Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20166 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20166 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Cosenza il 04/03/1984
avverso l’ordinanza emessa il 07/11/2024 dal Tribunale del riesame di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata; udite, nell’interesse di NOME COGNOME le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME e
dell’avv. NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 7 novembre 2024 il Tribunale del riesame di Catanzaro confermava il provvedimento cautelare emesso il 17 ottobre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 1 (artt. 61, primo comma, n. 1, 81, secondo comma, 110, 416-bis.1, 575, 577, primo comma, nn. 3 e 4, cod. pen.) e 2 (artt. 61, primo comma, n. 1, 81, secondo comma, 110, 416-bis.1 cod. pen., 2, 4 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895).
Secondo l’originaria ipotesi accusatoria, il 22 settembre 2011, alle ore 19.20, NOME COGNOME agendo in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME, provocava la morte di NOME COGNOME che veniva eseguita materialmente dallo stesso COGNOME.
L’omicidio veniva perpetrato mentre NOME COGNOME alla guida di un’autovettura Alfa Romeo Giulietta, targata TARGA_VEICOLO, percorreva la INDIRIZZO di Cosenza, dove veniva affiancato da un ciclomotore Aprila Scarabeo 500, che procedeva in una direzione di marcia opposta, condotto da NOME COGNOME che esplodeva numerosi colpi di una pistola calibro 7.65, che attingevano la persona offesa. La vittima veniva prontamente soccorsa dal persona P tanitario giunto sul posto e trasportata in ospedale, dove, alle ore 19.55 della stessa giornata, decedeva.
Nell’immediatezza dei fatti, il personale di polizia intervenuto sul luogo del delitto rinveniva sei bossoli di cartucce calibro 7.65 ed esaminava alcuni testimoni oculari, le cui dichiarazioni consentivano di ricostruire la dinamica dell’attentato mortale.
La ricostruzione della sequenza dell’agguato, però, non si rivelava proficuo., per lo sviluppo delle indagini, non consentendo di individuare né i soggetti che avevano organizzato l’attentato né il contesto criminale nel quale la vicenda onnicidiaria si inseriva. Pertanto, l’originario procedimento, iscritto a carico d soggetti ignoti, per la commissione dell’omicidio di NOME COGNOME, veniva archiviato.
Nel 2019, l’apertura alla collaborazione con la giustizia di NOME COGNOME e NOME COGNOME, che provenivano dalla criminalità ‘ndranghetistica dell’area cosentina, forniva un nuovo impulso alle indagini, originariamente archiviate, che venivano riaperte su richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro.
Secondo l’ipotesi accusatoria, posta a fondamento di questo secondo segmento processuale, NOME COGNOME unitamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME aveva organizzato l’omicidio di NOME COGNOME che era stato eseguito materialmente
dallo stesso COGNOME. Si riteneva, inoltre, di individuare la causale dell’attentato mortale nelle fibrillazioni maturate nell’ambiente del Clan COGNOME–COGNOME di Cosenza, del quale il ricorrente, all’epoca dei fatti, era un esponente di spicco.
Tuttavia, anche questo segmento processuale si concludeva con l’archiviazione della posizione di NOME COGNOME disposta dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro, su conforme richiesta del Pubblico ministero, atteso che dichiarazioni accusatorie che avevano portato alla riapertura delle indagini non si ritenevano convergenti sul ricorrente.
A questa seconda archiviazione, faceva seguito un ulteriore sviluppo delle indagini sull’omicidio di NOME COGNOME che traeva origine dal contributo dichiarativo fornito in altri procedimenti penali dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che permettevano di ricostruire il contesto ‘ndranghetistico cosentino nel quale era maturata la decisione 4 l’attentato mortale in esame.
Tra queste propalazioni, si attribuiva un rilievo indiziario preminente alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME nell’interrogatorio reso il 6 marzo 2019 nel procedimento denominato “Reset”, iscritto a ruolo con il n. 3804/2017 R.G.N.R. In tale contesto processuale, il collaborante NOME COGNOME dichiarava che era stato NOME COGNOME che era un esponente di punta del Clan COGNOME–COGNOME, ad avere organizzato l’omicidio di NOME COGNOME incaricando NOME COGNOME di eseguirlo.
