. I
Il COGNOME sostiene non «possa mettersi in dubbio l’incidenza dell’esito dell’eventuale accoglimento del motivo sull’intera regiudicanda» e, a riprova dell’utilizzo, da parte dei giudici del merito, «degli esiti acquisitivi dei dati conte nei telefoni», rappresenta che: a) «sono stati acquisiti i tabulati telefonici dei imputati (pag. 2 sent. Gip); l’individuazione delle celle agganciate (pagg. 5, 6 e 7 sent. Gip); i contenuti che rilevano contatti tra gli imputati (pag. 6 sent. Gip); geolocalizzazione (pag. 7)»; b) alla pag. 6 della sentenza di primo grado si afferma in particolare che: «n data 24/09/2022, la Sezione Volante della PS Comasina della Questura di Milano, procede al controllo di Tundis NOME che viene trovato in possesso di un telefono cellulare marca I-Phone XR contenente l’utenza 3510359358 dal cui contenuto si rilevano contatti con COGNOME NOME e, in particolare, con l’utenza 3313472830».
Il ricorrente lamenta ancora l’erroneità dell’asserita tesi della Corte d’appello «che esclude dal novero della segretezza e della proprietà i c.d. dati “esteriori” rilevabili dalla memoria dei cellulari sequestrati al Sarno» ed evidenzia al riguardo che tali dati «sono stati considerati dalla giurisprudenza costituzionale e d legittimità coperti dalla medesima tutela apprestata ex art. 15 Costituzione alla corrispondenza. Ritenuto, conseguentemente, l’utilizzo di tali dati (anche se
“esteriori”), ne consegue la ricorrenza della violazione di norma costituzionale che determina l’invalidità dell’atto anche nell’ambito del giudizio a prova contratta».
2.2. Il secondo motivo è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., per violazione dell’art. 192 dello stesso codice «con riferimento alla inutilizzabilità degli esiti accertativi delle immagini relati riconoscimento del Sarno attraverso il Sistema SARI e alla mancanza, carenza e illogicità della motivazione in punto di valorizzazione indiziaria».
Dopo avere trascritto il proprio motivo di appello su tale punto (pagg. 10-13 del ricorso), il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Roma non avrebbe «vagliato il motivo di gravame specificamente argomentato dalla difesa, omettendo di sondare la violazione dei diritti fondamentali dei cittadini così come riportati ne motivo sopra trascritto».
Secondo il ricorrente, sarebbe comunque illogico attribuire valenza indiziaria a una compatibilità solo del 55,2% tra le immagini di uno dei soggetti che erano stati ripresi dalle telecamere di videosorveglianza e l’immagine del proprio cartellino foto-segnaletico, atteso che, così facendo, «i entra nel concetto di probabilismo confinante con il possibilismo così non consentendo che dell’esito accertativo se ne possa dedurre un elemento a carico dell’imputato».
2.3. Il terzo motivo è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per violazione di legge e manifesta illogicità e carenza della motivazione «in ordine al riconoscimento facciale effettuato dai Carabinieri del RIS mediante “confronto antroposomatico”».
Il COGNOME lamenta la manifesta illogicità della motivazione in quanto la Corte d’appello di Roma avrebbe valorizzato il suddetto riconoscimento antroposomatico «non tanto in virtù della capacità e forza scientifica, oggettivamente dimostrata, sottoponibile ad un giudizio controfattuale che impedisce qualsiasi soluzione alternativa, ma in forza della mancanza di elementi che ne avrebbero potuto generare la incompatibilità, come, ad esempio, l’aver sostenuto l’insussistenza di “d ifform ità”».
Inoltre, non vi sarebbe «alcuna spiegazione cerca il grado di compatibilità tra i fotogrammi estrapolati dalle videoriprese e la fotografia segnaletica dell’imputato», in termini di «percentuale di compatibilità».
Il COGNOME deduce ancora che qualora, «come auspicato dalla difesa, si dichiarassero inutilizzabili gli esiti acquisitivi derivanti dall’utilizzo del Si SARI, ne deriverebbe, all’evidenza, la mancanza dell’elemento di prova da sottoporre a confronto di compatibilità con la fotografia segnaletica dell’imputato».
2.4. Il quarto motivo è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., per violazione di legge e vizio della motivazione «con
riferimento all’art. 192 Cpp e alla valorizzazione dell’insuccesso dell’alibi forni dall’imputato».
