Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18092 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18092 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
BANNÒ NOME nato a Torino il 25/11/1974
NOMECOGNOME nato in Romania il 27/04/1991
avverso la sentenza del 23/04/2024 della Corte d’appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano rigettati;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME il quale, dopo la discussione, si è riportato al ricorso e ha depositato note di udienza;
uditi l’Avv. COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOMECOGNOME i quali, dopo la discussione, si sono riportati ai motivi di ricorso, chiedendo l’accoglimento di esso e l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23/04/2024, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del 01/07/2021 del Tribunale di Ivrea, emessa in esito a giudizio ordinario:
dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME in ordine ai reati di distruzione o occultamento di atti pubblici di cui ai capi 13, 15, 17, 19, 21, 23 (quest’ultimo per il solo imputato COGNOME), 27, 29, 31, 33, 35, 37, 39, 41, 44, 47, 50, 53, 56, 59, 62, 65, 68, 71, 74, 77 e 80 dell’imputazione per essere gli stessi reati estinti per prescrizione;
b) dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine ai reati di furto di autoveicoli di cui ai capi 7 e 8 dell’imputazione per mancanza della querela;
riqualificato come riciclaggio (di un autoveicolo) il fatto contestato a NOME COGNOME di cui al capo 5 dell’imputazione:
c.1) rideterminava in 6 anni, 11 mesi e 20 giorni di reclusione ed € 8.960,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per tale reato, per gli ulteriori reati di riciclaggio di autoveicoli di cui ai capi 12, 14, 16, 18, 20, 22, 26, 28, 30, 32, 34 36, 38, 40, 43, 46, 49, 52, 55, 58, 61, 64, 67, 70, 73, 76 e 79 dell’imputazione e per i reati di ricettazione sempre di autoveicoli di cui ai capi 10, 24 e 2 dell’imputazione, confermando la condanna del COGNOME per tali reati;
c.2) rideterminava in 6 anni e 4 mesi di reclusione ed € 7.800,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per i reati di riciclaggio di autoveicoli di cui ai capi 12, 14, 16, 18, 20, 26, 28, 30, 32, 34, 36, 38, 40, 43, 46, 49, 52, 55, 58, 61, 64, 67, 70, 73, 76 e 79 dell’imputazione e per i reati di ricettazione sempre di autoveicoli di cui ai capi 10, 24 e 25 dell’imputazione, confermando la condanna del COGNOME per tali reati.
Avverso tale sentenza del 23/04/2024 della Corte d’appello di Torino, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME è affidato a cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente, dopo avere rammentato che, nel corso del giudizio, aveva chiesto che fosse ritenuta l’inutilizzabilità dei tabulati telefon che erano stati prodotti dal pubblico ministero, chiede che venga effettuato rinvio pregiudiziale di interpretazione alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) per chiedere alla stessa Corte se l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva del Parlamento europeo 12 luglio 2002, n. 2002/58/CE, letto alla luce degli artt. 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), debba essere interpretato nel senso che osti a una normativa transitoria quale quella di cui all’art. 1, comma 1-bis, della legge 23 novembre 2021, n. 178 (recte: art. 1, comma 1-bis, del d.l. 30 settembre 2021, n. 132, conv. con modif. dalla legge n. 178 del 2021), la quale, derogando al principio tempus regit actum, consente «che dati personali relativi a tabulati
telefonici che sono stati conservati, in applicazione di una misura legislativa adottata ai sensi di tale disposizione dai fornitori di servizi di comunicazione e che sono stati successivamente messi a disposizione, in applicazione della medesima misura, delle autorità competenti a fini di lotta alla criminalità grave possano essere utilizzati nell’ambito di indagini e processi per i reati di cui agli artt. 624, 625, e 648 bis c.p. e in violazione di una dovuta riserva di giurisdizione». Ciò considerati i principi che sono stati affermati dalla Corte di giustizia con la sentenza della Grande Sezione 02/03/2021, nella causa C-746/18, H.K.
Secondo il ricorrente «la retroattività della norma transitoria derogatoria del tempus regit actum si scontra frontalmente e collide con la retroattività delle pronunce della CGUE» e «’toglie’ retroattivamente le (pur dichiaratamente dovute ai sensi della norma euro-unitaria) garanzie agli imputati per fatti vecchi», senza che a ciò possa ovviare né l’utilizzabilità dei dati «solo unitamente ad altri elementi di prova» – atteso che ciò si risolverebbe in una «clausola di mero stile» -, né «la limitazione (anche qui, però, retroattiva) a talune categorie di reati».
Il COGNOME sostiene ancora che «esula dalla discrezionalità normativa la previsione di una disciplina transitoria che non garantisca un vaglio giurisdizionale all’acquisizione di dati personali e che (oggi) statuisca regimi differenti per procedimenti instaurati dopo l’entrata in vigore della L. 178/2021 e per quelli precedenti».
Il ricorrente rappresenta come l’orientamento che è stato espresso dalla CGUE con la citata sentenza H.K. fosse stato fatto proprio dalla stessa Corte, con precedenti pronunce, quanto meno dal 2014, e sia stato poi ribadito, anche dopo l’emanazione del d.l. n. 132 del 2021, con la sentenza della Grande Sezione 05/04/2022, nella causa C-140/20, G.D., e con la sentenza della Prima Sezione 07/09/2023, nella causa C-162/22, A.G.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 132 del 2021, per contrasto con gli artt. 3, 10, 11, 15, 24, 111 e 117 Cost., con riferimento al parametro eurounitario interposto di cui all’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE, lett alla luce degli artt. 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52, paragrafo 1, CDFUE, in forza dei principi affermati dalla CGUE con la citata sentenza NOMECOGNOME, e per contrasto con il principio di proporzionalità.
Secondo il Bannò, posta la rilevanza di tali questioni, la censurata norma transitoria violerebbe: a) l’art. 3 Cost., perché determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra gli autori di reati commessi prima della data di entrata in vigore del d.l. n. 132 del 2021, ai quali è riconosciuto il diritto a un contro giurisdizionale sull’acquisizione dei tabulati telefonici, e gli autori di reati commess
dopo la suddetta data, ai quali lo stesso diritto è, invece, negato; b) il «diritto al libertà della corrispondenza e delle comunicazioni»; c) il diritto di difesa, che risulterebbe leso dall’esclusione della riserva di giurisdizione nell’acquisizione dei tabulati telefonici; d) il «principio di legalità processuale di cui all’art. 111 Cost che risulterebbe vulnerato dalla «deroga al tempus regit actum» e dall’«esclusione della sanzione di inutilizzabilità rispetto a dati già illegittimamente acquisiti»; gli artt. 10, 11 e 117 Cost., con riferimento al sopra indicato parametro eurounitario interposto.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce: la nullità della sentenza impugnata, in relazione sia all’art. 606, comma 1, lett. b), cod proc. pen., sia all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per «violazione della norma processuale penale in relazione alle modalità di acquisizione e di valutazione dei tabulati telefonici» e, in particolare, per violazione dell’art. 15, paragrafo 1, del direttiva 2002/58/CE, letto alla luce degli artt. 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52 paragrafo 1, CDFUE, considerati i principi che sono stati affermati dalla Corte di giustizia con la già citata sentenza della Grande Sezione 02/03/2021, nella causa C-746/18, H.K.; la nullità «per violazione di legge in riferimento all’art. 1, co. bis, d.l. n. 132 del 2021, quale regola legale di valutazione della prova; nullità della sentenza impugnata, in relazione sia all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per mancanza della motivazione.
