Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9567 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9567 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a NAPOLI il 01/06/1990 NOME nato a NAPOLI il 22/10/1971 NOME COGNOME nato a NAPOLI il 23/08/1963 NOME nato a NAPOLI il 28/12/1991
avverso la sentenza del 25/01/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto dei ricorsi.
udito il difensore:
l’Avv. NOME COGNOME del foro di NAPOLI, insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
l’Avv. NOME COGNOME del foro di NAPOLI, si riporta ai motivi di doglianza e insiste per l’accoglimento del ricorso di COGNOME
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza del 25 gennaio 2024 con cui la Corte d’appello di Napoli ha riformato ex art. 599 del codice di rito e limitatamente al trattamento sanzionatorio- l decisione resa dal giudice di primo grado nei confronti di NOME COGNOME per il reato di c all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990, aggravato ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen., nel contesto del clan di tipo camorristico denominato COGNOME, operante nella zona di INDIRIZZO Napoli, o che per i reati ascritti ai capi 16), 29), 30), 33), 37), 40), 42), 44), 52) 54), 6 dell’imputazione. Con medesima sentenza, la Corte territoriale ha confermato la decisione di primo grado nei confronti di NOME COGNOME per il delitto di cui agli artt. 81, 648, e 416 bis.1 cod. pen, indicato al capo 69 della rubrica, di NOME COGNOME per il concorso nel delitto di cui 73 del citato D.P.R (capo 17 della rubrica) e di NOME COGNOME per il delitto di cui all’a bis, con esclusione del ruolo di capo promotore (capo 61 dell’imputazione).
Nell’interesse degli imputati è stato proposto ricorso per cassazione, con quattro distin atti, affidati ai motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att pen.
3. Ricorso NOME COGNOME a firma dell’Avv. NOME COGNOME
3.1 Col primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agl artt. 121, 581, 597 del codice di rito per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile, ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., la memoria con cui la difesa, in occasione dell’udienza di discussione del 25 gennaio 2024, proponeva al Collegio una questione -secondo la Corte d’appello- nuova, in quanto estranea all’ambito dell’impugnazione proposta con l’atto di appello
Per inquadrare il contenuto di questo primo motivo, è opportuno ricordare che, con la sentenza di primo grado del 22 novembre 2022, il giudice aveva ritenuto sussistente il vincolo della continuazione tra il delitto di cui al capo 61) e i reati di cui a una precedente sent emessa dal g.u.p. del Tribunale di Napoli in data 15 giugno 2016, definitiva in data 16 ottobr 2018, determinando in anni uno l’aumento di pena per il reato di partecipazione all’associazione di cui all’art. 416 bis cod. pen., oggetto appunto del capo d’imputazione 61).
La dichiarata inammissibilità concerneva, in particolare, il punto 3.2 della citata memori in cui si era sostenuta l’inesistenza di un sodalizio riconducibile ai COGNOME e la de scomparsa, già a partire dall’uccisione di NOME COGNOME, del diverso e più ampio organismo criminale ritenuto sussistente con la sentenza del 15 giugno 2016. Il ricorrente rileva che nell’ di appello si era contestato che egli fosse stato condannato quale dirigente del clan COGNOME (sodalizio, peraltro, mai riconosciuto in alcuna sentenza); si contestava, inoltre, come detto mancata valorizzazione, da parte del giudice di primo grado, della circostanza dell’avvenuto
scioglimento, a seguito della morte di NOME COGNOME, del clan per cui il ricorrente av militato e in relazione al quale era intervenuta la condanna del 2016.
Ebbene -osserva la difesa- tale tema, lungi dal costituire oggetto di un motivo nuovo, era null’altro che un nuovo argomento inquadrabile nei capi e punti già devoluti con l’impugnazione della sentenza di primo grado e rientrava, pertanto, nella piena cognizione della Cort distrettuale. I due diversi atti d’appello proposti dai precedenti difensori contestavano, inf capo relativo alla responsabilità dell’imputato in relazione alla partecipazione all’associazi contestata al capo 61, nonché il punto della sua continuità partecipativa al sodalizio crimino per cui era intervenuta condanna nel 2016.
