Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 45265 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 45265 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Locri 1’11/01/1973
avverso l’ordinanza emessa il 29/06/2023 dal Tribunale di Reggio Calabria;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rige del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di fiducia dell’indagato anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza con cui è stata applicata la misura della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME ritenuto gravemente indiziato del reato di concorso in tentativo di acquisto in Ecuador e di importazione in Australia di un non precisato ingente quantitativo di cocaina-
Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge processuale; il tema attiene alla utilizzabilità del contenuto delle intercettazioni delle conversazioni compiute sulle ch Sky Ecc e acquisite mediante Ordini di indagine europeo.
Riportato il contenuto della ordinanza impugnata, si assume che il Tribunale avrebbe erroneamente ricondotto il mezzo “di prova” nell’alveo dell’art. 234 bis cod. proc. pen., laddove, invece, dalla documentazione acquisita emergerebbe come, in realtà, siano state compiute operazioni di intercettazioni telematiche nnassive – e quindi illegali flussi generali in transito su un determinato server, con conseguente violazione dei diritti individuali fondamentali.
Intercettazioni non autorizzabili secondo le norme dell’ordinamento giuridico interno e, dunque, inutilizzabili.
In tal senso si fa anche riferimento al contenuto del rinvio pregiudiziale alla Corte Giustizia da parte del Tribunale di Berlino con riguardo alla interpretazione dell’art. par.1, lett. a)- b) della direttiva 2014/41.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria.
L’ordinanza sarebbe viziata nella parte in cui ha ritenuto sussistenti i gravi indizi colpevolezza solo sulla base dell’assunto secondo cui la decisone dei “trafficanti”, a distanza di mesi dal “fallimento dell’affare, di “investire” il ricorrente del compi trovare una soluzione ad un “problema” con un complice inadempiente – cioè suo cognato, tale NOME-, di cercare questi in Australia o, in alternativa, di accollarsi il de potrebbe spiegarsi solo ipotizzando un ruolo e un coinvolgimento nel fatto illecito dello stesso NOME sin dall’origine (così il ricorso); detto ruolo sarebbe stato, secondo Tribunale, alternativamente quello di “tramite” dei narcos con il parente per collocare la sostanza stupefacente sul mercato di destinazione ovvero quello di portavoce del cognato, a sua volta partecipe del finanziamento.
Sul punto la motivazione sarebbe contraddittoria e viziata tenuto conto che non vi sarebbero elementi indiziari a carico del ricorrente nella fase dell’investimento dell’organizzazione dell’affare ma solo, successivamente, dopo il mancato esito della operazione.
Sarebbe in particolare viziato l’assunto secondo cui la volontà dei trafficanti nell’impossibilità di escutere il debitore principale, di accollare il debito ad un terzoal ricorrente- dimostrerebbe il coinvolgimento di questi nella operazione sin dall’origine tenuto conto, si aggiunge, che sarebbe non chiarito neppure il ruolo in concreto rivestito da questi nella fase del recupero.
Né il Tribunale si sarebbe confrontato con li assunti difensivi a lui devoluti.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alle ritenute esigenze cautelari.
Il riferimento compiuto dal Tribunale alla gravità del fatto per giustificare il peri di recidiva non sarebbe di per sé sufficiente, dovendosi detto elemento raccordare con la capacità a delinquere dell’indagato desunta dalla condotta antecedente e successiva al reato, tenuto conto dello stato di incensuratezza e della sua estraneità ad ogni contributo o ausilio al tentativo di importazione.
Né l’ordinanza sarebbe motivata in punto di adeguatezza della misura tenuto conto del differente trattamento avuto nei riguardi di altri soggetti partecipi dell’associazi
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato.
È infondato il primo motivo di ricorso che deve essere valutato alla luce dei principi di recente affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, che si sono pronunciate in merito anche alle questioni di diritto sollevate dal ricorrente (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024 COGNOME Rv. 286589-01-02-03-04-05; Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi).
Anche nei casi sottoposti alle Sezioni Unite il compendio indiziario posto alla base delle misure cautelari personali era costituito principalmente da elementi acquisiti tramite o.e.i. da parte dell’autorità giudiziaria italiana e segnatamente da comunicazioni scambiate su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell’autorità giudiziaria francese.