Il Bannò denuncia che la motivazione con la quale la Corte d’appello di Torino ha argomentato l’esistenza di altri elementi di prova rispetto ai dati del traffico telefonico sarebbe «soltanto apparente e contraddittoria laddove fa continuo riferimento, quali elementi fondamentali ad eruendam veritatem, ai tabulati telefonici acquisiti tra il Maggio e l’Ottobre 2016».
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello di Torino «non motiva in ordine alla presenza di altri elementi compensativi di prova», atteso che, sulla base della prova di resistenza, «liminati i tabulati telefonici non si sarebbe pervenuti a condanna», come emergerebbe dai trascritti passi della sentenza impugnata di cui alle pagg. 50, 53, 54, 58-59 e 63.
Il Bannò deduce ancora che gli elementi che la Corte d’appello di Torino aveva evidenziato sino alla pag. 58 «simul stabunt vel simul cadent con le risultanze dei tabulati, a tale stregua non superando la prova di resistenza».
I tabulati telefonici non avrebbero insomma «avuto valenza meramente euristica e di supporto probatorio, poiché invece hanno influito in misura determinante sulla intime convinction dei Giudici di merito, i quali dal canto loro non hanno prestato ossequio alla regola di valutazione probatoria introdotta dalla novella legislativa come modificata dalla legge di conversione».
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza della motivazione con riguardo all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi 40, 43, 46, 49, 52, 5 58, 61, 64, 67, 70, 73, 76 e 79 dell’imputazione, nonché la «iolazione dei canoni normativi di valutazione della prova ex art. 192 c.p.p.».
Il COGNOME lamenta anzitutto che, col ritenere provata la sua responsabilità «in relazione anche a tutti i restanti reati contestati di riciclaggio e gli ulteriori re ricettazione (per questi ultimi, capi 24 e 25), con riferimento a tutti i veicoli la carrozzeria, motori, documenti di circolazione o di proprietà, sono stati rinvenuti sia presso la proprietà del COGNOME (abitazione o capannone), sia presso la rivendita del Morello» (pag. 55 della sentenza impugnata), senza «il minimo accenno ad una disamina per quanto breve capo per capo», «dando conto degli elementi costitutivi (elemento soggettivo e condotta materiale) per ciascun capo di imputazione singolarmente considerato», la Corte d’appello di Torino sarebbe incorsa in una grave mancanza di motivazione, che era peraltro già stata censurata, con uno specifico motivo di appello, anche nei riguardi della sentenza di primo grado.
In secondo luogo, secondo il ricorrente, anche accettando una tale generica e astratta argomentazione, la sentenza impugnata sarebbe comunque viziata dalla violazione dei canoni di valutazione della prova di cui all’art. 192 cod. proc. pen. Ciò in quanto gli elementi indiziari che sono stati valorizzati dalla Corte d’appello di Torino costituiti «dal numero così elevato di mezzi o parti di mezzi trovati», dalla «consuetudine dei rapporti» tra il COGNOME, il COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e dalla «totale assenza di qualsiasi documentazione che ne potesse dimostrare una lecita provenienza» (pag. 57 della sentenza impugnata), potrebbero costituire un «indice di coinvolgimento degli imputati», secondo la locuzione utilizzata dalla Corte d’appello di Torino, esclusivamente per le contestazioni riguardanti gli automezzi e le parti di automezzi che erano stati rinvenuti nella disponibilità del COGNOME (cioè nell’area boschiva di pertinenza della sua abitazione e nel piazzale e nel capannone di INDIRIZZO), ma non potrebbero costituire alcun «indice di coinvolgimento» dello stesso COGNOME per le contestazioni di cui ai capi 40, 43, 46, 49, 52, 55, 58, 61, 64, 67, 70, 73, 76 e 79 dell’imputazione riguardanti i motori che furono rinvenuti a Lecco nella disponibilità del COGNOME, rispetto alle quali i menzionati elementi indizia sarebbero «neutri, non in grado di dimostrare l’intermediazione del sig. COGNOME».
Gli stessi elementi non potrebbero trovare riscontro nelle risultanze dei tabulati telefonici, atteso che le stesse sarebbero idonee a comprovare che il COGNOME fece delle trasferte da Lecco in provincia di Torino ma non che i motori che furono rinvenuti nella disponibilità del COGNOME provenissero dal COGNOME, ben
potendo essere stati reperiti direttamente dagli autori dei furti COGNOME o COGNOME senza l’intermediazione del COGNOME, o da altri autori di furti.
La Corte d’appello di Torino avrebbe pertanto «omesso di esplicitare il percorso logico e gli elementi concreti da cui trarre l’inferenza in base alla quale ogni singolo motore di provenienza illecita rinvenuto a Lecco presso il ricambista COGNOME sia necessariamente ricollegabile e riconducibile alla intermediazione del sig. COGNOME con ciò incorrendo nella violazione dei canoni normativi di valutazione della prova ex art. 192 comma 2 c.p.p.».
3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione «nella parte in cui non prende posizione sulle argomentazioni difensive svolte dalla difesa nell’atto di appello, utilizzando considerazioni di meno stile», con riguardo alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Il COGNOME lamenta anzitutto che la Corte d’appello di Torino, nel confermare il diniego di tali circostanze attenuanti, non si sarebbe confrontata con le argomentazioni che egli aveva sviluppato nel proprio atto di appello, in particolare, con il dedotto rilievo positivo, nella prospettiva della concessione del beneficio, degli elementi costituiti: dal suo ruolo secondario nella vicenda, comprovato anche dall’esiguità dei guadagni ottenuti per le intermediazioni (50-100 euro a carico); dalle dichiarazioni da lui rese con riguardo ai dubbi che aveva avuto sulla provenienza delle automobili più nuove e al senso di “liberazione” con cui aveva vissuto l’avvio del procedimento penale; dalla sua partecipazione allo stesso procedimento, sottoponendosi all’interrogatorio durante le indagini preliminari e all’esame nel corso dell’udienza del 03/06/2021; dal suo stato di incensurato, dall’assenza di carichi pendenti e dall’inserimento sociale e lavorativo.