3.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, anche sub specie di travisamento della prova, con riferimento gli artt. 192 e 533 cod. proc. pen., per ave la Corte territoriale posto a base del proprio giudizio una lettura delle intercettazioni smenti altre evidenze probatorie, del tutto trascurate in motivazione.
Il giudizio di responsabilità riposerebbe, infatti, sulle sole dichiarazioni etero-accusa oggetto di intercettazione, in cui la co-imputata NOME COGNOME asseriva di aver ricevuto ordi dal convivente (l’odierno ricorrente COGNOME), detenuto, circa la gestione del clan e preannunci l’intenzione di scrivergli una lettera per metterlo al corrente dei contrasti in corso con i (NOME e NOME) del COGNOME in merito alla gestione degli introiti delle piazze di spaccio.
La tesi difensiva – secondo cui la COGNOME, nelle conversazioni captate, dichiarava falsamente di ricevere ordini dal COGNOME – è stata confermata dai risultati dell’attività investigati come confermato peraltro dall’esame dibattimentale del Luogotenente COGNOME, non è stata mai rinvenuta alcuna lettera scritta dalla COGNOME e indirizzata al COGNOME, né sono stati ritrovati asseritamente trasmessi dal carcere alla donna; neppure dalle conversazioni in carcere -oggetto di intercettazioni ambientali- tra il COGNOME e la COGNOME è mai emerso un riferimento a fatti alla gestione del clan.
In violazione dell’art. 192 del codice di rito, la Corte d’appello avrebbe valoriz unicamente indizi non dotati di certezza, univocità e concordanza, attribuendo valore di prova alle dichiarazioni etero-accusatorie della COGNOME, trascurando tuttavia di valuta adeguatamente una serie di deduzioni difensive (esposte nella memoria già citata sub 3.1) volte a evidenziare, in primis, 1) come COGNOME non fosse stato condannato quale dirigente del clan omonimo (sodalizio, peraltro, mai riconosciuto in alcuna sentenza), bensì come partecipe, con compiti meramente esecutivi, a un gruppo che la prima sentenza di condanna, quella del 2016, aveva definito nei termini di clan di camorra con obiettivi limitati e a termine, nel quale i predominante era in realtà assegnato non già al presunto clan COGNOME, bensì al clan Giugliano d Forcella. Con palese travisamento di prova, l’impugnata sentenza, come già la sentenza di primo grado, ha fatto leva su un erroneo giudizio di continuità per dimostrare la prosecuzione del militanza associativa dell’imputato, senza tener conto del fatto che il g.u.p., già nella sent del 2016, aveva ritenuto non più operante il presunto clan COGNOME. Tali emergenze processuali s pongono in netto contrasto con le dichiarazioni della COGNOME, tese a far emergere -falsamente-
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il ruolo egemone del COGNOME nel clan di appartenenza. 2) In secondo luogo, la difesa sostiene che, da altre intercettazioni (di conversazioni tra la donna e i cugini del COGNOME), illogic trascurate dai giudici di merito, emergerebbe ictu ocull che COGNOME non riceveva ordini dal COGNOME. 3) Si deduce infine il mancato esame, da parte della Corte territoriale, della tesi difensi volta a dimostrare che le affermazioni di NOME COGNOME fossero ispirate a un mero espediente, adottato dalla donna: quest’ultima, sentendosi ingiustamente trascurata e scavalcata dai cugini del Sibillo, avrebbe deciso di imporre loro la propria volontà e, a tal fine, avrebbe falsame affermato di essere portavoce del Sibillo. A parere della difesa, soltanto tale interpretazione de dichiarazioni etero-accusatorie della COGNOME si concilierebbe con le -già ricordate- ulter evidenze probatorie. Valorizzando unicamente le dichiarazioni della COGNOME, senza tuttavia riferirle all’intero quadro indiziario emerso dalle indagini, la Corte d’appello avrebbe vio canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
4. Ricorso di NOME COGNOME a firma degli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
4.1 Con l’unico motivo di ricorso, si deduce violazione dell’art. 533 del codice di rito, avere la Corte d’appello affermato la penale responsabilità dell’imputata nonostante l’assenza di riscontri oggettivi volti a dimostrare la veridicità delle dichiarazioni etero-accusatorie d nuora, NOME COGNOME oggetto di due intercettazioni valorizzate dalla Corte distrettuale. entrambe le conversazioni intercettate, la COGNOME discorre con terzi -e non con la Ingenitoproposito di quest’ultima. La condanna dell’COGNOME sarebbe stata peraltro pronunciata i assenza di qualsivoglia analisi circa i rapporti intercorrenti tra l’imputata e la COGNOME.
