Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32274 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32274 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il 29/10/1992
avverso l’ordinanza del 13/03/2025 del Tribunale di Palermo si dà per letta la relazione del consigliere relatore, indi il Procuratore generale NOME COGNOME conclude per il rigetto del ricorso.
L’avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi del ricorso e chiede l’accoglimento del medesimo.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, del 13.3.2025, il Tribunale di Palermo, decidendo ex art. 309 cod. proc. pen., ha rigettato la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di La NOME avverso l’ordinanza emessa dal G.i.p. in data 30.1.2025, applicativa della custodia cautelare in carcere per il delitto d partecipazione all’associazione mafiosa armata ‘Cosa Nostra’ (segnatamente alla famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù, da epoca imprecisata e con condotta perdurante, capo 1), e per i reati di cui agli articoli 81, 110, 73, commi 1 e 4, d.p 309/90, 416-bis.1 c.p. (contestati ai capi 2 e 5 dell’imputazione provvisoria), oltr che per quello di estorsione aggravata (contestato al capo 10).
2.Avverso la suindicata ordinanza, ricorre per cassazione l’indagato, tramite il difensore di fiducia, deducendo sei motivi, di seguito enunciati nei limiti di c all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Col primo motivo deduce: violazione di legge in relazione agli articoli 266, comma 1, 270, 271, 191 del codice di rito, con riferimento al decreto di convalida e autorizzazione di comunicazioni n. 3528/23 del 12 settembre 2023, 13:56, emesso dal G.i.p. presso il Tribunale di Palermo, dottor NOME COGNOME l’invalidità derivata prova irrituale e da ciò l’insussistenza dei sufficienti indizi di reato in riferimen reato associativo mafioso, risultando il provvedimento impugnato in punto di motivazione e gravità indiziaria strutturato esclusivamente sui risultati dell captazioni di cui al decreto n. 3528/23 indicato; vizio di motivazione in ordine all sussistenza indiziaria del delitto di associazione mafiosa fondata sui decreti di intercettazione nn. 2455/23, 2492/23, 1333/23; violazione di legge in relazione agli articoli 271 e 268, commi 1, 6 e 8, del codice di rito per mancata trasmissione ed allegazione del decreto n. 1333/23 emesso nell’ambito di un procedimento penale diverso da quello che occupa.
In particolare, si lamenta che il G.i.p. non si sia accorto che l’intercettazio del 17 Aprile 2023, da lui utilizzata per motivare l’autorizzazione dell’intercettazion di cui al decreto n. 3528/23, non era altro che il frutto di una collaterale atti captativa telematica attivata su un dispositivo mobile, su cui era stato inserito il c trojan, in uso a tale COGNOME COGNOME (uno dei dialoganti) sottoposto ad intercettazione in forza di altro decreto portante il n. 1333/23, del 3 Aprile 2023, emesso però in un diverso procedimento penale, segnatamente nel procedimento n. 15643/20 r.g.n.r. Sicché risulta palese la violazione dell’art. 270 in relazione all’art. 191 c in quanto il G.i.p. nell’emanare il decreto di convalida utilizzava i risultati di diversa indagine penale senza offrire sul punto la motivazione richiesta dall’art. 270 c.p.p., discendendo da ciò l’inutilizzabilità dei colloqui captati in conseguenza de decreto n. 3528/23, che, come visto, utilizza quali indizi ì risultati di un dive procedimento penale, anzi di un diverso reato (quello relativo al traffico d stupefacenti) senza indicare le ragioni che avrebbero consentito di poterlo fare in ossequio alla norma di cui all’art. 270.
Il Tribunale per sostenere la piena utilizzabilità ex art. 270 c.p.p. dei risul disposti nei diversi procedimenti concernenti reati di droga, assumendo l’esistenza di un rapporto di connessione ex art. 12, lett. b) e c) c.p.p. con i titoli di oggetto del presente procedimento, avrebbe dovuto evidenziare un coinvolgimento del ricorrente anche nell’altro procedimento, cosa che invece non ha fatto, a nulla rilevando l’inopportuno richiamo giurisprudenziale al principio secondo cui la valutazione di indispensabilità può essere compiuta anche implicitamente mediante
attribuzione agli elementi utilizzati dì specifica rilevanza ai fini della decis adottata. Laddove, ictu ocu/i, emerge che non si registra alcuna considerazione argomentativa né alcun riferimento ai cosiddetti elementi utilizzati aventi specifica rilevanza.
Si verte quindi nel campo della motivazione apparente, ferma restando l’inesistenza di una procedura acquisitiva in detta indagine del diverso decreto, dei verbali e delle registrazioni, come da certificazione indice Tiap allegata al ricorso, d cui, appunto, non risulta alcun decreto recante il n. 1333/2023 (in spregio dunque dell’art. 268, commi 6 e 8 del codice di rito).
