Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 31674 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 31674 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BOSCOREALE il 09/02/1972
avverso l’ordinanza del 03/04/2025 del Tribunale di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
rilevato che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5 e 611, comma 1bis e ss. cod. proc. pen.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso con requisitoria scritta per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1 Il Tribunale per il riesame delle misure personali di Napoli respingeva l’istanza di riesame proposta nei confronti dell’ordinanza che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari, riconoscendo i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari in relazione ai reati di associazione a delinquere funzionale al commercio di fitofarmaci illegali ed alla contraffazione degli stessi (reato previsto dall’art. 441 cod. pen.). La misura imposta veniva successivamente sostituita dall’obbligo di dimora.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME che deduceva:
2.1. violazione di legge (artt. 266, 271 cod. proc. pen.) in ordine al l’utilizzabilità delle intercettazioni: l ‘iscrizione per il reato previsto dall’art. 441 cod. pen., che non consente il ricorso alle intercettazioni, avveniva in data 22 maggio 2024; tuttavia gli esiti delle attività captative autorizzate con il primo decreto del 23 febbraio 2024 contenute nell’annotazione del 5 marzo 2024 avrebbero consentito, già in quella data, la riqualificazione della condotta provvisoriamente attribuita all’indagato nel reato previsto dall’art. 441 cod. pen., meno grave di quello previsto dall’art. 515 cod. proc. pen. in relazione al quale erano state inizialmente autorizzate le captazioni; tali emergenze renderebbero illegittima la proroga delle intercettazioni ed inutilizzabili gli esiti delle stesse.
Si deduceva inoltre che, poiché il ricorrente era accusato solo di ‘ partecipare ‘ all’associazione, ma non di averla promossa o diretta, le intercettazioni non avrebbero potuto essere utilizzate per dimostrare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il rea to di ‘partecipazione all’associazione’, in quanto questo aveva una soglia edittale inferiore a quella prevista dall’art. 266 cod. proc. pen.;
2.2.violazione di legge (art. 274 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento delle esigenze cautelari: la valutazione in ordine al pericolo di recidiva sarebbe stata svolta in generale, senza considerare la specifica posizione del COGNOME
2.3. violazione di legge (art. 275 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in ordine all’adeguatezza della misura: la motivazione sarebbe apodittica in quanto non avrebbe specificato quali fossero gli elementi ostativi al ridimensionamento della misura applicata;
2.4.violazione di legge e vizio di motivazione: si deduceva che il Tribunale non avrebbe fornito alcuna motivazione per respingere le doglianze avanzate nei confronti del difetto di motivazione dell’ordinanza genetica in ordine all’imposizione del divieto di incontro e di comunicazione con persone diverse da quelle che coabitavano con il ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato e, pertanto, non può essere accolto.
1.1. Con riguardo alle censure proposte con il primo motivo di ricorso il collegio riafferma il principio secondo cui l’utilizzabilità delle captazioni per un reato diverso, connesso con quello per il quale l’autorizzazione sia stata concessa, è subordinata alla condizione che il nuovo reato rientri nei limiti di ammissibilità previsti dall’art.266 cod. proc. pen., non si applica ai casi in cui il fatto-reato per il quale l’autorizzazione è stata concessa sia diversamente
qualificato in seguito alla analisi dei contenuti captati (Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, COGNOME, Rv. 281501 -02; Sez. 6, n. 48320 del 12/04/2022, COGNOME, Rv. 284074 -01; Sez. 6, n. 7096 del 15/10/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287647 – 01) .
Il Collegio condivide quanto affermato diffusamente nella sentenza ‘ COGNOME ‘ secondo cui, in caso di modifica della qualificazione giuridica della condotta in relazione al quale le intercettazioni sono state autorizzate in un reato sotto la soglia prevista dall’art. 266 cod. proc. pen. , l’inutilizzabilità delle intercettazioni opera solo se i presupposti per disporre il mezzo di ricerca della prova mancavano ab initio, ovvero «al momento in cui il procedimento autorizzativo si è compiuto e perfezionato attraverso il controllo del giudice».
I risultati della captazione correttamente autorizzata restano invece sono invece utilizzabili quando, in seguito all ‘ analisi dei contenuti captati, l ‘ autorità giudiziaria compia una ‘ fisiologica ‘ , e doverosa, attività di riqualifica.