5. Ricorso NOME COGNOME a firma dell’Avv. NOME COGNOME
5.1 Con i primi due motivi, si lamenta violazione di legge, vizio di motivazione travisamento di prova in relazione all’art. 192 del codice di rito, per avere la Corte d’ap illogicamente parcellizzato gli elementi indiziari e probatori e, segnatamente, per avere riten univocamente accertati i seguenti elementi: a) l’incontro del 15 marzo 2017 tra il Marigliano e le due co-imputate NOME COGNOME e NOME COGNOME; b) il soprannome (o’ nano), attribuito all’imputato sulla base di un’inferenza logica del tutto discutibile c) la pregressa vendita -da parte dell’imputato- di quantitativi di sostanza stupefacente (marijuana) alle medesime coimputate, dato ricavato illogicamente da un’intercettazione ambientale del medesimo giorno (15 marzo 2017); d) l’avvenuto pagamento all’imputato, da parte dell’acquirente COGNOME, del denaro per l’acquisto dei 210 grammi di sostanza stupefacente, di cui al capo 17 della rubrica, dato erroneamente desunto dall’intercettazione ambientale del giorno 17 marzo 2017: a parere della difesa era infatti notoria la circostanza -illogicamente trascurata dai giudici di merit cui le sostanze stupefacenti venivano acquistate con pagamento mai contestuale alla cessione della sostanza stessa.
In relazione al primo punto evidenziato (sub a), la difesa rimarca le incongruenze delle dichiarazioni rese dal luogotenente dei carabinieri COGNOME il quale, contrariamente a quanto dall stesso riferito in sede di esame dibattimentale del 20 aprile 2022, non ha mai preso parte a pedinamento delle imputate COGNOME e COGNOME, mentre queste ultime si recavano dal Marigliano per acquistare i 210 grammi di sostanza stupefacente. Ciò, del resto, è stato confermato dai colleghi dello COGNOME, che riferivano della presenza in caserma al momento del presunto incontro tra l’imputato, la COGNOME e la COGNOME. Pertanto, il teste non avrebbe potu materialmente né pedinare le due co-imputate, né assistere all’incontro in cui il COGNOME avrebbe ceduto la sostanza stupefacente alle stesse. Dalle risultanze istruttorie è infatti emers che altri furono gli agenti che pedinarono la COGNOME e la COGNOME, mentre queste ultime s recavano nella zona cd. delle INDIRIZZO. Peraltro, gli altri due testi escussi (carabinieri COGNOME e COGNOME) dichiaravano di aver perso di vista per circa 7 minuti l’auto Smart, in cui viaggia COGNOME e COGNOME. In definitiva, nessuno degli operanti ha mai visto uno scambio o consegna tra imputato e COGNOME. Tali dati processuali sono stati oggetto di travisamento, posto che Corte d’appello ha sostenuto che l’autovettura Snnart (con a bordo COGNOME e COGNOME) non fosse mai stata persa di vista dagli operanti.