In primo luogo, le Sezioni Unite hanno chiarito che, trattandosi di prove già disponibili in Francia, tanto per la competenza ad emettere l’o.e.i., tanto per le condizioni d ammissibilità ed utilizzabilità delle prove così acquisite, occorre far riferimento sistema di circolazione delle prove nel processo penale italiano.
Il pubblico ministero e, più in generale, la parte che vi ha interesse possono, nell’ordinamento italiano, chiedere ed ottenere la disponibilità di prove già formate i un procedimento penale al fine di produrle in un altro procedimento penale, senza necessità di alcuna quest’ultimo. autorizzazione preventiva da parte del giudice competente per
Ciò anche nel caso di prove, come le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, per la cui formazione è indispensabile la preventiva autorizzazione del giudice competente.
Se non occorre la preventiva autorizzazione, sul piano generale resta invece impregiudicato il potere del giudice competente del procedimento penale ad quem di valutare se le prove così acquisite siano ammissibili e utilizzabili ai fini della decisi in tal senso assumono rilievo le regole dettate dagli artt. 238, 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen.
Questo comporta dunque che anche gli atti oggetto dell’o.e.i., costituenti «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione», possono essere legittimamente richiesti e acquisiti dal pubblico ministero italiano senza la necessità preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarli.
Spetta invece al giudice nazionale, al quale il pubblico ministero presenterà le prove così acquisite di controllare, se vi siano le condizioni per emettere l’o.e.i. e per utiliz nel processo italiano.
Le Sezioni Unite hanno poi affrontato la questione controversa della corretta qualificazione dell’atto trasmesso tramite l’o.e.i.; si tratta di una questione che anche presente ricorso solleva.
In mancanza di certezze sul materiale acquisito all’estero – ovvero se lo stesso consisteva o meno in risultati di intercettazioni svolte in Francia – le Sezioni Unite han esaminato le possibili soluzioni prospettate dall’ordinanza impugnata e dalla difesa.
Nei casi sottoposti all’esame delle Sezioni Unite, le ordinanze impugnate – al pari della ordinanza relativa al presente ricorso – avevano ritenuto che le trascrizioni queste chat costituissero “documenti informatici”, acquisiti ex art. 234-bis cod. proc pen.
Detta soluzione è stata esclusa dalle Sezioni Unite che hanno invece chiarito che l’art. 234-bis disciplina non un mezzo di prova, bensì una modalità di acquisizione di particolari tipologie di elementi di prova presenti all’estero, che viene attuata in “diretta” dall’autorità giudiziaria italiana e prescinde da qualunque forma collaborazione con le autorità dello Stato in cui tali dati sono custoditi (in altri t sono dati informatici disponibili al pubblico e quindi “accessibili” – senza autorizzazio dello Stato territoriale – dall’autorità giudiziaria procedente).
Secondo le Sezioni Unite, potrebbe venire invece in considerazione la nozione di “prova documentale” ex art. 234 cod. pen., in quanto essa può ricomprendere anche le comunicazioni elettroniche, ancorché per alcune tipologie di documenti siano previste regole specifiche, come nel caso della tutela accordata dall’art. 15 Cost. all corrispondenza (anche di tipo messaggistico, come precisato dalla Corte costituzionale), che tuttavia non richiede per la sua acquisizione processuale un provvedimento del giudice, ma solo un atto motivato dell’a.g.
Nel caso invece in cui gli atti acquisiti siano il risultato di intercettazioni già eff in via autonoma in Francia, le Sezioni Unite hanno chiarito come il parametro di riferimento nel sistema processuale nazionale per verificare l’esistenza delle condizioni di ammissibilità dell’o.e.i. e di utilizzabilità della prova sia costituito dalla di prevista dall’art. 270 cod. proc. pen.
