Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30300 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30300 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nata il DATA_NASCITA in Cina
avverso la sentenza in data 17/10/2023 della Corte di appello di Milano visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/10/2023 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma di quella del Tribunale di Milano in data 22/09/2021, ha prosciolto COGNOME dal delitto di cui all’art. 648-ter cod. pen., contestato al capo 2), nonché dal delit di corruzione ex artt. 321 e 319 cod. pen., relativamente ai fatti di cui al capo 1) sub E) ed F), ma ha confermato la condanna della predetta COGNOME in ordine ai
residui episodi di corruzione contestati al capo 1), sub A), B), C), G) H), I), 3), K) L), M), N), O), P), rideterminando la pena.
2. Ha proposto ricorso NOME COGNOME, tramite i suoi difensori.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’art. 526 cod. proc. pen. e all’utilizzazione di prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento, in particolare le dichiarazioni rese nel corso delle indagini da cittadini cinesi, con riguardo ai capi 1A), 1H), 1L), 1M, 1N).
La Corte aveva indebitamente utilizzato verbali di dichiarazioni non acquisiti al dibattimento, nell’ambito di un’operazione di copia-incolla rispetto alla separata sentenza emessa a seguito di rito abbreviato a carico del coimputato COGNOME.
La stessa Corte aveva peraltro dato la prova della rilevanza attribuita a tali dichiarazioni, avendo segnalato la necessità di premettere che le dichiarazioni degli stranieri richiedenti i permessi di soggiorno, relativamente a fatti storici riferiti dichiaranti, avrebbero potuto considerarsi dati obiettivi, alla stregua degli accertamenti della P.G. sui conti bancari della ricorrente e sui contatti telefonici con i richiedenti dei permessi.
Richiamata la valenza degli artt. 514 e 526 cod. proc. pen., per suggellare la legalità della prova, rileva che gli atti contenuti nel fascicolo del P.m., possono acquisirsi con il consenso delle parti.
Nel caso di specie erano state acquisite le informative dell’Ufficio Immigrazione, ma la difesa con riguardo alle dichiarazioni rese dagli stranieri richiedenti i permessi di soggiorno e ai collegamenti valutativi tra tabulati telefonici e bonifici, aveva negato il consenso, ciò di cui il presidente del Collegio giudicante in primo grado aveva espressamente dato atto.
Delle dichiarazioni riportate nelle informative non avrebbe potuto dunque tenersi conto, senza che l’utilizzabilità potesse discendere dal riferimento alla separata sentenza a carico di COGNOME, costituente prova per i fatti accertati, ma senza la possibilità di utilizzare le dichiarazioni in essa riportate al di fuori regime di cui all’art. 238, comma 2-bis cod. proc. pen.
Segnala la ricorrente l’espressa menzione delle dichiarazioni di COGNOME, in relazione al capo 1A), di COGNOME in relazione al capo 1H), di COGNOME in relazione al capo 1L), di COGNOME in relazione al capo 1M), di COGNOME in relazione al capo 1N).
Rileva che solo sulla base delle dichiarazioni inutilizzabili era stata raggiunta la prova riguardante il ruolo della ricorrente, del fatto che ella aveva indirizzato richiedenti al pubblico ufficiale COGNOME COGNOME suggerito l’indicazione di una fals residenza, ciò al fine di superare il primo motivo di appello e il primo motivo aggiunto, con cui si era contestata la configurabilità del dolo specifico, non essendo
bastevole il riferimento ai contatti telefonici e ai pagamenti effettuati, element coerenti invece con la tesi difensiva incentrata sul fatto di aver fornito consulenza e supporto ai connazionali, in cambio di una remunerazione solo a lei diretta, non potendosi escludere che COGNOME COGNOME agito di sua iniziativa per compiacere la sua compagna.
Peraltro, le dichiarazioni indebitamente utilizzate erano state rese da soggetti di cui non era stata vagliata l’attendibilità e verificata in contraddittorio credibilità, mentre di esse si era tenuto conto per confermare la connplementarietà dell’azione di COGNOME e di COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’art 526 cod. proc. pen. e all’indebita utilizzazione di prove diverse da quelle legittimamente acquisite, in particolare le dichiarazioni di cittadina cinese richiedente il permesso di soggiorno e vizio di motivazione con riguardo capo 13).