Si riteneva, al contempo, di individuare il movente dell’omicidio nell’attività usuraria svolta da NOME COGNOME senza la preventiva autorizzazione dei vertici del Clan COGNOME–COGNOME, al quale la vittima non aveva corrisposto alcuna percentuale degli introiti illecitamente percepiti.
Le dichiarazioni di NOME COGNOME, a loro volta, si ritenevano corroborate dalle propalazioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che, esaminate alla luce delle originarie accuse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, consentivano di formulare un giudizio di gravità indiziaria nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 1 e 2.
In questa, stratificata, cornice indiziaria, deve evidenziarsi che l’illegittimi delle acquisizioni effettuate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, relative alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia nel procedimento denominato “Reset” e negli altri procedimenti da cui provenivano, veniva eccepita dalla difesa del ricorrente nell’istanza presentata al Tribunale del riesame di Catanzaro, ex art. 309 cod. proc. pen. Si riteneva, in particolare, che tali propalazioni erano inutilizzabili, essendo intervenute dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari del presente procedimento, iscritto a ruolo con il
n. 1470/2018 R.G.N.R., in violazione del combinato disposto degli artt. 405 e 407 cod. proc. peri.
Tuttavia, il Tribunale del riesame di Catanzaro respingeva l’eccezione di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari, sollevata nell’interesse del ricorrente ex artt. 405 e 407 cod. proc. pen., sull’assunto che i fatti di reato, per i quali si procedeva nei confront dell’indagato nel presente procedimento, erano diversi da quelli per i quali erano stati acquisiti gli ulteriori elementi indiziari – rappresentati dalle dichiarazion accusatorie rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME provenienti da altri procedimenti penali.
Il Tribunale del riesame di Catanzaro, infine, riteneva sussistenti le esigenze cautelari indispensabili al mantenimento della misura genetica, relative alle ipotesi delittuose di cui ai capi 1 e 2, rilevanti ai sensi dell’art. 275, comma 3 cod. proc. pen., per effetto dello scenario ‘ndranghestistico nel quale l’omicidio di NOME COGNOME era maturato e delle modalità con cui l’agguato mortale si era concretizzato. Tali connotazioni rendevano elevato il pericolo di reiterazione delle condotte illecite, anche alla luce della situazione di conflittualità criminale in cu era maturata la decisione di uccidere NOME COGNOME comprovata dagli elementi indiziari acquisiti nel corso delle indagini preliminari, rispetto alla qual non assumeva un rilievo decisivo il lasso di tempo, pur significativo, trascorso dall’attentato mortale oggetto di vaglio.
Sulla scorta di questo compendio indiziario, il Tribunale del riesame di Catanzaro confermava il provvedimento cautelare genetico emesso nei confronti di NOME COGNOME dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro il 17 ottobre 2024.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, articolando tre censure difensive.
Con il primo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 125, comma 3, 405 e 407 cod. proc. pen., conseguente all’utilizzazione degli atti di indagine acquisiti nel procedimento denominato “Reset” e negli altri procedimenti, dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari del presente procedimento, iscritto a ruolo con il n. 1470/2018 R.G.N.R., che riguardavano un ambito investigativo, omogeneo e unitario, rappresentato dalla sfera di operatività del Clan COGNOME–COGNOME di Cosenza, sul quale erano state rese le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME e degli altri collaboranti.