Quanto al secondo punto (sub b), la Corte avrebbe travisato la dichiarazione del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che aveva chiarito essere il soprannome dell’imputato ben diverso e più lungo (“o nano angelo bello”) di quello indicato dai giudici merito (“o nano”). Illogicamente, i giudici di merito hanno escluso che il detto soprannome foss riferibile a un soggetto diverso dall’imputato.
Quanto al terzo elemento travisato (di cui al punto c), sempre dalle dichiarazioni de collaboratore di giustizia NOME COGNOME si era appreso che l’imputato fosse solito acquistare, non già vendere, sostanza stupefacente. Tale prova dichiarativa si pone dunque in contrasto con la ricostruzione privilegiata dalla Corte territoriale, che non ha reso ragioni l’improvvisa inversione di ruoli (con COGNOME nel ruolo di acquirente e COGNOME in quell venditore).
In relazione al quarto profilo (v. sub d) travisato, la difesa sostiene che, dall’intercettazione ambientale del giorno 17 marzo 2017, in cui COGNOME afferma “i soldi li avevo già dati al Nano” la Corte d’appello avrebbe illogicamente desunto la prova dell’avvenuto pagamento della sostanza stupefacente.
5.2 Col terzo motivo, si eccepisce violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione del reato ascritto al capo 17 in quello previsto dall’art. 73, comma 5, del d. 309/1990. A tal proposito, la difesa ricorda che 1) l’unica condotta di detenzione e cessione sostanza stupefacente a carico dell’imputato deve ritenersi del tutto occasionale 2) è mancata l’ammissione di una perizia tossicologica dalla quale evincere il dato ponderale effettivo de sostanza ceduta ovvero la quantità di principio attivo dopante (THC) presente nei 210 grammi di marijuana sequestrati. La motivazione resa dalla Corte d’appello è del tutto carente, essendos limitata la stessa ad affermare la penale responsabilità dell’imputato sulla base della s
“acclarata operatività nel settore della droga e del collegamento della sua condotta con un contesto di criminalità organizzata”.
6. Ricorso NOME COGNOME a firma dell’Avv. NOME COGNOME
6.1 Con unico motivo, la difesa si duole di violazione di legge e vizio di motivazione relazione ai singoli aumenti di pena per ciascuno dei reati posti in continuazione. La difesa rico che l’imputata è stata condannata in primo grado alla pena di anni dodici e mesi sei di reclusione la pena era stata determinata con riconoscimento del vincolo della continuazione tra tutti i rea ascritti. Con la sentenza impugnata, in seguito ad accoglimento della richiesta di pena concordata dalle parti, la pena è stata rideterminata in anni undici e giorni venti di reclusione (pena bas anni dieci di reclusione, per il reato di cui al capo 1, con aumenti per la continuazione con i gli altri reati ascritti in rubrica e per l’aggravante di agevolazione mafiosa). La Corte d’appe sarebbe limitata a confermare tutti gli aumenti di pena per i reati-fine già disposti dal giudi primo grado, omettendo altresì di fornire adeguate ragioni in merito al discostamento dal minimo edittale. Rinunciando ai motivi assolutori, si era tuttavia chiesto al giudice di ridetermina aumenti di pena inflitti per la continuazione tra i reati.
Dopo aver evidenziato la simmetria esistente tra l’istituto del patteggiamento e quello de concordato in appello, la difesa afferma che il motivo di ricorso vada ricondotto sotto il c d’ombra dell’art. 448 comma 2 del codice di rito.