Analogamente a quanto dedotto nel primo motivo erano state indebitamente valorizzate le dichiarazioni di NOME COGNOME, che a suo dire aveva ricevuto richieste di denaro per compensare COGNOME, pur senza fornire riscontri bancari o prove di pagamento.
Lo stesso COGNOME aveva inoltre posto in dubbio l’attendibilità della dichiarante, che aveva assunto veste di coimputata, senza che l’attendibilità fosse stata tuttavia messa in discussione.
La Corte aveva comunque valorizzato le dichiarazioni di COGNOME e di COGNOME, riscontrate dai contatti telefonici.
Né avrebbe potuto darsi rilievo alle dichiarazioni di COGNOME, che non riguardavano la responsabilità della ricorrente, ma quella dello stesso dichiarante, che aveva sostenuto di aver avvertito la propria inadeguatezza al cospetto del tenore di vita della compagna e di aver dunque sentito il dovere di agire nel modo che era stato accertato, per compiacerla.
Ma al di fuori di ciò i dati di traffico e le dichiarazioni di COGNOME non erano soli idonei a comprovare i pagamenti effettuati alla ricorrente, fermo restando che in un caso analogo, quello di cui al capo 1E), era intervenuta sentenza di assoluzione.
2.3. Con il terzo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione a quanto affermato dalla Corte in risposta al primo motivo di appello e al motivo aggiunto.
Era stata prospettata un’attività di consulenza e supporto ai connazionali, con la ricorrente che per tale motivo riceveva somme al di fuori di un accordo corruttivo, non essendo la predetta consapevole delle forzature poste in essere dal pubblico ufficiale.
Indebitamente era stata valorizzata la concomitanza dei pagamenti con momenti salienti della procedura, la circostanza che i pagamenti fossero avvenuti
anche per pratiche errate o annullate, il fatto che la causale dei pagamenti indicasse il riferimento al permesso di soggiorno: si trattava di motivazione illogica, in quanto la connessione temporale era coerente con l’espletamento della consulenza, dimostrando i pagamenti la natura di prestazione di mezzi e non di risultato, e la causale dei bonifici attestando la trasparenza delle operazioni.
Tutt’al più la condotta della ricorrente avrebbe potuto ricondursi ad un traffico di influenze, ai sensi dell’art. 346-bis cod. pen., non connotata dalla partecipazione del pubblico ufficiale alla remunerazione corrisposta alla ricorrente per la sua intermediazione.
2.4. Con il quarto motivo denuncia violazione di legge in relazione all’art. 526 cod. proc. pen., nonché travisamento della prova e contraddittorietà della motivazione, con riguardo alla titolarità del conto corrente su cui sono confluiti i pagamenti degli stranieri e alla titolarità dell’immobile di INDIRIZZO, acquistat con i fondi presenti su tale conto, ciò con riguardo ai capi 1G, 1H, 11, 1K, 1M, 1N, 10, 1P.
La Corte, per confermare la configurabilità della corruzione e la riferibilità delle dazioni anche a NOME aveva valorizzato, con riguardo alle contestazioni indicate, la circostanza che i bonifici fossero fatti su conto utilizzato dalla coppia pe l’acquisto in comune di un immobile.
Ma in tal modo era ravvisabile un travisamento della prova, in quanto incontestatamente il conto corrente indicato era intestato solo alla ricorrente e l’immobile di INDIRIZZO vedeva quale unica proprietaria la stessa ricorrente.
In ogni caso il riferimento al fatto che i bonifici fossero anche a favore di COGNOME si risolveva nell’utilizzazione di prove diverse da quelle legittimamente acquisite.
Ed ancora doveva rimarcarsi come vi fossero ulteriori prove contrarie, costituite dalle dichiarazioni di COGNOME che aveva riferito di non aver guadagnato niente, non avendo avuto benefici economici.
2.5. Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione in relazione alle censure proposte con riguardo al capo 1C).
Era stato prospettato che non vi era coincidenza temporale tra le pratiche amministrative che interessavano COGNOME, e i bonifici da lui effettuati, che vi era un disallineamento tra gli importi dal predetto versati, pari a euro 141.000,00 e quelli ordinariamente versati in relazione alle altre pratiche, che la dazione era avvenuta nell’esclusivo interesse della ricorrente e che lo stesso COGNOME aveva fornito una diversa ricostruzione, facendo riferimento alla liquidità messa a disposizione della ricorrente per l’acquisto dell’immobile di INDIRIZZO in cambio di equivalenti versamenti effettuati in moneta locale sui conti in Cina.