Il ricorrente contesta in secondo luogo la mancanza di qualsiasi riferimento alla produzione documentale fatta dalla propria difesa all’udienza del 30/01/2024, documentazione dalla quale risultava l’attuale esistenza della sua impresa RAGIONE_SOCIALE, l’andamento migliorativo dei bilanci della stessa impresa e l’attività lavorativa da lui esercitata come pilota e come organizzatore di gare ed eventi sportivi, che gli consentiva di vivere onestamente e che comprovava la sua presa di distanza da condotte illecite e da ulteriori rapporti con i pregiudicati COGNOME e COGNOME
Il Bannò contesta ancora che la motivazione della Corte d’appello di Torino si risolverebbe «in un mero rimando alle fattispecie di reato contestate nell’imputazione», con la conseguenza che la stessa motivazione si tradurrebbe in
un’illegittima esclusione di fatto delle circostanze attenuanti generiche in ragione della mera commissione dei reati di cui alle imputazioni.
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente chiede che venga effettuato rinvio pregiudiziale di interpretazione alla CGUE per chiedere alla stessa Corte se la norma transitoria di cui all’art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 132 del 2021 «che deroga al principio processuale del tempus regit actum sia conforme alla normativa europea» e se l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva n. 2002/58/CE, letto alla luce degli artt. 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52, paragrafo 1, CDFUE, debba essere interpretato nel senso che osta «a che dati personali relativi a tabulati telefonici che sono stati conservati, in applicazione di una misura legislativa adottata ai sensi di tale disposizione, dai fornitori di servizi di comunicazione e che sono stati successivamente messi a disposizione, in applicazione della medesima misura, dalle autorità competenti a fini di lotta alla criminalità grave possano essere utilizzati nell’ambito di indagini e processi per i reati di cui agli artt. 496 e 648 bis c.p. e in violazione di una dovuta riserva di giurisdizione».
Il COGNOME sviluppa argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle di cui al primo motivo del ricorso di NOME COGNOME e che si sono riassunte al punto 3.1.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 132 del 2021, per contrasto con gli artt. 3, 10, 11, 15, 24, 111 e 117 Cost., con riferimento al parametro eurounitario interposto di cui all’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE, lett alla luce degli artt. 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52, paragrafo 1, CDFUE, in forza dei principi affermati dalla CGUE con la citata sentenza NOMECOGNOME, e per contrasto con il principio di proporzionalità.
Il COGNOME sviluppa argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle di cui al secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME e che si sono riassunte al punto 3.2.
Il ricorrente aggiunge che, se è vero che la CGUE tollera che gli effetti delle proprie sentenze siano oggetto di limitazioni da parte dei legislatori nazionali quando una “rigida” applicazione di esse finirebbe per mettere in crisi il principio della certezza del diritto o per provocare gravi turbamenti, nel caso in esame sarebbe proprio il regime transitorio in contestazione a «mettere in crisi il principio della certezza del diritto ed a generare turbamenti dal momento che, per far salvi gli esiti di una illegittima attività di indagine, sacrifica diritti di (alcuni) i derogando di fatto a principi fondamentali dell’ordinamento».
D’altro canto, secondo il COGNOME, «il meccanismo di compensazione dell’assenza di un provvedimento autorizzativo del giudice con la delimitazione delle fattispecie incriminatrici per le quali i dati già acquisiti risultano utilizza la necessità di valutare tali dati alla luce di “altri elementi di prova” non può dir rispettoso del principio di effettività», atteso che la CGUE, con la sentenza A.G. del 07/09/2023, «ha escluso che l’accesso ai dati dei tabulati sia di per sé compatibile con condotte corruttive fattispecie che, nel nostro ordinamento interno, sarebbero ricomprese nel novero delle fattispecie per le quali sarebbe oggi giudizialmente autorizzabile l’impiego di dati telefonici/informatici».
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata, in relazione sia all’art. 606, comma 1, lett. b), cod proc. pen., sia all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per «violazione di norma processuale penale in relazione alle modalità di acquisizione e valutazione dei tabulati telefonici» e, in particolare, per violazione dell’art. 15, paragrafo 1, del direttiva 2002/58/CE, letto alla luce degli artt. 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52 paragrafo 1, CDFUE, considerati i principi che sono stati affermati dalla Corte di giustizia con la sentenza della Grande Sezione 02/03/2021, nella causa C-746/18, H.K.
Il COGNOME deduce che i tabulati telefonici sarebbero stati acquisiti nell’ambito di un’attività investigativa che non lo vedeva «tra i soggetti interessati», salvo poi diventare il principale strumento, assieme alle intercettazioni telefoniche, per l’affermazione della sua responsabilità.
Il ricorrente rappresenta che la sua individuazione sarebbe «avvenuta facendo principalmente riferimento proprio ai dati acquisiti con i tabulati telefonici», i qual avrebbero pertanto «costituito strumento di acquisizione di una notitia criminis». Secondo il Frunza, «ciò, nella sostanza, contravviene ai principi sottesi alla legittima acquisizione dei dati di traffico così come affermati dalla sentenza CGUE del 02 marzo 2021», atteso che, con tale sentenza, la Corte di giustizia sarebbe «intervenuta prevedendo che l’acquisizione dei dati di traffico sia ammessa solo nei confronti di chi sia sospettato di reato e solo in casi eccezionali anche nei confronti di altre persone e sempre che sussistano elementi oggettivi che permettano di ritenere che tali dati potrebbero, in un caso concreto, fornire un contributo effettivo alla lotta ad attività criminali».
Il COGNOME deduce che tale specificazione sarebbe «irrinunciabile» per i giudici di Lussemburgo, atteso che «oltanto con una precisa delimitazione dell’ambito soggettivo è possibile evitare che un mezzo di ricerca della prova si trasformi in un mezzo di acquisizione di notizie di reato nel qual caso la compressione del diritto alla riservatezza non può trovare valida giustificazione». L’onere di delimitare tale ambito soggettivo si deve ritenere spettare al giudice che è
chiamato ad autorizzare l’acquisizione dei tabulati, giudice il cui controllo, tuttavia nel caso in esame non vi è stato.