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato che ai fini dell’utilizzazione per l’emissione di un provvedimento cautelare personale dei risultati di intercettazione disposte in procedimento diversi non è richiesto u formale provvedimento di acquisizione ma è sufficiente la semplice allegazione agli atti della relativa documentazione che il certificato Tiap nel caso di speci smentisce. Ed ancora, la Prima Sezione della Corte di Cassazione sulla questione relativa alla mancata trasmissione dei decreti di intercettazione anche nel caso di intercettazioni disposte in altri procedimenti ha evidenziato la sussistenza dell’inutilizzabilità ai fini cautelari dei risultati delle intercettazioni in mancata trasmissione di tali decreti sia al giudice in sede di richiesta di misura cautelare sia al Tribunale del riesame.
2.2.Col secondo motivo deduce: violazione di legge in riferimento agli artt. 266, comma 1 c.p.p., 270, 267, comma 3, 271, 191 c.p.p., in relazione al decreto di convalida e autorizzazione di intercettazione di comunicazioni e conversazioni n. 3164/23 del 4.8.2023 emesso dal G.i.p., dott. NOME COGNOME l’invalidità derivata da prova irrituale e da ciò l’insussistenza dei sufficienti indizi di reato in riferimento previsione di cui all’art. 416-bis c.p., risultando il provvedimento impugnato i punto di motivazione e gravità indiziarla strutturato esclusivamente sui risultat delle captazioni di cui al decreto n. 3164/23; mancanza di motivazione sulla eccezione formulata con memoria difensiva del 13 marzo 2025 in ordine alla inutilizzabilità del decreto n. 3164/23 anche sul profilo riguardante la proroga delle operazioni d’intercettazione ex art. 267, comma 3, c.p.p.
Il primo aspetto della censura riguardante l’eccezione formulata in ordine al decreto suindicato (n. 3164/23) è in parte analogo a quello esposto in seno al primo motivo di ricorso, trattasi infatti di violazione dell’art. 270 c.p.p. in qua risultati di un diverso procedimento – forse anche captativi – recante il n. 12204/22 sono stati trasfusi illegittimamente e utilizzati quale piattaforma indiziarla su strutturare il decreto dì convalida del G.i.p. recante il n. 3164/23. Ta provvedimento fa riferimento all’informativa del 2.8.2023, ma trattandosi di
informativa omissata da essa non sì ricava alcunché, in particolare non possono evincersi elementi idonei a dimostrare il coinvolgimento del ricorrente nell’attivit delittuosa, che, a sua volta, costituirebbe grave indizio ex art. 267 c.p.p. atto giustificare l’emissione del procedimento di urgenza e di convalida sul telefono suindicato. Tale mancata indicazione non può non incidere negativamente sul profilo motivazionale del decreto n. 3164/23, dovendosi ritenere la motivazione giustificativa inesistente o apparente, e da ciò consegue evidentemente la inutilizzabilità dei risultati delle operazioni captative.
Parimenti consta la mancanza di motivazione in ordine all’ulteriore questione sollevata con la memoria difensiva secondo cui i decreti di proroga sarebbero intervenuti fuori termine e quindi oltre i 40 giorni previsti. In particolare, s eccepito che “trattandosi di convalida di intercettazioni già disposte dal Pm i 40 giorni di attività captiva decorrenti dal 4 agosto 2023 perirebbero, anzi periscono, alla data del 15 settembre 2023, di guisa che il decreto di proroga pervenuto il 13 ottobre 2023 senza alcuna autonoma motivazione risulta abbondantemente fuori termine”, con conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni acquisite anche in virtù di questa ulteriore violazione, ferma restando l’ inutilizzabilità dei risultati proroga per le considerazioni di cui sopra.
2.3.Col terzo motivo deduce l’illogicità della motivazione riguardante i risultat delle captazioni derivanti, secondo la motivazione del Tribunale, da altri decreti autorizzativi e segnatamente dai decreti nn. 2455/203, 3492/23, 1333/23, e ciò in virtù delle prerogative in materia riconosciute al Tribunale del riesame ex art. 309, comma 9, del codice di rito; motivazione apparente in riferimento all’art. 309, comma 9, del codice di rito; violazione dell’art. 268, commi 1, 6 e 8 c.p.p. i relazione al decreto n. 2455/23; vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta valenza indiziaria della conversazione oggetto di captazione il 12.8.2023.
Il Tribunale è incorso in un equivoco perché attribuisce rilievo indiziario ai risultati captativi originati dai decreti 2455/23, 3492/23, 1333/23, ma nel percorso argomentativo indica conversazioni che in realtà non scaturiscono da tali decreti ma da altri (come emerge dall’ordinanza genetica). Così per la conversazione del 23.10.2019, che coinvolge soggetti diversi dal ricorrente in forza di un diverso decreto rispetto a quelli menzionati dal Tribunale e, segnatamente, quello n. 2322/19. Il riferimento al ricorrete è evidente frutto di un equivoco.