4 GLYPH
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, in riferimento agli artt. 575, 577, 416-bis.1, cod. pen., 2, 4 e 7 legge n. 895 del 1967, 125, comma 3, 273, 192, 195, 309 cod. proc. pen., per non avere la decisione in esame dato esaustivo conto delle ragioni che, relativamente alle ipotesi delittuose di cui ai capi 1 e 2, imponevano di formulare un giudizio di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese nei confronti del ricorrente dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, sebbene tali propalazioni non convergessero sull’indagato e fossero state ritenute inattendibili nel procedimento celebrato nei confronti di NOME COGNOME al quale si contestava il coinvolgimento concorsuale nell’omicidio di NOME COGNOME. L’incongruità del giudizio di attendibilità censurato appariva ancora più evidente con riferimento all’ipotesi di reato di cui al capo 2, atteso che nessuno dei collaboratori di giustizia aveva mai riferito che la pistola calibro 7.65 utilizzata per assassinare la vittima era stata procurata o comunque era riconducibile al ricorrente.
Con il terzo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, in riferimento agli artt. 125, comma 3, 274 e 292 cod. proc. pen., rappresentandosi che la decisione in esame, a fronte dell’inadeguatezza del compendio indiziario acquisito nel corso delle indagini preliminari nei confronti di NOME COGNOME resa evidente dalle censure difensive prospettate con le due doglianze precedenti, era stata applicata nei riguardi del ricorrente in modo automatico e senza tenere, in alcun modo, conto degli elementi sintomatici della sua pericolosità sociale, sui quali il Tribunale del riesame di Catanzaro si era espresso in termini oggettivamente assertivi, trascurando, tra l’altro, lo stato di detenzione patito dal ricorrente per altro tit restrittivo.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è fondato in accoglimento del primo motivo di ricorso, nel quale devono ritenersi assorbite le residue censure difensive.
Occorre premettere che con la doglianza prospettata quale primo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente all’utilizzazione degli atti di indagine acquisiti nel procedimento denominato “Reset” e negli altri procedimenti, dopo la scadenza dei termini delle
indagini preliminari del presente procedimento, maturata ex art. 407 cod. proc. pen., che riguardavano un ambito investigativo, omogeneo e unitario, rappresentato dalla sfera di operatività del Clan COGNOME–COGNOME, sul quale erano state rese le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME e degli altri collaboranti.
Occorre, in proposito, precisare che analoga eccezione di inutilizzabilità era stata proposta nell’istanza di riesame presentata, ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., al Tribunale del riesame di Catanzaro, che la respingeva sull’assunto che i fatti di reato per i quali si procedeva nei confronti dell’indagato nel presente procedimento, iscritto a ruolo con il n. 1470/2018 R.G.N.R., riguardando l’omicidio di NOME COGNOME, erano diversi da quelli per i quali erano stati acquisiti gli ulteriori elementi a carico del ricorrente nel procedimento denominato “Reset”, iscritto a ruolo con il n. 3804/2017 R.G.N.R., oltre che degli altri procedimenti da cui transitavano. Tali emergenze indiziarie, come affermato a pagina 2 dell’ordinanza censurata, avevano permesso «non solo di raccogliere elementi nuovi, ma di leggere, sotto una nuova lente, .Rq-a- quelli già acquisiti nel corso dell’indagine primigenia riguardante l’omicidio COGNOME».
Secondo il Tribunale del riesame di Catanzaro, gli atti di indagine provenienti dal procedimento denominato “Reset” – ma anche gli altri atti di indagine transitati da altri procedimenti – erano valutabili alla luce del principio di dirit affermato da Sez. 5, n. 44147 del 13/06/2018, S., Rv. 274118 – 01, espressamente citato dal provvedimento impugnato, secondo cui: «Gli elementi di prova acquisiti dal Pubblico ministero dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari possono essere utilizzati ai fini cautelari solo se acquisiti “aliunde” nel corso di indagini estranee ai fatti oggetto del procedimento i cui termini siano scaduti, ovvero se provenienti da altri procedimenti relativi a fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi, essendo comunque necessario che tali risultanze non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti».
Nella stessa direzione ermeneutica recepita dal provvedimento censurato deve essere considerato il principio di diritto affermato da Sez. 6, n. 9386 del 14/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272727 – 01, secondo cui: «Gli elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari possono essere utilizzati ai fini cautelari solo se acquisiti nel corso di indagini estranee ai fatti oggetto del procedimento i cui termini siano scaduti, ovvero se provenienti da altri procedimenti relativi a fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi, essendo comunque necessario che tali risultanze non siano il risultato di indagini finalizzate alla verific
all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti».