Il ricorrente sottolinea l’importanza che avrebbero avuto nel giudizio i tabulati telefonici, tanto che, qualora se ne escludesse l’utilizzabilità, l’impiant motivazionale della sentenza di condanna risulterebbe inadeguato rispetto all’esito dello stesso giudizio. A dimostrazione di tale importanza, il ricorrente trascrive alcuni passi della sentenza impugnata da cui risulta l’impiego dei tabulati telefonici per: fondare il giudizio di attendibilità del coimputato COGNOME (pag. 50); ricostruire i movimenti degli imputati (pag. 53); smentire la credibilità del coimputato COGNOME (pag. 54); descrivere l’esistenza di rapporti tra i diversi soggetti coinvolti (pagg. 58 e 59).
4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza della motivazione con riguardo all’affermazione della sua responsabilità per i reati di cui ai capi 40, 46, 52, 55 58, 62, 64, 67, 70, 73, 76 e 79 dell’imputazione, nonché, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la «violazione dei principi di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 c.p.p.».
Il COGNOME lamenta anzitutto che la Corte d’appello di Torino, dopo avere approfondito la disamina delle risultanze probatorie relative ad alcuni capi d’imputazione, avrebbe ritenuto sussistente la prova della responsabilità degli imputati anche per le restanti imputazioni di riciclaggio e di ricettazione di automezzi rinvenuti sia nei luoghi nella disponibilità del Bannò sia presso la rivendita del COGNOME sulla base del «generico riferimento al contesto nel quale i fatti si sarebbero svolti (l’asserita consuetudine di rapporti tra i soggetti coinvol l’assenza di regolare documentazione comprovante la regolare provenienza dei ricambi piuttosto che la regolare cessione al COGNOME, il riferimento alle risultanze dei tabulati telefonici, dimostrative delle trasferte effettuate dal COGNOME a Sciolze il riferimento alla circostanza che alcuni pezzi rinvenuti a Calolziocorte appartenessero a vetture oggetto di furto in provincia di Torino)». Secondo il ricorrente, ciò «non può dirsi sufficiente a supportare l’affermazione di responsabilità penale e, in relazione a tale profilo, la sentenza risulta quindi carente di motivazione».
Una tale «motivazione sviluppata sulla “contestualizzazione” degli episodi» non evidenzierebbe infatti «quali siano gli elementi concreti cui viene ancorata la responsabilità degli imputati, sia sotto il profilo della ricostruzione della condott materialmente da essi tenuta, sia sotto il profilo dell’effettiva attribuibilità ad e imputati di tale condotta». Tale rilievo assumerebbe particolare pregnanza con riferimento alla posizione del COGNOME, atteso che «il suo coinvolgimento nella
vicenda de qua viene affermato, in larga parte, per il rapporto personale instauratosi con il Bannò».
In secondo luogo, anche accettando una tale argomentazione «basat sul contesto», la stessa sarebbe comunque viziata dalla violazione dei principi in tema di valutazione della prova indiziaria dettati dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
Secondo il COGNOME, gli indizi rinvenibili sarebbero esclusivamente: 1) i dati dei tabulati telefonici dimostrativi che il COGNOME si sarebbe recato presso l’abitazione del COGNOME; 2) il fatto che presso la rivendita del COGNOME erano state rinvenute parti di autoveicoli che erano stati rubati in provincia di Torino; 3) la mancanza di documentazione comprovante la regolarità delle transazioni tra il COGNOME e il COGNOME.
Ciò posto, apparirebbe «di tutto evidenza» come tali indizi sarebbero «tutt’altro che gravi, precisi e concordanti». L’inconsistenza degli stessi deriverebbe in effetti «dalla oggettiva impossibilità di risalire dai viaggi compiut dal COGNOME a quali pezzi di autovettura egli abbia appreso, dall’oggettiva impossibilità di escludere che il COGNOME non fosse riuscito a procurarsi tali pezz facendo riferimento a soggetti diversi da quelli coinvolti nella presente vicenda o, magari, in virtù di contatti diretti con coloro che si procuravano di realizzare i furt delle autovetture».
Alla luce di ciò, non sarebbe dirimente neppure l’argomento della mancanza di documentazione regolare, atteso che si potrebbe al riguardo obiettare che tale mancanza è dovuta non all’illiceità della transazione ma alla sua inesistenza.
4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione «nella parte in cui omette di considerare le argomentazioni difensive in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche ricorrendo a motivazione solo apparente».
Il COGNOME lamenta anzitutto che la Corte d’appello di Torino, nel confermare il diniego di tali circostanze attenuanti, non si sarebbe confrontata con le argomentazioni che egli aveva sviluppato nel proprio atto di appello, alle quali la stessa Corte non avrebbe fornito alcuna risposta. In particolare, la Corte d’appello di Torino non si sarebbe confrontata con il dedotto rilievo positivo, nella prospettiva della concessione del beneficio, degli elementi costituiti: dal suo «ruolo di bassissimo profilo» – tenuto conto che egli «si era trovato a lavorare in quello specifico contesto in quanto amico del COGNOME, che non intratteneva rapporti, se non saltuariamente e per questioni di poco momento, con gli altri protagonisti della vicenda, non aveva mai “commissionato” il furto di veicoli , non aveva mai dato né ricevuto denaro» – e dal suo «ruolo di assoluto subordine» rispetto al COGNOME;
dal suo stato di incensurato, dall’assenza di pendenze e dal fatto che il suo contatto con soggetti pregiudicati era «avvenuto per interposta persona»; dalla circostanza che «all’epoca dei fatti egli viveva una situazione di difficoltà in conseguenza della perdita del lavoro e della interruzione di una relazione sentimentale»; dalla sua condotta processuale, atteso che egli si era sottoposto sia a interrogatorio nella fase delle indagini preliminari sia all’esame in sede dibattimentale.
Il ricorrente contesta in secondo luogo la mancanza di qualsiasi riferimento alla produzione documentale che era stata fatta dalla propria difesa all’udienza del 30/01/2024 – documentazione dalla quale risultava «la presa di distanza dal coimputato COGNOME e dalla sua attività nonché il raggiungimento di una stabilità economica ed affettiva» -, e sottolinea come egli avesse anche presenziato a tutte le udienze del processo di secondo grado.
Il COGNOME lamenta ancora che la motivazione della Corte d’appello di Torino secondo cui la commissione dei reati a lui contestati sarebbe un fattore ostativo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche costituirebbe «un criterio di valutazione inaccettabile e contra legem».
Il ricorrente deduce infine come limitare il riconoscimento delle stesse circostanze attenuanti ai soli casi in cui l’imputato ammetta gli addebiti sarebbe contrario all’orientamento della Corte di cassazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME e il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME possono essere esaminati congiuntamente, atteso che, con entrambi tali motivi, è stata prospettata, con argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili, l’identica questione della compatibilità o no della disposizione transitoria di cui all’art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 132 del 2021, con l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE, letto alla luce degli artt. 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52, paragrafo 1, CDFUE.