Così ancora in relazione alla captazione del 2.10.23, che risulta, invece, registrata in conseguenza del decreto n. 3164/23, di cui la difesa aveva eccepito, ed eccepisce, la illegittimità sia sotto il profilo del difetto di motivazione che d tardività delle proroghe, che, ancora, sul piano dell’utilizzo in un procedimento diverso.
Il provvedimento non è esplicito al riguardo, ma lascia intendere, senza motivare, la riconducibilità della conversazione ad uno dei tre decreti suindicati. Così, ancora per la videochiamata intercettata in data 3.2.2024 che ugualmente non risulta acquisita in virtù di uno dei decreti suindicati, ma del decreto illegitt n. 3528/23, e per la conversazione del 11.10.23.
L’unico colloquio scaturente da uno dei tre decreti di cui trattasi è quello de 12.8.2023 originato dal decreto n. 2455/23, tuttavia in relazione ad esso il Tribunale non specifica se sia stato emesso nell’ambito del presente procedimento o in un altro, né indica la natura e il tipo di tale decreto se ambientale o telemati con virus trojan, né chiarisce se il decreto, i verbali e le registrazioni sono s trasmessi.
In ogni caso il Tribunale sul profilo indiziario relativo alla partecipazio associativa non riesce a fornire alcuna motivazione, limitandosi ad una stereotipata riproduzione del dialogo.
2.4.Col quarto motivo, con riferimento al reato di cui al capo 2 (art. 73 d.p.r 309/90), contestato al ricorrente in concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME, in data prossima al 17 aprile 2023, deduce la violazione degli articoli 268, commi 1, 6 e 8, 270, 271, 191 c.p.p., per la mancata allegazione e trasmissione del decreto n. 1333/23, dei verbali e delle registrazioni, trattandosi di decreto emesso nell’ambito di un procedimento penale diverso da quello che occupa (segnatamente il n. 15643/20 r.g.n.r.); l’illogicità e la mancanza della motivazione in ordine a affermata sussistenza indiziaria relativamente all’ipotesi delittuosa prevista dall’ar 73 d.p.r. n. 309/90.
In ogni caso, illogicamente, il Tribunale ritiene integrata la fattispecie di all’art. 73 nel momento in cui si raggiunge l’accordo tra il venditore e l’acquirent indipendentemente dalla consegna e dal pagamento del prezzo, nonostante dal tenore della conversazione intercettata si evinca che il dialogo tra i presunt acquirenti e il presunto venditore viene interrotto da questi bruscamente, con la conseguenza che non può ritenersi raggiunto alcun accordo stante l’interruzione della trattativa.
2.5.Col quinto motivo, in relazione al reato di cui all’art. 73 dpr 309/9 contestato al capo 5 al ricorrente in concorso con COGNOME NOME, deduce: la violazione degli articoli 268, commi 1, 6 e 8, 270, 191 c.p.p., in relazione al decreto n. 2455/23; la mancanza di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine all’ipotesi delittuosa in argomento. Il dialogo del settembre 2023, che intercorre tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, non evidenzia alcuna condotta sussumibile nell’alveo applicativo dell’art. 73, e al
riguardo il Tribunale si limita a rinviare al contenuto dell’intercettazione senz svolgere alcuna considerazione argomentativa.
In ogni caso trattasi di dialogo intercettato in virtù del decreto n. 2455/23, ch non risulta, come già detto, trasmesso né allegato agli atti del presente procedimento.
2.6.Col sesto motivo, in relazione al reato di cui all’art. 629 c.p., contestato capo 10 al ricorrente in concorso con NOME NOME e NOME COGNOME, deduce la violazione degli articoli 268, commi 1, 6 e 8, 270, 191 c.p.p., in relazione a decreto n. 3528/23.Contrariamente a quanto afferma il Tribunale, l’incarico che il presunto reggente, COGNOME NOME, avrebbe assegnato al ricorrente si ricava unicamente dall’intercettazione del 9., intercorsa tra La Mattina e e NOME NOME, detto NOME, captata col decreto n. 3528/23 di cui sì è eccepita la illegittimità col primo motivo di ricorso.
A differenza di quanto assume il Tribunale, la difesa aveva evidenziato che la piattaforma indiziaria elevata nei confronti del ricorrente è costituita unicamente da intercettazioni la cui legittimità è stata messa in discussione in modo diffuso.
