Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33767 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33767 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a GELA il DATA_NASCITA inoltre: COGNOME NOME avverso la sentenza del 12/12/2024 della Corte d’appello di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo una dichiarazione d’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza sopra indicata, la Corte d’appello di Caltanissetta confermava la sentenza del Tribunale di Gela che aveva condannato, per artt. 110 e 424, commi primo e secondo, cod. pen., NOME COGNOME ad anni due di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita e al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di 5000 euro, con il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato al pagamento della provvisionale entro novanta giorni.
La sentenza di condanna si basa sull’esame dei filmati registrati dai sistemi di videosorveglianza presenti nella zona dell’incendio dell’autovettura di NOME COGNOME (moglie dell’ex socio del COGNOME, NOME COGNOME con cui era in corso una controversia sulla gestione del patrimonio societario) che avevano ripreso l’azione dell’esecutore materiale NOME COGNOME del quale sono state intercettate piø comunicazioni telefoniche dopo che erano stati rilevati frequenti contatti con il COGNOME. Il COGNOME, sentito dagli inquirenti, aveva reso dichiarazioni confessorie ed etero-accusatorie poi confermate in Commissariato. Il COGNOME aveva inizialmente negato l’esistenza di controversie per motivi economici con alcuno, ammettendo poi che egli aveva sporto una querela nei confronti del COGNOME per rivendicare la proprietà di un escavatore con riserva di costituzione di parte civile; inoltre, aveva giustificato i suoi contatti con il COGNOME per una richiesta di lavori di pulizia del giardino e della campagna, aggiungendo che si trattava di un soggetto pazzo sempre ubriaco, così negando di essere il mandante dell’incendio dell’autovettura di NOME COGNOME, moglie del COGNOME.
NOME COGNOME ricorre per cassazione, tramite rituale ministero difensivo, affidandosi
a tre motivi.
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione della legge processuale penale in relazione all’art. 266, comma 1, cod. proc. pen. con riferimento all’utilizzabilità delle intercettazioni disposte nel procedimento sulla base dell’originaria contestazione del reato di cui all’art. 612 (e 423) cod. pen., ipotizzato senza che vi fosse un idoneo corredo indiziario a supporto, con le quali Ł stata motivata la condanna per art. 424, comma secondo, cod. pen., derubricata l’originaria contestazione.
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione della legge processuale penale in relazione all’art. 266, comma 1, cod. proc. pen. e il vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta contraddittorietà delle dichiarazioni rese quale imputato nella parte in cui aveva inizialmente negato l’esistenza di una querela sporta per motivi economici nei confronti del marito della persona offesa e sui reali rapporti emersi – tramite la contestata utilizzabilità delle intercettazioni – dalle dichiarazioni rese dal COGNOME, da ritenersi strumentali e, comunque, dalle quali sarebbe emerso che il COGNOME avrebbe ‘confessato’ perchØ malmenato dagli operanti.
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 424 cod. proc. pen. e il vizio della motivazione con riferimento alle caratteristiche dell’incendio nella parte in cui non sarebbe stata adeguatamente considerata la testimonianza dell’AVV_NOTAIO presente durante le operazioni di spegnimento dell’autovettura.
Successivamente in sede di memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale, il COGNOME insiste sull’erroneità della qualificazione originaria del fatto storico quale minaccia, strumentalmente utilizzata solo per consentire le intercettazioni telefoniche.
La costituita parte civile, con la nota depositata a mezzo p.e.c. in data 25 giugno 2025, ha chiesto che il ricorso venga respinto perchØ meramente reiterativo dei motivi d’appello e tendente ad un’inammissibile rivalutazione degli elementi probatori in sede di legittimità.
Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto una dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł manifestamente infondato, pertanto, inammissibile.
Le doglianze proposte dal ricorso sono largamente reiterative di quelle già dedotte in appello e già puntualmente disattese dalla Corte di merito, dovendo le stesse essere considerate, pertanto, non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata alla sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708).