La Corte aveva ribadito la sussistenza della coincidenza temporale, in realtà non ravvisabile, non aveva dato spiegazione del disallineamento tra gli importi,
aveva errato nel far riferimento a versamenti sul conto di COGNOME e della ricorrente, non aveva valorizzato le dichiarazioni di COGNOME, omettendo di esaminare la documentazione prodotta, anche in allegato ai motivi aggiunti di appello.
2.6. Con il sesto motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla mancata valutazione delle doglianze proposte nel primo motivo di appello in difetto di autonomo accertamento e giudizio, con riferimento ai capi 1A, 1B, 1G, 1H, 1I, 1K, 1L, 1M, 1N, 10, 1P.
La Corte aveva valorizzato la separata sentenza pronunciata nei confronti di COGNOME, ma non aveva proceduto alla valutazione probatoria ai sensi degli artt. 187 e 192, comma 3, cod. proc. pen. e si era affidata all’autoevidenza delle informazioni risultanti dalla sentenza COGNOME e alla sua riproduzione grafica, in assenza di specifico confronto con le deduzioni difensive, tanto più dovendosi considerare la strutturale diversità della piattaforma probatoria di un giudizio svoltosi con rito abbreviato.
La tecnica del copia-incolla aveva comportato l’abdicazione al controllo di legalità, dovendo il giudice dare conto delle ragioni del provvedimento.
La ricorrente segnala la corrispondenza dei passaggi della motivazione dedicati ai capi di imputazione richiamati con quelli contenuti nella separata sentenza COGNOME e rileva che la sentenza impugnata si era risolta nella riproduzione delle considerazioni già svolte da altro Giudice sulla base di diversa piattaforma probatoria, non essendo sufficienti le stringate conclusioni formulate con riguardo a ciascuna imputazione.
2.7. Con il settimo motivo deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena anche ai fini dell’aumento per la continuazione.
Era stata dedotta la meritevolezza delle generiche per l’incensuratezza e la modesta gravità delle condotte anche in relazione all’entità del profitto, ma la Corte aveva indebitamente valorizzato lo stato di latitanza, di per sé non incompatibile con il riconoscimento delle attenuanti.
Inoltre la Corte non aveva motivato in ordine agli aumenti per la continuazione tra le varie ipotesi corruttive.
2.8. Con l’ottavo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 240, comma primo, e 648-quater cod. pen. in ordine alla mancata revoca della confisca a fronte dell’assoluzione dal delitto di autoriciclaggio.
Il Tribunale aveva disposto la confisca dei due immobili oggetto e profitto del delitto di riciclaggio, applicando gli artt. 240, comma primo, e 648-quater cod. pen., ma a seguito dell’assoluzione avrebbe dovuto disporsi la revoca, di cui non si fa cenno né in motivazione né nel dispositivo.
Prospetta in subordine la ricorrente la possibilità di rettifica della sentenza impugnata sul punto senza necessità di annullamento.
Ha presentato un motivo aggiunto il difensore della ricorrente.
Deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 240, 648-quater e 240-bis cod. pen. ad integrazione dell’ottavo motivo di ricorso, riguardante la confisca degli immobili di INDIRIZZO e di INDIRIZZO.
Ribadisce gli argomenti incentrati sull’intervenuta assoluzione dal delitto di autoriciclaggio e segnala comunque che la Corte aveva erroneamente omesso di valutare gli elementi dedotti al fine di escludere la sussistenza dei presupposti della confisca allargata, in assenza di effettiva sproporzione alla luce della documentazione attestante le cospicue disponibilità in Cina e l’invio di somme da parte del marito colà residente e in mancanza di ragionevolezza temporale, ove valutata in relazione al residuo reato di corruzione, risultando che l’acquisto degli immobili era avvenuto prima degli episodi corruttivi contestati.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha inviato la requisitoria concludendo per il rigetto del ricorso, in particolare soffermandosi sul dedotto tema dell’inutilizzabilità e rilevando che il motivo non era stato proposto con l’atto di appello e che non era stato dimostrato che il vizio fosse ravvisabile solo con riguardo alla sentenza impugnata, peraltro in assenza della puntuale attestazione dell’incidenza della prova inutilizzabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è solo parzialmente fondato nei termini di cui si dirà.