Si ribadisce che il Tribunale ha fornito in definitiva risposte ambigue e sfuggenti, soprattutto nella parte in cui ha ritenuto di osservare che in ogni caso anche a voler accedere all’assunto difensivo dell’inutilizzabilità delle captazion scaturente dai decreti autorizzativi, non verrebbe di certo meno il copioso materiale indiziario a carico di La Mattina in quanto fondato su captazioni derivanti da altr decreti autorizzativi, segnatamente i decreti nn. 2455/23, 3492/23 e 1333/23 non costituenti oggetto di censure difensive. In tal modo il Tribunale ha disatteso i precipuo compito demandatogli dalla legge che è quello di assumere decisioni certe e non ambigue e sorrette da adeguata motivazione.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611, come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni, e dell’art. 127 c.p.p. – su richiesta anche della difesa, con l’interve delle parti che hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è, nel suo complesso, infondato.
1.1. La doglianza di cui al primo motivo non è fondata.
Col primo motivo sì assume, in buona sostanza, che il decreto dì convalida n. 3528/23, emesso il 12.9.23 nell’ambito del presente procedimento, pone a base della sussistenza dei sufficienti indizi necessari per l’ipotesi di intercettazione
tema di criminalità organizzata la conversazione del 17 aprile 2023 intercettata nell’ambito del diverso procedimento n. 15643/20 in virtù del decreto n. 1333/23 (che non sarebbe stato acquisito agli atti del presente procedimento). In realtà, se si considera il contenuto del decreto n. 3528/23, allegato al ricorso, si può rilevar che esso, a differenza di quanto afferma la difesa, non fa affatto riferimento a tale conversazione, né, tanto meno, alla pag. 10 dell’informativa del 11.9.23 che la contempla, e come tale informativa, parimenti allegata al ricorso, nel suo complesso richiamata nel decreto di convalida del 12.9.23, non si limiti a menzionare tale conversazione ma contiene una pluralità di elementi indiziari e di spunti investigativi.
Circostanza, questa, che rende del tutto irrilevante l’eccezione qui riproposta di invalidità del decreto di convalida in argomento n. 3528/23 (per avere utilizzato risultati di una diversa indagine penale senza avere offerto la motivazione voluta dall’art. 270 c.p.p.), cui conseguirebbe l’inutilizzabilità dei colloqui captati in v tale decreto, risultando il decreto in questione, tacciato di invalidità deriva imperniato su ben altro coacervo di elementi indiziari, come complessivamente richiamato nel corpo dello stesso.
L’eccezione è stata peraltro formulata sul presupposto che la ricostruzione della fattispecie associativa sarebbe stata effettuata sulla base degli esiti intercett di cui al decreto di convalida in argomento, laddove le vicende di cui all’ordinanza genetica e al relativo provvedimento del Tribunale del riesame sono tratte da una pluralità di elementi derivanti da plurime fonti intercettive, e non solo.
Il Tribunale ha in ogni caso messo in evidenza come il decreto n. 3528/23, concernente – secondo quanto indica anche il ricorso – l’intercettazione ambientale dell’abitazione del coindagato COGNOME deve ritenersi sufficientemente motivato – e non solo per il rinvio da parte del G.i.p, alla richiesta del P.M. – avendo in esso G.i.p. innanzitutto dato atto che il presente procedimento penale n. 9032/23 ab origine iscritto soltanto per il delitto di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309/90 – è iscritto anche per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. – reato ricompreso nel nov dei reati previsti dall’art. 266, comma 1, lett. a), comma 2-bis, e dall’art. 2 .1.. comma
Il Tribunale ha anche dato conto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 270 del codice di rito in relazione alla utilizzazione degli esiti delle intercetta disposte nel diverso procedimento penale n. 15643/20, concernente reati di traffico di stupefacente commessi da esponenti della famiglia mafiosa di Santa Maria dì Gesù, in rapporto di connessione ex art. 12 lett. b) e c) cod. proc. pen. con ì tito di reato oggetto del presente procedimento penale, vertendosi nella evidente ipotesi della necessità di accertare reati per i quali è previsto l’arresto obbligat
in flagranza ovvero reati rientrantifnel novero dei delitti di cui all’art. 266, co 2-bis, cod. proc. pen.
In particolare, si evidenzia che il G.i.p. aveva dato pienamente conto che nel corso dell’attività d’indagine concernente la famiglia di Santa Maria del Gesù, capeggiata dal pregiudicato mafioso COGNOME COGNOME, coadiuvato dal fratello NOME, era già emerso il ruolo strategico ricoperto dal coindagato COGNOME specie nel comparto del traffico di sostanze stupefacenti, il quale aveva destinato l’abitazione rispetto alla quale è stato poi emesso il decreto di convalida in argomento – ove si trovava ristretto, a base operativa per incontri tra sodali per la programmazione dell’attività associativa, come riscontrato dall’attività di captazione telefonica disposta a carico di NOME e dalle immagini dei sistemi di videosorveglianza.
Sicché devono ritersi insussistenti le violazioni di norme processuali dedotte col primo motivo di ricorso.