2.5. Il quinto motivo è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., per violazione di legge e vizio della motivazione «con riferimento all’art. 192 Cpp in punto di valorizzazione probatoria delle risultanze estrapolate dalle celle telefoniche» che erano state agganciate dai propri telefoni cellulari.
Il COGNOME deduce che tale valorizzazione sarebbe manifestamente illogica e in particolare: a) quanto alle celle agganciate il giorno prima della rapina, che «ttribuire certezza sulla localizzazione delle utenze è operazione non plausibile né logica ove si riconosce, contestualmente, la potenzialità oggettiva e di elevata probabilità, che i dati utilizzabili non siano rappresentativi della rea fenomenica descritta in sentenza. Quindi, che il giorno prima del fatto, l’utenza del COGNOME agganciasse la cella di Roma, nei pressi di INDIRIZZO, dove è ubicata la macelleria del Romani, è dato probatorio totalmente insignificante»; b) che «anifestamente illogica e contraddittoria è la ritenuta presenza del COGNOME (asserito utilizzatore) addirittura nel luogo esatto in cui è stato consumato il reato È noto che la visura delle celle telefoniche non consente di individuare il punto esatto in cui l’utenza materiale si trovi in un determinato momento»; c) che «ncor meno valente deve ritenersi l’elemento indiziario relativo alle celle agganciate dalla seconda utenza attribuita al Sarno (379.1717188), e ciò per le ragioni che la stessa Corte di merito ha richiamato in motivazione».
2.6. Il sesto motivo è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., «in relazione alla valorizzazione delle dichiarazioni dei coimputati».
Il ricorrente deduce che i principi affermati dalla Corte di Cassazione in punto di credibilità dei correi e di attendibilità delle loro dichiarazioni «nel caso di spe non risultano essere stati rispettati», atteso che i giudici del merito avrebbero «sottovalutato l’interesse concreto che avevano i dichiaranti nel rendere affermazioni accusatorie nei confronti del Sarno». Interesse che, secondo il ricorrente, era costituito dall’«aspettativa di accoglimento della richiesta d applicazione della pena concordata avanzata in via preliminare dinanzi al Gip (una delle quali accolta)».
Sarebbe inoltre carente il requisito dell’autonomia genetica delle chiamate in correità, «atteso che le stesse non derivano da fonti di informazione diverse».
Ancora, le stesse chiamate mancherebbero di «coerenza temporale», in quanto i correi «hanno dapprima negato di aver partecipato alla rapina e solo successivamente, ma con l’interesse sopra già richiamato, avrebbero cambiato
versione affermando la loro presenza sul luogo ed al momento dei fatti insieme a Sarno».
Il COGNOME sottolinea che «la mancanza di “costanza” e “spontaneità” costituiscono requisiti negativi di valenza di riscontro alla chiamata».
Il ricorrente contesta infine che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Roma, possano essere considerati elementi di riscontro alle chiamate in correità la «pregressa conoscenza» del Tundis e del Romano e «la loro contestuale presenza a Roma».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Diversamente da quanto è sostenuto con tale motivo, la Corte d’appello di Roma ha correttamente motivato come la doglianza del ricorrente in ordine all’«Mnutilizzabilità degli elementi di prova derivanti dalla estrapolazione dei dati dei cellulari in uso al Sarno» fosse «inconferente», atteso che, dei dati che erano contenuti nei suddetti apparecchi telefonici, e dei quali il pubblico ministero presso il Tribunale di Milano aveva effettuato la cosiddetta copia forense che aveva poi trasmesso al pubblico ministero presso il Tribunale di Roma, non era stata fatta alcuna utilizzazione.
La correttezza di tale motivazione è confermata dalla lettura delle motivazioni delle sentenze di merito, dalle quali effettivamente non emerge alcuna utilizzazione di «elementi di prova derivanti dalla estrapolazione dei dati dei cellulari in uso al Sarno».
La Corte d’appello di Roma ha correttamente osservato che a essere utilizzati non erano stati i contenuti che erano presenti nei telefoni cellulari in uso all’imputato bensì i dati relativi al traffico telefonico e all’ubicazione di tali te cellulari, i quali dati vengono acquisiti presso il fornitore del servizio telefonico non tramite la menzionata copia forense).