Con la conseguenza che vengono in applicazione i seguenti corollari:
i risultati delle intercettazioni possono essere utilizzati in procedimenti diversi quelli nei quali le operazioni sono state disposte solo se «risultino rilevanti indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagra – ai fini dell’utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicaz procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, in quanto l’art. 270 cod. proc. pen prevede esclusivamente il deposito, presso l’autorità giudiziaria competente per il “diverso” procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime, né sono altrimenti previste sanzioni di inutilizzabilità (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004 COGNOME, Rv. 229244 – 01, e Sez. 1, n. 49627 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285579);
grava sulla parte che eccepisce l’invalidità o l’inutilizzabilità delle intercetta provenienti da altro procedimento l’onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende la patologia denunciata (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229245 – 01), e, quindi, nel caso di censura concernente il vizio di motivazione apparente, dì produrre sia il decreto di autorizzazione emesso nel procedimento diverso sia il documento al quale esso rinvia (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229246, nonché Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 274996);
nel caso di acquisizione degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale siano state rilasciate le relative autorizzazioni, il controllo del giudice sulla legalità dell’ammissione e dell’esecuzion delle operazioni – di carattere meramente incidentale e, come tale, ininfluente nel procedimento a quo – riguarda esclusivamente la serietà e la specificità delle esigenze investigative, come individuate dal P.M. in relazione alla fattispecie criminosa ipotizzata e non comporta alcuna valutazione di fondatezza, neanche sul piano indiziario, della ipotesi in questione (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229247);
l’omesso deposito degli atti relativi, ivi compresi i nastri di registrazione, pre l’autorità competente per il diverso procedimento, non ne determina l’inutilizzabilità, i quanto detta sanzione non è prevista dall’art. 270 cod. proc. pen. e non rientra nel novero di quelle di cui all’art. 271 cod. proc. pen. aventi 6 carattere tassativo (così plurimis: Sez. 5, n. 1801 del 16/07/2015, dep. 2016, Tunno, Rv. 266410 – 01; Sez. 5, n. 14783 del 13/03/2009, Badescu, Rv. 243609 – 01; Sez. 6, n. 27042 del 18/02/2008, COGNOME, Rv. 240972);
la trasmissione dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni dal procedimento in cui sono state disposte ad altro procedimento in cui si intende utilizzarle non richiede alcun intervento preventivo da parte del giudice di quest’ultimo al fine di autorizzare le parti interessate a procedere all’acquisizione di copia dei rela atti, perché tale intervento non è previsto dall’art. 270 cod. proc. pen., né è imposto d altre disposizioni o dal sistema normativo.
I principi sopra affermati sono applicabili, secondo le Sezioni Unite, anche quando le operazioni di intercettazioni siano state realizzate all’estero con l’inserimento di captatore informatico sui server della piattaforma di un sistema informatico o telematico, al fine dì acquisire le chiavi di cifratura delle comunicazioni, custodite dispositivi dei singoli utenti.
Tale mezzo investigativo opera un’intrusione nel domicilio informatico di una persona allo scopo di captare non comunicazioni, ma dati necessari per rendere intellegibili le comunicazioni.
All’esito di tale impostazione, le Sezioni Unite hanno ritenuto che dalla inapplicabili dell’art. 234-bis cod. proc. pen. non derivi di per sé la illegittimità dell’acquisizi inutilizzabilità dei dati trasmessi; invero, l’errore di qualificazione in cui erano incor ordinanze impugnate non ne determinava l’annullamento, in quanto nel caso sussistevano comunque le condizioni necessarie per emettere legittimamente l’o.e.i.
In particolare: – anche a voler ritenere, come prospettato dalla difesa, che le prove trasmesse siano qualificabili come risultati di intercettazioni di conversazioni comunicazioni, la loro acquisizione poteva essere effettuata sulla base di o.e.i. emesso dal pubblico ministero in assenza di preventiva autorizzazione del giudice, come sopra già indicato; – gli atti ottenuti mediante o.e.i. risultano richiesti in quanto r «rilevanti ed indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’ar in flagranza»;
– l’asserita violazione delle garanzie procedimentali di cui all’art. 268, commi 6, 7 8, cod. proc. pen. non rileva ai fini delle condizioni di ammissibilità di cui all’ paragrafo 1, lett. b), Direttiva cit., ma viene in considerazione in una fase successiva di controllo, sicché la loro attuazione può essere differita anche dopo l’utilizzazione deg esiti delle captazioni a fini cautelari.
Quanto all’utilizzabilità delle prove, le Sezioni unite hanno chiarito il ripar competenze tra Stato di esecuzione e Stato di emissione dell’o.e.i.
