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Validità querela: come si manifesta la volontà di punire

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per truffa. La sentenza stabilisce due principi chiave: essere titolare della carta prepagata su cui viene versato il profitto del reato costituisce prova di concorso; per la validità querela è sufficiente la qualificazione formale dell’atto come tale, senza necessità di formule sacramentali, in applicazione del principio del ‘favor querelae’.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Validità Querela: Basta il Nome o Servono Formule Specifiche?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 27856 del 2025, affronta due questioni cruciali in materia di truffa e procedura penale, offrendo chiarimenti importanti sulla prova del concorso nel reato e sulla validità querela. Il caso riguarda una persona condannata per aver concorso in una truffa, il cui profitto era stato accreditato su una carta a lei intestata. Analizziamo la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso: Una Truffa con Carta Prepagata

I fatti alla base della vicenda sono purtroppo comuni. Una persona è stata indotta con l’inganno a effettuare una ricarica su una carta prepagata, credendo di ricevere a sua volta un accredito sulla propria. In realtà, stava semplicemente trasferendo denaro ai truffatori. Le indagini hanno rivelato che la carta beneficiaria della somma era intestata a una donna, la quale è stata successivamente processata e condannata per concorso in truffa.

La difesa dell’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Carenza di prova: Si sosteneva che non fosse stato dimostrato chi avesse materialmente acquistato la SIM utilizzata per la truffa né chi fosse l’effettivo utilizzatore della carta prepagata, e che l’onere della prova fosse stato illegittimamente invertito.
2. Mancanza della condizione di procedibilità: Si contestava la validità querela, affermando che nell’atto di denuncia presentato dalla vittima non era stata espressa in modo esplicito la volontà di perseguire penalmente i responsabili.

La Decisione della Cassazione: Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha respinto entrambi i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile. Vediamo nel dettaglio le argomentazioni dei giudici, che toccano punti fondamentali del diritto penale e processuale.

La Prova del Concorso nel Reato di Truffa

Sul primo punto, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata.

Secondo i giudici, la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto provato il concorso dell’imputata nel reato. L’elemento decisivo era proprio l’intestazione della carta prepagata su cui era confluito il denaro. È stato considerato “inverosimile” che l’imputata potesse aver beneficiato del profitto della truffa senza un accordo preventivo con l’autore materiale dell’inganno. L’accredito su una carta personale è stato quindi valutato come un indizio grave, preciso e concordante della sua partecipazione consapevole al piano criminoso.

La Validità Querela e il Principio del ‘Favor Querelae’

La parte più interessante della sentenza riguarda la seconda doglianza. La difesa sosteneva che una semplice denuncia non fosse sufficiente a procedere, in assenza di una chiara manifestazione di volontà punitiva.

La Cassazione ha definito il motivo “manifestamente infondato”, riaffermando con forza il principio del favor querelae. Secondo questo principio, qualsiasi incertezza sull’interpretazione della volontà della persona offesa deve essere risolta in modo da favorire la procedibilità dell’azione penale.

I giudici hanno chiarito che, ai fini della validità querela, non sono necessarie formule sacramentali o frasi specifiche. È sufficiente che dall’atto emerga, anche implicitamente, l’intenzione di chiedere la punizione del colpevole. Nel caso di specie, l’atto era stato qualificato dalla polizia giudiziaria come “ricezione di querela orale” e conteneva una dettagliata descrizione dei fatti. Questo è stato ritenuto più che sufficiente a costituire una valida condizione di procedibilità.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. Per quanto riguarda la prova, la logica prevale: ricevere denaro illecito su un conto o carta personale crea una presunzione di coinvolgimento che l’imputato deve essere in grado di superare con spiegazioni plausibili, cosa che non è avvenuta. La Corte non ha invertito l’onere della prova, ma ha semplicemente valutato in modo logico gli elementi a disposizione.

Sul piano processuale, la motivazione relativa alla validità querela è volta a tutelare la vittima del reato, evitando che cavilli formali possano ostacolare la giustizia. La legge (art. 336 c.p.p.) descrive la querela come un atto a forma libera. La giurisprudenza, supportata dalla dottrina, ha da tempo elaborato il principio del favor querelae per garantire che la sostanza prevalga sulla forma. La semplice qualificazione dell’atto come “querela” da parte dell’autorità ricevente è considerata una sintesi della volontà punitiva della persona offesa, rendendo superfluo ogni altro formalismo.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza consolida orientamenti giurisprudenziali di grande importanza pratica:

1. Attenzione alla titolarità degli strumenti finanziari: Essere titolari di carte o conti su cui transitano proventi di reato è un fattore di rischio legale molto elevato. La magistratura considera tale circostanza come un grave indizio di complicità.
2. Semplificazione per le vittime di reato: Le persone offese non devono preoccuparsi di utilizzare formule giuridiche precise quando denunciano un fatto. È sufficiente raccontare l’accaduto e chiedere l’intervento delle autorità, qualificando l’atto come “querela”, perché la loro volontà di perseguire i colpevoli sia ritenuta valida ed efficace.

È necessario usare una formula specifica per sporgere una querela valida?
No. Secondo la sentenza, per la validità della querela è sufficiente la qualificazione formale dell’atto come tale (ad esempio, “querela orale”), poiché ciò sintetizza la manifestazione di volontà della persona offesa di procedere penalmente, senza bisogno di frasi sacramentali.

Essere il titolare della carta su cui viene accreditato il profitto di una truffa è sufficiente per essere considerati complici?
Sì, la Corte ha ritenuto che tale circostanza fosse un elemento decisivo e un’emergenza logica per affermare il concorso nel reato. È stato considerato inverosimile che il titolare della carta potesse beneficiare del profitto illecito senza un previo accordo con chi ha materialmente commesso la truffa.

Cosa significa il principio del ‘favor querelae’?
È un principio interpretativo secondo cui, in caso di dubbio o incertezza sulla manifestazione di volontà della persona offesa, si deve scegliere l’interpretazione che favorisce la validità e l’efficacia della querela, al fine di non ostacolare la perseguibilità del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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