Sono, invece, sottratte alla disciplina dei termini di durata delle indagini le informative di polizia giudiziaria che costituiscono una mera elaborazione dell’attività investigativa precedentemente svolta, come ad esempio le note meramente riassuntive o conclusive redatte dalla polizia giudiziaria, che, pur compiute dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, non sono inutilizzabili. Sul punto, non si può che richiamare il principio di diritt affermato da Sez. 3, n. 4089 del 20/01/2012, COGNOME Rv. 251974 – 01, secondo cui: «Non rientrano, tra gli atti di indagine inutilizzabili se compiuti dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari, quelli costituenti mera rielaborazione di attività precedentemente svolte, come ad esempio le note riassuntive o conclusive della P.G., e quelli meramente ricognitivi giacché finalizzati a documentare la permanenza ed attualità di situazioni già in precedenza compiutamente accertate».
Non GLYPH possono, GLYPH però, GLYPH considerarsi GLYPH meramente GLYPH ricognitive GLYPH e, conseguentemente, sottrarsi alla disciplina dei termini delle indagini preliminari di cui agli artt. 405 e 407 cod. proc. pen., le informative che sono rielaborative di atti già trasmessi e inseriti nel fascicolo del Pubblico ministero, la cui attitudin probatoria si colora e assume un rilievo diverso e più specifico a seguito dell’inoltro, con l’informativa riepilogativa, di altri atti, documenti o materia latamente probatorio, che precedentemente non risultavano inseriti nello stesso fascicolo processuale. In questo caso, allora, quello che assume rilievo ai fini «della verifica della inutilizzabilità prevista per gli atti compiuti dopo la scadenz del termine di durata per le indagini preliminari, deve farsi riferimento alla data in cui i singoli atti di indagine sono compiuti e non a quella del deposito della informativa che li riassume» (Sez. 5, n. 19553 del 25/03/2014, Naso, Rv. 260403 – 01).
In questa cornice ermeneutica, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia acquisite dal Pubblico ministero dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari di cui all’art. 407 cod. proc. pen., analogamente al caso in esame, possono essere utilizzate ai fini cautelari, laddove provenienti da altri procedimenti, soltanto se riguardino fatti di reato diversi, oggettivamente e soggettivamente, essendo necessario che tali risultanze indiziarie non siano il risultato di indagini funzionali a verificare la sussistenza di elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti.
2.1. Dalla disciplina, stratificata, descritta nel paragrafo precedente, discende che per potere affermare o negare l’utilizzabilità di atti di indagine provenienti da altri procedimenti penali, tenuto conto del momento in cui l’atto è
stato compiuto, occorre verificare preliminarmente la funzione probatoria al quale lo stesso è destinato e l’oggetto del procedimento nel quale è stato assunto.
Non è, pertanto, possibile affermare, sic et simpliciter, l’utilizzabilità di un atto d’indagine acquisito in un altro procedimento sulla base di un’asserita diversità dell’oggetto dei due procedimenti, affermata in assenza di una ricognizione delle sue connotazioni probatorie, che impongono una valutazione, preliminare e comparativa, dei titoli di reato, degli indagati e dell’oggetto del differente procedimento nel quale l’atto processuale deve essere utilizzato dal Pubblico ministero.
Né potrebbe essere diversamente, dovendosi ribadire che le emergenze indiziarie provenienti da un altro procedimento possono essere utilizzate nel procedimento i cui termini delle indagini preliminari sono scaduti, ex art. 407 cod. proc. pen., solo quando provengano «da altri procedimenti relativi a fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi» e sempre che «non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti» (Sez. 5, n. 44147 del 13/06/2018, S., cit.).
Occorre, pertanto, ribadire che le dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia acquisite dal Pubblico ministero dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari possono essere utilizzate per l’adozione di un provvedimento restrittivo, laddove transitate da un altro procedimento, soltanto se riguardano fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi, essendo necessario che tali emergenze probatorie non siano il risultato di accertamenti processuali finalizzati a verificare e ad approfondire profili investigativi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti.
Tale opzione interpretativa, a ben vedere, trae il suo fondamento ermeneutica dal principio di diritto, risalente ma insuperato, affermato da Sez. U, n. 8 del 23/02/2000, Romeo, Rv. 215412 – 01, che si attaglia perfettamente al caso di specie, secondo cui: «I nuovi elementi di prova acquisiti dal Pubblico ministero successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere possono essere utilizzati ai fini della revoca della sentenza e della successiva applicazione di una misura cautelare personale nei confronti dell’imputato prosciolto, a condizione che essi siano stati acquisiti “aliunde” nel corso di indagini estranee al procedimento già definito o siano provenienti da altri procedimenti, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, e comunque non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica ed all’approfondimento degli elementi emersi».
In questa univoca cornice, non può non rilevarsi che il Tribunale del riesame di Catanzaro non si è soffermato su tali, pur decisivi, profili valutativi, con l conseguenza di non consentire di comprendere quali fossero i fatti di reato oggetto del procedimento “Reset”, né degli altri procedimenti, che venivano richiamati genericamente nel provvedimento impugnato, da cui gli atti di indagine acquisiti provenivano.
Sotto questo profilo, il percorso argomentativo seguito dal Tribunale del riesame di Catanzaro non è assistito dalla necessaria specificità, atteso che nel provvedimento impugnato, senza affrontare il tema della diversità delle fonte di prova dei procedimenti da cui i nuovi elementi provenivano, si affermava assertivamente che i nuovi indizi erano emersi in procedimenti con un oggetto diverso. Tale asserita diversità, però, veniva affermata dal Tribunale del riesame di Catanzaro in termini assolutamente generici, non soffermandosi il provvedimento censurato nemmeno sul tema della interconnessione tra i vari procedimenti dai quali gli elementi indiziari provenivano, aventi a oggetto un contesto consortile connotato da omogeneità, rappresentato dalla sfera di operatività del Clan COGNOME–COGNOME, sulla quale erano state acquisite le propalazioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In presenza di una tale, allo stato indefinita, situazione processuale, il provvedimento censurato si rivela carente di un adeguato apparato argomentativo in ordine a un punto essenziale e non eludibile, che solo se risolto nel senso dell’effettiva autonomia tra il presente procedimento e gli altri procedimenti, nell’ambito dei quali le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono state acquisite, può consentire la formulazione di un giudizio di gravità indiziaria nei confronti di NOME COGNOME (Sez. 5, n. 44147 del 13/06/2018, S., cit.; Sez. 6, n. 9386 del 14/12/2017, dep. 2018, Caridi, cit.).
Su questo passaggio argomentativo, pertanto, si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale del riesame di Catanzaro per un nuovo giudizio, che chiarisca il contesto processuale nel quale sono state acquisite le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, provenienti da altr procedimenti, utilizzate per formulare un giudizio di gravità indiziaria nei confronti del ricorrente, che dovrà essere eseguito nel rispetto dei principi di diritto che si sono richiamati.
Restano assorbite nella doglianza oggetto di accoglimento le residue censure difensive, che venivano prospettate quale secondo e terzo motivo di ricorso, il cui vaglio postula la verifica sulla legittimità del compendio indiziari acquisito nel corso delle indagini preliminari nei confronti di NOME COGNOME
sulla quale si impone un nuovo giudizio da parte del Tribunale del riesame d
Catanzaro.
Consegue, infine, a tali statuizioni processuali, la trasmissione, a cura cancelleria, di copia del presente provvedimento al direttore dell’ist
penitenziario dove NOME COGNOME si trova ristretto, a norma dell’art.
comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale del riesame di Catanzaro.
1-ter,
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 3 aprile 2025.