Tale questione è manifestamente infondata.
La Corte di cassazione ha infatti già chiarito – affermando un principio che il Collegio, condividendo le argomentazioni che sono state poste a suo fondamento, intende ribadire -, che la disciplina transitoria introdotta dall’art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 132 del 2021, la quale ha consentito, a determinate condizioni, l’utilizzazione dei dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico e chiamate senza risposta acquisiti nei procedimenti penali in data antecedente all’entrata in vigore dello stesso decreto-legge, è compatibile con l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni, modificata dalla direttiva 2009/136/CE, in quanto, in un’ottica di ragionevole ed equilibrato
contemperamento di interessi diversi, persegue la finalità di non disperdere dati già acquisiti, subordinandone l’utilizzazione alla significativa illiceità penale predeterminate ipotesi per cui è consentita l’acquisizione a regime e alla sussistenza di «altri elementi di prova», quale requisito di compensazione della mancanza di un provvedimento giurisdizionale di autorizzazione all’acquisizione stessa, necessario nella disciplina a regime (Sez. 3, n. 11991 del 31/01/2022, COGNOME, Rv. 283029-01. Successivamente, nello stesso senso, tra le tante pronunce non massimate o non massimate sul punto: Sez. 4, n. 13391 del 06/03/2024, COGNOME; Sez. 3, n. 44923 del 04/07/2023, COGNOME; Sez. 5, n. 33792 del 11/05/2023, COGNOME; Sez. 2, n. 11283 del 03/02/2023, Gallone).
La Corte di cassazione è pervenuta ad affermare tale principio sulla scorta di quanto era stato precisato dalla stessa Corte di giustizia nell’invocata sentenza della Grande Sezione H.K., là dove la stessa Corte: a) ha asserito, richiamando precedenti conformi sul punto, che l’obiettivo «di evitare che informazioni ed elementi di prova ottenuti in modo illegittimo arrechino indebitamente pregiudizio a una persona sospettata di avere commesso dei reati può, a seconda del diritto nazionale, essere raggiunto non solo mediante un divieto di utilizzare informazioni ed elementi di prova siffatti, ma anche mediante norme e prassi nazionali che disciplinino la valutazione e la ponderazione delle informazioni e degli elementi di prova, o addirittura tenendo conto del loro carattere illegittimo in sede di determinazione della pena (sentenza del 6 ottobre 2020, RAGIONE_SOCIALE e a., C-511/18, C-512/18 e C-520/18, EU:C:2020:791, punto 225)» (punto 43; corsivo dell’estensore); b) ha aggiunto, a esemplificazione del limite invalicabile delle suddette valutazione e ponderazione, la necessità di escludere le informazioni e gli elementi di prova ottenuti qualora le persone in essi coinvolte «non siano in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni in merito alle informazioni e agli elementi di prova suddetti, riconducibili ad una materia estranea alla conoscenza dei giudici e idonei ad influire in maniera preponderante sulla valutazione dei fatti (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a., C-511/18, C-512/18 e C-520/18, EU:C:2020:791, punti 226 e 227» (punto 44). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerate tali asserzioni, postulate dalla stessa Corte di giustizia, la Corte di cassazione ha escluso che si potesse dubitare della conformità alle medesime delle scelte che erano state operate dal legislatore con la disciplina transitoria di cui al comma 1-bis dell’art. 1 del d.l. n. 132 del 2021, atteso che tale disciplina «non solo ha, in una visione di ragionevole ed equilibrato contemperamento di interessi diversi, inteso perseguire la logica non dispersione di dati già acquisiti condizionata, tuttavia, ai nuovi parametri di significativa illiceità penale dell ipotesi per le quali la acquisizione dei dati è consentita e alla sussistenza di “altri
elementi di prova”, quale requisito di “compensazione” rispetto alla mancanza di un provvedimento di acquisizione, fino ad oggi non richiesto, da parte del giudice, ma ha anche, evidentemente, “esposto” i dati così conservati al contraddittorio delle parti e alla conseguente possibilità di confutazione degli stessi» (punto 2.2. del Considerato in diritto).
Da ciò la conclusione della Corte di cassazione secondo cui non è possibile ritenere che, tenuto conto delle condizioni e delle modalità previste dalla più volte menzionata disciplina transitoria, la scelta con essa operata in punto di conservazione dei dati acquisiti sulla base del testo previgente dell’art. 132 del d.lgs. n. 196 del 2003 possa comportare il mantenimento, ai fini della loro valorizzazione, di «informazioni ed elementi di prova ottenuti in modo illegittimo» che «arrechino indebitamente pregiudizio a una persona sospettata di avere commesso dei reati», così da «rend impossibile in pratica o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effe (così la sentenza H.K., punto 42).
Alla luce di ciò, la Corte di cassazione, evidentemente, non ha ritenuto che ricorressero i presupposti per operare un rinvio pregiudiziale di interpretazione obbligatorio (ai sensi del terzo comma dell’art. 267 TFUE) nei termini nei quali esso è oggi richiesto dai due ricorrenti.
Si deve aggiungere che, come è stato osservato da Sez. 6, n. 9204 del 01/03/2022, Cannata, non massimata, «è stata la stessa Corte di giustizia Europea a sottolineare reiteratamente come siano legittime norme nazionali che dovessero limitare gli effetti dichiarativi delle proprie sentenze, in tutti i casi in l’applicazione immediata di tali pronunce dovesse mettere in crisi il principio generale di certezza del diritto ovvero provocare gravi turbamenti (in questo senso, tra le altre, Corte di giustizia, sent. del 28/09/1994, C-200/91, RAGIONE_SOCIALE; Corte di giustizia, sent. del 28/09/1994, C-28/93, COGNOME den COGNOME; Corte di giustizia, sent. del 08/04/1976, C43/75, Defrenne)» (punto 11.1 del Considerato in diritto).
2. Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME e il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME possono essere esaminati congiuntamente, atteso che, con entrambi tali motivi, sono state sollevate identiche questioni di legittimità costituzionale – con riferimento ai medesimi parametri e sotto i medesimi profili sempre della disposizione transitoria di cui all’art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 132 del 2021.
Tali questioni sono o inammissibili (quella sollevata con riferimento all’art. 15 Cost.) o manifestamente infondate (tutte le altre).
La questione sollevata con riferimento all’art. 15 Cost. è inammissibile perché i ricorrenti si sono limitarsi ad asserire, rispettivamente, che «videntemente la
norma sospettata di illegittimità costituzionale viola poi il diritto alla libertà d corrispondenza e delle comunicazioni» (così il Bannò) e che «a da sé che la norma in questione finisce col violare il diritto alla libertà della corrispondenza e delle comunicazioni» (così il COGNOME), omettendo così però completamente di esplicitare, come è necessario fare nel sollevare una questione di legittimità costituzionale, sotto quale profilo e per quali ragioni la norma censurata si dovrebbe ritenere violare il diritto invocato (nella specie, quello alla libertà dell corrispondenza e delle altre forme di comunicazione).
Quanto alle altre questioni, anzitutto, da quanto si è detto al punto 1 discende logicamente la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento al rispetto degli obblighi internazionali e dei vincoli che derivano dall’ordinamento dell’Unione europea (artt. 10, 11 e 117 Cost.), in relazione al parametro interposto di cui all’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE, letto alla luce degli artt. 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52, paragrafo 1, CDFUE (in tale senso, già Sez. 4, n. 32691 del 13/06/2023, COGNOME, non massimata, punto 5.4 del Considerato in diritto).
Quanto alla questione sollevata con riferimento all’art. 3 Cost., Sez. 6, n. 9204 del 01/03/2022, COGNOME, cit., ne ha già affermato la manifesta infondatezza, osservando, in modo del tutto condivisibile, come risponda a criteri di ragionevolezza l’avere stabilito che, a determinate condizioni, restino utilizzabili gli elementi di prova concernenti i dati relativi al traffico telefonico, al traf telematico e alle chiamate senza risposta che siano stati acquisiti nei procedimenti penali, con le modalità previste dalla disciplina previgente, prima del 30 settembre 2021, cioè prima della data di entrata in vigore del d.l. n. 132 del 2021. Il che esclude che sia irragionevole la diversità di trattamento tra indagati i cui dati siano stati acquisiti, rispettivamente, prima o dopo tale data.
Del resto, come è stato rilevato sempre con la citata sentenza COGNOME, la Corte costituzionale ha già ritenuto la compatibilità con la Costituzione di iniziative legislative di consimile portata, avendo puntualizzato come non si possa ritenere irragionevole una norma transitoria che, senza limitarsi «a sancire la conservazione, sia pure medio tempore, del pregresso sistema, nella parte in cui questo fosse incompatibile con i nuovi principi e le nuove regole» in tema di utilizzabilità della prova penale, «per un altro verso, sul piano logicamente reciproco, non vanificasse totalmente l’attività probatoria già espletata, rendendo meccanicisticamente operante un diverso modello processuale, con effetti di dispersione delle risultanze processuali, pur ritualmente acquisite secondo la legge del tempo» (v. sentenza n. 381 del 2001)» (ord. n. 64 del 2003).
Posta la manifesta infondatezza dei dubbi di irragionevolezza della disposizione transitoria in considerazione, risultano superati anche i rilievi dei
ricorrenti in punto di lesione sia dell’art. 111 Cost., sotto il profilo del «principi legalità processuale», sia del «principio di proporzionalità», sia del diritto di difesa atteso che, come già nel caso di cui alla citata Corte cost., ord. n. 64 del 2003, «giustificandosi la scelta normativa con l’esigenza di calibrare il passaggio tra due modelli processuali non poco difformi, i vizi denunciati si traducono soltanto in censure di opportunità di quella scelta, evidentemente estranee ai limiti del sindacato riservato» alla Corte costituzionale (così Corte cost., ord. n. 64 del 2003, citata sempre dalla sentenza COGNOME).
Si deve ora tornare all’esame separato dei motivi di ciascun ricorso, cominciando dal ricorso di NOME COGNOME
3.1. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Come la Corte di cassazione ha già avuto modo di chiarire, in tema di acquisizione e valutazione dei dati relativi al traffico telefonico e telematico, gl «altri elementi di prova» che, ai sensi della norma transitoria di cui all’art. 1 comma 1-bis, del n. 132 del 2021, devono corroborare i cosiddetti “dati esteriori” delle conversazioni, ai fini del giudizio di colpevolezza, possono essere di qualsiasi tipo e natura, in quanto non predeterminati nella specie e nella qualità, sicché possono ricomprendere non solo le prove storiche dirette, ma anche quelle indirette, legittimamente acquisite e idonee, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a confortare il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma (Sez. 4, n. 50102 del 05/12/2023, COGNOME, Rv. 285469-01; Sez. 5, n. 8968 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282989-02).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Torino ha utilizzato gli acquisiti “dati esteriori” relativi traffico telefonico, ai fini del giudizio di colpevolezza, unitamen a numerosi altri elementi di prova e, in particolare, unitamente: a) agli esiti delle perquisizioni e dei conseguenti sequestri che erano stati eseguiti il 08/08/2016 sia presso RAGIONE_SOCIALE, sita in Calolziocorte (in Provincia di Lecco), di cui era titolare NOME COGNOME, dove furono rinvenuti i motori di autovetture che sono indicati alle pagg. 56-57 della sentenza impugnata, sia presso la residenza, e le relative pertinenze, di NOME COGNOME (sita in Sciolze, INDIRIZZO e presso il capannone nella disponibilità dello stesso COGNOME (sito sempre in Sciolze, INDIRIZZO, dove furono rinvenuti, rispettivamente, le autovetture e gli autocarri che sono elencati alla pag. 55 della sentenza impugnata, e l’autovettura, i motori e i documenti che sono elencati alle pagg. 55-56 della sentenza impugnata; b) il contenuto delle intercettate conversazioni, sia telefoniche (sulle utenze degli indagati) sia tra presenti (all’interno dei veicoli da essi utilizzati), gli imputati e gli altri “protagonisti” delle vicende delittuose in considerazione (i particolare: NOME COGNOME e NOME COGNOME); c) la chiamata in correità da parte dell’imputato di reato connesso NOME COGNOME il quale aveva riferito di
realizzare furti di autoveicoli su commissione del Bannò e che questi era pienamente consapevole della provenienza furtiva degli stessi veicoli (pag. 51 della sentenza impugnata); d) le dichiarazioni, anch’esse accusatorie, degli altri imputati di reato connesso NOME COGNOME (pag. 55 della sentenza impugnata) e NOME COGNOME (pag. 63 della sentenza impugnata).
Ne discende, pertanto, che, contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, la Corte d’appello di Torino si deve ritenere avere pienamente rispettato la regola legale di valutazione della prova che è prevista dal comma 1-bis dell’art. 1 del d.l. n. 132 del 2021, avendo la stessa Corte d’appello, come si è visto, utilizzato gli acquisiti “dati esteriori” relativi al traffico telefonico, manifestamen «unitamente ad altri elementi di prova».