Residua la questione della mancata allegazione del decreto autorizzativo delle intercettazioni n. 1333/23, emesso in altro procedimento penale, dei relativi verbali e delle registrazioni che si assumono non trasmessi. Tuttavia deve osservarsi che il Tribunale nel riferirsi agli esiti delle intercettazioni disposte in altro procedime penale (n. 15643/20) non fa menzione del decreto n. 1333/23 – che secondo quanto indicato dalla difesa ha ad oggetto il dispositivo mobile con inserito il troja in uso a Rubino NOME – rispetto al quale sono formulate le doglianze difensive, ma nel tracciare i sufficienti indizi già emersi fa piuttosto riferimento agli dell’intercettazione telefonica – non ambientale – già disposta a carico di NOME alle immagini dei sistemi di videosorveglianza. D’altra parte, la deduzione difensiva non esclude che anche altri possano essere i risultati intercettivi posti a base del decreto di convalida in argomento.
D’altra parte, ancora, se, come nell’ipotesi in esame, lo stesso ricorrente dà atto dell’esistenza del decreto autorizzativo in argomento e non pone quindi una questione di assenza formale, né tantomeno sostanziale, della motivazione del decreto medesimo (censurabile – in sede di riesame, e successivamente di legittimità – sotto il profilo della nullità del provvedimento e della conseguen inutilizzabilità dei relativi risultati probatori, ai sensi del combinato disposto d artt. 267 comma 1 e 271 comma 1 del codice dì rito (Sez. Un. n. 17 del 21/06/2000, Primavera), ma si duole, in realtà, della mancata trasmissione di esso al G.i.p. e al Tribunale del riesame, discende un ulteriore profilo di irrilevanza del deduzione come svolta al riguardo dalla difesa.
Ed invero, come ha avuto modo di osservare questa Corte nella qui condivisa pronuncia Sez. 1, n. 49627 del 14/11/2023, Rv. 285579 – 02, l’omesso deposito del decreto autorizzatìvo non ne determina l’inutilizzabilità, neanche a seguito delle
modifiche introdotte dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, posto che l’art. 270, comma 2, cod. proc. pen. prevede, come adempimento necessario, il solo deposito, presso l’autorità giudiziaria competente per il procedimento diverso da quello nel quale l’attività captativa è stata disposta, delle registrazioni e dei ver delle intercettazioni da utilizzare – non anche del relativo decreto autorizzativo.
E nel caso di specie, l’eccezione difensiva si appunta sulla mancata allegazione del decreto di convalida, e nella parte in cui si estende ai verbali e alle registrazio non fa comunque specifica menzione del loro mancato deposito nel presente procedimento, lamentando, piuttosto, genericamente, l’inesistenza di una procedura acquisitiva di tali atti (che dovrebbe peraltro emergere dall’estratto del Tiap allegato), ed, in particolare, la loro mancata trasmissione ai giudici dell decisione cautelare, che è cosa diversa dal mancato deposito agli atti del procedimento (mancata trasmissione ai giudici che non determina alcuna inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni, che secondo la stessa eccezio difensiva sarebbero stati peraltro utilizzati ai – soli – fini dell’emissione del de di convalida disposto nel presente procedimento).
Va al riguardo osservato che, in tema di richiesta di applicazione di misure cautelari personali, il Pubblico ministero nell’ambito del potere di selezione degli at da trasmettere in sede di richiesta della misura incontra i limiti previsti dall’art. comma 1, cod. proc. pen. in relazione ai “verbali di cui all’art. 268, comma 2”, ma tale limitazione è circoscritta dallo stesso art. 291 alle comunicazioni conversazioni rilevanti ovvero direttamente utilizzate ai fini della decisione cautelar (laddove nel caso di specie si tratta di verbali afferenti le intercettazioni che il G.i. avrebbe adoperato per motivare decreto di convalida emesso nel presente procedimento).
Tutto ciò senza considerare che, come ha già avuto modo di osservare, condivisibilmente, questa Corte (cfr. per tutte Sez. 1, Sentenza n. 11168 del 18/02/2019, Rv. 274996 – 01) allorché i risultati di intercettazioni di conversazion o comunicazioni autorizzate con provvedimento motivato “per relationem” siano acquisiti in procedimento diverso da quello in cui furono disposte, la parte che ne eccepisce l’inutilizzabilità, per essere la relativa motivazione solo apparente, ha l’onere di produrre sia il decreto di autorizzazione sia il documento al quale esso rinvia, in modo da porre il giudice del procedimento “ad quem” in grado dì verificare l’effettiva inesistenza, nel procedimento “a quo”, del controllo giurisdizional prescritto dall’art. 15 Cost.
Laddove nel caso di specie le eccezioni che involgono anche il decreto n. 1333/23 – che a differenza di quanto assume la difesa, peraltro, risulta dall’indice
inviato dal P.m. al Tribunale – sono state formulate dalla difesa senza l’allegazione dello stesso.