7. All’udienza si è svolta trattazione orale dei ricorsi. Il Sostituto Procuratore gene NOME COGNOME ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto dei ricors
Considerato in diritto
1. Ricorso Sibillo
1.1. Il primo motivo è infondato, dal momento che non considera come i dati assunti nella memoria e sopra riassunti siano stati ritenuti dalla sentenza impugnata irrilevanti ai fini decidere. In altri termini, la doglianza non si confronta con l’alternativa consideraz motivazionale, secondo la quale il tema introdotto al punto 3.2. della memoria, al netto del sua novità, era comunque del tutto inconferente, dal momento che il ruolo associativo del Sibillo riposa, nel presente processo, su dati che prescindono da quelli acquisiti nel processo culminato nella precedente condanna; con la conseguenza che, come attentamente osservato dalla sentenza impugnata, la discontinuità tra il precedente sodalizio e quello del quale si discute n presente processo potrebbe solo introdurre dubbi – ormai irrilevanti in assenza di impugnazione del P.M. – sulla ritenuta sussistenza di un unitario disegno criminoso, ma non certo condurre ex se a mettere in discussione i risultati raggiunti attraverso l’approfondito esame delle risult istruttorie.
1.2. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, sottraendosi al confronto con la motivazione della sentenza impugnata, reitera una prospettazione difensiva che ruota attorno all’esistenza di mere millanterie della COGNOME. Esse sono, però, logicamente smentite dal fatt che esse non avrebbero potuto mai svilupparsi nel rapporto con gli interlocutori della donna se il COGNOME non avesse continuato ad avere un effettivo ruolo associativo- di mero parteci ribadisce la sentenza impugnata a pag. 21, escludendo qualunque equivoco su un ruolo direttivo che non gli è stato attribuito dalla Corte territoriale.
È su questa base logica che si fonda la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni re nel corso delle comunicazioni intercettate dalla COGNOME, giacché non è immaginabile che la donna potesse creare ad arte un ruolo non riconosciuto nella realtà effettuale dal sodalizio (e, inf su questo punto si innesta la logica contraddizione nella prospettazione difensiva, sottolineat dalla sentenza impugnata, quando osserva che non si comprende come la donna potesse spendere falsamente il nome di un soggetto che ormai non faceva più parte del clan).
In questa prospettiva, le citazioni giurisprudenziali o i brani di singole dichiarazion reiterazione dei dubbi sul mancato rinvenimento di comunicazioni scritte da parte del Sibill senza riuscire ad incrinare la tenuta logica della lettura delle conversazioni intercettate, fini soltanto per aspirare a una rilettura delle risultanze istruttorie, inammissibile in s legittimità.
Al riguardo, va ribadito -come si avrà modo di osservare di seguito a proposito del ricorso della Ingenito – che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attiv intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714 – 01).
Ma, in linea generale, deve ribadirsi (v., di recente, Sez. 5, n. 17568 del 22/03/2021, n. che è estraneo all’ambito applicativo dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerat che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per “brani” né fuori dal contesto in cui è inserito, sicché gli aspetti del giudizio che consistono nella valut e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giusti sulla loro capacità dimostrativa. Sono, pertanto, inammissibili, in sede di legittimità, le ce che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probat (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540; conf. ex plurimis, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168). Così come sono estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa (S n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, COGNOME, Rv. 235510). Pertanto, il vizio di motivazione deducibile in cassazione consente di verificare la conformità allo specifico atto del processo, rilevante e decisivo, d
rappresentazione che di esso dà la motivazione del provvedimento impugnato, fermo restando il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 2511 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167); in altri termini, il vizio di travisamento della p dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrin della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione d significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272406).
2. Ricorso Ingenito
Il ricorso, di assoluta genericità di formulazione, non si confronta, se non in termini esser con l’impianto motivazionale della sentenza impugnata, che ha razionalmente tratto la prova della colpevolezza della Ingenito dal contenuto di due conversazioni intercettate che consentono di individuare, in termini di logica attendibilità, sia la sussistenza delle dazioni in favor ricorrente sia la consapevolezza della provenienza delle somme dalle attività illecite del sodaliz
Su un piano generale, la lamentata assenza di riscontri al contenuto delle comunicazioni non considera che, in linea generale, le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate n corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714 – 01).
