Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7370 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7370 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
TERZA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME VincenzoCOGNOME nato a Fondi il 20/06/1982, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Roma del 05/09/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. NOME COGNOME cui il P.G. si Ł riportato in udienza, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. uditi, per il ricorrente, gli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME del foro di Latina, che si sono riportati al ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 05/09/2024, il Tribunale del riesame di Roma accoglieva parzialmente la richiesta di riesame avanzata da NOME COGNOME avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari di Latina aveva applicato al medesimo la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli articoli 424, 338 cod. pen. (capi A e B), 81 cod. pen. 73 d.P.R. 309/1990 (capi da 3 a 17) e 629 cod. pen. (capo 18).
Il Tribunale distrettuale capitolino, nell’annullare l’ordinanza impugnata limitatamente ai capi 11) e 18), per effetto della dichiarata inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche su cui il provvedimento custodiale si fondava, confermava, nel resto, l’ordinanza impugnata.
Avverso tale ordinanza ricorre – tramite il suo difensore – lo COGNOME affidando le sue doglianze ad otto motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al corretto inquadramento del fatto-reato contestato al ricorrente legittimante l’uso delle intercettazioni,
nonchØ violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 266 in relazione all’art. 338 cpp in riferimento ai decreti autorizzativi del 29 settembre 2023 (RIT 368/23) e del 20 ottobre 2023 (RIT 382/23).
Le intercettazioni sono state disposte oltre i limiti di ammissibilità di cui all’art. 266 cod. proc. pen., atteso che ab origine la condotta contesta al ricorrente andava inquadrata al piø nell’art. 336 cod. pen., reato escluso dai limiti di ammissibilità dell’attività captativa.
Ne discende l’assoluta e non frazionata inutilizzabilità ex art. 271 cpp dei risultati delle intercettazioni telefoniche e mediante captatore informatico.
Il Tribunale del riesame conferma che lo COGNOME fosse il mandante dell’incendio della vettura del sindaco e che tali condotte erano certamente volte ad influenzare l’attività amministrativa che riguardava il cimitero di Lenola che era stato ampliato con l’acquisto del terreno da parte del sindaco nel 2021, ma che evidentemente il ricorrente temeva che potesse aver degli sviluppi ulteriori che avrebbero inciso sulla sua proprietà confinante con l’area acquisita.
Tali condotte, secondo il Riesame, anche se non ritenute integrare il delitto di cui all’art. 338 c.p., integrerebbero comunque quello di cui all’art. 336 c.p..
Il ricorrente eccepisce l’inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni ab origine perchØ, nel momento in cui Ł stato adottato il provvedimento autorizzativo, la gravità indiziaria per il reato di cui all’art. 338 c.p. non sussisteva neanche in astratto.
Come evidenziato dalle Sezioni Unite della Corte (Sez. U., n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, in motivazione, par. 11) la qualificazione, pure provvisoria, del fatto deve essere ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari che ne sorreggano, per un verso, la corretta formulazione da parte del pubblico ministero e, per altro verso, la successiva, rigorosa, verifica dei presupposti da parte del giudice chiamato ad autorizzare le relative operazioni intercettative; fermo restando il sindacato di legittimità della Corte di cassazione in ordine all’effettiva sussistenza di tali presupposti.
La Cassazione ritiene inoltre che in caso di modifica, della struttura giuridica del fatto-reato autorizzato, l’inutilizzabilità delle intercettazioni consegue solo se presupposti per disporre il mezzo di ricerca della prova mancassero già al momento in cui il procedimento autorizzativo si Ł compiuto e perfezionato attraverso il controllo del giudice, e ciò al fine di evitare abusi, che potrebbero configurarsi con il ricorso pretestuoso alla descrizione di un fatto reato autorizzabile al fine di aggirare i limiti legali stabiliti.
Ove, pertanto, si verifichi la divergenza tra fatto-reato di cui si chiede l’autorizzazione ad intercettare ed il fatto emergente dalle risultanze investigative si manifesti già al momento in cui l’intercettazione Ł richiesta, il giudice Ł tenuto a non autorizzare l’intercettazione.
Al contrario, ove l’addebito si modifichi solo per motivi sopravvenuti fisiologici, legati cioŁ alla naturale evoluzione del procedimento, che può determinare una modifica del fatto storico e della sua qualificazione giuridica, considerando la provvisorietà dell’addebito, la fluidità degli elementi raccolti e la loro possibile modificazione, non vi Ł elusione delle garanzie.
Nel caso in esame, nel momento genetico delle intercettazioni il fatto – reato non presentava una gravità indiziaria tale da configurare violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi componenti.
Con riferimento al decreto autorizzativo del 29 settembre 2023, il pubblico ministero, che aveva iscritto l’odierno ricorrente sul registro degli indagati per il reato di cui all’articolo 338 cod. pen., chiedeva l’autorizzazione alle operazioni di intercettazione per 40 giorniex art. 6 D.lgs. 216/2017 e 266, comma 1, lettera b), e 2bis cpp, intercettazioni telefoniche e tra presenti mediante captatore informatico (con esclusione dei luoghi di privata dimora) in relazione alla utenza telefonica Samsung Galaxy A32 avente IMEI n. 355808985496303 in uso a COGNOME NOME -RIT 368/23.
Il Gip, in tale occasione, affrontava il tema della nuova imputazione di cui all’art. 338 c.p.
rappresentando come dagli esiti delle indagini emergevano «la diretta partecipazione dello COGNOME all’incendio dell’autovettura del sindaco» e «un diretto collegamento tra l’episodio intimidatorio e l’attività amministrativa del sindaco COGNOME», sia sulla base dell’annotazione del 23 settembre 2023 a firma di NOME COGNOMEche riportava una fonte anonima che attribuiva la paternità dell’incendio allo COGNOME e a tale NOME COGNOME ed individuava il movente nell’ampliamento del cimitero di Lenola), sia sulla base delle s.i.t. del COGNOME (che rappresentava di aver personalmente segnalato lo COGNOME ai Carabinieri di Lenola per il furto del legname).