Sicché, in definitiva, le censure articolate col primo motivo sono, sotto certi aspetti, anche generiche.
L2. Analoghe considerazioni devono operarsi in relazione alle censure svolte col secondo motivo di ricorso in relazione al decreto di convalida ed autorizzazione di intercettazioni n. 3164/23. Si deve solo precisare che la doglianza nella parte in cui lamenta che a base del decreto vi sarebbe informativa dal contenuto non intellegibile, in quanto omissata, è infondata, dal momento che, a differenza di quanto si assume, tale atto di P.g, non risulta affatto totalmente omissato, tante che anche il decreto è a sua volta solo in parte omissato, ma contiene l’indicazione degli elementi su cui fonda il giudizio di sussistenza dei sufficienti indizi di reato.
Il Tribunale, a sua volta, ha dato conto del contenuto dell’informativa che la difesa riferisce, genericamente, omissata, indicandolo in quello riguardante “un sodalizio criminale impegnato in un’attività organizzata e sistematica di traffico d sostanze stupefacenti”, in cui era peraltro già tipicamente emerso l’attivo coinvolgimento del La Mattina in concorso con altri esponenti della famiglia mafiosa di appartenenza.
Va al riguardo peraltro ricordato che, in tema di richiesta di applicazione di misure cautelari personali, il Pubblico ministero, nell’ambito del potere di selezione degli atti da trasmettere in sede di richiesta della misura e fermo restando i limit previsti dall’art. 291, comma 1, cod. proc. pen. in relazione ai “verbali di cui all’a 268, comma 2”, agli “elementi a favore dell’imputato” nonché alle eventuali “deduzioni e memorie difensive già depositate”, non ha l’obbligo di mettere a disposizione del giudice gli atti di indagine nella loro integralità. Può in particol oscurarne parte del contenuto mediante “omissis”, al fine di garantire il segreto investigativo senza impedire lo sviluppo del contraddittorio. Il principio secondo cui gli atti di indagine trasmessi a sostegno di una richiesta di misura cautelare, seppure presentino cancellature di parti del loro contenuto, sono utilizzabili nei contenuti palesi anche in sede di riesame (ex plurimis Sez. 2, n. 17118 del 28/02/2017, Caridí, Rv. 269959 – 01; Sez. 6 n. 50949 del 19/09/2014, Rv. 261371 Pascullí; Sez. 1 n. 47353 del 25/11/2009, Crimi, Rv. 245636) trova pacifica applicazione anche con riguardo ai decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, la cui trasmissione al giudice del riesame “amputata” di parti – anche molto rilevanti – della relativa motivazione, a finì di tutela del segr investigativo, deve ritenersi senz’altro legittima (vedi, sul punto, Sez. 6 n. 28009 del 15/05/2014, ric. Alberto, in motivazione).
Si deve anche evidenzìare, avendo la difesa formulato eccezione anche al riguardo, che il Tribunale non ha mancato di rappresentare che gli elementi indiziari, come correttamente segnalato dal G.i.p., costituiscono la provvista indiziaria del reato di cui all’art. 416-bis c.p., senza che sia necessario, com ribadito dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, che la sufficienza dell’indi investa anche la riferibilità soggettiva all’indagato dell’esercizio di un perduran ruolo associativo di tipo dinamico-funzionale, nella specie peraltro conclamata dalle emergenze indiziarie sopravvenute che hanno messo in luce l’indiscussa centralità del comparto illecito relativo al traffico di sostanze stupefacenti per la cassa del famiglia di Santa Maria di Gesù.
1.3. In ogni caso non può non concludersi, come già messo in evidenza dal Tribunale, che in relazione alle eccezioni sollevate dalla difesa difetta la cd. prova d resistenza a fronte del variegato quadro indiziario delineato dal Tribunale – col quale manca un effettivo confronto da parte del ricorso che si limita ad evidenziare che il compendio indiziario sarebbe costituito unicamente dalle intercettazioni.
Sulla scorta delle eccezioni mosse la difesa punta all’affermazione dell’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per essere inutilizzabili intercettazioni di cui ai decreti tacciati da invalidità, ma nel giungere a t conclusione si limita ad affermare, genericamente, che le conversazioni intercettate in virtù dei decreti invalidi costituiscono le uniche prove poste a base de provvedimento impositivo della misura. E ciò lo si afferma sia con riferimento al decreto n. 3528/23 che rispetto a quello n. 3164/23, cadendo anche in una sorta di contraddizione dal momento che ogni volta si assume che il provvedimento impugnato, in punto di motivazione e gravità indiziaria, sarebbe strutturato esclusivamente sui risultati delle captazioni ottenute in virtù di quel determinato decreto invalido, senza peraltro operarsi alcun confronto con gli altri elementi di prova acquisiti.
