Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12354 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12354 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
TERZA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME
NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a San Donaci il 19/02/1965, avverso l’ordinanza del 21/10/2024 del Tribunale di Lecce; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 21 ottobre 2024, il Tribunale di Lecce ha respinto il riesame proposto dal ricorrente avverso l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Lecce del 16/09/2024, con la quale Ł stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al pen. (capi A5 e A6, quest’ultimo qualificato ai sensi dell’art. 56 cod. pen.), in relazione al delitto di cui agli artt. 74, commi 1, 2, 3 d.P.R. n. 309/1990, 416-bis.1 cod. pen. (capo B), infine in relazione a vari
delitto di cui all’art. 416-bis, commi 1, 2 e 6, cod. pen. (capo A), nonchØ in relazione a due episodi del delitto di cui agli artt. 110, 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 3, 416-bis.1 cod. episodi di cui all’art. 73, comma 1 e 1-bis, d.P.R. n. 309/1990 (capi B1, B2, B3, B4, B5, B7, B8, B9, B12, B13, B14, B16, B17, B20, B22, quest’ultimo qualificato ai sensi dell’art. 56 cod. pen.).
In particolare, NOME COGNOME Ł gravemente indiziato di aver ricoperto il ruolo di vertice di due consorterie, l’una di tipo mafioso finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati (estorsioni, programmazione ed esecuzione di atti intimidatori e punitivi, illecita concorrenza con minaccia) e ad affermare il proprio controllo sul territorio anche su attività di tipo lecito (come la raccolta degli oli esausti e il settore dei giochi e delle scommesse), l’altra dedita al traffico di sostanze stupefacenti, con posizione apicale anche di NOME COGNOME.
Avverso la predetta ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avvocato NOME
COGNOME propone ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale e processuale, stabilita anche a pena di inutilizzabilità; motivazione carente, illogica e contraddittoria; violazione degli artt. 270 cod. proc. pen., 14, par. 1, direttiva 2014/41/UE, 8 d.lgs. n. 51/2018, 6, 47 e 52, paragrafo 1, CEDU, 24 e 111 Cost., 416-bis cod. pen., 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990, 273 cod. proc. pen.
Deduce innanzitutto il ricorrente che, essendo stata l’acquisizione delle intercettazioni fondata sull’art. 270 cod. proc. pen., sarebbe stato necessario verificare se l’attività di intercettazione in territorio francese avesse ad oggetto fattispecie di reato rientranti in Italia nel novero dei reati di cui all’art. 266 cod. proc. pen., considerato che l’attività di intercettazione Ł stata avviata sulla base di una fattispecie che in Francia costituisce reato (fornitura di prestazioni di crittografia o di importazione di crittografia non autorizzate), ma che in Italia, trattandosi di attività di natura squisitamente amministrativa, non avrebbe consentito di accedere allo strumento delle intercettazioni.
Deduce inoltre il ricorrente la violazione di una serie di prerogative difensive discendenti dall’art. 14, paragrafo 7, della direttiva 2014/41/UE, nonchØ dall’art. 8 d.lgs. n. 51/2018, ovverosia la possibilità specificazione delle modalità di gestione dei dati (non nascondendosi dietro segreti di Stato).
a) di comprendere come le autorità straniere abbiano combinato i codici IMEI con i codici identificativi, con i PIN e gli USERNAME, b) di accedere all’algoritmo di decifratura delle chat, c) di accedere al software che ha consentito la messa in chiaro dei messaggi, conseguentemente comprendendone le modalità di funzionamento, d) di analizzare le modalità con cui il rappresentante della pubblica accusa Ł pervenuto alla messaggistica versata nel relativo fascicolo, e) di assicurare la assoluta trasparenza, la necessità e la proporzione della attività di indagine attraverso la Richiama ancora il ricorrente due pronunce: l’una della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva affermato la violazione del diritto ad un equo processo, la cui prova del giudizio di colpevolezza si fondava sull’utilizzo del sistema criptato di messaggistica telefonica, nel caso di impossibilità dell’imputato di conoscere i dati prima acquisiti e poi secretati dai servizi di intelligence e di accedere a quelli decriptati; l’altra della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 04/10/2024 sulla terza delle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte lussemburghese, secondo la quale, al fine di poter esercitare il proprio diritto al ricorso – e salvo che ciò possa compromettere le indagini – le persone interessate devono essere informate sui motivi sui quali l’autorizzazione all’accesso ai dati del proprio telefonino Ł fondata e una normativa nazionale che escluda, in generale, qualsiasi diritto di ottenere tali informazioni non sarebbe conforme al diritto dell’Unione. Quanto ai gravi indizi di colpevolezza, la difesa lamenta l’illogicità del percorso giurisdizionale relativo all’appellativo (‘zio’) attribuito al ricorrente, nonchØ vizio di contradittorietà della motivazione nella parte in cui attribuisce al ricorrente il ruolo di referente degli altri sodali a fronte di emergenze che vedevano il ricorrente medesimo all’oscuro di talune attività, nonchØ ancora nella parte in cui, pur non essendo contestato al ricorrente il reato fine (capo A12) correlato alla materia degli olii esausti, si afferma l’esistenza di un patto illecito con il clan COGNOME. In ordine ai capi A5 e A6, la difesa lamenta l’assenza di approfondimenti investigativi attraverso l’escussione delle vittime.
