Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27856 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27856 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nata a Carpi il 07/07/1992
avverso la sentenza del 24/02/2025 della Corte d’appello di Genova
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
rilevato che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5 e 611, comma 1bis e ss. cod. proc. pen.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME con requisitoria scritta tempestivamente depositata, chiedeva la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Genova confermava la responsabilità di NOME COGNOME in relazione al reato di truffa, escludendo la sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 640, comma 2, numero 2 bis cod. pen.
Si contestava alla stessa di avere concorso nella consumazione di una
truffa, inducendo NOME COGNOME a compiere un’operazione tramite la quale ricaricava la carta ‘ postepay ‘ in uso ad NOME COGNOME credendo di ricevere una ricarica sulla propria carta.
Contro tale sentenza ricorreva il difensore di NOME COGNOME che deduceva.
2.1. violazione di legge (art. 640, comma 2, numero 2bis cod. pen.) e vizio di motivazione: la responsabilità sarebbe stata confermata senza considerare le doglianze proposte con l’appello; in particolare non sarebbe stato approfondito il tema della identificazione della persona che aveva acquistato la scheda ‘ s im’ utilizzata per la truffa e non sarebbero state svolte indagini su chi fosse l’utilizzatore della carta; si deduceva, inoltre, che sarebbe stato illegittimamente invertito l’onere della prova assegnando valore alla circostanza che la ricorrente si era avvalsa della facoltà di non rispondere;
2.2. violazione di legge (art. 120 cod. pen.) e vizio di motivazione: il reato sarebbe divenuto procedibile a querela, ma dalla denuncia sporta dal COGNOME non si evincerebbe l’intenzione di perseguire penalmente l’autore del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso non supera la soglia di ammissibilità in quanto si risolve nella richiesta di rivalutare la capacità dimostrativa delle prove, senza indicare vizi logici manifesti e decisivi del percorso motivazionale posto a conferma della responsabilità.
In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimità della motivazione si riafferma che la Corte di legittimità non può effettuare alcuna valutazione di ‘merito’ in ordine alla capacità dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito è limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate -o indicate – in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,O., Rv. 262965).
Nel caso in esame la motivazione della sentenza impugnata appare accurata e persuasiva in ordine alla conferma della responsabilità di NOME COGNOME per la truffa contestata.
La Corte d’appello rilevava in modo condivisibile che, pur non essendovi corrispondenza tra l’identità fisica della persona che aveva materialmente trattato l’operazione con l’offeso e quella della COGNOME, beneficiaria della
ricarica, risultava decisivo il rilievo che la carta postale sulla quale è stata accreditata la somma di denaro provento della truffa è intestata alla ricorrente: la Corte d’appello riteneva -logicamente – che fosse inverosimile che la Cavazza avesse lucrato la somma della ricarica senza previo concerto con l’autore della trattativa, il quale, a sua volta, non avrebbe fatto accreditare l’ingiusto profitto conseguito sulla carta di una persona estranea.
Tali emergenze, secondo la condivisibile e logica valutazione della Corte di merito, indicavano in modo non equivoco il concorso di NOME COGNOME nella consumazione della truffa ai danni del COGNOME.
La motivazione non si presta, dunque, ad alcuna censura in questa sede.
1.2. E’ manifestamente infondato i l secondo motivo di ricorso con il quale la ricorrente ha contestato la sussistenza della condizione di procedibilità allegando che nell ‘atto che la polizia giudiziaria aveva qualificato come ‘denuncia -querela ‘ non sarebbe stata espressa la volon tà di perseguire penalmente l’autore della truffa.
1.2.1. In materia il Collegio intende riaffermare che ai fini dell’esercizio del diritto di querela è sufficiente la espressa qualificazione formale dell’atto con il quale esso viene esercitato, costituendo il termine “querela” sintesi della manifestazione della volontà che lo Stato proceda penalmente in ordine al fatto di reato in essa descritto (Sez. 4, n. 10789 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 278654 -01; Sez. 3, n. 28837 del 08/09/2020, C., Rv. 280627 -01).
Peraltro, il Collegio rileva sul punto che l’art. 336 cod. proc. pen. descrive la querela come atto a forma libera, dal quale risulti chiaramente (ma anche implicitamente) la manifestazione di volontà della persona offesa volta a rimuovere un ostacolo alla perseguibilità di determinati reati. E che la tradizionale giurisprudenza della Cassazione, in uno con la migliore dottrina, ha elaborato il principio del favor querelae (cfr., Sez. 4, n. 46994 del 15/11/2011, Bozzetto, Rv. 251439;Sez. 2, n. 49379 del 30/11/2012, B.D., non mass.; Sez. 5, n. 23010 del 06/02/2013, L.S., non mass.), fatto proprio anche dal legislatore (artt. 120 e 122 cod. pen.), in base al quale qualsiasi situazione di incertezza va risolta in favore del querelante. Costituisce coerente applicazione di questo principio l’interpretazione che privilegia la volontà querelatoria in qualsiasi forma espressa, al di là dell’uso di formule sacramentali (Sez. 4, n. 10462 del 21/01/2025, NOME COGNOME, Rv. 287759 – 01Sez. 3, n. 28837 del 08/09/2020, C., Rv. 280627 -01; Sez. 2, n. 30700 del 12/04/2013, De, Rv. 255885 – 01 Sez. 5, n. 15691 del 06/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 260557 -01).
Nel caso in esame l’atto che ha consentito di avviare il procedimento a carico di NOME COGNOME veniva espressamente qualificato dalla Polizia giudiziaria
come atto di ricezione di ‘querela orale’ e conteneva la dettagliata esposizione delle circostanze della truffa dando chiaramente conto della esistenza di una volontà punitiva.
Si ritiene pertanto che, contrariamente a quanto dedotto, sussista una valida condizione di procedibilità.
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 11 luglio 2025.