Risulta, invero, evidente leggendo l’ordinanza impugnata come gli elementi indiziari siano stati tratti non solo dagli esiti di plurime intercettazioni ma anche altre fontì di prova, quali appostamenti, immagini di impianti di videosorveglianza, esiti di indagini già espletate anche in altri procedimenti, perquisizioni particolare quella effettuata in data 15.12.2015 nei confronti di NOME COGNOME in cui veniva rinvenuto un appunto manoscritto recante l’indicazione “dei soggetti che ricevevano periodicamente somme di denaro dall’articolazione mafiosa a titolo di retribuzione” e dei relativi importi tra cui era riportato il nominativo “Gab abbreviativo di “Gabibbo”, soprannome del ricorrente, con l’indicazione della relativa retribuzione settimanale corrisposta dal vertice del sodalizio mafioso.
Sicché, correttamente, il Tribunale, nel rigettare tutte le eccezioni difensive, ha correttamente osservato come, in ultima analisi, nel caso di specie, anche a voler in ipotesi accedere all’assunto difensivo dell’inutilizzabilità delle captazioni scatur dai decreti autorizzativi indicati come invalidi, non verrebbe di certo meno il copioso materiale indiziario a carico del La Mattina in quanto fondato su captazioni derivanti anche da altri decreti autorizzativi. E ha, in particolare, concluso che “l’eccezion difensiva, oltre ad essere generica, deve ritenersi infondata e comunque inidonea, per la parzialità dei suoi ipotetici e non specificati effetti di inutilizzabi infirmare il solido compendio indiziario fondato anche in autonome e autosufficienti fonti di prova di matrice eterogenea (cd. prova di resistenza).
Indi, deve concludersi evidenziando come questa Corte ha più volte, nel tempo, affermato che nel caso in cui si adduce la inutilizzabilità di una prova è onere della parte che la eccepisce, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, non solo indicare gli atti specificamente affetti dal vizio ma anch chiarirne la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416), laddove nel caso di specie, pure a fronte di quanto già rilevato dal Tribunale in ordine alla copiosa messe di fonti d prove, e pur emergendo, per tabulas, che plurimi sono gli indizi posti a base della decisione impugnata, e che, in particolare, essi non si esauriscono affatto nei contenuti delle intercettazioni segnalate, il ricorso nulla di specifico argomenta a riguardo.
Sicché le censure sollevate coi primi due motivi di ricorso rimangono, per altro verso, anche affette da genericìtà.
Con la conseguenza che anche quanto eccepito in relazione al decreto n. 1333/23 e alla scadenza del termine per l’emissione dei decreti di proroga relativi al decreto di convalida n. 3164/23 rimane superato alla stregua di tale principio.
1.4. Col terzo motivo si assume che il Tribunale avrebbe dato rilievo indiziario ai risultati captivi originati dai decreti 2455/23, 3492/23, 1333/23, ma che poi ne percorso argomentativo sviluppato abbia indicato conversazioni che in realtà non scaturiscono da tali decreti ma da altri, segnatamente proprio da quei decreti nn. 3164/23 e 3528/23 che sono stati oggetto dell’eccezione di illegittimità di cui ai primi due motivi di ricorso.
Ebbene, tale cesura, risolvendosi in una rinnovata eccezione di inutilizzabilità in relazione agli esiti intercettivi collegati ai decreti nn. 3164 e 3528 non può ch trovare risposta in tutto quanto già osservato nel rispondere ai primi due motivi di ricorso (è solo il caso di precisare, riguardo al motivo in scrutinio, che il Tribuna in realtà, allorquando fa menzione delle specifiche intercettazioni indicate dalla
difesa non fa mai espresso riferimento né ai decreti 2455/23, 3492/23, 1333/23 né tanto meno a quelli nn. 3164/23 e 3528/23). Sicché il motivo in scrutinio è sotto certi aspetti anche generico.
Nel resto il motivo riproduce doglianze che possono trovare risposta in tutto quanto sopra evidenziato in relazione ai primi due motivi di ricorso.
1.5. Quanto, poi, al primo aspetto evidenziato col quarto motivo di ricorso, in riferimento al decreto di intercettazioni n. 1333/23, non possono che valere le considerazioni, tutte, già svolte nell’esaminare i precedenti motivi di ricorso. D’alt parte, il Tribunale, nell’esaminare la fattispecie ascritta all’indagato al cap dell’imputazione, non cita tale decreto, a cui la difesa imputa la conversazione intercettata il 17.4.2023 presso l’abitazione dell’Aliotta.