Quanto al capo B, la difesa lamenta a) il profilo temporale della contestazione del reato associativo (fino al giugno 2021) rispetto ai reati fine, ipotizzati sino al febbraio 2021, in assenza di riscontri investigativi; b) l’illogicità di aver ritenuto non dirimenti l’entità della cassa del gruppo e le modalità di spartizione dei proventi, dati assolutamente sintomatici della fattispecie associativa; c) l’illogicità di aver ritenuto la contestazione di cui al capo B22 una delle numerosissime cessioni, senza necessità di una congrua argomentazione a sostegno; d) quanto agli ulteriori capi, la mancata risposta alle perplessità difensive in ordine alla quantità e alla qualità dello stupefacente ovvero alla sua idoneità
a ledere o mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice.
2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale processuale ex artt. 274 e 275, comma 3, cod. proc. pen.; motivazione carente, illogica e contraddittoria nella ritenuta sussistenza di esigenze cautelari.
Deduce la difesa che il Tribunale cautelare ha omesso ogni valutazione sul c.d. tempo silente, piuttosto lungo, pari a piø di tre anni e mezzo, intercorso tra il momento di ipotizzata consumazione dei reati e quello di esecuzione della misura cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso, a tratti inammissibile, Ł comunque infondato.
Le doglianze articolate ripropongono eccezioni già sottoposte al Tribunale cautelare, senza un integrale confronto con le risposte fornite, o comunque ripropongono tematiche che le sentenze delle Sezioni Unite – un ampio stralcio delle quali Ł riportato dalla pagina 4 alla pagina 10 della ordinanza impugnata – hanno già esaminato, pervenendo a conclusioni opposte rispetto a quelle dal ricorrente dedotte.
1.1 Alla combinazione dei codici IMEI con i codici identificativi dei soggetti che si erano avvalsi dell’applicazione Sky-Ecc il Tribunale dedica ampia parte dell’ordinanza che richiama i dati trasmessi dall’autorità giudiziaria francese e li confronta con quelli forniti dai servizi di osservazione, dalle intercettazioni ambientali e telefoniche, dai sequestri e dai tracciati degli spostamenti rilevati dai GPS installati sulle vetture in uso ad alcuni degli indagati per sottolineare la ‘perfetta coerenza’ delle informazioni derivanti dalle differenti fonti di prova. E, in effetti, la parte dell’ordinanza relativa ai gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati fine rileva la piena convergenza degli elementi acquisiti dalla polizia giudiziaria e quelli ricavabili dalle comunicazioni della messaggistica Sky-Ecc. L’apparato argomentativo esposto nell’ordinanza Ł però ignorato dal ricorrente che si limita a riproporre il tema dell’abbinamento dei codici IMEI agli username senza però individuare concrete ragioni di criticità in ordine ai risultati cui l’ordinanza impugnata perviene.
1.2 Quanto alle doglianze relative alla impossibilità per i difensori di disporre dell’algoritmo che aveva permesso di decriptare le chat e del software che aveva selezionato i messaggi significativi associandoli agli identificati degli utilizzatori sull’assunto che tali programmi erano indispensabili per esercitare un controllo effettivo sulle operazioni di estrazione e selezione dei messaggi, dette doglianze, lungi dall’essere ignorate dal Tribunale, sono state superate richiamando i principi enunciati dalle Sezioni unite nonchØ dalla Corte di giustizia UE nella causa C-670/22 del 30/4/2024. Ed invero, gli argomenti difensivi vengono smentiti da considerazioni di ordine tecnico, già valorizzate in due sentenze di questa Corte (Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022 dep. 2023, COGNOME e Sez. 1, n. 6363 del 13/10/2022, dep. 2023, Minichino), che le Sezioni Unite ripropongono osservando che ‘l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo, utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse, non determina una violazione dei diritti fondamentali di difesa, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio Ł inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, e l’utilizzo di una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente’ (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589 – 05).