Le questioni relative all’esecuzione dell’o.e.i (quindi anche alla trasmissione degl atti) sono proponibili in linea generale solo nello Stato di esecuzione, al quale compete la verifica della regolarità degli atti ivi compiuti.
Nel caso affrontato dalle Sezioni Unite, il ricorrente aveva eccepito con il riesame l incompleta trasmissione degli atti autorizzativi emessi in Francia e la Suprema Corte ha rilevato che la difesa non aveva nemmeno allegato con il ricorso di aver presentato istanza a quell’autorità per contestare tale punto.
Tra l’altro, come ha rilevato il Supremo Consesso, non risultavano, né erano state indicate, disposizioni da cui desumere la giuridica necessità dell’acquisizione e del deposito, nel procedimento in Italia, dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria stranie aventi ad oggetto l’autorizzazione di attività di indagine in un procedimento pendente
davanti ad essa, i cui esiti sono stati successivamente richiesti dall’autorità giudizia italiana mediante o.e.i. Lo stesso 270 cod. proc. pen. nulla prevede al riguardo.
Il principio della applicazione della lex loci nell’esecuzione dell’o.e.i, se compor l’esclusione quindi della proponibilità di questioni ad essa relativa nello Stato emissione, fa «salve le garanzie dei diritti fondamentali nello Stato di esecuzione» (art. 14 Direttiva OEI).
La soluzione accolta, del resto, corrisponde alla costante tradizione del nostro ordinamento, e alla consolidata elaborazione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di rogatoria internazionale, trovano applicazione le norme processuali dello Stato in cui l’atto viene compiuto, con l’unico limite che la prova non può essere acquisita in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano e dunque con il diritto di difesa (mentre irrilevante è la mera inosservanza delle regole dettate d codice di rito dello Stato italiano richiedente).
Nel sistema della Direttiva 2014/41/UE, è inoltre espressamente riconosciuto il principio della «presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il di dell’Unione e, in particolare, i diritti fondamentali» (Corte giustizia, 11/11/20 Gavanozov, C-852/19, § 54; cfr., nello stesso senso, Corte giustizia, 08/12/2020, Staatsanwaltschaft Wien, C-584/19, § 40).
Il che comporta dunque che anche nello Stato di emissione va assicurato il rispetto di tali diritti.
Ciò premesso, le Sezioni Unite hanno affermato che, ai fini dell’accertamento del “rispetto dei diritti fondamentali”, assumono rilievo i seguenti principi:
della presunzione relativa di conformità ai diritti fondamentali dell’attività svo dall’autorità giudiziaria estera nell’ambito di rapporti di collaborazione ai dell’acquisizione di prove;
e dell’onere per la difesa di allegare e provare il fatto dal quale dipende la violazion denunciata (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De borio, Rv. 244329 – 01, e, in termini analoghi, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229245).
Quanto ai «diritti fondamentali» da rispettare in caso di risultati di intercettazioni Sezioni Unite hanno rammentato l’elaborazione in materia della giurisprudenza della Corte EDU e delle condizioni poste dalla specifica disciplina fissata nella Direttiv 2014/41/UE.