3. Ricorso Marigliano
3.1. I primi due motivi, presentati congiuntamente dallo stesso ricorrente, son inammissibili, poiché, nel tentativo di disarticolare i singoli elementi, riassunti sopra nel Ritenuto in fatto, che hanno condotto a ritenere dimostrata la cessione di sostanza stupefacente, si affida a una critica assertiva delle singole risultanze dimostrative del contatto tra il ricorre COGNOME e la COGNOME. L’assertività si coglie nella mancata indicazione delle basi obiettive d affermazioni nelle quali la critica si risolve, che sono affidate a personali ricostruzi frammenti di deposizione, a interrogativi del tutto sganciati dal necessario confronto critico la motivazione della sentenza impugnata.
Accanto a quanto rilevato sopra sub 1.2. a proposito dei limiti in cui la critica motivazionale può essere introdotta nel giudizio di legittimità, deve aggiungersi che le critiche del ricorr per un verso, collidono con il fondamentale canone valutativo che deve guidare il giudice nell’apprezzamento dei risultati probatori, attraverso l’esame di tutti e ciascuno degli eleme processualmente emersi, non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, verificando se essi, ricostruiti in sé e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordina
in una costruzione logica, armonica e consonante, che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, ossia la verità del caso concreto.
In definitiva, le critiche del ricorso risultano del tutto rivalutative e generiche sia qu contatto tra l’imputato e le due donne sopra ricordate (COGNOME e COGNOME) sia quanto all razionale individuazione del soprannome del primo, riconosciuto dallo stesso imputato, nel suo interrogatorio, nella forma più breve di “nano”.
3.2. Il terzo motivo è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di stupefacenti, la configurabilità del delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 postula un’adegua valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, ed quantità e qualità delle sostanze, con riferimento al grado di purezza, sì da perveni all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensiv proporzionalità della pena (Sez. 4, n. 50257 del 05/10/2023, Scorcia, Rv. 285706 – 01).
In questa prospettiva, al dato non trascurabile della quantità di sostanza (210 grammi d marjuana), la Corte territoriale ha razionalmente correlato la stabile operatività del Marigli nel settore della droga e il collegamento della condotta con il contesto di criminalità organizz ritenendo recessivo rispetto a tali dati ogni ulteriore accertamento.
3.3. Il quarto motivo è inammissibile, dal momento che il ricorrente neppure indica qual determinanti circostanze non sarebbero state valutate nella prospettiva del ridimensionamento della pena consentito dall’art. 62 bis cod. pen.
Al riguardo, va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis cod. pen., disposta con il dl maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effet della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo st incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01)
4. Ricorso Carrese
Il ricorso è inammissibile, dal momento che, come anche di recente ribadito da questa Corte (Sez. 2, n. 22487 del 08/05/2024, Forte, Rv. 286464 – 01, in motivazione), in tema di concordato in appello, è inammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca – oltre alle doglianze inerenti ai motivi rinunciati ed mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. – motiv relativi a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella ill della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella p dalla legge (Sez. 1, n. 50710 del 10/11/2023, COGNOME, Rv. 285655 – 01; Sez. 6, n. 23614 del 18/5/2022, COGNOME, Rv. 283284 – 01; Sez. 2, n. 22002 del 10/4/2019, COGNOME, Rv. 276102 – 01).
Peraltro, del tutto contraddittoriamente, il ricorso, dopo avere invocato in astra l’applicabilità dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., quanto ai vizi denunciabili, si duole di un difetto di motivazione in ordine alla determinazione degli aumenti in continuazione che si colloca palesemente al di fuori di tale perimetro.
Per le ragioni illustrate, il Collegio rigetta i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna di ciascuna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e NOME e condanna i ricorrenti al pagament delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e NOME e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27/11/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente