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Utilizzabilità prove digitali: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30883/2025, si è pronunciata sulla questione cruciale dell’utilizzabilità prove digitali. Nel caso di specie, erano state acquisite conversazioni da un’applicazione di messaggistica senza un specifico decreto motivato. La Suprema Corte ha stabilito che tali prove sono inutilizzabili, poiché l’acquisizione di dati da dispositivi elettronici lede la segretezza delle comunicazioni e richiede un’autorizzazione giudiziaria ad hoc, distinta dal mero sequestro del dispositivo.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Utilizzabilità prove digitali: la nuova pronuncia della Cassazione

L’evoluzione tecnologica ha reso smartphone e computer i custodi della nostra vita digitale. Ma come si concilia la necessità di indagine con il diritto alla privacy? La questione della utilizzabilità prove digitali è al centro di un recente e importante intervento della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 30883 del 2025 ha tracciato una linea netta a tutela delle garanzie individuali.

I Fatti di Causa

Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte riguardava un procedimento penale in cui la prova principale a carico dell’imputato consisteva in una serie di conversazioni estratte da un’applicazione di messaggistica installata sul suo smartphone. Il dispositivo era stato oggetto di un decreto di sequestro, ma l’acquisizione dei dati contenuti al suo interno era avvenuta senza un ulteriore e specifico provvedimento autorizzativo dell’autorità giudiziaria. La difesa dell’imputato aveva eccepito l’inutilizzabilità di tali prove, sostenendo che l’accesso ai dati personali e alle chat private costituisse una violazione del diritto alla segretezza della corrispondenza, tutelato dalla Costituzione.

La Decisione della Corte e l’utilizzabilità delle prove digitali

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della difesa, annullando la decisione impugnata. I giudici hanno affermato un principio di diritto fondamentale: l’acquisizione di dati digitali da un dispositivo elettronico, come messaggi, email o file, rappresenta un’interferenza con i diritti fondamentali dell’individuo, in particolare con la libertà e la segretezza delle comunicazioni. Pertanto, tale attività investigativa non può essere considerata una mera conseguenza automatica del sequestro del dispositivo.

Le motivazioni

La Corte ha chiarito che il sequestro del “contenitore” (lo smartphone) e l’acquisizione del “contenuto” (i dati) sono due operazioni nettamente distinte che richiedono differenti tutele giuridiche. Se il sequestro del dispositivo come corpo del reato o cosa pertinente al reato è legittimo, l’accesso ai dati in esso archiviati è un’attività ulteriore che necessita di un autonomo vaglio giurisdizionale. In assenza di un decreto motivato che autorizzi specificamente l’estrazione e l’analisi dei dati, le prove così raccolte devono essere considerate acquisite in violazione di un divieto probatorio e, di conseguenza, sono processualmente inutilizzabili ai sensi dell’art. 191 del codice di procedura penale. La sentenza sottolinea come l’assenza di una disciplina legislativa specifica per le “perquisizioni digitali” non possa tradursi in un vuoto di tutele per i cittadini.

Le conclusioni

Questa pronuncia stabilisce un importante baluardo a difesa della privacy nell’era digitale. Le forze dell’ordine e le procure dovranno adeguarsi, richiedendo sempre un’autorizzazione specifica e motivata al giudice per poter accedere al contenuto di smartphone, tablet e computer sequestrati. La decisione ribadisce che le esigenze investigative, per quanto importanti, non possono prevalere sulle garanzie costituzionali, estendendo la tutela della corrispondenza privata a tutte le forme di comunicazione digitale. Si tratta di una vittoria per lo stato di diritto e un monito per il legislatore a intervenire con una normativa chiara che regoli l’acquisizione della prova digitale.

È possibile utilizzare i messaggi di una chat come prova in un processo?
Sì, ma solo se sono stati acquisiti legalmente, nel rispetto delle norme procedurali e dei diritti fondamentali, come la privacy e la segretezza della corrispondenza, e previa autorizzazione specifica dell’autorità giudiziaria.

Cosa si intende per inutilizzabilità della prova?
Significa che una prova, anche se rilevante per accertare i fatti, non può essere usata dal giudice per formare la sua decisione perché è stata ottenuta violando una specifica norma di legge.

La polizia può accedere ai dati di uno smartphone sequestrato senza un’autorizzazione del giudice?
No. Secondo questa sentenza, il sequestro del dispositivo non autorizza automaticamente l’accesso ai dati contenuti. Per estrarre e analizzare i dati è necessario un distinto e motivato provvedimento dell’autorità giudiziaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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