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Utilizzazione del minore: Cassazione annulla condanna

Un uomo viene condannato per produzione di materiale pedopornografico e tentata violenza privata per una foto ricevuta da una minore. La Corte di Cassazione annulla la condanna per il primo reato, chiarendo che per configurare l’illecito non basta la ricezione del materiale, ma occorre provare l’effettiva “utilizzazione del minore”, ovvero un’azione di strumentalizzazione. La condanna per tentata violenza privata viene invece confermata.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Utilizzazione del Minore: Quando l’Invio di una Foto Non Basta per la Condanna

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5700/2025, affronta un caso delicato che impone una riflessione sul confine tra un comportamento penalmente rilevante e dinamiche relazionali complesse. Il fulcro della decisione riguarda il concetto di utilizzazione del minore, un elemento cruciale per la configurabilità del grave reato di produzione di materiale pedopornografico (art. 600-ter c.p.). La Corte ha stabilito che non è sufficiente la semplice ricezione di materiale autoprodotto da un minore per integrare il reato, ma è necessario dimostrare un ruolo attivo dell’adulto nella strumentalizzazione della giovane vittima.

I Fatti del Caso: Dalla Chat alla Condanna

Tutto ha origine da una relazione sentimentale tra un uomo adulto e una ragazza minorenne. Nel corso delle loro conversazioni, l’uomo riceve dalla ragazza una fotografia che la ritrae nuda. Successivamente, per costringerla a un incontro di persona, la minaccia di pubblicare quello scatto sul suo profilo social.

Sulla base di questi fatti, l’uomo viene condannato in primo grado e in appello per due reati: produzione di materiale pedopornografico (capo a) e tentata violenza privata (capo b). La difesa, tuttavia, non si arrende e propone ricorso in Cassazione, sostenendo diversi vizi di legge e di motivazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorso dell’imputato si basava su tre argomentazioni principali:
1. Assenza di “utilizzazione del minore”: La difesa sosteneva che la foto era stata realizzata e inviata in modo autonomo dalla ragazza, all’interno di un rapporto paritario. Mancava, quindi, l’elemento della “utilizzazione”, ovvero lo sfruttamento o la manipolazione del minore da parte dell’adulto, richiesto dalla norma penale.
2. Mancato rinvenimento della fotografia: Poiché la foto non era mai stata materialmente trovata, secondo la difesa era impossibile valutarne il carattere pedopornografico.
3. Inidoneità della minaccia: Le frasi pronunciate dall’imputato non avrebbero avuto un reale carattere minatorio, tanto che la ragazza non aveva ceduto alle sue pressioni.

La Decisione della Corte: Il Principio della “Utilizzazione del Minore”

La Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso, annullando la sentenza di condanna per il reato di produzione di materiale pedopornografico (capo a) e rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio.

Il punto centrale della decisione risiede proprio nella nozione di utilizzazione del minore. La Cassazione ha rimproverato alla Corte d’Appello di aver dato per scontata la responsabilità dell’imputato senza accertare se, nel caso specifico, vi fosse stata un’effettiva strumentalizzazione della minore. Richiamando un’importante pronuncia delle Sezioni Unite (n. 4616/2021), i giudici hanno ribadito che il termine “utilizzazione” indica una condotta attiva: “chi manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosi dello stesso e facendone uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento”.

La Prova del Reato Anche Senza la Fotografia

La Corte ha, invece, respinto il secondo motivo di ricorso. I giudici hanno affermato che il mancato rinvenimento del materiale non impedisce la configurabilità del reato. L’esistenza e il carattere pedopornografico della foto potevano essere desunti da prove indiziarie gravi, precise e concordanti. Nel caso specifico, i messaggi scambiati tra i due, in cui l’uomo chiedeva esplicitamente una foto “nuda”, la sua successiva minaccia di pubblicarla e la reazione della ragazza (che parlava di “istigazione alla pedofilia”), costituivano un quadro probatorio sufficiente a provare il fatto “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

La Tentata Violenza Privata: L’Idoneità della Minaccia

Anche il terzo motivo è stato rigettato. Per configurare il delitto tentato, non è necessario che la vittima ceda alla minaccia. Ciò che conta, secondo la Corte, è l’idoneità oggettiva dell’azione a costringere la volontà altrui. La valutazione va fatta tramite una “prognosi postuma”, ovvero mettendosi nei panni dell’imputato al momento dell’azione per stabilire se la minaccia fosse, in quelle circostanze, potenzialmente efficace.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Cassazione è chiara: per condannare una persona per il reato di cui all’art. 600-ter c.p., il giudice deve andare oltre la semplice constatazione della produzione e dell’invio di una foto. È indispensabile un accertamento approfondito sulla dinamica relazionale per stabilire se la volontà del minore sia stata condizionata, coartata o manipolata. La Corte d’Appello è stata silente su questo punto essenziale, e per questo la sua decisione è stata annullata. Il nuovo giudice del rinvio dovrà quindi verificare specificamente se nella condotta dell’imputato vi sia stata una effettiva “utilizzazione del minore” o se si sia trattato di un caso di “pornografia domestica”, come delineato dalle Sezioni Unite, in cui l’assenza di sfruttamento esclude la rilevanza penale del fatto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza traccia una linea netta e fondamentale in una materia estremamente sensibile. Le implicazioni pratiche sono notevoli:
– La responsabilità penale per produzione di materiale pedopornografico non è automatica ogni volta che un minore produce e invia immagini sessualmente esplicite.
– Diventa centrale per l’accusa dimostrare non solo l’esistenza del materiale, ma anche il ruolo attivo dell’adulto nel determinare, attraverso manipolazione o sfruttamento, la sua creazione.
– Si conferma il principio secondo cui la prova di un reato può basarsi su solidi elementi indiziari, anche in assenza della prova materiale diretta (il cosiddetto corpo del reato).

L’invio spontaneo di una foto da parte di un minore integra sempre il reato di produzione di materiale pedopornografico?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che è necessario accertare la sussistenza della “utilizzazione del minore”, ovvero una condotta di strumentalizzazione, coercizione o condizionamento da parte dell’adulto. La sola ricezione di materiale autoprodotto non è automaticamente sufficiente per integrare il reato.

È possibile essere condannati per un reato legato a una fotografia anche se questa non viene mai trovata?
Sì. Secondo la sentenza, il carattere illecito e l’esistenza stessa della fotografia possono essere desunti da prove indirette (indizi), come il contenuto dei messaggi scambiati tra le parti, a condizione che tali indizi siano gravi, precisi e concordanti e portino a una conclusione “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Perché la minaccia è stata considerata reato di tentata violenza privata anche se la vittima non ha ceduto?
Perché nel delitto tentato, la valutazione non si basa sull’esito finale, ma sull’idoneità dell’azione a costringere la vittima. Il giudice valuta, con un giudizio “a posteriori” (prognosi postuma), se la minaccia, al momento in cui è stata fatta, fosse oggettivamente capace di intimidire e coartare la volontà della persona offesa, a prescindere dalla sua effettiva reazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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