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Validità querela: la volontà di punire è decisiva

Un soggetto, condannato per furto aggravato, ha impugnato la sentenza sostenendo la mancanza di una valida querela. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che la volontà di punire, elemento essenziale per la validità della querela, può essere desunta anche implicitamente dal titolo e dal contenuto dell’atto presentato dalla persona offesa. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Validità Querela: Quando la Volontà di Punire Rende l’Atto Efficace

La recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce un importante chiarimento sulla validità querela, un atto fondamentale per la procedibilità di numerosi reati. Il caso esaminato riguarda la necessità di una manifestazione esplicita della volontà di punire il colpevole. La Suprema Corte ha ribadito che tale volontà può essere desunta anche da elementi impliciti, confermando un orientamento che privilegia la sostanza sulla forma.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva condannato in primo grado e in appello per due episodi di furto aggravato, commessi ai danni di due diversi esercizi commerciali. La difesa dell’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, basando la propria argomentazione su un unico motivo: la presunta invalidità delle querele sporte dalle persone offese. Secondo il ricorrente, mancava una chiara ed inequivocabile manifestazione della volontà di procedere penalmente nei suoi confronti, rendendo così l’azione penale improcedibile.

La Decisione della Corte sulla Validità Querela

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno stabilito che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la volontà punitiva delle persone offese emergeva chiaramente dagli atti processuali. La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: Come si Interpreta la Volontà Punitiva

La Corte ha analizzato distintamente le due situazioni. Per il primo furto, avvenuto in un supermercato, il responsabile del punto vendita aveva dichiarato espressamente di voler perseguire l’autore del fatto. In questo caso, la volontà era esplicita e non lasciava adito a dubbi.

Più complesso, ma altrettanto chiaro per la Corte, il caso del secondo furto ai danni di un’altra catena commerciale. Il responsabile aveva sporto un atto intitolato “denuncia/querela”. Secondo i giudici, la volontà punitiva si ricavava inequivocabilmente da due elementi:
1. L’intestazione dell’atto: la qualificazione formale come “querela” è un indice significativo dell’intenzione della parte offesa.
2. Il contenuto dell’atto: la persona offesa aveva fornito precise circostanze e dettagli utili all’identificazione del responsabile, un comportamento che implicitamente dimostra l’intenzione di volere che si proceda penalmente.

La Corte ha richiamato precedenti giurisprudenziali consolidati, secondo cui la manifestazione della volontà di perseguire l’autore del reato, ai fini della validità querela, è desumibile anche dall’espressa qualificazione dell’atto come “verbale di denuncia querela”, specialmente quando l’atto è sottoscritto dalla persona offesa che ne conferma così il contenuto e la qualificazione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia rafforza un principio di fondamentale importanza pratica: nella valutazione della validità di una querela, l’aspetto sostanziale prevale su quello puramente formale. Non è indispensabile l’uso di formule sacramentali o di dichiarazioni esplicite come “chiedo che si proceda penalmente”. Ciò che conta è che la volontà della persona offesa di attivare la risposta sanzionatoria dello Stato emerga in modo non equivoco dal contesto dell’atto, sia dalla sua intestazione che dal suo contenuto descrittivo. Questa interpretazione tutela la persona offesa, che spesso non possiede competenze giuridiche, garantendo che la sua intenzione di ottenere giustizia non venga vanificata da meri vizi di forma.

Perché una querela sia valida, è necessaria una dichiarazione esplicita di voler perseguire il colpevole?
No. Secondo la Corte, la volontà di perseguire l’autore del reato può essere desunta anche in modo implicito, ad esempio dalla qualificazione dell’atto come ‘querela’ nel titolo o dal contenuto dettagliato della denuncia, dove la persona offesa fornisce elementi utili all’identificazione del responsabile.

Se un atto è intitolato ‘denuncia/querela’, come si stabilisce la sua natura?
La Corte di Cassazione ha chiarito che l’intestazione dell’atto come ‘querela’ è un elemento significativo. Se la persona offesa firma un documento così qualificato, confermando il suo contenuto, ciò è sufficiente a manifestare la volontà punitiva richiesta per la validità della querela.

Quali sono state le conseguenze per il ricorrente in questo caso?
Il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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