Ed in particolare:
le intercettazioni non autorizzate da un giudice o da un’autorità indipendente, e le intercettazioni disposte sulla base di provvedimenti non motivati in ordine all’esistenza in concreto dei presupposti richiesti dalla legge per procedervi, si pongono in contrasto con i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU;
non emerge un divieto di effettuare intercettazioni di vaste proporzioni, purché siano previste efficaci garanzie contro rischi di abusi e di arbitri nelle fasi dell’adoz
della misura, della sua esecuzione e del controllo successivo (cfr. Corte EDU, Grande Camera, 25/05/2021, RAGIONE_SOCIALE ed altri c. Regno Unito, e Corte EDU, Grande Camera, 25/05/2021, Centrum fiir Ràttvisa c. Svezia, le quali, sebbene con riguardo ad intercettazioni effettuate dai servizi segreti e non nell’ambito di un procedimento penale hanno escluso che, in generale, le c.d. “intercettazioni di massa”, anche quando disposte per contrastare attività delittuose concernenti il traffico di sostanze illecite, int una violazione degli artt. 8 e 10 CEDU, se effettuate nel rispetto di “dovute” garanzie). – non esiste l’incompatibilità con le garanzie della CEDU della trasmissione dei risultat di intercettazioni disposte in un procedimento penale ad un diverso procedimento penale da parte di un pubblico ministero;
neppure determina, almeno in linea di principio, una violazione di «diritti fondamentali» l’impossibilità, per la difesa, di accedere all’algoritmo utilizz nell’ambito di un sistema di comunicazioni per “criptare” il contenuto delle stesse (se l disponibilità dell’algoritmo di criptazione è funzionale al controllo dell’affidabili contenuto delle comunicazioni acquisite al procedimento, è onere infatti della difesa dedurre specifiche allegazioni di segno contrario, quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato a una chiave di cifratura, per cui una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo, anche solo parzialmente (cfr., tra le tan Sez. 6, n. 46833 del 26/10/2023, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 6 n. 48838 dell’11/10/2023, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 16347 del 05/04/2023, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, COGNOME, non mass. sul punto), né la giurisprudenza sovranazionale risulta aver affermato che l’indisponibilità dell’algoritmo di decriptazione agli atti del processo costituisca, d sé, violazione dei «diritti fondamentali» (così Corte EDU, Grande Camera, 26/09/2023, NOME COGNOME c. Turchia, § 336);
in ogni caso, inoltre, resta fermo che l’onere dell’allegazione e della prova in ordin ai fatti da cui desumere la violazione dei «diritti fondamentali» grava sulla par interessata;
quanto poi alla Direttiva, è prevista l’inutilizzabilità dei risultati di interce disposte da autorità di altro Stato ed effettuate nei confronti di persone il cui «indir di comunicazione» è attivato in Italia sussiste solo se l’autorità giudiziaria italiana ri che le captazioni non sarebbero state consentite «in un caso interno analogo», perché disposte per un reato per il quale la legge nazionale non prevede la possibilità di ricorrer a tale mezzo di ricerca della prova.
Affrontati alla stregua di tali principi i ricorsi, le Sezioni Unite hanno ri soddisfatta la condizione di ammissibilità posta dall’art. 6, par. 1, lett. a), Dir 2014/41/UE, relativa alla necessità e proporzionalità delle attività richieste mediante o.e.i., anche in considerazione dei diritti degli indagati.
L’esame di tale profilo deve essere compiuto avendo riguardo al procedimento nel cui ambito è emesso l’ordine europeo di indagine. I dati probatori trasmessi dall’autorità giudiziaria francese sono stati acquisiti in un procedimento penale pendente davanti ad essa sulla base di provvedimenti autorizzativi adottati da un giudice in relazione ad indagini per gravi reati, ed ampiamente motivati in ordine all’esistenza in concreto dei presupposti ritenuti necessari dalla giurisprudenza della Corte EDU.
Le Sezioni Unite hanno escluso anche la plausibilità della prospettazione difensiva secondo cui le autorità francesi avrebbero effettuato intercettazioni generalizzate ed indiscriminate.
Il ricorso al sistema Sky-Ecc, per le modalità di accesso, per la impenetrabilità dall’esterno, e per l’utilizzo che risulta esserne stato fatto, costituiva una concret specifica fonte indiziante a carico dei singoli utenti proprio con riguardo a tali reati.
Il sistema RAGIONE_SOCIALE, per le garanzie di anonimato assicurate agli utenti, non è certamente compatibile con la disciplina italiana, che richiede l’identificazione degl stessi, mediante l’acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità prima dell’attivazione anche di singole componenti di servizi di telefonia mobile (cfr. art 98-undetricies d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259).