Del resto, lo stesso ricorrente, là dove argomenta che «sono stati acquisiti i tabulati telefonici dei tre imputati (pag. 2 sent. Gip); l’individuazione delle ce agganciate (pagg. 5, 6 e 7 sent. Gip); ; la geolocalizzazione (pag. 7)», fa evidentemente riferimento non ai contenuti che erano presenti nei telefoni cellulari a lui in uso ma ai dati relativi al traffico telefonico e all’ubicazione degli st cellulari.
Quanto al riferimento che è stato fatto dal ricorrente a quanto è argomentato dal G.i.p. del Tribunale di Roma alla pag. 6 della sentenza di primo grado, si deve rilevare come tale argomentazione si riferisca a dati che risultavano dal telefono non del COGNOME ma di NOME COGNOME.
Quanto, infine, alle doglianze che sono state avanzate a proposito dell’acquisizione degli effettivamente utilizzati dati relativi al traffico telefon all’ubicazione dei telefoni cellulari dell’imputato, posto che tale acquisizione senz’altro consentita dalla legge, a norma dell’art. 132 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, le stesse doglianze risultano assolutamente generiche, atteso che il ricorrente ha del tutto omesso di indicare perché, nel caso di specie, l’acquisizione degli stessi dati avrebbe integrato una «violazione di norma costituzionale».
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Si deve anzitutto evidenziare che, nell’economia della decisione della Corte d’appello di Roma, gli esiti del riconoscimento facciale con il sistema SARI (Sistema automatico di riconoscimento immagini) in uso alla polizia giudiziaria assumono solo il ruolo di uno dei plurimi riscontri individualizzanti alle dichiarazi accusatorie che erano state rese nei confronti del Sarno dai due coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME – i quali avevano confessato di avere commesso la rapina, dichiarando che alla stessa aveva partecipato anche il Sarno, con la funzione di basista -, tra i quali riscontri vi erano anche le risultanze dei dati relativi al tra e all’ubicazione dei telefoni cellulari del Sarno di cui si dirà esaminando il quint motivo.
Ciò evidenziato, si deve osservare che, come è stato rilevato dalla Corte d’appello di Roma, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 39551 del 13/07/2023, COGNOME, non massimata, non ha escluso l’utilizzabilità degli esiti dell’utilizzo del Sistema SARI, qualora gli stessi si inseriscano in un più strutturato complesso di risultanze probatorie («il Tribunale del Riesame non si è limitato a valorizzare il giudizio di compatibilità dei dati somatici del viso, offerto dal sistem COGNOME in uso alle forze di polizia giudiziaria, che forniva una percentuale di somiglianza non rassicurante, ma ha dato rilievo ad un sistema di comparazione elaborato dalla polizia scientifica che non si limita ad attribuire un giudizio somiglianza tra le immagini dei volti poste a raffronto, ma che si basa sui dati fisionomici dell’individuo, e quindi su parametri estremamente individualizzanti, che ha fornito un risultato di compatibilità in relazione a tutti gli elementi posti comparazione, ma che non ha consentito di garantire certezza di identità per il solo fatto che i dati desumibili dalle immagini erano soltanto in numero di otto. A fronte di tale elemento indiziario estremamente significativo, il giudice del riesame ha poi tratto spunto dal conforto costituito da ulteriori elementi rafforzativi [… Nel caso in esame, tali risultanze probatorie erano senz’altro ravvisabili nelle chiamate in correità dei due coimputati, nei dati relativi al traffico e all’ubicazio dei telefoni cellulari del Sarno di cui si dirà esaminando il quinto motivo e, con specifico riguardo all’individuazione dello stesso COGNOME come uno dei soggetti che erano stati ripresi dalle telecamere di videosorveglianza, nelle risultanze del
confronto antroposomatico che era stato svolto dai Carabinieri del RIS di cui si dirà esaminando il terzo motivo.
Quanto alla contestazione secondo cui sarebbe illogico attribuire valenza indiziaria a una compatibilità solo del 55,2%, si deve osservare che la Corte d’appello di Roma ha ritenuto che, tenuto conto di tale non rassicurante percentuale, gli esiti dell’utilizzo del Sistema SARI valessero a comprovare soltanto «una apprezzabile somiglianza» (pag. 5 della sentenza impugnata) del Sarno con il soggetto che era stato ripreso dalle telecamere di videosorveglianza.
Diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, l’attribuzione di una tale limitata valenza («una apprezzabile somiglianza») all’indicata compatibilità del 55,2% appare del tutto logica, tenuto conto che la Corte d’appello di Roma ha in realtà fondato la ritenuta individuazione del Sarno come uno dei soggetti che erano stati ripresi dalle telecamere di videosorveglianza non tanto sugli esiti dell’utilizzo del Sistema SARI quanto, piuttosto, sulle risultanze del confronto antroposomatico che era stato svolto dai Carabinieri del RIS di cui subito si dirà esaminando il terzo motivo.
1. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Roma ha riportato tutte le coincidenze a livello antroposomatico che erano state riscontrate dai Carabinieri del RIS confrontando i fotogrammi che erano stati estrapolati dalle riprese delle telecamere di videosorveglianza e la fotografia segnaletica del Sarno («grado di adiposità del volto; morfologia del volto; tipologia di capelli; attaccatura dei capelli sulla region frontale e temporale destra; andamento della fronte; morfologia dell’andamento del naso; pliche naso buccali; morfologia del mento; andamento del profilo fronto nasale; morfologia generale del padiglione auricolare destro»). La Corte d’appello ha altresì evidenziato come i Carabinieri del RIS, nell’esprimere la propria valutazione di compatibilità tra i soggetti che avevano sottoposto a confronto, avessero chiarito come la mancata espressione di un giudizio di compatibilità totale fosse dovuta solo alla mancanza di segni caratteristici quali nei, cicatrici, rughe caratteristiche, eccetera.
Alla luce di ciò, l’affermazione della Corte d’appello di Roma secondo cui vi era «piena sovrapposizione tra i tratti somatici dell’imputato e quelli della persona ripresa dal sistema di videosorveglianza» appare del tutto conseguente e pienamente logica.
Pertanto, la Corte d’appello di Roma ha fondato il proprio giudizio di compatibilità non «in forza della mancanza di elementi che ne avrebbero potuto generare la incompatibilità», come è sostenuto dal ricorrente, ma in forza – in positivo – della sopra indicata piena sovrapponibilità dei tratti somatici del Sarno
ai tratti somatici del soggetto che era stato ripreso dalle telecamere di videosorveglianza.
Solo successivamente al riscontro, in positivo, di tale piena sovrapponibilità, la Corte d’appello di Roma ha verificato, in modo anch’esso del tutto logico, l’assenza di «alcuna difformità».
Il quarto motivo è manifestamente infondato.
È vero che l’alibi fallito non costituisce neppure un indizio a carico dell’imputato.
Tuttavia, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, la Corte d’appello di Roma non ha attribuito alcun valore indiziario alla mancanza di prova dell’alibi che era stato addotto dal COGNOME ma si è limitata a prendere atto di tale mancanza di prova, senza attribuire alla stessa una valenza indiziaria a carico dell’imputato (pag. 6, punto 4.3, della sentenza impugnata).
Si deve peraltro osservare che la Corte di cassazione, nell’affermare che l’alibi fallito non costituisce neppure un indizio a carico dell’imputato, ha comunque puntualizzato che, nel caso in cui sia stata acquisita aliunde la prova della responsabilità – come è avvenuto, per le ragioni che si sono dette e che si diranno, nel caso di specie -, lo stesso alibi fallito «può costituire un elemento integrativo, di chiusura del costrutto probatorio» (Sez. 5, n. 4 del 27/09/2019, dep. 2020, COGNOME, non massimata. Nello stesso senso, Sez. 5, n. 38139 del 13/09/2024, COGNOME, non massimata, secondo cui: «né costituisce un indizio l’alibi fallito, che al più rappresenta un elemento integrativo, di chiusura di un quadro probatorio già acquisito»).
Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Quale elemento di riscontro individualizzante delle dichiarazioni eteroaccusatorie del Romano e del Tundis, la Corte d’appello di Roma ha valorizzato il fatto che, il giorno prima della rapina, una delle utenze cellulari in uso al Sarno (331-3472830) aveva agganciato una “cella” in Roma nei pressi di INDIRIZZO dove era ubicata la macelleria della persona offesa NOME COGNOME. Contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, tale dato non è affatto «totalmente insignificante» ma la sua valorizzazione è, al contrario, del tutto logica, in quanto rende logicamente pienamente plausibile quanto ritenuto dal G.i.p. del Tribunale di Roma circa l’effettuazione di un sopralluogo, il giorno prima della rapina, finalizzato a monitorare gli spostamenti del Romani (pag. 7 della sentenza di primo grado).