1.6. Anche con riferimento al profilo di inutilizzabilità reiterato col quinto moti di ricorso in relazione alla fattispecie delittuosa di cui al capo 5 dell’imputazio provvisoria (art. 73 d.p.r. 309/90), la cui sussistenza, nell’ottica difensiva, sareb stata, in buona sostanza, affermata unicamente sulla base del dialogo intercettato il 9.9.2023 intercorso tra Aliotta Giuseppe e il ricorrente, non può che rimandarsi a tutto quanto già osservato in precedenza in ordine alle censure afferenti i decreti autorizzativi delle intercettazioni, tra i quali quello n. 2455/23, la cui legitt viene nuovamente contestata col motivo in scrutinio (per non essere stato, esso, trasmesso né allegato nel presente procedimento), dandosi peraltro per scontato che la conversazione indicata sia frutto del decreto incriminato.
Quanto al merito, è solo il caso di osservare che secondo la puntuale ricostruzione del Tribunale, non specificamente contestata, le parti avevano già suggellato l’accordo nell’interesse del sodalizio e non avendo a disposizione l’intera somma da corrispondere, avevano invano cercato di posticipare le operazioni di consegna della partita di hashish già in transito verso Palermo con un corriere e a loro destinata, destando il fermo disappunto del trafficante albanese che decideva di interrompere bruscamente la conversazione. L’interruzione della telefonata non equivale tout court a interruzione della commessa che era oramai partita secondo la ricostruzione del Tribunale, che ha pertanto giustamente ritenuto oramai perfezionato l’accordo dell’acquisto di hashish al prezzo pattuito di euro 20.000. Accordo che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte suggella la consumazione del reato di acquisto di sostanza stupefacente (cfr. ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 30374 del 16/05/2019, Rv. 276981 – 01, secondo cui il delitto di acquisto e cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore ed acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e del pagamento del prezzo). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il motivo, poi, nella parte ìn cui contesta la motivazione del Tribunale resa in punto di sussistenza della gravità indiziaria, tacciandola di genericità, in realtà, n si confronta adeguatamente con essa.
Ed invero, il Tribunale nell’analizzare la complessa vicenda associativa in cui si inserisce la partecipazione del ricorrente anche rispetto all’ipotesi delittuosa di cui capo 5 (relativo ad un grande quantitativo di cocaina che COGNOME NOME, in concorso con La Mattina, aveva acquistato, ricevuto da COGNOME NOME) fa piuttosto riferimento ai plurimi elementi emersi in relazione alla rilevante perdit economica che era conseguita a seguito del sequestro, nel mese di settembre del 2023, delle due partite di cocaina incamerate (cfr. pagg. pag. 17 e 18 del provvedimento impugnato), e nel tracciarne i tratti essenziali fa specifico riferimento anche al ruolo assunto dal ricorrente (senza peraltro mai riferirsi all’intercettazione del 9.9.2023 indicata dalla difesa, che viene citata solo a pag. 24 in cui si dà atto del riscontro della intervenuta transazione illecita rinvenib appunto, nel sequestro del carico di cocaina, e, in ogni caso, si rimanda, quanto alla ricostruzione del fatto e al coinvolgimento del duo COGNOME–COGNOME nel traffico d stupefacenti, all’ordinanza genetica, evidenziando il tenore niente affatto criptic dei dialoghi intercettati),
Il Tribunale, per altro verso, non trascura di evidenziare come l’episodio in questione si inserisca nelle particolari dinamiche dei contrasti interni che segnarono il clan in quella fase.
Con tale complessiva ricostruzione il motivo in scrutinio non si confronta, limitandosi a lamentare l’assenza di considerazioni argomentative riguardo alla conversazione del 9.9.2023.
1.7. Il sesto motivo formula rilievi di inutilizzabilità in relazione intercettazione del 9.1.2024, intercorsa tra La Mattina e NOME COGNOME detto NOME, che rimandano alle censure formulate col primo motivo di ricorso in relazione al decreto n. 3528/23, delle quali si è già sopra detto (peraltro il Tribunal cita la conversazione del 8,1.2024, senza fare riferimento al decreto 3528/23, e non quella indicata dalla difesa del 9.1.2024).
In ogni caso il Tribunale ha fornito adeguata motivazione anche in relazione all’estorsione aggravata contestata al capo 10, avendo, da un lato, rinviato alla corposa ricostruzione contenuta nel titolo genetico e, dall’altro, a sua volta tracciato i tratti salienti della vicenda estorsiva in argomento (cfr. pagg. 14- 16 d provvedimento impugnato), che vedeva assegnato al ricorrente l’incarico estorsivo, prontamente adempiuto dal medesimo mediante spendita del nome e della caratura mafiosa del reggente mafioso COGNOME, ed andato a buon fine, in danno
dell’imprenditore COGNOME titolare di esercizio commerciale in concorrenza con quello dell’adepto COGNOME.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, pe legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1-ter, delle disposizion di attuazione del codice di procedura penale, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato si trova ristretto, p provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis del citato articolo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 24/7/2025.