Tali indizi, a parere del GIP, trovavano conferma nell’acquisizione dell’atto di compravendita per l’ampliamento cimiteriale, di fatto concretizzatasi già a far data dal 29 ottobre 2021 (data dell’atto di compravendita dei terreni dai germani Pietrasanta) e nell’esistenza del p.p. n. 896/2023 RGNR che vedeva lo COGNOME rispondere del tentativo di furto di legname con riferimento alla segnalazione del sindaco COGNOME.
La qualificazione, pure provvisoria, del fatto come esplicitata nel citato decreto non risulterebbe ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari in ordine alla corretta qualificazione giuridica e alla sussistenza di gravi indizi di reato atteso che alla data del decreto, 29 settembre 2023, il Gip in base agli atti acquisiti era in grado di verificare che:
l’ampliamento cimiteriale era già stato disposto con delibera del consiglio comunale di Lenola del 30 gennaio 2020, e si era definito con l’acquisizione dei terreni già a far data dal 29 ottobre 2021;
già in data 17 febbraio 2023, lo COGNOME era perfettamente a conoscenza della segnalazione da parte del Magnafico e dell’esistenza del relativo procedimento penale con riferimento al p.p. n. 896/23 RGNR;
nessuna notifica del decreto penale di condanna era stata fatta allo Zizzo prima del 19 settembre 2023 (data dell’incendio) e in tal senso non poteva esservi alcun movente come individuato dal P.M..
Pertanto, la gravità indiziaria veniva desunta solo dalla fonte anonima.
Identico discorso deve essere fatto con riferimento al successivo decreto del 20 ottobre 2023 in cui il Gip ripropone identica motivazione del precedente, senza inserire alcun elemento di novità.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce: violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 266 e 267, in relazione all’art. 271, cod. proc. pen., nonchØ violazione dei presupposti e delle forme del provvedimento di autorizzazione di cui all’art. 267 cpp nei decreti autorizzativi del 29 settembre 2023 (RIT 368/23) e del 20 ottobre 2023 (RIT 382/23); contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla corretta applicazione dei presupposti applicativi di cui all’art. 267 c.p.p.. in relazione all’art. 338 c.p.; inutilizzabilità delle intercettazioni, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 267 c.p.p., comma 1bis e art. 203 c.p.p., comma 1bis atteso che nei decreti autorizzativi del 29 settembre 2023 e del 20 ottobre 2023 l’unico elemento oggetto di valutazione ai fini degli indizi di reità era la fonte anonima di cui alla annotazione di servizio di NOME Mario del 23 settembre 2023.
Il Tribunale del riesame, pur evidenziando che non poteva trovare applicazione la disciplina speciale dettata dall’articolo 13 d.l. 152/1991, ha ritenuto che il decreto autorizzativo del 29 settembre 2023 e il decreto autorizzativo del 20 ottobre 2023, nonostante tutto, soddisfacessero i presupposti richiesti dall’art. 267 cpp in ordine ai gravi indizi di reato (in luogo dei sufficienti indizi di reato richiesti per la disciplina speciale) ed in ordine all’assoluta indispensabilità delle intercettazioni ai fini della prosecuzione delle indagini, fermo restando il limite oggettivo di durata, per cui il decreto del 29 settembre 2023 deve intendersi autorizzato sino al 14 ottobre 2023 e il decreto del 20 ottobre 2023 deve intendersi autorizzato sino al 4 novembre 2023 in virtø della applicazione dei limiti di durata di cui all’art. 267 co 3 cpp (15 giorni + 15 giorni).
Le successive proroghe dovevano invece intendersi quali nuovi e autonomi decreti autorizzativi in
quanto soddisfano comunque i presupposti di cui all’art. 267 cpp. in termini di gravi indizi di reato e assoluta indispensabilità delle operazioni di intercettazione.
Il ricorrente contesta tale motivazione, ritenendo che il Tribunale abbia ritenuto con motivazione meramente apparente, che tanto il decreto del 29 settembre 2023 quanto quello del 20 ottobre 2024 fossero stati sufficientemente motivati in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reato ed in ordine all’assoluta indispensabilità delle intercettazioni ai fini della prosecuzione delle indagini benchØ tanto la richiesta del PM a cui i decreti rinviano quanto i decreti stessi sono stati elaborati dal Gip avendo come confine motivazionale quello ampio della disciplina speciale e pertanto la mera sussistenza di sufficienti indizi di reato e la mera necessità delle operazioni di intercettazioni per lo svolgimento delle indagini.
Come evidenziato nel precedente motivo, la qualificazione, seppur provvisoria, del fatto come esplicitata nel citato decreto non risulta ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari in ordine alla corretta qualificazione giuridica e alla sussistenza di gravi indizi di reato, in quanto la necessità di intercettare l’utenza del ricorrente poteva trovare riscontro solo nella fonte anonima (unico indizio di reità) di cui alla citata annotazione in violazione del divieto di utilizzo ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 267 c.p.p., comma 1bis e art. 203 c.p.p., comma 1bis . Cod. proc. pen..
Quanto alla assoluta indispensabilità, il decreto autorizzativo non può omettere di indicare il collegamento tra l’indagine in corso e l’intercettando, nel caso di specie mancante al momento del provvedimento.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione e della falsa applicazione degli artt. 267, comma 3, 191, 271, 273 cod. proc. pen., 15 Cost., lamentando altresì motivazione illogica ed apparente, travisamento del fatto e violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in riferimento all’art. 271, comma 1, cod. proc. pen. atteso che i decreti di proroga del 28 novembre 2023, 14 dicembre 2023, 9 gennaio 2024, 23 gennaio 2024 e 15 febbraio 2024, adottati a seguito del decreto autorizzativo del 20 ottobre 2023 (Rit 382/2023), risulterebbero privi dei presupposti di legge ex art. 267 c.p.p..
Il Tribunale di Roma ha stabilito che i successivi decreti di proroga del 28 novembre 2023, 14 dicembre 2023, 9 gennaio 2024, 23 gennaio 2024 e 15 febbraio 2024, adottati a seguito del decreto autorizzativo del 20 ottobre 2023 (RIT 382/2023) devono essere considerati nuovi e autonomi decreti autorizzativi in quanto soddisfano comunque i presupposti di cui all’art. 267 del codice di rito in termini di gravi indizi di reato e assoluta indispensabilità delle operazioni di intercettazione.
Tuttavia, la motivazione del decreto de quo , in quanto avente natura sostanzialmente autonoma, deve essere ispirata a criteri di maggiore specificità rispetto alle motivazioni di un decreto di proroga, ciò che rende necessaria una verifica in concreto del contenuto dello stesso e che effettivamente si fondi su una autonoma valutazione critica della sussistenza dei presupposti richiesti per intercettare ex novo , valutazione che nel caso di specie manca totalmente.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la nullità dell’ordinanza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 338 cod. pen., per evidente insussistenza, deducibile dagli stessi atti del procedimento, degli elementi costitutivi del delitto de quo.
In particolare, lamenta l’insussistenza di una minaccia nei confronti dell’organo preposto all’adozione dell’atto amministrativo asseritamente minacciato e soprattutto l’inesistenza di un procedimento amministrativo da impedire o da minacciare con le condotte come contestate.
Il Tribunale del riesame si arrocca sul particolare stato del procedimento e sulla ‘fluidità’ del capo di incolpazione che Ł propria della fase, e che nel prosieguo potrà essere meglio precisato dal P.M., ovvero riqualificato nel reato di cui all’articolo 336 cod. pen..
L’ordinanza, comunque, non oppone nulla alla deduzione secondo cui l’ampliamento del cimitero
era stato deliberato oltre 4 anni prima rispetto ai fatti contestati.
Anche la ritenutaminaccia, rivolta ad un solo consigliere comunale, il signor NOME COGNOME non integra il reato di cui all’art. 338 c.p..
La condotta, infatti, non deve essere necessariamente tenuta nei confronti dell’intero collegio ma, laddove il destinatario sia un solo componente la minaccia deve essere diretta soggettivamente ed oggettivamente ad influire sulla deliberazione finale del collegio. Quando invece la minaccia Ł diretta a coartare la volontà del singolo, non potrà dirsi integrato tale reato, ma quelli di cui agli artt. 336 e 337 c.p., aventi medesima oggettività giuridica ma essendo volti alla tutela del singolo pubblico ufficiale.
Nel caso di specie, non era affatto in discussione una competenza funzionale del Sindaco, bensì del Consiglio comunale nella fase deliberativa e del dirigente UTC nella fase esecutiva. E’ quindi evidente che non possa ritenersi integrato il reato di cui all’art. 338 c.p. mancando il requisito dell’offesa al corpo politico, o ad un membro di esso, al fine di turbarne l’attività, non rientrando tale atto nelle dirette competenze dei singoli soggetti interessati dalle minacce.
Il ricorrente contesta poi, sotto il profilo indiziario, la connessione tra l’incendio dell’autovettura del sindaco di Lenola, avvenuto in data 19 settembre 2023 e quello occorso alla signora COGNOME COGNOME a avvenuto il 16 settembre 2023 (il cui autore Ł rimasto ignoto), nonchØ il positivo apprezzamento sotto il profilo indiziario: del contenuto delle intercettazioni telematiche captate sull’utenza dell’indagato, in parte dichiarate inutilizzabili; delle s.i.t. rese dal signor NOME COGNOME (con le quali Ł proprio l’amico di COGNOME a dare una spiegazione in malam partem del linguaggio del corpo dell’indagato, tenuto nell’occasione dell’incendio dell’autovettura della signora COGNOME NOME) del movente, malamente individuato nella notifica – non ancora avvenuta all’epoca dei fatti – del decreto penale di condanna nell’ambito del procedimento penale n. 869/2023, di cui si Ł già dato conto.
Si critica, poi, l’interpretazione del significato della conversazione intercettata in data 13 dicembre 2023, alle ore 19.03, RIT n. 382/23, progressivo 23.896, all’interno di un locale commerciale di Lenola, tra COGNOME COGNOME e NOME COGNOME, consigliere comunale di Lenola.
2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce nullità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 273 c.p.p. per mancanza o insufficienza di motivazione in ordine al reato di cui all’art. 338 c.p., perchŁ i Giudici del Riesame hanno acriticamente trascurato di valutare autonomamente alcuni elementi, anche documentali, emersi all’esito dell’attività investigativa, in particolare la clamorosa smentita della natura dolosa dell’incendio dell’autovettura della signora COGNOME NOME (v. la relazione tecnica di vigili del fuoco intervenuti, in cui si evidenzia l’assenza di inneschi incendiari, il verbale di ricezione di denuncia orale sporta da NOMECOGNOME la richiesta di archiviazione del P.M. titolare del procedimento n. 1340/2023), argomento questo che ex se , da solo, smentisce la fantasiosa ricostruzione del fatto e l’individuazione verosimile del suo autore morale.
Inoltre, il ricorrente richiama ancora una volta la vicenda della notifica del decreto penale di condanna, effettuata all’imputato in data 15 aprile 2024 e al suo difensore in data 10 aprile 2024, quasi un anno dopo i fatti contestati, nonchØ la rilevanza probatoria della annotazione di polizia giudiziaria del 23 settembre 2023, basata su fonte anonima che non ha mai trovato conferma.
L’attentato incendiario ai danni del sindaco, in ogni caso, come riferito spontaneamente dal COGNOME, non sarebbe riconducibile ad appalti, ma semmai a qualcuno che ha subito qualche torto.
NOME COGNOME come ogni altro cittadino di Lenola, paese di 4.000 abitanti, ha commentato il fatto e con i suoi commenti, in maniera chiara, alla luce del sole, ha espresso il suo disprezzo verso un sindaco che non stimava, ma tutto ciò non può certamente essere considerato un elemento indiziario a carico nØ a discarico dell’indagato.
Nella stessa conversazione dianzi menzionata, del resto, lo COGNOME elencava al consigliere comunale NOME COGNOME tutti gli atti amministrativi illegittimi asseritamente posti in essere dal sindaco
Magnafico, dicendo di voler denunciare tali fatti alla Procura della Repubblica e di volere denunciare il sindaco per calunnia perchØ lo accusava, sapendolo innocente, di avergli bruciato l’autovettura. 2.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta nullità dell’ordinanza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 274 cod. proc. pen., come modificato dalla l. n. 47 del 2015, che richiede ai fini della individuazione del pericolo di reiterazione l’emersione di indici diversi dalla gravità dei fatti per cui si procede e concretamente dimostrativi sia della concretezza del pericolo, che della attualità dello stesso, nonchØ omessa contraddittoria ed insufficiente motivazione sullo specifico punto. Quanto all’esigenza di cui alla lettera a), l’avvenuta chiusura delle indagini preliminare la eliderebbe completamente; quanto all’esigenza di cui all’articolo 274 lettera c), l’ordinanza non motiva in ordine alla sua attualità, che deve essere valutata non solo sulla gravità del fatto ma anche sulla personalità del reo.
Il GIP pontino ravvisa le esigenze cautelari nel concreto pericolo di reiterazione del reato, ancorandone la sussistenza proprio a quel capo 18 della rubrica, poi annullato dal Tribunale del Riesame di Roma, il quale, tuttavia, invece di annullare sullo specifico punto o fornire una motivazione almeno costituzionalmente orientata, va oltre le esigenze cautelari prospettate dal PM e dal giudice della misura considerando sussistenti anche quelle del pericolo di inquinamento delle prove, possibilità esclusa alla luce della notificazione all’indagato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Il Tribunale del Riesame, così come il GIP, hanno ravvisato le esigenze cautelari nel concreto pericolo di reiterazione del reato, ancorandone la sussistenza in ragione dell’apparenza altamente probabile che si presenteranno occasioni prossime alla realizzazione di reati della stessa indole per il prevenuto.
Ebbene, lo COGNOME Ł assolutamente incensurato, e ciò lascia ragionevolmente ritenere che la sussistenza di un pericolo “attuale” di reiterazione del reato vada esclusa in quanto la condotta criminosa contestata si rivelerebbe del tutto sporadica ed occasionale, anzi un unicum non ripetibile; non si rinvengono infatti altre ragioni, se non quelle apprezzate in malam partem dai Giudici del Merito sulle modalità del fatto, per le quali dovrebbe invece essere mantenuta.
Ma la disciplina introdotta dalla L. n. 47 del 2015 richiede ai fini della individuazione del pericolo di reiterazione l’emersione di indici diversi dalla gravità dei fatti per cui si procede e concretamente dimostrativi sia della concretezza del pericolo, che della attualità dello stesso.
Inoltre, l’attualità deve essere identificata nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati della stessa specie di quello per cui si procede (Cass. sez. 6, n. 28618 del 05/04/2013, Rv. 255857).
2.7. Con il settimo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 274 c.p.p. perchØ i giudici di merito hanno trascurato di considerare il profilo della formale e sostanziale incensuratezza dello COGNOME, ritenendolo all’evidenza subvalente e non tale da escludere il rischio di recidiva in ragione dell’assorbente gravità della condotta, mentre la pericolosità sociale dell’indagato deve risultare congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua personalità, come desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, che ancorano tale valutazione alla specifica situazione dell’indagato, scongiurando automatismi nell’applicazione delle misure dipendenti dalla mera gravità in astratto del titolo di reato contestato. I Giudici di merito hanno trascurato di considerare il profilo della storia personale, famigliare e lavorativa del prevenuto, apprezzato da molti, non certamente dal sindaco di Lenola, anche se l’antipatia era reciproca, ritenendolo all’evidenza subvalente e non tale da escludere il rischio di recidiva in ragione dell’assorbente gravità della condotta.
2.8. Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce violazione del principio di adeguatezza e proporzionalità della misura ex art 275 cod. proc. pen., commi 1 e 2. Omessa motivazione sul punto.
Il Tribunale del riesame sul punto si Ł limitato a condividere le superficiali motivazioni indicate dal Gip pontino nell’ordinanza applicativa della misura cautelare di massimo rigore, nonostante apposita censura formulata in sede di riesame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł complessivamente infondato.
I primi tre motivi di ricorso, che, sia pure sotto diversi profili e angolazioni, deducono l’inutilizzabilità delle operazioni di intercettazione telefonica e telematica, anche tramite captatore informatico, eseguite in capo al ricorrente, rendono necessaria una premessa ad opera del Collegio, che evidenzia sin da ora la loro inammissibilità.
2.1. In primo luogo, le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266905 – 01), hanno precisato che, in materia de libertate , la nozione di «gravi indizi di colpevolezza» di cui all’art. 273 cod. proc. pen. non si atteggia allo stesso modo del termine «indizi» inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta ad indicare la «prova logica o indiretta», ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (cfr. art. 192, comma 2, cod. proc. pen.) che consente di risalire ad un fatto incerto attraverso massime di comune esperienza.
Per l’emissione di una misura cautelare, invece, Ł sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli.
2.2. In secondo luogo, pur all’interno della materia cautelare, va rimarcato che la formula «gravi indizi di reato» prevista nell’art. 267 c.p.p., Ł del tutto differente, quanto al contenuto, dal sintagma «gravi indizi di colpevolezza» previsto dall’art. 273 cod. proc. pen., quale presupposto per l’applicazione di misura cautelare, riferendosi, la prima, alla sussistenza del fumus boni iuris del reato ipotizzato, ma non richiedendo la necessaria sussistenza di un fumus boni iuris di «responsabilità» di un soggetto determinato.
In reiterate occasioni, inoltre, questa Corte ha ribadito (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229247 – 01) che sarebbe improprio definire come «probatorio» questo presupposto, perchØ non si richiede una prova, neppure indiziaria, di colpevolezza, sicchØ deve ritenersi che il legislatore, intendendo escludere un ricorso indiscriminato a uno strumento insidioso di ricerca della prova, esiga solo un vaglio di particolare serietà e specificità delle esigenze investigative, non una valutazione circa il fondamento di un’accusa che potrebbe anche non essere stata ancora formulata. 2.3. Tale conclusione non può non tradursi in una drastica riduzione dell’ambito del controllo sulla motivazione del decreto, che, non dovendo esprimere una valutazione di fondatezza dell’accusa, ma appunto solo un vaglio di effettiva serietà del progetto investigativo, si sottrae a una rigorosa verifica a posteriori, in particolare quando (come nel caso in esame) le indagini abbiano avuto uno sviluppo che manifesti la rilevanza dei risultati delle intercettazioni ai fini dell’accertamento della vicenda cui si riferiva l’autorizzazione.
