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Utilizzo post mortem del bancomat: responsabilità

La Corte di Cassazione conferma la condanna al risarcimento del danno per una persona che aveva effettuato prelievi dal conto di un defunto dopo la sua morte. La sentenza chiarisce che l’autorizzazione a operare sul conto cessa con il decesso del titolare. L’utilizzo post mortem del bancomat, tacendo la morte del titolare, configura un comportamento in mala fede che genera responsabilità civile.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Utilizzo post mortem del bancomat: quando la delega non basta

L’utilizzo post mortem degli strumenti di pagamento di una persona deceduta è una questione delicata che può avere serie conseguenze legali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di una persona che, dopo la morte di un conoscente, ha utilizzato il suo bancomat e prelevato somme dal suo libretto postale, ritenendo di agire in buona fede sulla base di una precedente autorizzazione. La Suprema Corte ha però confermato la sua responsabilità civile, stabilendo principi chiari sulla cessazione degli effetti di una delega dopo la morte del delegante.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da una sentenza di primo grado che aveva assolto un’imputata da diverse accuse, tra cui furto aggravato e indebito utilizzo di carta di credito. La parte civile, erede della persona offesa, ha impugnato la decisione. La Corte di Appello ha riformato parzialmente la sentenza, dichiarando la responsabilità civile dell’imputata per i danni causati dall’utilizzo post mortem del bancomat e del libretto di risparmio del defunto. L’imputata era stata condannata al risarcimento del danno e al pagamento di una provvisionale di 35.000 euro.

Contro questa decisione, l’imputata ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando diverse violazioni di legge e vizi di motivazione. In particolare, sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non rinnovare completamente l’istruttoria e nel non valutare correttamente le prove che, a suo dire, avrebbero dimostrato la sua buona fede.

I motivi del ricorso e l’analisi della Cassazione

La ricorrente ha basato la sua difesa su più punti, tutti respinti dalla Suprema Corte. Analizziamoli nel dettaglio.

La mancata rinnovazione dell’istruttoria

Un punto centrale del ricorso riguardava la mancata ri-audizione di un testimone (un medico) la cui testimonianza era ritenuta decisiva. La Cassazione ha ritenuto il motivo infondato. Poiché le condotte contestate – i prelievi – erano avvenute dopo la morte del titolare del conto, la testimonianza sulle capacità psicofisiche del defunto in vita era irrilevante. La questione non era se il defunto avesse validamente conferito una delega, ma se tale delega fosse ancora efficace dopo la sua morte.

L’obbligo di motivazione rafforzata in caso di riforma

L’imputata lamentava che la Corte d’Appello, nel ribaltare l’assoluzione, non avesse fornito una ‘motivazione rafforzata’, ovvero una spiegazione particolarmente solida per superare le conclusioni del primo giudice. Anche questo motivo è stato rigettato. La Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello, seppur sinteticamente, avesse adeguatamente spiegato le ragioni della condanna civile. Il punto chiave era l’assenza di buona fede da parte della ricorrente. Quest’ultima, data la sua competenza, doveva sapere che la delega ricevuta aveva perso ogni efficacia con il decesso del delegante. Il fatto di aver taciuto tale decesso agli operatori postali al momento del prelievo è stato considerato un elemento palese della sua malafede.

La questione della procedibilità per il reato di truffa

Infine, la difesa ha sollevato dubbi sulla procedibilità del reato di truffa, sostenendo che mancasse una querela valida. La Corte ha liquidato la questione come manifestamente infondata, evidenziando che agli atti era presente la querela ritualmente sporta dall’erede della persona offesa e danneggiata, sufficiente a garantire la procedibilità del reato.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su un principio giuridico fondamentale: il mandato (e quindi anche una delega a operare su conti correnti) si estingue con la morte del mandante. Di conseguenza, qualsiasi operazione compiuta dopo il decesso del titolare del conto, in forza di una delega precedentemente concessa, è illegittima. La Corte ha sottolineato che la buona fede non poteva essere invocata, specialmente perché la ricorrente aveva deliberatamente omesso di comunicare all’istituto di credito l’avvenuto decesso del correntista. Questo comportamento è stato interpretato come una chiara indicazione della consapevolezza di agire senza averne più il diritto.

Inoltre, la Corte ha ribadito che la quantificazione di una provvisionale è una decisione discrezionale del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, poiché ha natura provvisoria e sarà assorbita dalla liquidazione definitiva del danno in sede civile.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un importante monito: la fiducia e le autorizzazioni concesse in vita non si estendono oltre la morte. Chiunque operi su conti o beni di una persona deceduta, anche se in passato autorizzato, agisce senza titolo e rischia di essere chiamato a rispondere civilmente (e in alcuni casi anche penalmente) delle proprie azioni. La trasparenza verso gli istituti di credito e gli eredi è un dovere imprescindibile. Questa decisione conferma che nascondere il decesso del titolare di un rapporto finanziario per continuare a operarvi è un comportamento che la legge non tollera e che viene sanzionato con il risarcimento di tutti i danni causati agli eredi legittimi.

Una delega a operare su un conto corrente o libretto postale rimane valida dopo la morte del delegante?
No. Secondo la sentenza, la delega (o procura) perde ogni effetto con la morte del delegante. Qualsiasi operazione effettuata dopo il decesso è illegittima.

È sempre obbligatorio riascoltare tutti i testimoni in appello se si riforma una sentenza di assoluzione?
No, non è sempre obbligatorio. La rinnovazione dell’istruttoria è necessaria solo per le prove ritenute decisive. Nel caso specifico, la testimonianza sulla capacità del defunto in vita è stata giudicata irrilevante, poiché i fatti contestati sono avvenuti dopo la sua morte.

È possibile contestare in Cassazione l’importo della provvisionale decisa in appello?
No. La sentenza chiarisce che le questioni relative all’entità della provvisionale sono inammissibili in Cassazione. Si tratta di una statuizione provvisoria e discrezionale, destinata a essere rivalutata e assorbita nella successiva e definitiva liquidazione del danno in sede di giudizio civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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