1.3 Inconferente risulta, poi, il richiamo fatto dal ricorrente all’art. 8 d.lgs. 51/2018, non potendo il complesso processo valutativo che ha determinato la custodia cautelare in carcere essere equiparato al trattamento automatizzato dei dati definito dalla norma richiamata dalla difesa e
dall’art. 22 del RE n. 679 del 2016.
1.4 Non maggiore rilevanza, ai fini della decisione, assume la decisione della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa NOME COGNOME c. Turchia risultando la decisione fondata su fatto che all’imputato era stato negato il diritto a conoscere il testo e gli interlocutori dei messaggi scambiati attraverso il sistema criptato di messaggistica telefonica Bylock.
1.5 Neanche pertinente risulta il riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia dell’unione europea n. 171/2024 relativa al sequestro di un telefono cellulare e ai successivi tentativi di analizzarne il contenuto effettuati dalla polizia giudiziaria senza che vi fosse stato l’intervento di un pubblico ministero o di un giudice. Dall’ordinanza del riesame si rileva che i telefoni utilizzati da COGNOME e COGNOME per comunicare attraverso il sistema criptato Sky-Ecc vennero sottoposti a sequestro il 25/2/2021 e il 13/4/2021 si procedette a un accertamento tecnico alla presenza dei difensori.
1.6 La censura incentrata sul titolo di reato per il quale l’autorità francese aveva disposto l’attività d’intercettazione e la sua riconducibilità al novero dei delitti di cui all’art. 266 cod. proc. pen. confligge poi con i principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23755 che, al paragrafo 7.5 del considerato in diritto, ha precisato che, ai fini dell’utilizzabilità degli atti acquisiti mediante O.I.E. dall’autorità giudiziaria italiana, ‘Ł necessario garantire il rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, ma non anche l’osservanza, da parte dello Stato di esecuzione, di tutte le disposizioni previste dall’ordinamento giuridico italiano in tema di formazione ed acquisizione di tali atti’. Ancora, la censura difensiva non tiene minimamente conto di quanto precisato nella medesima sentenza al punto successivo a quello appena richiamato, dove viene ribadito, riferendolo all’attività d’indagine che aveva permesso l’acquisizione dei dati in territorio estero, il principio secondo cui ‘nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale (perchØ appartenenti ad altro procedimento o anche – qualora si proceda con le forme del dibattimento – al fascicolo del pubblico ministero), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale’ (così Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244329 – 01, e, in termini analoghi, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229245 – 01; tra le tante successive conformi, cfr. Sez. 5, 23015 del 19/04/2023, COGNOME, Rv. 284519, e Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 2018, Nunziato, Rv. 273007).
In ogni caso, sia l’ordinanza impugnata sia la sentenza delle Sezioni unite n. 23755 danno atto che ‘l’acquisizione dei dati relative alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato Sky-Ecc venne disposto dall’autorità giudiziaria estera in relazione ad indagini concernenti il narcotraffico’.
2. Venendo, quindi, alle censure relative alla sussistenza del requisito dei gravi indizi relativamente all’associazione di cui al capo A, il ricorso non si confronta con lo sforzo argomentativo profuso dal Tribunale per dimostrare l’esistenza dell’associazione e il ruolo di referente di COGNOME nell’ambito di un programma criminoso finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di reati e volto ad affermare il controllo sul territorio. In particolare, le censure non fanno menzione delle risposte che ai rilievi difensivi viene data dal Tribunale e, soprattutto, obliterano del tutto gli elementi utilizzati dai giudici di merito per configurare l’associazione, dando conto l’ordinanza di una pluralità di indizi che dimostravano l’esistenza di un sodalizio di stampo mafioso, facente capo a COGNOME NOME, in grado di esercitare un controllo sulle attività, lecite e illecite, che avevano luogo in un esteso territorio della Provincia di Brindisi e che aveva nel narcotraffico una delle principali fonti di proventi, tanto che per la gestione delle operazioni legate allo smercio della droga era stata creata una apposita struttura. A tal fine l’ordinanza sottolinea: la sentenza della Corte di appello di Lecce del 22/11/2004,
irrevocabile il 06/03/2005, con la quale il ricorrente veniva riconosciuto quale referente su San Donaci di una frangia mafiosa; la sentenza della Corte di appello di Lecce del 20/01/2020, irrevocabile il 01/07/2021, con la quale veniva riconosciuta l’esistenza del clan COGNOME, referente per il comune di San Donaci, all’interno della federazione della sacra corona unita; le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME secondo cui il ricorrente era affiliato alla frangia mesagnese della sacra corona unita e acquistava cocaina dai clan mafiosi distribuendola anche ai paesi limitrofi, per poi versare il ricavato nelle casse comuni e destinare parte dei profitti al sostentamento dei detenuti e delle loro famiglie; il contenuto delle numerosissime chat in cui il ricorrente veniva appellato con il termine ‘zio’ ed al quale ci si rivolgeva per aver l’assenso delle azioni punitive da eseguire nei confronti degli spacciatori infedeli, rendendone conto all’esito; il contenuto delle chat, inoltre, rivela come NOME COGNOME, collaboratore del ricorrente, invitasse gli associati a pagare a Soleti una somma di denaro, il ‘punto’, per l’attività di spaccio, ma rivela anche la caratura criminale del ricorrente, tale da incutere timore nei destinatari delle minacce o in chi veniva convocato al suo cospetto.
Non maggiore attenzione il ricorso riserva ai riferimenti che il Tribunale cautelare opera ai reati-fine di cui capi A12, A5 e A6, avendo l’ordinanza impugnata adeguatamente valorizzato il tenore delle chat, coadiuvato da servizi di o.c.p. da parte dei militari, che individuavano nella materia della raccolta degli oli esausti l’intervento di COGNOME, per il tramite di COGNOME NOME, affinchŁ la ditta di riferimento nel territorio di competenza fosse quella dell’imprenditore COGNOME; per altro verso, Ł sempre l’attività captativa, attraverso i colloqui intercettati, a spiegare le logiche mafiose delle condotte estorsive di cui ai capi A5 e A6, rendendo del tutto generica la censura della mancata audizione delle persone offese, avendo il Tribunale cautelare adeguatamente illustrato come COGNOME, attraverso i sodali NOME COGNOME e NOME COGNOME abbia in un caso ottenuto che il titolare di un’agenzia immobiliare rinunciasse alla provvigione dovuta per l’acquisto di un immobile effettuato dalla figlia del COGNOME, NOME, e, nell’altro caso, operato affinchŁ NOME COGNOME titolare di un’attività di somministrazione di alimenti in forma ambulante, potesse svolgere la sua attività nella marina di Casalabate, in cambio della corresponsione di denaro in favore del COGNOME ‘perchØ così funzionano le cose’.
3. Anche le doglianze relative alla diversa associazione dedita al narcotraffico sono del tutto generiche, versate in fatto e di contenuto confutativo, tendendo a sollecitare una non consentita e diversa lettura degli elementi indiziari, avendo il Tribunale cautelare, con una motivazione persuasiva e immune dai vizi denunciati, ritenuto la gravità del quadro indiziario a carico del ricorrente, basandosi sugli elementi emersi dalle chat scambiate sui criptofonini dotati dell’applicativo sky-ecc e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, emergendo anche in tale sodalizio la posizione egemonica del COGNOME, che stabiliva il prezzo dello stupefacente e teneva contatti continui con NOME COGNOMEche condivideva con il primo il ruolo direttivo) e NOME COGNOMEche collaborava con COGNOME e NOME), nonchØ con i fornitori (COGNOME, COGNOME e COGNOME), da una parte, e gli acquirenti stabili, dall’altra, pretendendo inoltre il pagamento di una somma di denaro (il ‘punto’) nel caso in cui gli acquirenti abituali si approvvigionassero da altri canali di rifornimento. La stabilità del rapporto e la fiducia che ne discendeva consentivano il trasferimento di chili di cocaina e centinaia di migliaia di euro senza necessità di verifiche sul peso e sulla qualità della sostanza o di garanzie per i crediti derivati dalla cessione, risultando il pagamento solitamente differito rispetto alla consegna, essendo anche emersa la tenuta di una vera e propria contabilità con tutti gli acquirenti stabili, indicati su dei foglietti con sigle relative al soprannome o al nome di battesimo, con crediti cospicui anche di decine di migliaia di euro. E’ coerente, inoltre, con gli orientamenti di legittimità l’affermazione secondo cui la mancata dimostrazione della cassa del
gruppo e delle modalità di spartizione del denaro trai sodali non contraddicono l’esistenza di un gruppo associativo finalizzato al narcotraffico, essendo sufficiente l’emersione di un comune e durevole interesse ad immettere nel mercato sostanza stupefacente nella consapevolezza «della dimensione collettiva dell’attività e dell’esistenza di una sia pur minima organizzazione» (Sez. 6, n. 2394 del 12/10/2021, dep. 2022, Napoli, Rv. 282677; nello stesso senso, da ult., Sez. 3, n. 11178 del 05/11/2024, dep. 2025, Oppedisano).