Ne risulta anzi evidente come la principale funzione di garanzia della motivazione del decreto stia proprio nell’individuazione della specifica vicenda criminosa cui l’autorizzazione si riferisce, in modo da prevenire il già ricordato rischio di autorizzazione in bianco.
Questa Corte ha anche affermato che solo la «mancanza», e non anche l’«inadeguatezza», della motivazione del decreto autorizzativo, può dar luogo a inutilizzabilità dei risultati probatori dell’intercettazione (Sez. U, n. 11 del 25/03/1998, COGNOME, Rv. 210610 – 01; Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216665 – 01), perchØ, per aversi inutilizzabilità, deve risultare una carenza della motivazione che riveli l’inesistenza di quel vaglio preventivo del giudice cui la legge affida la tutela del diritto garantito dall’art. 15 Cost..
Sul punto, le citate Sezioni Unite Primavera hanno precisato che «si ha mancanza della motivazione non solo quando l’apparato giustificativo manchi in senso fisico-testuale, ma anche quando la motivazione sia apparente, semplicemente ripetitiva della formula normativa, del tutto incongrua rispetto al provvedimento che dovrebbe giustificare».
A ciò consegue che, in presenza di motivazione non apparente, il giudice di legittimità non può procedere ad una rivalutazione del quadro indiziario sussistente al momento del decreto di autorizzazione alle operazioni di intercettazione, ma soltanto accertare che il provvedimento impugnato sia mancante o meno di motivazione.
In relazione al quantum di motivazione richiesto, Ł stato anche affermato che «per procedere legittimamente ad intercettazione non Ł necessario che tali indizi siano a carico di persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano essere captate a fine di indagine» (Sez. 4, n. 1848 del 16/11/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233184 – 01); tuttavia, la motivazione dei decreti autorizzativi «deve necessariamente dar conto delle ragioni che impongono l’intercettazione di una determinata utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona e, perciò, non può omettere di indicare il collegamento tra l’indagine in corso e l’intercettando» (Sez. 5, n. 1407 del 17/11/2016, dep. 2017, Rv. 268900 – 01; Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009 – dep. 23/03/2009, P.M. in proc. COGNOME COGNOME e altri, Rv. 243241).
2.4. Sempre in riferimento al sindacato di legittimità sul corretto uso del potere autorizzatorio delle captazioni da parte del giudice delle indagini preliminari, la giurisprudenza di legittimità ritiene (Sez. 1, n. 11640 del 14/05/2019, dep. 2020, Moceo, Rv. 279322 – 01) che in tema di autorizzazione all’effettuazione di intercettazioni telefoniche, «le informazioni confidenziali acquisite dagli organi di polizia giudiziaria determinano l’inutilizzabilità delle intercettazioni, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 267, comma 1bis e 203, comma 1bis , cod. proc. pen., soltanto qualora esse rappresentino l’unico elemento oggetto di valutazione ai fini degli indizi di reità, mentre il loro utilizzo Ł legittimo per avviare l’attività investigativa o per estenderne l’ambito alla ricerca di ulteriori elementi».
E’ difatti principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, che i risultati delle intercettazioni di conversazioni disposte sulla base di fonti confidenziali o anonime acquisite dalla polizia giudiziaria sono utilizzabili a condizione che queste ultime non siano gli unici elementi posti a supporto della valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di reato e che le operazioni siano state autorizzate anche sulla base di altri elementi emersi che le integrino (Sez. 6, n. 42845 del 26/06/2013, COGNOME, Rv. 257295, Sez. 3, n. 1258 del 19/09/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254174; Sez. 6, n. 10051 del 03/12/2007, dep. 2008, COGNOME e altri, Rv. 239458).
Pertanto, la fonte anonima, ove affiancata da altri elementi, Ł sufficiente a giustificare le intercettazioni anche sotto il profilo della gravità indiziaria.
2.5. Altro tema concerne i limiti di utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le medesime sono consentite, in caso di successiva riqualificazione del titolo di reato.
Sul punto, la Corte ritiene che esse siano pienamente utilizzabili, «anche quando al fatto venga successivamente attribuita una diversa qualificazione giuridica con la conseguente mutazione del titolo in quello di un reato per cui non sarebbe stato invece possibile autorizzare le operazioni di intercettazione» (Sez. 1, n. 12749 del 19/03/2021, COGNOME, Rv. 280981 – 01; Sez. 1, n. 24163 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 247943 – 01; Sez. 6, n. 50072 del 20/10/2009, Bassi, Rv. 245699 – 01), anche per effetto della esclusione di una circostanza aggravante, che intervenga nel corso del fisiologico sviluppo del procedimento (Sez. 6, n. 48320 del 12/04/2022, COGNOME, Rv. 284074 – 01). Ed infatti, «la legittimità di un’intercettazione deve essere verificata al momento in cui la captazione richiesta Ł autorizzata, non potendosi procedere al controllo della sua ritualità sulla base delle
risultanze derivanti dal prosieguo delle captazioni e dalle altre acquisizioni» (Sez. 1, n. 40122 del 16/05/2019, COGNOME, Rv. 277794 – 01; Sez. 6, n. 21740 del 01/3/2016, COGNOME, Rv. 266922 – 01).
3. Scendendo alla fattispecie in esame, l’ordinanza impugnata, nel rilevare come difettassero i presupposti per autorizzare le operazioni di intercettazione ai sensi dell’articolo 13 d.l. 152/1991, convertito in legge n. 203/1991 (l’articolo 338 cod. pen. non Ł incluso tra i delitti per i quali il d. lgs. 216/2007 prevede l’applicabilità di tale norma, che richiede solo i «sufficienti indizi» con riferimento ai «procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni» e non anche per i delitti dei privati contro la p.a.), ha in realtà stabilito che il decreto fosse stato emesso alla stregua dell’articolo 267 cod. proc. pen. (che richiede gravità indiziaria dei reati), rientrando l’art. 338 cod. pen. nei limiti edittali di cui all’articolo 266 cod. proc. pen., e riqualificato i decreti di proroga come autonomi decreti autorizzativi, in ossequio alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui (v., ex multis , Sez. 4, n. 30053 del 29/05/2024, Preste, n.m.; Sez. 6, n. 12159 del 07/12/2023, dep. 2024, Ammendola, n.m.; Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265746 – 01; Sez. 5, n. 32426 del 24/09/2020, COGNOME, Rv. 279779 – 01) il decreto formalmente qualificato «di proroga», intervenuto dopo la scadenza del termine originario o già prorogato, può avere natura di autonomo provvedimento di autorizzazione all’effettuazione delle suddette operazioni, se dotato di autonomo apparato giustificativo, che dia conto della ritenuta sussistenza delle condizioni legittimanti l’intromissione nella altrui sfera di riservatezza.
Ha pertanto ritenuto in fatto sussistente idonea motivazione sia in ordine al requisito dei «gravi indizi di reato», richiesto appunto dall’articolo 267 cod, proc. pen., che a quello della «assoluta indispensabilità», mentre ha dichiarato l’inutilizzabilità delle sole operazioni captative compiute nelle finestre temporali non coperte da decreti autorizzativi (ciò cui Ł conseguito l’annullamento dell’ordinanza genetica in relazione ai capi 11 e 18 della rubrica), facendo buon governo della regola secondo cui non compete al giudice per le indagini preliminari la fissazione della durata delle operazioni, sicchØ l’erroneità di tale fissazione non determina la nullità, nØ l’inutilizzabilità dell’attività di captazione, in quanto al limite fissato si sostituisce quello predeterminato per legge (Sez. 6, n. 34657 del 29/09/2020, Rv. 280112 – 01).
Nel premettere che il decreto autorizzativo del 29 settembre 2023 e quello del 20 ottobre 2023 richiamavano la diffusa richiesta del pubblico ministero, il Collegio rappresenta come il provvedimento evidenzi che la richiesta si fondava sulle dichiarazioni del sindaco NOME COGNOME sul precedente incendio appiccato alla vettura della di lui vicina di casa (una C1, stesso modello di quella della persona offesa, ma di colore nero), NOME e sulle acquisizioni documentali relative all’ampliamento dell’area cimiteriale e al furto di legname da parte dell’indagato, procedimento penale che si era concluso con l’emissione di un decreto penale di condanna.
Elementi, tutti, che si aggiungevano alla fonte anonima.
Alla luce delle considerazioni esposte al par. 2 (cui si rimanda), appare agevole ritenere manifestamente infondate sia la deduzione relativa all’utilizzo della fonte anonima, in quanto la stessa era stata corroborata da altri elementi di prova, sia quella relativa alla motivazione sui gravi indizi e l’assoluta indispensabilità dei decreti di autorizzazione delle intercettazioni del 29 settembre e del 20 ottobre 2023, essendo evidente che, nel caso in esame, non ci si trova di fronte ad una motivazione «mancante», bensì solo – in ipotesi – insufficiente (e tanto basta ai fine della inammissibilità della doglianza).
Ed infatti, quanto a tale ultimo aspetto, va ribadito che la conformità della motivazione del decreto autorizzativo al principio di diritto al par. 2.3 deve essere apprezzata alla luce del complessivo contenuto informativo e argomentativo del decreto stesso e alla situazione di fatto considerata
sussistente al momento della sua emissione.
Nel caso esaminato dalla citata sentenza n. 12722 del 2009, la statuizione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni – statuizione confermata dalla Corte di legittimità – si riferiva ad una fattispecie caratterizzata da «un’assoluta mancanza di motivazione, in un contesto caratterizzato da un coacervo di iniziative investigative coinvolgenti un grande numero di indagabili per fatti diversi e scollegati l’uno dall’altro».
All’evidenza del tutto diverse sono la fattispecie concreta che viene in rilievo e la motivazione dei decreti relativi alle intercettazioni in questione, posto che la piattaforma indiziaria si dirigeva univocamente, sin dalle prima battute, verso la persona dell’indagato ricorrente.
Va doverosamente aggiunto che non Ł consentito, come fa il ricorrente, svalutare, con valutazione ex post , la dedotta notifica del decreto penale di condanna (avvenuta tempo dopo la richiesta) quale elemento indiziante, per sostenere l’insussistenza della gravità indiziaria, posto che la prognosi relativa alla sussistenza dei «gravi indizi di reato» non può che essere svolta che con valutazione ex ante .
Ancora, la doglianza secondo cui sarebbe contraria alla legge la parte di motivazione secondo cui, in ogni caso, le condotte poste in essere dallo COGNOME potrebbero sempre essere riqualificate ai sensi dell’articolo 336, appare manifestamente infondata, posto che, come visto (v. precedente par. 2.5.), la successiva riqualificazione del fatto non influisce sulla utilizzabilità delle intercettazioni.
Tali operazioni, del resto, ben potevano essere autorizzate in relazione al reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, che rientra tra i delitti contro la pubblica amministrazione, in relazione ai quali l’articolo 266, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., prevede, come limite di ammissibilità, una pena edittale della reclusione «non inferiore nel massimo a cinque anni» (tale Ł proprio il massimo edittale dell’articolo 336 cod. pen.), laddove il riferimento svolto dal ricorrente Ł (erroneamente) alla lettera a) della disposizione citata, che prevede una pena «superiore nel massimo a cinque anni».
NØ, in proposito, può aversi riferimento terzo comma alla norma in esame, il quale prevede che, se il fatto Ł commesso per costringere alcuna delle persone di cui al primo e al secondo comma a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa, si applica la pena della reclusione fino a tre anni, posto che – come visto – la eventuale riqualificazione del fatto non influisce sul regime di utilizzabilità e la eventuale applicazione di tale comma non risulta essere stata in alcun modo dedotta dal ricorrente.
Quanto ai decreti di proroga, riqualificati dal Tribunale del riesame come di nuova autorizzazione alle operazioni di intercettazione (emessi in data 28 novembre 2023, 14 dicembre 2023, 9 gennaio 2024, 23 gennaio 2024 e 15 febbraio 2024), essi risultano tutti assistiti da idonea motivazione sia in punto di assoluta indispensabilità, avendo chiarito il GIP che le operazioni si rendevano necessarie in ragione della violenta personalità dello COGNOME e delle iniziative criminose che andava pianificando (fra cui l’uccisione del sindaco), al fine di impedire il compimento di ulteriori reati a base violenta, sia in relazione al requisito della gravità indiziaria, riportando il quadro indiziario iniziale cui aggiungevano le sopravvenienze investigative, comprendenti, nel tempo, anche le condotte di spaccio, in relazione alle quali il ricorrente non articola, peraltro, alcuna doglianza.
Tale ultima doglianza, che si limita ad una contestazione puramente «astratta» degli standard motivazionali che debbono assistere i decreti di proroga ex art. 13 d.l. 203/1991 e le nuove intercettazioni disposte ex art. 267 cod. proc. pen., senza confrontarsi con la lettera dei provvedimenti emessi dal GIP, Ł quindi generica.
Il quarto motivo, relativo alla insussistenza della «gravità indiziaria», stavolta sotto il profilo cautelare, in relazione all’articolo 338 cod. pen., Ł infondato.
L’articolo 338, primo comma, punisce con la pena della reclusione da uno a sette anni la condotta di
chi (il corsivo Ł del Collegio) «usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso , o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne , in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività».
4.1. In via generale, il Collegio premette che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «il reato di cui all’art. 338 cod. pen. Ł configurabile anche quando la minaccia o la violenza sono rivolte ai danni di un singolo componente del corpo politico, amministrativo o giudiziario» (Sez. 6, n. 45506 del 27/04/2023, COGNOME, Rv. 285548 – 05), e anche «non in presenza dello stesso organo collegiale riunito, essendo sufficienti la coscienza e volontà dell’agente di minacciare, attraverso il singolo componente, l’intero organo collegiale allo scopo di impedirne o turbarne l’attività» (Sez. 2, n. 5611 del 17/01/2012, Pesce, Rv. 252702 – 01).
Quanto alla condotta sanzionata, a differenza della locuzione «impedire», che figura nel primo comma dell’articolo 338 cod. pen. (oltre che dall’articolo 289, primo comma), che significa «precludere, in tutto o in parte, anche temporaneamente, l’esercizio delle attribuzioni, delle prerogative o delle funzioni conferite all’organo costituzionale o al corpo politico», il «turbamento», richiamato dal secondo comma delle norme invocate Ł costituito, invece, da ogni atto che, «senza paralizzare lo svolgimento dell’attività funzionale, lo alteri significativamente» (così la sentenza COGNOME, citata).
Ancora, quanto alla nozione di «corpo» di cui all’art. 338 cod. pen., secondo il consolidato orientamento della Corte, essa designa, al pari della nozione omologa che figura nell’art. 342 cod. pen., qualsiasi autorità costituita in collegio che eserciti una delle funzioni ivi indicate, in modo da esprimere una volontà unica tradotta in atti che siano riferibili al collegio e non ai singoli componenti che alla formazione di tale volontà concorrano ( ex plurimis : Sez. 6, n. 16487 del 04/02/2020, Solitario, Rv. 278890 – 01; Sez. 6, n. 18194 del 05/04/2012, COGNOME, Rv. 252688 – 01; Sez. 6, n. 32869 del 18/05/2005, COGNOME, Rv. 231661 – 01; Sez. 6, n. 2636 del 14/01/2000, COGNOME, Rv. 215777 – 01).
Il sintagma «corpo politico» ricomprende, dunque, quegli organi collegiali che, nell’assetto istituzionale, svolgono funzioni politiche, come il Parlamento, le Assemblee regionali, i Consigli comunali, gli uffici e le sezioni elettorali ( ex plurimis : Sez. 6, n. 33067 del 18/05/2005, Partinico; Sez. 6, n. 32869 del 18/05/2005, Romeo, Rv. 231661 – 01; Sez. 6, n. 32868 del 18/05/2005, Matacena; Sez. 6, n. 32867 del 18/05/2005, Colonna; Sez. 6, n. 4159 del14 aprile 2000, Salemi).
4.2. Ciò premesso, il Collegio evidenzia in primo luogo che nessun profilo di illogicità presenta l’ordinanza impugnata laddove riconduce allo COGNOME la paternità – almeno morale – dell’incendio alla vettura del sindaco, circostanza desunta non solo dal tenore univoco delle intercettazioni telefoniche, ma anche del video rinvenuto nel telefono del ricorrente e nelle dichiarazioni del COGNOME.
4.3. La doglianza difensiva, che si appunta principalmente su due aspetti, Ł infondata.
In primo luogo, si deduce che l’ampliamento dell’area cimiteriale fosse stato deliberato dal Consiglio comunale (e non anche dal sindaco o dalla Giunta) già nel 2020.
In secondo luogo, si deduce che all’epoca del fatto, il decreto penale di condanna per il furto di legname non era stato ancora notificato all’indagato e al suo difensore.
Quanto al primo aspetto, la deduzione difensiva nulla sposta in ordine alle ragioni (evidenziate dal Tribunale del riesame) di risentimento dello COGNOME nei confronti del sindaco, dallo stesso sospettato della possibilità che l’intervento potesse estendersi anche alla sua proprietà finitima (v. pag. 9 ordinanza impugnata), su cui insisteva un immobile abusivo gravato di ordine di demolizione, in relazione al quale il ricorrente imputa alla persona offesa l’iniziativa della denuncia (pag. 8); sul punto, va evidenziato che a pag. 7 del decreto di proroga di intercettazioni telefoniche e telematiche
del 15 febbraio 2024 – già menzionato sopra – si dà atto che le particelle acquisite dal Comune (nn. 272 e 273 del mappale 24 del catasto del comune di Lenola) sono confinanti con la particella n. 83, di proprietà dello COGNOME, ove egli risiede.
Affermazione, questa, totalmente negletta dal ricorrente, che si limita a dedurre l’epoca di approvazione della delibera consiliare senza confrontarsi con la motivazione dell’ordinanza, per confutarla in qualche modo.
Quanto al secondo aspetto, l’ordinanza – nel sottolineare la naturale «fluidità» della imputazione nella fase delle indagini preliminari, che potrà in seguito portare a una rimodulazione della stessa o addirittura ad una riqualificazione del fatto – precisa, in modo non manifestamente illogico o contraddittorio, in primo luogo che lo COGNOME andava programmando altre e ben piø gravi iniziative nei confronti del sindaco (a pag. 7 si menziona l’intenzione di dare fuoco anche alla nuova macchina e al balcone di casa del Magnafico; a pag. 8 si parla espressamente di ‘abbatterlo’ con una arma da fuoco come si fa con i cani randagi; nella conversazione con NOME COGNOME, consigliere comunale di Lenola, si parla espressamente di «scuppare», ossia «stendere», il sindaco; nei decreti di proroga delle intercettazioni vengono citate conversazioni in cui lo COGNOME si adopera per acquistare un revolver calibro 22.