Con riguardo alle specifiche deduzioni del ricorrente, si deve osservare che, diversamente da quanto egli mostra di ritenere: a) qualora non fosse stata superata la cosiddetta prova di resistenza – la quale impone che, quando con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento di prova a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, che le residue risultanze probatorie non sarebbero sufficienti a fondare lo stesso convincimento del giudice (per tutte: Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 27030301) – il proposto motivo di ricorso sarebbe stato inammissibile (e non manifestamente infondato); b) la disposizione transitoria di cui al comma 1-bis dell’art. 1 del d.l. n. 132 del 2021 non esclude affatto che i “dati esteriori” relati al traffico telefonico possano rivestire un ruolo anche determinante ai fini della formazione del convincimento del giudice.
3.2. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Come si è visto esaminando il terzo motivo, la Corte d’appello di Torino è pervenuta all’affermazione di responsabilità degli imputati (e, in particolare, anche del COGNOME) per i reati loro attribuiti sulla base di un corposo e, ad avviso del Collegio, univoco quadro probatorio, costituito: a) dagli esiti delle perquisizioni e dei conseguenti sequestri che erano stati eseguiti il 08/08/2016 sia presso RAGIONE_SOCIALE, sita in Calolziocorte (in Provincia di Lecco), di cui era titolare NOME COGNOME, dove furono rinvenuti i motori di autovetture che sono indicati alle pagg. 56-57 della sentenza impugnata, sia presso la residenza, e le relative pertinenze, di NOME COGNOME (sita in Sciolze, INDIRIZZO e presso il capannone nella disponibilità dello stesso COGNOME (sito sempre in Sciolze, INDIRIZZO, dove furono rinvenuti, rispettivamente, le autovetture e gli autocarri che sono elencati alla pag. 55 della sentenza impugnata, e l’autovettura, i motori e i documenti che sono elencati alle pagg. 55-56 della sentenza impugnata; b) dal contenuto delle intercettate conversazioni, sia telefoniche (sulle utenze degli indagati) sia tra presenti (all’interno dei veicoli da essi utilizzati), tra gli impu
e gli altri “protagonisti” delle vicende delittuose in considerazione (in particolare: NOME COGNOME e NOME COGNOME); c) dalla chiamata in correità da parte dell’imputato di reato connesso NOME COGNOME, il quale aveva riferito di realizzare furti di autoveicoli su commissione del Bannò e che questi era pienamente consapevole della provenienza furtiva degli stessi veicoli (pag. 51 della sentenza impugnata); d) dalle dichiarazioni, anch’esse accusatorie, degli altri imputati di reato connesso NOME COGNOME (pag. 55 della sentenza impugnata) e NOME COGNOME (pag. 63 della sentenza impugnata); e) dagli acquisiti “dati esteriori” relativi al traffico telefonico, dai quali era stato possibile, tra l’ desumere logicamente l’effettuazione di frequenti viaggi da parte del COGNOME da Lecco a Sciolze e ricavare l’esistenza e la frequenza dei contatti tra il COGNOME e il COGNOME, tra il COGNOME e il COGNOME e tra il COGNOME e il COGNOME.
La Corte d’appello di Torino ha confermato l’affermazione di responsabilità degli imputati (e, in particolare, anche del Bannò) anche con riguardo ai reati di ricettazione e di riciclaggio aventi a oggetto i motori che furono rinvenuti e sequestrati in Calolziocorte presso RAGIONE_SOCIALE, di cui era titolare NOME COGNOME sulla scorta degli specifici elementi costituiti dal fatto che detti moto erano appartenuti ad automezzi che erano stati rubati in Provincia di Torino, dalla riscontrata consuetudine dei rapporti tra i due imputati e il COGNOME, dai riferimenti fatti a quest’ultimo dagli stessi imputati, nelle conversazioni intercettate, quale acquirente finale delle parti di autoveicoli, dalla riscontrata frequente effettuazione di viaggi, da parte del COGNOME, a Sciolze (dove riedeva e operava il COGNOME), dalle affermazioni del COGNOME secondo cui il COGNOME vendeva la refurtiva sempre a un soggetto di Lecco.
Tale motivazione risulta complessivamente priva di contraddizioni e di manifeste illogicità, con la conseguenza che essa si sottrae a censure in questa sede, in particolare, a quelle che sono state avanzate dal ricorrente, le quali appaiono sostanzialmente dirette a ottenere una non consentita diversa valutazione del significato probatorio da attribuire alle menzionate prove, dovendosi, peraltro, rammentare che, come è stato statuito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza COGNOME, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), dello stesso codice, per censurare l’omessa o l’erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze conness alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lett. c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza
delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME Rv. 280027-04).
3.3. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli facc riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare allo scopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Torino ha confermato il diniego, a entrambi gli imputati, delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivo e prevalente, a tale fine, l’elemento della concreta gravità dei reati – in quanto si erano risolti nella ricezione di numerosissimi automezzi di provenienza delittuosa, con, nella maggior parte dei casi, la realizzazione di operazioni di smontaggio dei medesimi e la successiva rivendita di pezzi al Morello – e, in particolare, delle concrete modalità della condotta, in quanto evidenziavano la realizzazione di un’attività delittuosa duratura e stabile, con ciò rimanendo evidentemente disattesi altri elementi, tra cui quelli che erano stati addotti dall’imputato COGNOME
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede.
Si deve ora passare all’esame del ricorso di NOME COGNOME.
4.1. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
L’art. 132, comma 3, del d.lgs. n. 196 del 2003, nel testo attualmente vigente, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. a), del d.l. n. 132 del 2021, consente l’acquisizione dei “dati esteriori” relativi al traffico telefonico «se sussisto sufficienti indizi» dei reati indicati nello stesso comma 3 («reati per i quali la legge
stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’articolo 4 del codice di procedura penale» e «reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi»).
Lo stesso comma 3 dell’art. 132 del d.lgs. n. 196 del 2003, nella sua precedente versione, non prevedeva invece la necessità della sussistenza di sufficienti indizi di reato.
Comunque, analogamente a quanto è costantemente affermato dalla Corte di cassazione in tema di intercettazione di conversazioni o comunicazioni con riguardo alla previsione di cui all’art. 267, comma 1, cod. proc. pen., là dove essa consente il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova «quando vi sono gravi indizi di reato» (Sez. 1, n. 2568 del 18/09/2020, COGNOME, Rv. 280354-01; Sez. 4, n. 8076 del 12/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258613-01; Sez. 4, n. 42017 del 17/10/2006, Capitano, Rv. 235536-01), si deve ritenere che i sufficienti «indizi di reato», attuale necessario presupposto per l’acquisizione dei “dati esteriori” relativi al traffico telefonico, attengano all’esistenza dell’illecito penale e non al “colpevolezza” di un determinato soggetto, con la conseguenza che, per procedere legittimamente a tale acquisizione, non è necessario che gli indizi siano a carico di una persona individuata o del soggetto i cui dati devono essere acquisiti a fini di indagine.