Sempre su un piano generale, tali censure, senza riportare un quadro esaustivo di quanto preso in considerazione dai giudici di merito e svolgere, in riferimento a tale completo quadro di riferimento, le critiche alla decisione impugnata, si limitano a segnalare in modo frammentario alcuni profili, così richiedendo, sostanzialmente, al giudice di legittimità un’inammissibile rivalutazione complessiva del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito, sottraendosi all’onere di completa e specifica individuazione degli atti processuali fatti valere, non essendo sufficiente, per l’apprezzamento del vizio dedotto, la citazione di alcuni brani dei medesimi atti (Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011, dep. 2012, Rv. 252349). Nel caso di specie, dunque, deve ribadirsi che Ł inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo a una rivalutazione
o a una diretta interpretazione degli stessi, anzichØ al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica dell’interpretazione che ne Ł stata fornita (Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, Rv. 253774).
In particolare, il primo motivo di ricorso censura l’utilizzabilità delle intercettazioni disposte nel procedimento sulla base dell’originaria contestazione del reato di cui all’art. 612 (e 423) cod. pen., ipotizzato senza che vi fosse un idoneo corredo indiziario a supporto che, invece, hanno trovato compiuta risposta nella sentenza di primo grado, poi richiamata in quella d’appello, che, con motivazione diffusa (pag. 25-28) in linea con la giurisprudenza ivi richiamata, senza alcun vizio logico, ha dato conto dell’utilizzabilità delle stesse anche per reati diversi, pur se non contemplati nell’art. 266 cod. proc. pen., quando rimanga immutato il fatto storico ed intervenga, come nel caso in esame, una derubricazione del reato inizialmente ipotizzato. Il ricorso reitera censure compiutamente esaminate e neppure si confronta con le puntuali risposte delle due sentenze di merito. Va rilevato, altresì, che alcune censure del ricorrente attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all’interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono oltre i limiti del sindacato di legittimità. La decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una mirata rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchØ illustrati come maggiormente plausibili o perchØ assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si Ł in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Rv. 234148).
Anche per il secondo ed il terzo motivo valgono le medesime considerazioni sinora svolte sui limiti del sindacato di legittimità nella parte in cui si negano le contraddizioni, attribuendole ad ‘una mera confusione’ e sulle produzioni parziali di estratti di frasi intercettate (secondo motivo) ovvero laddove si contrappone una singola testimonianza, ritenuta di per sØ decisiva, senza confrontarsi con l’intero impianto motivazionale (terzo motivo).
Perciò va ribadito che la presenza di una eventuale criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, Rv. 271227; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Rv. 267723; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Rv. 253445).
In definitiva, sulla base delle sopra esposte considerazioni il ricorso merita una dichiarazione d’inammissibilità con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Come si Ł sopra sottolineato, la parte civile ha trasmesso le proprie conclusioni in data 25 giugno 2025, senza rispettare il termine di quindici giorni stabilito per il deposito delle memorie dall’art. 611, comma 1, cod. proc. pen. Ora, come di recente ribadito in motivazione da Sez. 4, n. 10022 del 06/02/2025, Altese, Rv. 287766 – 01, nel giudizio camerale di legittimità ex art. 611, comma 1, cod. proc. pen., le memorie e le produzioni difensive
depositate in violazione del rispetto dei termini di quindici e cinque giorni “liberi” prima dell’udienza, previsti dall’art. 611 cod. proc. pen., sono tardive e, pertanto, non possono essere prese in considerazione, neppure ai fini della liquidazione delle spese.
Va aggiunto che le note depositate nell’interesse della parte civile non sono nØ formalmente nØ sostanzialmente repliche alle memorie della controparte processuale, ma rappresentano le conclusioni formulate in relazione ai motivi di ricorso. Ne discende che va assunto come dato di riferimento il termine di quindici giorni.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 03/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME