Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 44335 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 44335 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a NAPOLI il 28/03/1957
NOME COGNOME nato a SANT’ANTIMO il 14/05/1972
avverso la sentenza del 05/04/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Ancona, con la sentenza indicata in epigrafe, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, ha parzialmente riformato la pronuncia di condanna emessa nei confronti di COGNOME e COGNOME dal Tribunale di Pesaro il 17 maggio 2022, rideterminando la pena in anni due mesi otto di reclusione ed euro 1.600 di multa ciascuno; ha inoltre rigettato l’appello proposto dagli imputati, dichiarati responsabili del reato di cui agli artt. 110, 624 e 625 n. 4 cod. pen. (capo A) e del reato di cui agli artt. 110 e 493 ter cod. pen. (capo B) commessi rispettivamente in Mondolfo e in Senigallia il 29 luglio 2018, con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale per entrambi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione censurando la sentenza, con il primo motivo, per manifesta illogicità della motivazione in quanto la Corte di appello ha ritenuto raggiunta la prova della commissione del furto sulla base di immagini estrapolate da riprese di videocamere installate in un’area di servizio senza tuttavia superare la obiezione della difesa inerente alla mancanza di prova di autenticità delle riprese in questione.
Con il secondo motivo deducono manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che, sebbene le riprese non siano state esaminate nel contraddittorio delle parti, le stesse siano utilizzabili.
Con il terzo motivo deducono manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui i giudici di merito hanno ritenuto che la responsabilità della COGNOME sia desumibile dal suo comportamento, ricavato dalle riprese, e dalla convivenza con l’imputato; in particolare, la donna avrebbe schermato la visione del furto a opera di terzi e sarebbe uscita dal locale insieme all’altro imputato ma, si assume, si tratta di un’ affermazione illogica, data la presenza di molte persone all’interno del locale. L’essere uscita insieme all’uomo dall’esercizio non dimostra la sua correità, né alcuna prova può desumersi dal fatto che i due sono conviventi.
Con il quarto motivo deducono manifesta illogicità della motivazione in quanto la brevità del tempo trascorso tra il furto del portafogli e il prelievo al bancomat non prova sul piano logico che la scheda sottratta sia stata utilizzata dagli imputati, né dimostra se entrambi o uno solo di loro abbiano effettuato l’indebito prelievo.
Con il quinto motivo deducono violazione dell’art. 81 cod. pen. La Corte di appello ha applicato l’aumento di un terzo della pena per la continuazione in relazione al disposto dell’art. 81, comma 4, cod. pen. Tuttavia, avendo il solo Di
Sarno riportato condanna con riconoscimento della recidiva, occorre considerare che il limite di aumento minimo per la continuazione pari a un terzo della pena stabilita per il reato più grave si applica nei soli casi in cui l’imputato sia sta ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente alla commissione dei reati per i quali si procede, per cui erroneamente l’aumento di pena è stato disposto anche ai danni della Puca.
Con il sesto motivo deducono violazione degli artt. 624 e 625 n. 4 cod. pen. per difetto di querela. Il reato di furto aggravato è diventato procedibile a querela, per cui deve essere dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va premesso che, contrariamente a quanto allegato dai ricorrenti nel sesto motivo di ricorso, è in atti la querela sporta dalla persona offesa NOME COGNOME presso la Stazione CC di Talsano dapprima il 30 luglio 2018 e, successivamente, in data 8 agosto 2018. In particolare con quest’ultimo atto, nel quale la vittima segnalava il prelievo fraudolento della somma di euro 500,00 con la sua tessera bancoposta, è stata reiterata la denuncia di furto e si è espressamente chiesta la punizione dei responsabili.
In merito all’affermazione di responsabilità, va osservato che i motivi primo, secondo, terzo e quarto del ricorso sono meramente reiterativi di analoghe censure svolte con l’atto di appello, alle quali la Corte territoriale ha già dato compiuta risposta.
In primo luogo, i giudici di merito hanno evidenziato che, per il principio di atipicità della prova, le riprese hanno natura documentale e possono essere utilizzate come tali senza necessità di nuova visione nel contraddittorio delle parti. Occorre ricordare, con riguardo al mezzo di prova costituito dalle immagini registrate da mezzi di videoripresa, che la captazione visiva di comportamenti non comunicativi è stata considerata da Sez. U Prisco (n. 26795 del 28/03/2006, Rv. 234267 – 01) quale «prova documentale non disciplinata dalla legge», prevista dall’art. 189 cod. proc. pen. La prova dei fatti rappresentati dalle captazioni di immagini non deriva dal riassunto, e dalla inevitabile interpretazione soggettiva, che di esse si faccia in atti di polizia giudiziaria, ma dal contenuto stesso delle registrazioni, documentate in supporti magnetici o
informatici. La giurisprudenza di legittimità ritiene pacificamente utilizzabili come prova le immagini tratte da riprese visive in luoghi pubblici e ne riconosce la valenza di prova «portatrice di certezze processuali». La non autenticità delle videoriprese risulta solo genericamente allegata per cui la relativa doglianza è, in quanto tale, inammissibile.
Con riguardo agli elementi posti a base dell’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME la Corte ha evidenziato come la donna abbia preso parte attiva all’impossessamento del portafogli frapponendosi fra il convivente, che con destrezza si impossessava del portafogli di NOME COGNOME mentre si trovavano in fila, e gli altri avventori dell’area di servizio “Metauro ovest” dell’autostrada A14.
La Corte ha, altresì, confermato il giudizio di responsabilità con riguardo al reato di cui al capo B) considerando il carattere quasi immediato dell’utilizzo della tessera bancomat in uno all’accertata disponibilità in capo ai responsabili del furto di un foglio contenente l’annotazione del pin, presente nel portafogli appena sottratto. In replica a tale motivo di appello la Corte non ha mancato di evidenziare la mera ipoteticità dell’allegazione difensiva.
Occorre, in proposito, ricordare che il vizio di manifesta illogicità della motivazione deve risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ()culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074 – 01; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794 – 01).
Nel caso concreto, i motivi di ricorso in esame, sotto l’egida della manifesta illogicità della motivazione, propongono in realtà una rilettura del fatto, invero adeguatamente vagliato secondo una logica interpretazione degli elementi istruttori a disposizione dei giudici di merito.
3. Il quinto motivo di ricorso è fondato. L’applicazione della regola dettata dall’art. 81, comma 4, cod. pen., secondo la quale «..se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave», presuppone che la recidiva reiterata sia stata accertata con sentenza di condanna irrevocabile emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede
(Sez. 1, n. 26250 del 08/05/2024, COGNOME, Rv. 286602 – 01; Sez. 4, n. 22545 del 13/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276268 – 01; Sez. 1, n. 31735 del 01/07/2010, COGNOME, Rv. 248095 – 01). Tale presupposto non ricorre cori riguardo alla ricorrente COGNOME. Dal certificato del Casellario giudiziale non risulta emessa nei confronti di NOME COGNOME alcuna pronuncia irrevocabile che abbia accertato la recidiva reiterata; ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata con riguardo alla irrogazione dell’aumento in misura pari a un terzo della pena determinata dal giudice di primo grado. Si tratta di rideterminazione della pena che era stata sollecitata dall’appello del pubblico ministero; a tale erronea applicazione di legge può porre rimedio questa Corte ai sensi dell’art. 620 lett. I) cod. proc. pen. ripristinando il trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso di COGNOME segue la condanna di tale ricorrente al pagamento delle spese processuali; inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aumento della pena ai sensi dell’art.ottantuno comma quarto c. p.; ridetermina la pena nei confronti di tale imputata nella misura di anni due e mesi due di reclusione ed euro millecinquecento di multa.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME nel resto.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso il 12 novembre 2024 Il Consigliere estensore COGNOME9>
Il Pre •dente