Secondo le Sezioni unite, i provvedimenti dell’autorità giudiziaria francese evidenziavano che: a) l’acquisto del singolo dispositivo richiedeva il versamento di parecchie migliaia di euro in funzione di una utilizzazione limitata ad alcuni mesi e, quindi, lasciava presupporre la percezione di elevati «redditi conseguenti»; b) la vendita dei singoli dispositivi avveniva in condizioni di clandestinità, tali da garantire l’anonim del venditore e dell’acquirente, anche perché effettuata dietro pagamenti in contanti, con conseguente esclusione della tracciabilità delle operazioni; c) il gestore del sistema di crittografia garantiva il massimo anonimato delle comunicazioni, in quanto precisava esplicitamente sul sito internet di non conservare alcun dato diverso da quello concernente l’apertura del rapporto e da quello della sua ultima utilizzazione; d) i sistema di crittografia era estremamente sofisticato, in quanto caratterizzato da ben quattro chiavi di cifratura, memorizzate in luoghi diversi.
Le medesime ordinanze, poi, anche facendo richiamo ad episodi specifici, rappresentano che il sistema Sky-Ecc è stato utilizzato da organizzazioni criminali operanti in Francia, in Belgio, nei Paesi Bassi e a livello internazionale, proprio in materi di traffico di sostanze stupefacenti.
Va rilevato infine che, a seguito delle richiamate decisioni delle Sezioni Unite, sui temi in esame si è pronunciata la Corte di giustizia dell’Unione europea (Corte giust. UE, Grande Sezione, 30 aprile 2024, C-670/22, M.N., EncroChat), affermando il principio secondo cui l’art. 6, par. 1, lett. b) , della direttiva 2014/41 non richiede – neppure una situazione come quella in cui i dati in questione sono stati raccolti dalle autorit competenti dello Stato di esecuzione nel territorio dello Stato di emissione e
nell’interesse di quest’ultimo – che l’emissione di un ordine europeo di indagine dirett alla trasmissione di prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione sia soggetta alle stesse condizioni sostanziali applicabili, nello Stato d emissione, in materia di raccolta di tali prove.
Infatti, alla luce del principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e del decisioni giudiziarie, che è alla base della cooperazione giudiziaria in materia penale, l’autorità di emissione non è autorizzata a controllare la regolarità del procedimento distinto mediante il quale lo Stato membro di esecuzione ha raccolto le prove già in possesso di quest’ultimo e di cui l’autorità di emissione chiede la trasmissione.
Sotto altro, ma connesso profilo, occorre tuttavia considerare che la disposizione di cui all’art. 6, par. 1, lett. a), della citata direttiva 2014/41 consente l’emissione ordine europeo di indagine anche nell’ipotesi in cui l’integrità dei dati intercettati possa essere verificata in tale fase della procedura a causa della riservatezza delle basi tecniche dell’intercettazione, purché il diritto ad un processo equo venga garantito nel corso del successivo procedimento penale.
Infatti, l’integrità delle prove trasmesse può, in linea di principio, essere valutata nel momento in cui le autorità competenti dispongono effettivamente delle prove di cui trattasi.
Per tale ragione la Corte di Lussemburgo ha altresì precisato che l’art. 14, par. 7, della richiamata direttiva 2014/41 impone agli Stati membri di assicurare, senza pregiudizio dell’applicazione delle norme processuali nazionali, che nel procedimento penale avviato nello Stato di emissione siano rispettati i diritti della difesa e sia gara un giusto processo nell’ambito della valutazione delle prove acquisite tramite l’ordine europeo di indagine.
Di conseguenza, quando un organo giurisdizionale nazionale considera che una parte non è in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni su un tale elemento di prova che sia idoneo ad influire in modo preponderante sulla valutazione dei fatti, tale organo giurisdizionale deve constatare una violazione del diritto a un processo equo ed – espungere tale elemento di prova.
Declinati i suddetti principi in relazione al caso in esame, il motivo di ricorso ri la sua infondatezza, al limite della inammissibilità.
Quanto alla qualificazione giuridica dell’atto trasmesso, anche nel caso in esame, la corretta soluzione indicata dalla difesa (ovvero che non si verta nell’ipotesi di cui all’ 234-bis cod. proc. pen., bensì di risultati di intercettazioni già disposte autonomamente in Francia) non comporta riflessi sulla ammissibilità e utilizzabilità della prova trasmess per le ragioni già indicate.
Sotto altro profilo, la difesa si è limitata a dedurre la erronea applicazione degli a 266-bis e e ss. cod. proc. pen., senza tuttavia specificare le violazioni rilevanti; in or
al mancato accesso alle chat, alle operazioni di decifratura, alle c.d. intercettazio massive è sufficiente rinviare a quanto sul punto chiarito dalle Sezioni Unite.