Quali ulteriori elementi di riscontro individualizzante delle dichiarazioni eteroaccusatorie del Romano e del Tundis, la Corte d’appello di Roma ha poi valorizzato il fatto che, il giorno della rapina, la menzionata utenza cellulare in uso al Sarno aveva agganciato delle “celle” che, per ubicazione e orario, erano «compatibili»
con un percorso di avvicinamento dell’imputato al luogo di effettuazione della rapina (l’abitazione delle vittime) e con la presenza dello stesso imputato sul luogo del reato nel momento della sua consumazione. Anche la valorizzazione di tali dati risulta palesemente pienamente logica. Non è vero, poi, che, come è sostenuto dal ricorrente, la Corte d’appello di Roma abbia ritenuto che la dislocazione delle “celle” consentirebbe «di individuare il punto esatto in cui l’utenza materiale si trovi in un determinato momento» (così il ricorso). La Corte d’appello di Roma non ha affatto sostenuto questo ma, come si è visto, si è limitata a dire che le “celle” che erano state agganciate dall’utenza cellulare del Sarno erano «compatibili» con la presenza dello stesso COGNOME sul luogo del reato nel momento della sua consumazione, il che è una cosa del tutto diversa.
Quanto alla censura secondo cui «ncor meno valente deve ritenersi l’elemento indiziario relativo alle celle agganciate dalla seconda utenza attribuita al Sarno (379.1717188), e ciò per le ragioni che la stessa Corte di merito ha richiamato in motivazione», essa risulta del tutto generica e, perciò, non consentita, atteso che il ricorrente ha completamente omesso di spiegare sia quali sarebbero «le ragioni che la stessa Corte di merito ha richiamato in motivazione» alle quali intende fare riferimento sia perché, a suo avviso, le medesime ragioni dovrebbero indurre a ritenere «ncor meno valente l’elemento indiziario relativo alle celle agganciate dalla seconda utenza attribuita al Sarno (379.1717188)».
Il sesto motivo è manifestamente infondato.
Col ritenere l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie che erano state rese dai coimputati NOME e COGNOME nei confronti del COGNOME anche in ragione del fatto che, dagli atti processuali, non era emerso neppure il sospetto di un interesse degli stessi coimputati a rendere delle dichiarazioni etero-accusatorie false, coinvolgendo calunniosamente il COGNOME (pag. 5 della sentenza impugnata), la Corte d’appello di Roma ha espresso una valutazione di merito che, in quanto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste, non è censurabile in questa sede.
Quanto all’ipotesi che è stata avanzata dal difensore dell’imputato nel ricorso secondo cui il COGNOME e il COGNOME avrebbero avuto interesse a calunniare il COGNOME per l’«aspettativa di accoglimento della richiesta di applicazione della pena concordata avanzata in via preliminare dinanzi al Gip», si tratta, all’evidenza, di una mera congettura, priva di qualsiasi elemento di riscontro.
Neppure configura alcuna contraddizione o illogicità il fatto che i due coimputati, prima di ammettere i fatti e di accusare degli stessi anche il COGNOME, li avessero inizialmente negati.
Tutto ciò posto, si deve infine affermare come la Corte d’appello di Roma abbia fatto corretta applicazione del principio secondo cui «la possibilità che plurime
dichiarazioni di coimputati nel medesimo reato (o in procedimento connesso o collegato ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen.) siano idonee a fungere da riscontro
reciproco è una acquisizione stabile della giurisprudenza di legittimità, ribadita in molteplici arresti di questa Corte, concordi nel richiedere che tali dichiarazioni
convergano sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del
fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di un’insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi (Sez. U., n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013,
COGNOME e altri, Rv. 255145; Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, COGNOME e altro, Rv. 262309; Sez. 1, n. 34102 del 14/07/2015, COGNOME e altro, Rv.
264368)». Tale convergenza sul nucleo essenziale del narrato, nel caso in esame, non appare seriamente contestabile.
7. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dall’inammissibilità del ricorso consegue altresì la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME, che si liquidano in complessivi euro 4.500,00, oltre accessori di legge, da distrarsi a favore dell’avv. NOME COGNOME che si è dichiarato antistatario.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME e COGNOME NOME che liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre accessori di legge, da distrarsi a favore dell’avv. NOME dichiaratosi antistatario.
Così deciso il 20/03/2025.