Le contestazioni sui reati fine sono del tutto generiche e rivalutative, così travalicando l’ambito del sindacato riservato a questa Corte sul provvedimento impugnato, dovendosi ricordare che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione Ł motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784).
4. Le doglianze in tema di esigenze cautelari sono incentrate sulla omissione della valutazione del c.d. tempo silente, piuttosto lungo, pari a piø di tre anni e mezzo, intercorso tra il momento di ipotizzata consumazione dei reati e quello di esecuzione della misura cautelare.
Deve ricordarsi, in proposito, che il tempo silente, secondo il tradizionale insegnamento di questa Corte, non possa da solo rappresentare prova della rescissione dei legami con il sodalizio criminoso, soprattutto nei casi di associazioni mafiose tradizionali in cui, in base alle massime di esperienza di cui si dispone, risulta oltremodo difficile recidere volontariamente e definitivamente il vincolo associativo senza “contraccolpi”.
Di qui il principio, in piø occasioni affermato, secondo cui «In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il c.d. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari» (Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024, Tavella, Rv. 286267; Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Rv. 282766; Sez. 2, n. 7837 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280889; Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131; Sez. 5, n. 35848 dell’11/06/2018, COGNOME, Rv. 273631).
Tuttavia, di recente, Ł stato anche affermato, in caso di un significativo “tempo silente”, l’onere di una piø specifica motivazione (Sez. 6, n. 2112 del 22/12/2023, dep. 2024, Tavella Rv. 285895, secondo cui, in tema di misure cautelari, ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., anche in relazione al reato di partecipazione ad associazioni mafiose “storiche”, deve essere espressamente considerato dal giudice, alla luce di una esegesi costituzionalmente orientata della citata presunzione, il tempo trascorso dai fatti contestati, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra “gli elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen.; nello stesso senso, Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272).
Il Collegio ritiene di dare continuità ai piø recenti approdi giurisprudenziali, in base ai quali la
presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può, tuttavia, essere superata in quanto il giudice, senza dover dar conto della ricorrenza dei “pericula libertatis”, Ł comunque tenuto a valutare, anche in forza delle massime di esperienza sui diversi tipi di associazione criminale, gli elementi astrattamente idonei a escludere tale presunzione, desunti dalla fattispecie di reato per il quale si procede, dalle concrete modalità del fatto e dalla risalenza dei fatti illeciti, non essendo consentito nel nostro ordinamento un qualsivoglia automatismo valutativo (Sez. 2, n. 24553 del 22/03/2024, COGNOME, Rv. 286698; Sez. 5, n. 806 del 27/09/2023, dep. 2024, S., Rv. 285879).
In altre parole, si tratta di motivare adeguatamente sull’esistenza delle esigenze cautelari laddove siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti delle ragioni per escluderle.
Nella fattispecie, l’ordinanza impugnata, dopo aver richiamato i principi giurisprudenziali affermati in materia, ha fornito sul punto una motivazione senz’altro adeguata, sottolineando come il ricorrente, nonostante avesse subìto due condanne per reato associativo mafioso ed espiato le relative pene, Ł nuovamente indagato per essere al vertice di un’associazione mafiosa e di una dedita al narcotraffico, dovendosi così desumere come le condanne non avessero sortito alcun effetto deterrente e come elevata fosse la pericolosità sociale dell’indagato.
A fronte di tali evidenze processuali, il solo decorso del tempo dalla commissione dei fatti, non può essere considerato elemento dirimente per vincere la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ed il relativo motivo di ricorso deve ritenersi infondato.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Alla cancelleria spettano gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 19/02/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME