Valore dichiarazioni persona offesa: la Cassazione conferma la loro centralità
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nel processo penale: il valore delle dichiarazioni della persona offesa. Questa decisione ribadisce che la testimonianza della vittima di un reato può essere l’unica prova su cui si fonda una sentenza di condanna, a condizione che sia sottoposta a un’attenta e rigorosa valutazione da parte del giudice. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante provvedimento.
Il caso: condanna per truffa e ricorso in Cassazione
Il caso trae origine da una condanna per il reato di truffa, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello. L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Una presunta violazione dell’art. 192 del codice di procedura penale e un vizio di motivazione, sostenendo che la condanna si basasse unicamente sulle dichiarazioni della persona offesa senza adeguati riscontri.
2. Un’errata motivazione riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La Suprema Corte ha respinto entrambe le doglianze, dichiarando il ricorso inammissibile.
Il valore delle dichiarazioni della persona offesa nei principi della Corte
Il cuore della decisione risiede nel primo motivo di ricorso, che ha permesso alla Cassazione di riaffermare principi consolidati sulla valutazione della testimonianza della vittima.
L’inapplicabilità dell’art. 192, comma 3, c.p.p.
La difesa sosteneva che le dichiarazioni della persona offesa dovessero essere corroborate da altri elementi di prova, come previsto dall’art. 192, comma 3, c.p.p. per le dichiarazioni dei coimputati. La Corte ha nettamente smentito questa tesi, chiarendo che tale regola non si applica alla persona offesa, neanche quando si costituisce parte civile. La sua testimonianza ha una natura diversa e non richiede necessariamente riscontri esterni.
Il dovere di una valutazione rigorosa
Pur non richiedendo riscontri esterni, la testimonianza della vittima non viene accettata acriticamente. Al contrario, la Corte sottolinea che proprio perché può essere l’unica prova, il giudice ha il dovere di sottoporla a un vaglio di credibilità più penetrante e rigoroso rispetto a quello riservato a qualsiasi altro testimone. Questo controllo deve riguardare sia la credibilità soggettiva del dichiarante (la sua personalità, i suoi rapporti con l’imputato, il suo interesse nel processo) sia l’attendibilità intrinseca del racconto (la coerenza, la logicità e l’assenza di contraddizioni).
L’inammissibilità del motivo sulle attenuanti generiche
Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile. La Corte ha osservato che le argomentazioni presentate erano una mera e pedissequa reiterazione di quelle già formulate e respinte dalla Corte d’Appello. Un ricorso in Cassazione, per essere ammissibile, deve contenere una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata, non limitarsi a riproporre le stesse difese. Mancando questa specificità, il motivo è stato considerato solo apparente e quindi inammissibile.
Le motivazioni della decisione
La decisione della Corte si fonda su un bilanciamento tra la necessità di tutelare la vittima del reato e quella di garantire un giusto processo all’imputato. Le motivazioni evidenziano che negare a priori la possibilità di condannare sulla base della sola parola della vittima significherebbe lasciare impuniti molti reati, specialmente quelli che si consumano in assenza di altri testimoni. Tuttavia, per evitare condanne ingiuste, si impone al giudice un onere motivazionale rafforzato. Egli deve spiegare in modo dettagliato e convincente perché ha ritenuto credibile il racconto della persona offesa e perché questo racconto, da solo, è sufficiente a provare la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero svolto correttamente questa valutazione.
Le conclusioni e le implicazioni pratiche
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza. Per le vittime di reato, rappresenta la conferma che la loro voce ha un peso determinante nel processo. Per gli imputati e i loro difensori, sottolinea l’importanza di concentrare le strategie difensive non sulla presunta insufficienza della singola prova dichiarativa, ma sulla sua credibilità, cercando di far emergere eventuali incongruenze o contraddizioni. Infine, per i giudici, ribadisce la centralità del loro ruolo nel valutare la prova con equilibrio, rigore e una motivazione solida, quale pilastro fondamentale dello stato di diritto.
La sola testimonianza della persona offesa può bastare per una condanna penale?
Sì, la Corte di Cassazione ha ribadito che le dichiarazioni della persona offesa, anche se costituita parte civile, possono essere poste da sole a fondamento di una condanna, a condizione che il giudice ne abbia verificato con particolare rigore la credibilità soggettiva e l’attendibilità intrinseca del racconto.
Le regole sulla valutazione della prova previste per i coimputati si applicano anche alla persona offesa?
No, l’ordinanza chiarisce che le regole dettate dall’art. 192, comma 3, del codice di procedura penale, che richiedono riscontri esterni per le dichiarazioni di coimputati, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa.
Perché un motivo di ricorso può essere dichiarato inammissibile se ripropone le stesse argomentazioni dell’appello?
Un motivo di ricorso viene dichiarato inammissibile se si limita a una ‘pedissequa reiterazione’ di argomenti già esaminati e respinti nel grado precedente, senza svolgere una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata. In tal caso, il motivo è considerato non specifico e solo apparente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4468 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4468 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/03/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
Ritenuto che il primo motivo di ricorso che denunc:ia vizio di violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e vizio della motivazione posta a base della condanna per il reato di cui all’art. 640 c.p.p., non è deducibile, in quanto le regole dettate dall’art. comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, anche se costituita parte civile, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione (si veda in particolare pag.3, ove si evidenzia l’assenza di deduzioni e di documentazione della ricorrente a sostegno di quanto contestato) , della credibilità soggettiva del/della dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo raccon che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214);
Ritenuto che il secondo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del diniego della concessione dePe circostanze attenuanti generiche, è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, specificatamente nella pagina 4 della impugnata sentenza, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissioile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila alla cassa delle ammende
Roma 9/01/24