In secondo luogo, sottolinea che la circostanza che il consiglio comunale, organo da qualificarsi certamente come «corpo politico», sia partecipato di diritto dal sindaco (che Ł «membro del consiglio comunale» ai sensi dell’art. 34, comma 1, della legge n. 142 del 1990 e, alla luce della sentenza n. 44 del 1997 della Corte Costituzionale, anche quando non presiede il Consiglio, come può accadere nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, ha diritto di voto per le delibere consiliari, e viene computato ad ogni fine tra i componenti del Consiglio stesso), rende altamente plausibile la circostanza che la condotta del ricorrente non fosse esclusivamente ritorsiva, ma anche finalizzata ad intimidire il corpo politico nella vicenda cimiteriale, circostanza che l’ordinanza impugnata desume, come visto, anche dall’avvicinamento di un assessore comunale, oltre che del sindaco.
4.4. Il motivo di ricorso, inoltre, laddove reiteratamente si duole della erronea valorizzazione del «linguaggio del corpo» dell’indagato (v. ad esempio pagg. 32-33), non si confronta con il provvedimento impugnato, che tale dato neglige totalmente, ancorando la sua motivazione a dati oggettivi.
4.5. Va infine evidenziato come, anche nel caso di riqualificazione del fatto nel reato di cui all’articolo 336 cod. pen., la cornice edittale della norma consentirebbe l’adozione della misura cautelare di massimo rigore (arg. ex art. 280 cod. proc. pen.).
Il motivo di doglianza Ł pertanto infondato.
La quinta doglianza, relativa alla «nullità» dell’ordinanza e al vizio di motivazione in riferimento all’articolo 338 cod. pen., nella parte in cui si riconduce al ricorrente anche l’incendio della vettura della signora NOME COGNOME Ł inammissibile, in quanto meramente fattuale e volto ad analizzare inammissibilmente in modo atomistico e parcellizzato il materiale probatorio (Sez. 2, n. 17344 del 28/03/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 20030 del 18/01/2024, COGNOME, Rv. 286492; Sez. 1, n. 30415 del 25/09/2020, Castagnella, Rv. 279789 – 01).
Il ricorso non si confronta, inoltre, con il provvedimento impugnato, laddove evidenzia (pag. 3) che la richiesta di archiviazione citata dal ricorrente Ł stata revocata e il fascicolo Ł stato riunito al presente, nonchØ nella parte in cui: menziona le frasi proferite dall’indagato in relazione all’episodio (laddove qualifica gli esecutori materiali come «mongoloidi»); riferisce del video estrapolato dal telefono dello COGNOME; valorizza, infine, i dati emergenti dalle intercettazioni telefoniche, inferendone, in modo non illogico, la commissione del reato (per interposta persona) da parte del ricorrente.
La doglianza Ł pertanto inammissibile per genericità.
Le ultime tre censure, relative alle esigenze cautelari, possono essere trattate congiuntamente.
Esse sono complessivamente infondate.
6.1. Quanto alla «attualità» della esigenza cautelare, il Collegio rammenta che, in tema di misure coercitive, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, sicchØ il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche se risalenti nel tempo (Sez. 2, n. 38299 del 13/06/2023, Mati, Rv. 285217 – 01).
La prevalente giurisprudenza della Corte (Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991 – 01; Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891 – 01; in senso contrario: Sez. 6, n. 11728 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286182 – 01) ha ulteriormente precisato che «il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non Ł equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto piø approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza».
Nel caso in esame, il provvedimento impugnato fa buon governo dei principii sopra espressi.
A pagina 15, infatti l’ordinanza evidenzia come sia assolutamente concreto e attuale il pericolo di reiterazione del reato, alla luce della spregiudicata personalità dell’imputato, che nonostante fosse a conoscenza delle indagini in corso, continuava a pianificare attentati in danno del sindaco di Lenola e del consigliere comunale NOME e, a dispetto dei sequestri di sostanza stupefacente, continuava incessantemente a portare avanti l’attività di spaccio, posta in essere con modalità professionali e organizzata prevalentemente presso la propria abitazione, rifornendosi di sostanze di diverso tipo, anche per quantitativi importanti, presso ambienti criminali di notevole spessore (il riferimento esplicito Ł ai 10 kg. di hashish di cui al capo 14).
Elementi, tutti questi, evidentemente in grado di sterilizzare la incensuratezza dello COGNOME, posto che il parametro valutativo costituito dalla personalità dell’indagato va desunto non solo dal certificato del casellario giudiziale, ma anche da comportamenti o atti concreti; in altre parole, gli elementi per la valutazione di pericolosità possono anche ritrarsi solo da comportamenti o atti concreti, pur in difetto di precedenti penali, purchØ la motivazione dia conto in modo chiaro e non illogico di tale prevalenza. Diversamente opinando, infatti, l’incensurato si porrebbe automaticamente al di fuori di una prognosi di pericolosità, pur avendo compiuto atti che denotano estremo rischio di commissione di fatti analoghi a quello per cui si procede (v. Sez. 5, n. 5644 del 25/09/2014, de. 2015, Iov, Rv. 264212 – 01).
Del resto, il ricorrente, nel pur prolisso ricorso, àncora le sue doglianze esclusivamente al capo b) della rubrica, negligendo di contestare la gravità indiziaria degli episodi relativi alla detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, sulla cui reiterata commissione radicano (in via prevalente o quanto meno concomitante) il giudizio prognostico negativo in termini di attualità entrambi i giudici della cautela, sicchŁ il motivo di doglianza si presenta altresì generico.
6.2. Quanto alla «proporzionalità» e «adeguatezza» della misura adottata, la sottolineata adibizione della propria abitazione quale centro dei propri traffici delittuosi evidenzia, sia pure in modo implicito, come da ordinanza impugnata, la inadeguatezza di misure meno afflittive e in particolare di quella degli arresti domiciliari.
Tale doglianza Ł pertanto infondata.
In conclusione il ricorso non può che essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 08/01/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente COGNOME NOME