Si deve, del resto, in proposito evidenziare come la norma di cui al comma 1bis dell’art. 1 del d.l. n. 132 del 2021 faccia riferimento a «indizi di reati» e non d reità.
Ne discende, pertanto, che l’apprezzamento del presupposto di cui a tale norma implica la valutazione del ricorrere di elementi sintomatici dell’esistenza di un fatto penalmente sanzionato compreso tra quelli che sono indicati nel suddetto comma 1-bis, in sostanza, dell’esistenza di una notitia criminis, e non di elementi relativi alla riferibilità soggettiva della stessa notitia.
In ogni caso, dalla complessiva lettura delle sentenze dei giudici di merito, il sospetto che il COGNOME fosse implicato nel vasto sistema di furti di autoveicoli e di ricettazione e riciclaggio degli stessi appare essere prioritariamente insorto dal contenuto delle intercettate conversazioni e dall’esito della già menzionate perquisizioni e sequestri e non dall’acquisizione dei “dati esteriori” relativi al suo traffico telefonico.
4.2. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Come si è visto esaminando il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME (punto 3.2) la Corte d’appello di Torino è pervenuta all’affermazione di responsabilità degli imputati (e, in particolare, anche del COGNOME) per i reati loro attribuiti sulla base di un corposo e, ad avviso del Collegio, univoco quadro
probatorio, costituito: a) dagli esiti delle perquisizioni e dei conseguenti sequestri che erano stati eseguiti il 08/08/2016 sia presso RAGIONE_SOCIALE, sita in Calolziocorte (in Provincia di Lecco), di cui era titolare NOME COGNOME dove furono rinvenuti i motori di autovetture che sono indicati alle pagg. 56-57 della sentenza impugnata, sia presso la residenza, e le relative pertinenze, di NOME COGNOME (sita in Sciolze, INDIRIZZO e presso il capannone nella disponibilità dello stesso COGNOME (sito sempre in Sciolze, INDIRIZZO, dove furono rinvenuti, rispettivamente, le autovetture e gli autocarri che sono elencati alla pag. 55 della sentenza impugnata, e l’autovettura, i motori e i documenti che sono elencati alle pagg. 55-56 della sentenza impugnata; b) dal contenuto delle intercettate conversazioni, sia telefoniche (sulle utenze degli indagati) sia tra presenti (all’interno dei veicoli da essi utilizzati), tra gli imputati e gli altri “protago delle vicende delittuose in considerazione (in particolare: NOME COGNOME e NOME COGNOME); c) dalla chiamata in correità da parte dell’imputato di reato connesso NOME COGNOME il quale aveva riferito di realizzare furti di autoveicoli su commissione del Bannò e che questi era pienamente consapevole della provenienza furtiva degli stessi veicoli (pag. 51 della sentenza impugnata); d) dalle dichiarazioni, anch’esse accusatorie, degli altri imputati di reato connesso NOME COGNOME (pag. 55 della sentenza impugnata) e NOME COGNOME (pag. 63 della sentenza impugnata); e) dagli acquisiti “dati esteriori” relativi al traffic telefonico, dai quali era stato possibile, tra l’altro, desumere logicamente l’effettuazione di frequenti viaggi da parte del COGNOME da Lecco a Sciolze e ricavare l’esistenza e la frequenza dei contatti tra il COGNOME e il COGNOME, tra il COGNOME e il De Vicario e tra il COGNOME e il COGNOME.
La Corte d’appello di Torino è pervenuta all’affermazione di responsabilità degli imputati (e, in particolare, anche del COGNOME) anche con riguardo ai reati di ricettazione e di riciclaggio aventi a oggetto i motori che furono rinvenuti e sequestrati in Calolziocorte presso RAGIONE_SOCIALE, di cui era titolare NOME COGNOME sulla scorta degli specifici elementi costituiti dal fatto che detti motori erano appartenuti ad automezzi che erano stati rubati in Provincia di Torino, dalla riscontrata consuetudine dei rapporti tra i due imputati e il COGNOME, dai riferimenti fatti a quest’ultimo dagli stessi imputati, nelle conversazioni intercettate, quale acquirente finale delle parti di autoveicoli, dalla riscontrata frequente effettuazione di viaggi, da parte del COGNOME, a Sciolze (dove riedeva e operava il COGNOME), dalle affermazioni del COGNOME secondo cui il COGNOME vendeva la refurtiva sempre a un soggetto di Lecco.
Con specifico riguardo alla posizione del COGNOME, la Corte d’appello di Torino ha in particolare sottolineato la significatività, tra l’altro: del conten dell’intercettata conversazione n. 1697 che egli intrattenne col COGNOME, nel
corso della quale il COGNOME aveva rassicurato il COGNOME sul fatto che la strada non era controllata da forze dell’ordine (che avrebbero potuto scoprire che era in atto il trasporto di un autoveicolo rubato); delle dichiarazioni del COGNOME sul fatto che a smontare gli autoveicoli erano il COGNOME e il suo operaio rumeno (cioè il COGNOME); dal comportamento tenuto dal COGNOME in occasione delle menzionate perquisizioni del 08/08/2016 dal il contenuto dell’intercettata conversazione che fu intrattenuta dallo stesso COGNOME col Del Vicario in concomitanza con le suddette perquisizioni.
Tale motivazione risulta priva di contraddizioni e di manifeste illogicità, sicché essa si sottrae a censure in questa sede, in particolare, a quelle che sono state avanzate dal ricorrente, le quali risultano sostanzialmente dirette a ottenere una non consentita diversa valutazione del significato probatorio da attribuire alle menzionate prove, dovendosi, peraltro, rammentare che, come è stato statuito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza COGNOME in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), dello stesso codice, per censurare l’omessa o l’erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità del doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lett. c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, cit.).
4.3. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Come si è visto esaminando il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME (punto 3.3), la Corte d’appello di Torino ha confermato il diniego, a entrambi gli imputati, delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivo e prevalente, a tale fine, l’elemento della concreta gravità dei reati – in quanto si erano risolti nell ricezione di numerosissimi automezzi di provenienza delittuosa, con, nella maggior parte dei casi, la realizzazione di operazioni di smontaggio dei medesimi e la successiva rivendita di pezzi al COGNOME – e, in particolare, delle concrete modalità della condotta, in quanto evidenziavano la realizzazione di un’attività delittuosa duratura e stabile, con ciò rimanendo evidentemente disattesi altri elementi, tra cui quelli che erano stati addotti dall’imputato COGNOME.
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità che si sono esposti sempre al punto 3.3, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede.
In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagame
della somma di € 3.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa del
ammende.
Così deciso il 04/03/2025.