2. La Corte territoriale, confermando nella gran parte dei casi le valutazioni del primo Giudice, ha ritenuto provato un sistema corruttivo, coinvolgente l’Assistente Capo della Polizia di Stato NOME COGNOME, in servizio presso l’Ufficio Immigrazione della Questura di Milano, e la compagna di lui, la cittadina cinese NOME COGNOME, la quale, in cambio di somme di denaro, propiziava in favore di cittadini cinesi, privi dei necessari requisiti, il rilascio di titoli di soggiorno di diversa spe assicurata dai servigi resi dal citato COGNOME, il quale, violando disposizioni direttive e attestando falsamente la ricorrenza dei presupposti, validava le richieste di permesso di soggiorno.
La Corte ha altresì dato atto che nei confronti di NOME era stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, utilizzabile anche nei confronti dell’odierna ricorrente.
Ciò posto, deve innanzi tutto ritenersi fondato il primo motivo, che concerne le imputazioni sub 1A), 1H), 1L), 1M), 1N).
3.1. La Corte territoriale ha ritenuto che potessero dirsi ricomprese nel consenso reso dalle parti all’utilizzazione in giudizio dichiarazioni rese alla P.G. o in sede di interrogatorio di garanzia da cittadini cinesi coinvolti nelle illeci pratiche, poi riportate nelle informative acquisite.
Ha rilevato la Corte che il consenso all’acquisizione aveva riguardato le informative in relazione ai dati obiettivi in esse contenuti e che tra tali dati oggetti avrebbero dovuto includersi anche i fatti storici riferiti dai soggetti escussi.
Va tuttavia rimarcato come il ricorrente abbia dimostrato che il consenso all’acquisizione era stato espresso con esclusione delle dichiarazioni e dei profili valutativi e che in sede di acquisizione il Tribunale aveva espressamente dato atto di ciò.
Deve dunque, su tali basi, ritenersi che le dichiarazioni riportate nelle informative, non inquadrabili tra i fatti oggettivi relativamente ai quali il consenso era stato espresso, principalmente riferito alle risultanze di tabulati o di bonific bancari, non avrebbero potuto essere utilizzate, se non dopo la diretta escussione dei dichiaranti al dibattimento.
3.2. A fronte di ciò deve rilevarsi come la motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alle imputazioni sopra richiamate, faccia leva anche sulle dichiarazioni contenute nelle informative, rese dai soggetti di volta in volta coinvolti nelle vicende corruttive che formano oggetto di quelle imputazioni.
Ciò risulta evidente con riferimento alla vicenda di cui al capo 1A), la cui analisi muove dal racconto di NOME COGNOME e dalle dichiarazioni di costei, diffusamente trascritte e valorizzate.
Ma ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche con riguardo alle altre menzionate imputazioni, relativamente alle quali vengono riportate e valorizzate dichiarazioni rese da NOME COGNOME (1H), NOME COGNOME (1L), NOME COGNOME (1M) e NOME COGNOME (1N).
In questi casi la motivazione indica una pluralità di elementi probatori e segnala la loro concatenazione logica, ma poi dà conto delle riportate dichiarazioni, di volta in volta traendo da esse decisiva conferma dell’assunto accusatorio.
Su tali basi deve ritenersi che quelle dichiarazioni abbiano concretamente influito sulla decisione.
3.3. Ma, come si è visto, tali dichiarazioni non avrebbero potuto essere utilizzate, neppure mediante lettura, in quanto non legittimamente acquisite, agli effetti dell’art. 526 cod. proc. pen.
Deve aggiungersi che l’utilizzazione di quelle dichiarazioni non avrebbe potuto discendere dal fatto che esse fossero in tutto o in parte riportate nella separata sentenza pronunciata nei confronti di COGNOME e utilizzabile in questa sede ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen.
Va infatti sul punto richiamato il consolidato orientamento in forza del quale «le sentenze divenute irrevocabili, acquisite ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., costituiscono prova dei fatti considerati come eventi storici, mentre le dichiarazioni in esse riportate restano sottoposte al regime di utilizzabilità nel diverso procedimento previsto dall’art. 238, cod. proc. peri.» (Sez. 6, n. 41766 del 13/06/2017, Laporta, Rv. 271096).
Venendo in rilievo un profilo di inutilizzabilità, seppur legata al tipo rito, deduzione difensiva è consentita in questa sede, a prescindere dal fatto che la questione fosse stata o meno sollevata nel precedente grado di giudizio, fermo restando che il primo Giudice aveva essenzialmente valorizzato le dichiarazioni di COGNOME.
Orbene, poiché erroneamente sono state valutate dichiarazioni inutilizzabili e poiché queste hanno avuto concreta influenza, il ragionamento di merito, con riguardo alle menzionate imputazioni, deve essere riformulato, esulando il relativo giudizio dalla sfera dello scrutinio di legittimità.
Si impone dunque in parte qua l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Lo stesso ragionamento deve essere riproposto con riguardo al capo 13), in accoglimento del secondo motivo di ricorso.
Anche in questo caso, infatti, sono state valorizzate in modo rilevante le dichiarazioni della cittadina cinese COGNOME, coinvolta nella vicenda, relativamente alla quale si è dato conto di quanto da costei riferito in merito alle richieste di denaro ricevute dalla ricorrente e alle somme erogate in funzione dei servigi di NOME.
Per gli stessi motivi si impone dunque l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in vista della riformulazione del giudizio di merito.
Salvo quanto si dirà in accoglimento del quinto motivo con riguardo al capo 1C), relativamente a tutte le altre imputazioni (1B, 1G, 1K, 11, 10, 1P) i motivi di ricorso, in particolare il terzo, il quarto e il sesto sono infondati.
5.1. Deve rilevarsi che le varie vicende esaminate sono state ricondotte ad uno schema comune: la cittadina cinese di volta in volta interessata contattava attraverso una chat la ricorrente che, in cambio di denaro, assicurava l’intervento di COGNOME, con il quale ella conviveva in Italia.
Non è d’altro canto contestato che le singole pratiche fossero inficiate da gravi irregolarità per l’assenza dei presupposti necessari ai fini del rilascio di permessi di soggiorno per lavoro autonomo o di lungo periodo, di volta in volta richiesti.
La Corte ha inoltre inteso valorizzare in termini generali, ai fini dell’inquadramento e della prova dei fatti ivi contemplati, la sentenza di condanna riportata nel separato giudizio, svoltosi con rito abbreviato, da NOME COGNOME, cioè l’íntraneus, che aveva reso dichiarazioni sostanzialmente confessorie.
5.2. Tale sentenza risulta acquisibile e valutabile ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen.
Va in particolare rilevato che l’acquisizione non vale ad introdurre sic et simpliciter nel processo ad quem materiale probatorio ad esso esterno, ma a dar conto della valutazione di sintesi compiuta nel separato processo in ordine all’accertamento di un fatto, non necessariamente concernente l’oggetto dell’imputazione, ma comunque esterno al processo (sul punto Cass. Sez. 6, n. 1269 del 4/12/2003, dep. nel 2004, Brambilla, rv. 229996).
L’ammissibilità della separata sentenza divenuta irrevocabile non dà luogo a profili rilevanti sul piano del rispetto delle garanzie difensive, pur lette alla lu degli insegnamenti della Corte di Strasburgo.
Va infatti rimarcato che l’efficacia del separato accertamento deve essere inverata nel processo ad quem sulla base degli elementi di conferma in esso acquisiti nel pieno rispetto del contraddittorio, secondo quanto previsto dallo stesso art. 238-bis cod. proc. pen., che a tal fine richiama gli artt. 187 e 192, comma 3, cod. proc. pen., per sottolineare la necessità dell’acquisizione di riscontri idonei a suffragare quel separato accertamento.
Tale acquisizione assume una valenza epistemologica ed assicura comunque la pienezza del diritto di difesa, giacché la parte interessata è in tal modo coinvolta nella fase di concreta verifica del dato probatorio, quand’anche rimasta estranea al primo, separato accertamento effettuato nel processo a quo.
In ogni caso il tema ha formato già oggetto di analisi da parte della Corte costituzionale che con sentenza n. 29 del 2009, nel respingere la questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 111 Cost., ha sottolineato che «in relazione alla specifica natura della sentenza irrevocabile, il principio del contraddittorio trova il suo naturale momento di esplicazione non nell’atto dell’acquisizione – nel quale, del resto, non sarebbe ipotizzabile alcun contraddittorio, se non in ordine all’an dell’acquisizione – ma in quello successivo della valutazione e utilizzazione. Una volta che la sentenza è acquisita, le parti rimangono libere di indirizzare la critica che si andrà a svolgere, in contraddittorio, in funzione delle rispettive esigenze. Nel corso del dibattito, ai fini della valutazione e utilizzazione in questione, non si potrà non tenere conto del tipo di procedimento
(ordinario, abbreviato, con accettazione della pena) in cui la sentenza acquisita è stata pronunciata e, quindi, anche del contraddittorio in esso svoltosi».
5.3. Orbene, la Corte con riguardo alle varie imputazioni, diverse da quelle in precedenza analizzate, ha di volta in volta richiamato gli elementi desumibili dalle prove legittimamente raccolte a corredo e a conferma del quadro probatorio delineato dalla separata sentenza di condanna e dunque con valore di riscontro agli effetti degli artt. 238-bis e 192 cod. proc. pen.
Non assume alcun rilievo, in risposta al sesto motivo di ricorso, che siano state di fatto replicate, anche graficamente, valutazioni già formulate nella separata sentenza, giacché non vi è dubbio che il giudizio emergente dalla motivazione della sentenza impugnata sia stato idoneamente espresso ex novo sulla base di elementi incontestatamente inverati nel corso del dibattimento.
Ed infatti la Corte ha di volta in volta dato conto del fatto che delle pratiche si era interessato COGNOME, che l’intervento di quest’ultimo, sulla base di una metodica riscontrata in tutti i casi, era stato propiziato dall’indicazione da parte dell cittadina cinese di una falsa residenza in un comune dell’hinterland milanese (per lo più Paullo o Rozzano), in modo da radicare la competenza dell’ufficio di COGNOME, che tutte le pratiche erano caratterizzate dall’anomala validazione delle richieste, pur in assenza dei presupposti, che alla base vi erano contatti tra la cittadina cinese interessata e la ricorrente NOME COGNOME, che ricorrevano inoltre contatti telefonici in periodi strategicamente rilevanti con la ricorrente COGNOME e/o con COGNOME, che infine erano stati riscontrati bonifici bancari per importi per lo più oscillanti tr tremila e i seimila euro, effettuati in corrispondenza di fasi cruciali della procedura, ad esempio l’invio del kit postale o la validazione della richiesta o il rilascio de permesso di soggiorno, su conto intestato alla ricorrente, da parte dei cinesi interessati o da altri per loro conto, con indicazione di causali di fantasia (ad esempio: affitto) e, in taluni casi, con riferimento a permesso di soggiorno.
5.4. Nessuna illogicità della motivazione è desumibile dalla puntuale ricostruzione delle vicende e dalla valorizzazione sul piano logico delle coincidenze temporali tra fasi della procedura e bonifici.
La ricorrente ha prospettato che non era stata esaminata la deduzione difensiva incentrata sul fatto che sarebbe stata prestata una mera consulenza in favore di cittadine cinesi inesperte e che non vi sarebbe stata alcuna prova del coinvolgimento in chiave corruttiva del pubblico ufficiale COGNOME, essendosi inoltre aggiunto che costui, pur avendo reso dichiarazioni confessorie, aveva tuttavia precisato di non aver ricevuto nulla e di aver agito per compiacere la compagna.
Sul punto deve tuttavia rilevarsi come la Corte abbia motivatamente escluso che potesse parlarsi di attività di consulenza, giacché nei casi venuti in evidenza non si trattava di aiutare i richiedenti ma di propiziare il rilascio di permessi d
soggiorno non spettanti e non ottenibili lecitamente, essendo stata debitamente individuata sul piano cronologico la stretta correlazione tra il contatto con la ricorrente e le successive fasi della procedura e l’invio dei bonifici, sia che questi ultimi recassero causali improprie sia che indicassero riferimenti al permesso di soggiorno.
Inoltre, la Corte ha non illogicamente valorizzato il fatto che i bonifici fossero effettuati su conto che, pur intestato alla ricorrente, era stato utilizzato pe ricavarne i fondi con cui effettuare l’acquisto all’asta di un immobile, parimenti intestato alla ricorrente, ma nella sostanza fruibile anche dal suo convivente COGNOME, che, per quanto posto in evidenza a proposito dell’esame del capo 2, definito con sentenza assolutoria, su quel conto aveva anche effettuato cospicui versamenti.
5.5. Ma, più in AVV_NOTAIO, va rimarcato come, contrariamente al principale assunto difensivo, incentrato sull’estraneità di COGNOME ad un patto corruttivo, siano stati valorizzati elementi specificamente idonei a dar conto di tale patto, desumibile dal fatto che COGNOME aveva agito con piena consapevolezza e che comunque egli parimenti traeva una diretta utilità, correlata al vantaggio acquisito da una donna con cui conviveva e, peraltro, direttamente apprezzabile anche da lui, quale risultato di un condiviso progetto illecito, funzionale ad un miglioramento del comune tenore di vita.
In tale prospettiva può dirsi dunque che in base alla valutazione della Corte scopo del patto e della dazione non fosse solo quella di fruire della mediazione della ricorrente, ma più specificamente quella di propiziare il rilascio di permessi di soggiorno non spettanti, nel quadro di una convergenza di interessi tra la ricorrente e il pubblico ufficiale, suo convivente, ciò che inoltre vale ad escludere l’ipotesi, subordinatamente prospettata, del mero traffico di influenze.
5.6. Va inoltre escluso, in rapporto a quanto difensivamente dedotto con il quarto motivo, che sia ravvisabile un travisamento della prova in merito alla titolarità del conto corrente e dell’immobile di INDIRIZZO: in realtà la Cort territoriale non ha inteso valorizzare il profilo formale dell’intestazione univocamente riferibile alla ricorrente, ma quello sostanziale della condivisione degli interessi sottostanti, a fronte di versamenti su un conto corrente non occulto, tanto da essere stato utilizzato dalla ricorrente e da COGNOME nel quadro di un acquisto immobiliare in varia guisa condiviso.
Venendo infine al quinto motivo, riguardante il capo 1C), deve rilevarsene la fondatezza.
La Corte ha inteso in questo caso riprodurre le cadenze argomentative utilizzate con riguardo agli altri casi esaminati: tuttavia non ha dato conto di una
ragione di considerevole scostamento dalle altre vicende, cioè la ragguardevole diversità della cifra oggetto di bonifici da parte di COGNOME, pari a complessivi euro 141.960,00, all’evidenza non riconducibile alle cifre in varia guisa versate negli altri casi in cambio dei servigi di COGNOME.
L’analisi, che non dà conto specificamente di tale profilo, non dà spiegazione della differenza, non si preoccupa di individuare la frazione, se del caso, imputabile a dazione corruttiva o di giustificare le erogazioni provenienti dal predetto cittadino cinese, risulta nel complesso contraddittoria e, in varia guisa, manifestamente illogica, in quanto del tutto inidonea ad inquadrare la vicenda alla luce degli altri casi simili e inottemperante al dovere di confrontarsi con le deduzioni difensive, anche alla luce della proposta ricostruzione alternativa incentrata sull’acquisizione di liquidità da parte della ricorrente nel quadro di operazioni di altra natura.
Anche in parte qua, dunque, si impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Considerate le imputazioni relativamente alle quali è disposto l’annullamento, deve ritenersi assorbito il settimo motivo in tema di trattamento sanzionatorio, essendo quest’ultimo condizionato dalle determinazioni che saranno assunte in sede di rinvio.
Va da ultimo esaminato l’ottavo motivo in materia di confisca, disposta con riguardo a due immobili.
Tale motivo risulta fondato.
A prescindere dalle ragioni che avrebbero in astratto legittimato l’applicazione della misura, deve considerarsi che la confisca è stata disposta in primo grado con esclusivo riferimento al delitto di autoriciclaggio di cui al capo 2), dal quale tuttavi la ricorrente è stata assolta con ampia formula nel giudizio di appello.
La Corte territoriale, non avvedutasi di tale aspetto, ha immotivatamente confermato la confisca, reputando generiche le deduzioni difensive, in realtà superate dallo stesso esito del giudizio di appello.
In punto di confisca, dunque, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con eliminazione della relativa statuizione e restituzione degli immobili in sequestro all’avente diritto.
In conclusione, oltre a quanto appena rilevato in materia di confisca, detta sentenza deve essere annullata in relazione ai capi 1A), 1C), 1H), 1L), 1M), 1N), con rinvio per nuovo giudizio su tali capi ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, mentre il ricorso va rigettato nel resto.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla confisca dei due immobili, che revoca, ordinandone la restituzione all’avente diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi 1A), 1C), 1H), 1L), 1M) e 1N) con rinvio per nuovo giudizio sugli stessi ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 09/05/2024