Anche nel presente caso, le deduzioni della difesa si presentano astratte, generiche e non in grado di superare la presunzione di legittimità degli atti compiuti all’estero più in generale, i principi affermati dalle Sezioni unite; nessuna istanza risulta peralt essere stata avanzata presso lo Stato di esecuzione per accedere direttamente agli atti.
Resta in ogni caso fermo il principio affermato dalla Corte di giustizia, in ordine a diritto della difesa di poter svolgere nel corso del procedimento in relazione alla prova acquisita tramite l’o.e.i. le prerogative, nel rispetto del diritto nazionale, propri contraddittorio e del giusto processo (in tal senso, anche testualmente, Sez. 6, n. 30032 del 03/07/2024, COGNOME),
4. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
Il Tribunale, con una motivazione non manifestamente illogica, ha ricostruito i fatti e spiegato come, dopo il mancato buon esito della operazione di acquisto di sostanza stupefacente programmata, NOME COGNOME – cognato del ricorrente e rappresentante della famiglia RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” in Australia – avrebbe dovuto provvedere al rimborso del denaro finanziato: non provvedendo in tal senso, i soggetti coinvolti nella transazione illecita si erano rivolti all’odierno ricorrente “quello del ristorante”.
In particolare, è stato chiarito come, in un dato momento, COGNOME e gli altri che chiedevano il recupero del denaro, davanti al protrarsi della inerzia di Lana e alla situazione di fibrillazione che ne era conseguita, non solo si erano rivolti al ricorren con forme e modalità sempre più esplicite, ma avevano stabilito che, in caso di mancata restituzione del denaro da parte dello zio, NOME avrebbe dovuto provvedere personalmente alla rifusione del denaro.
La ragione della richiesta di restituzione del denaro e dell’accollo del debito R2 ( -gt,) trovava la propria giustificazione, ha ancora chiarito il Tribunale, nella circostanza ch era stato proprio l’odierno ricorrente ad avere presentato NOME a Stangio e, più in generale, al gruppo criminale “il fatto dei soldi che abbiamo mandato in Australia sa un suo parente e adesso prende scuse essendo che ce l’ha presentato suo zio”.
Da tali dati di presupposizione il Tribunale ha fatto discendere in maniera non illogica l’inferenza del coinvolgimento del ricorrente nel piano criminale quanto alla sua programmazione e alla sua esecuzione, essendosi NOME prestato ad individuare in Australia e in favore della organizzazione criminale il soggetto che avrebbe dovuto sul territorio portare a compimento l’operazione di importazione.
Rispetto a tale quadro di riferimento il motivo rivela la sua inconsistenza, non essendo stato spiegato perché NOMECOGNOME che aveva presentato lo zio al gruppo criminale, dovrebbe considerarsi estraneo al piano e, soprattutto, perché quel contributo
materiale non dovrebbe configurare una compartecipazione criminosa al reato sin dall’inizio.
Diversamente dagli assunti difensivi, COGNOME fu chiamato a rispondere “per un fatto proprio”, quello cioè di aver presentato al gruppo criminale – nella fase ideativa organizzativa del piano criminoso- un soggetto inaffidabile e, rispetto al quale, il gruppo aveva, errando, fatto invece affidamento.
5. È inammissibile il terzo motivo di ricorso.
Diversamente dagli assunti difensivi, il Tribunale, con una motivazione puntuale, ha valorizzato, ai fini del giudizio prognostico sul pericolo di recidiva e della adeguatezz della misura, non solo la obiettiva estrema gravità del fatto ma anche la personalità criminale del ricorrente che, dalla Germania intratteneva rapporti con l’organizzazione che operava a San Luca in Calabria, e che, anche in ragione della recidiva, del contesto criminoso in cui i fatti devono essere collocati e dei comprovati contatti con contesti criminali operanti anche in continenti diversi, non consentono affatto di ritenere neutralizzate le esigenze indicate, oltre che il pericolo di fuga, con misura coercitiv meno afflittive, peraltro già disposte.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 5 settembre 2024
Il Consiglie GLYPH tensore GLYPH
Il Presidente