Secondo la sentenza COGNOME «esiste una forte esigenza di contemperamento tra la necessità di non ritenere inutilizzabili i risultati delle intercettazioni in presenza di un fatto storico rimasto sostanzialmente immutato rispetto a quello autorizzato ma non completamente riscontrato per effetto di fisiologici mutamenti emersi proprio a seguito degli esiti della intercettazione, e quella di evitare abusi, che potrebbero configurarsi con il ricorso pretestuoso alla descrizione di un fatto – reato autorizzabile al fine di aggirare i limiti legali stabiliti dagli artt. 266 -267 cod. proc. pen. Si tratta di situazioni in cui, come detto, assume centrale rilievo il controllo del giudice al momento della autorizzazione del mezzo di ricerca della prova. La questione non riguarda tanto le ipotesi in cui la divergenza tra fatto-reato di cui si chiede l’autorizzazione ad intercettare ed il fatto emergente dalle risultanze investigative si manifesti già al momento in cui l’intercettazione è richiesta, atteso che in tali casi il giudice è tenuto a non autorizzare l’intercettazione se non vi sia rigorosa conformità tra ciò che si richiede e le risultanze delle indagini: ciò impedisce la elusione delle regole poste dal legislatore e delle garanzie dei diritti. La situazione è diversa nei casi in cui la elusione non è configurabile perché vi è corrispondenza tra quanto si richiede e ciò che emerge dalle indagini in ordine al fatto reato per cui si procede, ma l’addebito si modifica per motivi sopravvenuti fisiologici, legati cioè alla naturale evoluzione del procedimento che può determinare una modifica del fatto storico e della sua qualificazione giuridica. In tali casi la fattispecie non è patologica, considerando la provvisorietà dell’addebito, la fluidità degli elementi raccolti, la loro possibile modificazione; ciò che rileva è che al momento in cui viene disposta la intercettazione vi siano i presupposti previsti dalla legge. Una verifica da parte del giudice che investe l’accertamento della conformità di ciò
che si richiede rispetto agli atti al fine di verificare se fin dall’inizio emerga la diversità storica del fatto ovvero sia seriamente prospettabile una differente qualificazione giuridica del fatto, più corretta sotto il profilo della sussunzione nella fattispecie» (Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, COGNOME, cit.)
1.2. Tale tracciato ermeneutico è percorribile anche con riguardo alla questione della autorizzazione inizialmente concessa per il reato previsto dall’art. 416, comma 1 cod. pen., poi qualificato ai sensi del comma 2 dello stesso articolo.
Sul punto si è condivisibilmente deciso che non assume rilievo, ai fini della legittimità del decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione telefonica l’omessa precisazione, in riferimento al fatto criminoso di associazione per delinquere per cui si procede, del ruolo associativo dei vari sottoposti ad indagine, se meri partecipi o partecipi qualificati (Sez. 2, n. 685 del 20/11/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246038 -01; Sez. 5, n. 784 del 15/02/2000, COGNOME, Rv. 215730 – 01). Si riafferma cioè che qualora nel decreto autorizzativo delle intercettazioni sia ipotizzato il delitto di cui all’art. 416 cod. pen. che, tenuto conto dei limiti della pena edittale, consente le intercettazioni, il fatto che non sia precisato se si tratti del primo comma o del secondo dell’art. 416 cod. pen. non è rilevante, poiché, nella fase iniziale delle indagini, quando la situazione non è del tutto chiara e vengono disposte intercettazioni proprio allo scopo di chiarire anche il ruolo che i vari indagati ricoprano nella associazione, la contestazione non può che avere un carattere per così dire “indistinto”, che ricopra, quindi, anche la ipotesi più grave dell’art. 416 cod. pen., carattere che sarà superato proprio all’esito delle disposte intercettazioni (Sez. 5, n. 784 del 15/02/2000, COGNOME, Rv. 215730 – 01).
Anche in questo caso, dunque, deve ritenersi che l ‘ autorizzazione legittimamente concessa per accertare il reato previsto dall ‘ art. 416, comma 1, cod. pen. consenta l ‘ utilizzo delle captazioni per le condotte successivamente qualificate ai sensi del comma 2 dell ‘ art. 416 cod. pen.
1.3. Applicando tali principi al capo di specie deve ritenersi che sono utilizzabili i risultati delle intercettazioni inizialmente autorizzate per i reati previsti dagli artt. 515 e 416, comma 1 cod. pen. per la prove delle medesime condotte fisiologicamente riqualificate in quelle previste dagli artt. 441 e 416, comma 2 cod. pen.
1.4. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Con lo stesso il ricorrente contesta la motivazione relativa alla sussistenza delle esigenze cautelari nei confronti del COGNOME: invero, contrariamente a quanto dedotto, il Tribunale ha specificamente rilevato che sussisteva un concreto ed attuale pericolo di reiterazione con specifico riferimento alla persona del
ricorrente dato che era emerso che lo stesso era inserito nei contesti in cui avveniva la distribuzione dei prodotti dei quali conosceva i meccanismi di diffusione che avrebbe potuto agevolmente riattivare (pag. 10 dell’ordinanza impugnata).
1.5. Il terzo ed il quarto motivo non risultano sostenuti da un attuale interesse, considerato che a misura degli arresti domiciliari in origine applicata è stata nel frattempo sostituita con quella dell’obbligo di dimora.
2.Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il giorno 10 settembre 2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME