Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18413 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18413 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 18/03/1952
NOMECOGNOME nata a Catania il 15/07/1965
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 12/08/1956
COGNOME NOMECOGNOME nata a Catania il 27/05/1971
COGNOME NOME, nato a Catania il 03/03/1965
NOME COGNOME nato a Catania il 05/11/1976
NOMECOGNOME nato a Catania il 27/04/1966
COGNOME SalvatoreCOGNOME nato a Catania il 09/08/1962
avverso la sentenza del 17/04/2024 della Corte d’appello di Catania udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi, per i ricorrenti, gli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME la prima quale difensore di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché quale sostituto dell’Avv. NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME e NOME COGNOME il secondo quale difensore di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata il 17 aprile 2024, la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza del G.u.p. del Tribunale di Catania emessa all’esito di giudizio abbreviato il 12 maggio 2022, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di partecipazione ad associazione finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti (art. 416 cod. pen.), di esercizio abusivo di giochi e scommesse (art. 4, commi 1 e 4bis , l. n. 401 del 1989), e di trasferimento fraudolento di valori (art. 512bis cod. pen.), rideterminando alcune delle pene inflitte in primo grado.
Precisamente, i Giudici di merito hanno ritenuto: a) NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del delitto di partecipazione ad associazione finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti, in particolare relativi all’esercizio abusivo di giochi e scommesse, il primo in qualità di capo e promotore, gli altri nella qualità di partecipi, con condotte protratte dal giugno 2018 al gennaio 2019 (capo 1); b) i medesimi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del delitto continuato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, commesso mediante la costituzione e gestione, in assenza di concessione o licenza ex art. 88 T.U.L.P.S., di una articolata rete di agenzie e centri di trasmissione dati (c.d. ‘ C.T.D. ‘ ), attraverso cui, simulando attività di trasmissione dati, di fatto accettavano e gestivano direttamente le scommesse, procedendo alla raccolta delle poste giocate dai clienti ed al pagamento delle vincite, con condotte protratte dal giugno 2018 al gennaio 2019 (capo 2); c) il solo NOME COGNOME responsabile (anche) del delitto di trasferimento fraudolento di valori, commesso mediante l’attribuzione fittizia a terzi della titolarità di due agenzie di scommesse, al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali, con condotte protratte dal 9 dicembre 2015 al 5 settembre 2018 (capi 3 e 4).
Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con un unico atto, sottoscritto congiuntamente dall’Avv. NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché dall’Avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME
I ricorsi articolano cinque motivi, i primi quattro relativi a tutti e otto i ricorrenti, il quinto riferito al solo NOME COGNOME.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 270, 380 e 266 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche e tra presenti poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale degli imputati.
Si deduce che i risultati delle intercettazioni telefoniche e tra presenti posti a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità degli imputati nel presente processo sono in realtà inutilizzabili, in applicazione dei principi espressi da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277395 -01, perché: a) le operazioni di captazione sono state disposte ed eseguite nell’ambito di un altro processo, definito con provvedimento di archiviazione; b) tra i reati oggetto del procedimento archiviato e quelli oggetto del presente processo non sussiste alcuna connessione sostanziale ex art. 12 cod. proc. pen.; c) i reati oggetto del presente processo, inoltre, non rientrano tra quelli per i quali l’art. 270 cod. proc. pen. consente l’utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti.
Si rappresenta, innanzitutto, che le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni poste a fondamento delle affermazioni di responsabilità sono state disposte nell’ambito di un procedimento a carico di NOME COGNOME per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, nella specie il ‘ clan COGNOME ‘ , al fine di «ricostruire compiutamente la rete di rapporti e di interessi imprenditoriali» di detto gruppo criminale, ed hanno riguardato le utenze e i veicoli del medesimo COGNOME e di NOME COGNOME. Si segnala, poi, che il procedimento per il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen. a carico di NOME COGNOME è stato archiviato per infondatezza della notizia di reato anche perché «non sono stati acquisiti elementi denotanti un’attività di illecita raccolta di scommesse su eventi sportivi on line sul territorio italiano, constando al più attività all’estero ». Si evidenzia, quindi, che il P.M.: a) aveva disposto, già prima di richiedere l’archiviazione del procedimento per il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod.
pen., l’iscrizione di un nuovo procedimento penale a carico degli attuali ricorrenti per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere, di esercizio abusivo di giochi e scommesse, e di trasferimento fraudolento di valori; b) aveva fatto confluire nel nuovo procedimento i risultati delle intercettazioni disposte nel procedimento per il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen.; c) non aveva chiesto di effettuare ulteriori intercettazioni.
Si rimarca, ancora, che la difesa aveva formulato eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni indicate sia davanti al G.u.p., sia con memoria alla Corte d’appello, evidenziando in particolare l’assenza di connessione qualificata tra il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., e i reati oggetto del presente processo, nonché l’estraneità di questi ultimi al catalogo dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, all’epoca delle captazioni indispensabile presupposto di utilizzabilità ex art. 270 cod. proc. pen.
Si osserva, a questo punto, che la sentenza impugnata ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità incorrendo in travisamento della prova per ‘invenzione’. Si rileva, precisamente, che, secondo la Corte d’appello, il procedimento a carico di NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen. non si è concluso con un’archiviazione, bensì con una «’reiscrizione formale’ a seguito di stralcio delle posizioni degli odierni appellanti che hanno definito la loro posizione mediante rito abbreviato». Si deduce che questa premessa fattuale è errata, perché, come risulta dagli atti allegati al ricorso, il procedimento per i reati oggetto della sentenza impugnata è stato oggetto di una nuova iscrizione, e non costituisce l’esito di una separazione dal procedimento per il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen. Si conclude che, data l’alterità dei due procedimenti, la sentenza impugnata avrebbe dovuto spiegare perché tra il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen. e i reati da essa esaminati sussistesse un rapporto di connessione ex art. 12 cod. proc. pen.
Si deduce, ancora, che la questione non può essere risolta ritenendo che nella specie si versi: a) in una ipotesi di diversa qualificazione giuridica dello stesso fatto, perché le iscrizioni sono state distinte, ed effettuate in tempi diversi nonché a carico di persone diverse; ovvero b) in una ipotesi di concorso formale o di continuazione o di commissione del reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso per eseguire o per occultare gli altri reati, a parte tutto perché per il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen. è stata disposta l’ archiviazione.
Si aggiunge, infine, che, esclusa la configurabilità delle ipotesi precedentemente indicate, non sono ravvisarsi altri criteri per ritenere utilizzabili i risultati delle intercettazioni in questione, attese le precise indicazioni ermeneutiche delle Sezioni Unite (il riferimento è a Sez. U, COGNOME, cit.), e l’estraneità dei reati per cui si procede al catalogo dei reati per i quali è previsto
l’arresto obbligatorio in flagranza, condizione indispensabile per utilizzare gli esiti delle captazioni in altri procedimenti.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 270, 380 e 266 cod. proc. pen. e 4, commi 1 e 4bis , l. n. 401 del 1989, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta utilizzabilità delle comunicazioni acquisite mediante intercettazioni telefoniche e tra presenti, con specifico riguardo al reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse.
Si deduce che i risultati delle intercettazioni telefoniche e tra presenti sono comunque inutilizzabili con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, perché, anche a voler ritenere sussistente la connessione tra questo delitto e quello per il quale le captazioni sono state autorizzate, occorre comunque, come precisato da Sez. U, COGNOME, cit., che il reato connesso rientri nell’elenco di quelli indicati dall’art. 266, comma 1, cod. proc. pen., e tale condizione non ricorre per il reato di 4, commi 1 e 4bis , l. n. 401 del 1989, in considerazione dei limiti edittali per esso previsti all’epoca dei fatti. Si evidenzia che il principio enunciato dalle Sezioni Unite: a) è stato espressamente disapplicato dalla sentenza impugnata, la quale lo ha ritenuto mero obiter dictum ; b) è stato ribadito ed indicato in modo chiaro ed esplicito come vincolante dalle successive decisioni di legittimità (si cita Sez. 5, n. 1757 del 17/12/2020, dep. 2021, evidenziandosi come la stessa, a sua volta, richiami numerose altre decisioni di identico contenuto).
Si rappresenta, poi, che la precisata regola di ‘ sbarramento ‘ , secondo cui l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni con riguardo al reato connesso a quello per cui la captazione è stata disposta presuppone comunque l’inscrizione del primo nel catalogo delle fattispecie di cui all’art. 266 cod. proc. pen., serve proprio ad evitare un uso abusivo dell’attività di indagine oltre i limiti consentiti dalla legge. Si aggiunge che, nella specie, non sussiste nemmeno il rapporto di connessione tra il reato per i quale è stata disposta l’intercettazione, quello di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., e il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, in quanto il primo era contestato al solo NOME COGNOME Si osserva, ancora, che il fatto storico qualificato a norma degli artt. 110 e 416bis cod. pen. è diverso da quelli contestati nel presente processo.
Si rileva, infine, che la sentenza impugnata, per ritenere dimostrato il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, ha fatto concreto riferimento ai soli risultati delle intercettazioni, perché i risultati delle attività di pedinamento ed osservazione effettuate dalla polizia giudiziaria sono genericamente evocati mediante rinvio alla sentenza di primo grado, senza alcuna specificazione. Si rimarca che, in questo modo, la sentenza impugnata ha violato il dovere di
confrontarsi effettivamente con i motivi di appello (si cita, per l’affermazione di questo principio, Sez. 5, n. 19207 del 03/04/2024).
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di associazione per delinquere.
Si deduce che la sentenza impugnata, per affermare la sussistenza del reato di partecipazione ad associazione per delinquere, anche quando utilizza i risultati delle intercettazioni telefoniche e tra presenti, ricorre ad espressioni generiche ed argomentazioni presuntive. Si sottolinea che: a) gli imputati sono stati ritenuti dediti non ad una pluralità di reati, ma ad un solo reato, quello di esercizio abusivo di giochi e scommesse, unificato dalla continuazione; b) non è indicata alcuna prova per dimostrare la suddivisione degli utili e dei profitti tra gli imputati; c) il profilo dell’organizzazione è elemento costitutivo del reato di cui all’art. 4, comma 1, l. n. 401 del 1989.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto di esercizio abusivo di giochi e scommesse.
Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente escluso che la condotta di esercizio abusivo di giochi e scommesse, ove ritenuta sussistente, rientrasse, come indicato dalla difesa, nella fattispecie contravvenzionale di cui all’ultimo periodo dell’art. 4, comma 1, l. n. 401 del 1989. Si premette che la fattispecie contravvenzionale appena indicata riguarda «hiunque, ancorché titolare della predetta concessione, organizza, esercita e raccoglie a distanza qualsiasi gioco istituito o disciplinato dall’agenzia delle dogane e dei monopoli con modalità e tecniche diverse da quelle previste dalla legge». Si rappresenta, poi, che gli imputati, come riconosciuto anche nella sentenza di primo grado, utilizzavano sia siti legali, contraddistinti dall’indirizzo ‘.it’, sia siti illegali, contraddistinti dall’indirizzo ‘.com’. Si precisa che gli imputati gestivano agenzie legali in quanto centri PVR (punti vendita ricarica) legati a società autorizzate dal Ministero, ovvero centri di trasmissione dati, come tali non necessitanti di alcuna autorizzazione. Si osserva che l’attività illegale era effettuata sulle piattaforme di bookmaker esteri privi di concessione in Italia utilizzando gli stessi giochi ammessi dall’agenzia delle dogane e dei monopoli, e che, quindi, « proprietari delle agenzie autorizzate all’esercizio dei giochi a distanza ( on line , lecita) esercitavano attività parallela di giochi previsti dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato con modalità e tecniche diverse e cioè con l’utilizzo di piattaforme di bookmaker esteri (punto com.) senza autorizzazione in Italia». Si citano, a sostegno di queste conclusioni, diverse decisioni (Sez. 3, n. 24862 del 26/04/2021; Sez. 3, n. 25828 del 03/03/2016; Sez. 4, n. 25510 del 19/04/2017;
Sez. 3, n. 48453 del 13/10/2015, Sez. 3, n. 40624 del 27/06/2013, Sez. 3, n. 35067 del 12/04/2016).
2.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 512bis cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di trasferimento fraudolento di valori ascritto al solo NOME COGNOME.
Si deduce che l’accertamento della sussistenza del reato di trasferimento fraudolento di valori è fondato esclusivamente sui risultati delle intercettazioni telefoniche e tra presenti, e che, però, queste, non sono utilizzabili per l ‘assenza di un rapporto di connessione tra il reato di cui all’art. 512bis cod. pen. e quello di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen. Si osserva, inoltre, che l’intestazione fittizia è stata ritenuta provata senza alcun esame della documentazione contabile e societaria relativa all’acquisto e alla gestione dell’agenzia che si assume fraudolentemente trasferita, e che, in particolare, manca la prova della provenienza delle risorse economiche impiegate per l’acquisto del bene da parte del soggetto che intende eludere l’applicazione delle misure di prevenzione, essendo invece insufficiente l’accertamento della disponibilità del cespite da parte di cui non ne risulti essere formalmente titolare (si cita Sez. 6, n. 5231 del 02/02/2018).
Si deduce, poi, che il reato di trasferimento fraudolento di valori è reato istantaneo, e che, quindi, siccome NOME COGNOME avrebbe costituito le agenzie oggetto del reato di cui all’art. 512bis cod. pen. in data 5 settembre 2015, questa deve ritenersi la data di consumazione del reato, con conseguente avvenuta maturazione del tempo necessario a prescrivere.
3. Il Procuratore generale della Corte di cassazione ha presentato requisitoria scritta, nella quale si chiede il rigetto dei ricorsi.
Nella memoria, in particolare, si osserva che: a) il primo motivo è infondato, perché il procedimento nel quale sono state disposte le captazioni e il presente procedimento si riferiscono al medesimo fatto storico, diversamente qualificato; b) il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità, perché non si confronta con i numerosi elementi di prova indicati dalla sentenza impugnata in relazione al reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, e diversi dai risultati delle intercettazioni; c) il terzo, il quarto e il quinto motivo non evidenziano effettivi vizi di motivazione, anche perché, per escludere la configurabilità del reato di associazione per delinquere, non rileva l’unicità astratta della fattispecie di reato alla quale è rivolto il sodalizio criminale, bensì l’unicità del fatto storico, e perché l’esercizio abusivo di giochi e scommesse è stato realizzato mediante una attività di raccolta insieme fisica ed on line ; d) il tempo di commissione del reato di cui
all’art. 512bis cod. pen. si sposta in avanti quando, come avvenuto nel caso di specie, vengono compiute nuove operazioni di trasferimento o di occultamento del bene (si cita Sez. 5, n. 22106 del 10/03/2022, Rv. 283256).
I ricorrenti hanno depositato memoria, sottoscritta dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nella quale si ripropongono e si sviluppano le censure formulate nel ricorso, anche in replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale della Corte di cassazione.
In particolare, si osserva che non può in alcun modo sostenersi l’unicità del fatto storico oggetto del reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., per il quale sono state effettuate le captazioni, nonché dei reati contestati nel presente processo. Si sottolinea che le intercettazioni furono disposte sulla base di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, i quali accusavano il solo NOME COGNOME per aver messo a disposizione del clan COGNOME la sua struttura aziendale avente ad oggetto il noleggio di macchinette da gioco, e che, invece, in relazione ai reati oggetto della sentenza impugnata: a) nessun ruolo è attribuito ai clan mafiosi; b) vengono in rilievo persone del tutto estranee all’ipotesi delittuosa di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen.; c) l’attività era finalizzata all’esercizio abusivo di giochi e scommesse. Si segnala, poi, che l’unicità del fatto deve essere esclusa, perché, come precisato dalle Sezioni Unite, «l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, esso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona» (si cita Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, ma anche Corte cost., sent. n. 200 del 2016).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Per le ragioni di seguito indicate, il ricorso di NOME COGNOME è fondato nella parte in cui denuncia il mancato rilievo del decorso del tempo necessario a prescrivere il reato per i fatti ascrittigli al capo 3 dell’imputazione, mentre è complessivamente infondato nel resto; complessivamente infondati, invece, sono i ricorsi di tutti gli altri ricorrenti.
Infondate sono le censure enunciate nel primo motivo, comuni a tutti i ricorrenti, le quali contestano la ritenuta utilizzabilità delle comunicazioni intercettate, deducendo che le stesse sono state effettuate in altro procedimento, per un diverso reato, quello di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., nemmeno connesso ex art. 12 cod. proc. pen. con quelli per cui si procede in questa sede, e
che non sussistono inoltre i presupposti richiesti dall’art. 270 cod. proc. pen. per consentirne il valido impiego processuale ai fini dell’accertamento dei reati oggetto del presente processo.
2.1. Ai fini del l’esam e delle censure poste nel motivo appena sintetizzato, occorre premettere che le intercettazioni di cui si discute possono essere utilizzate ai fini dell’accertamento dei reati per cui si procede solo se è corretto affermare che le stesse sono state disposte nel ‘medesimo procedimento’ .
2.1.1. Secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite, e precisamente da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277395 -01, non contestato dalla successiva giurisprudenza di legittimità, né dalle parti del presente processo, e in relazione al quale non emergono ragioni per chiedere un ripensamento ex art. 618, comma 1bis , cod. proc. pen., «il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni -salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza -non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge» (questa l’ affermazione contenuta nel § 12 della sentenza delle Sezioni Unite).
Ciò posto, deve anzitutto escludersi la configurabilità di una ipotesi di connessione ex art. 12 cod. proc. pen. tra i reati per cui si procede in questa sede e quello di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., indicato a base dei provvedimenti di autorizzazione delle intercettazioni.
Il rapporto di connessione tra reati, infatti, consiste in un legame tra i medesimi e, quindi, per la sua natura ‘relazionale’, presuppone indefettibilmente la sussistenza di ciascuno di essi. Di conseguenza, non può ipotizzarsi, nemmeno in astratto, un rapporto di connessione con un reato la cui sussistenza è stata esclusa e in relazione al quale non è pendente alcun procedimento penale.
Ora, nella specie, per il delitto di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., richiamato a fondamento delle attività di captazione, così come precisato anche nella sentenza impugnata, è stata disposta l’archiviazio ne per infondatezza della notizia di reato.
Ne discende che, nella vicenda in esame, l’avvenuta archiviazione delle indagini per il delitto di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., preclude in radice la configurabilità di un rapporto di connessione tra di esso e qualunque altra fattispecie di reato.
Deve inoltre escludersi che, nella specie, sussistano i presupposti per l’operatività della disciplina di cui all’art. 270 cod. proc. pen., la quale prevede le
condizioni che rendono ammissibile l’utilizzazione delle intercettazioni in un procedimento diverso da quello nel quale sono state effettuate.
Invero, per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 270 cod. proc. pen., è condizione indispensabile che i reati oggetto del diverso procedimento siano delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.
E, però, i reati per cui si procede -precisamente quelli di partecipazione ad associazione finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti (art. 416 cod. pen.), di esercizio abusivo di giochi e scommesse (art. 4, commi 1 e 4bis , l. n. 401 del 1989), e di trasferimento fraudolento di valori (art. 512bis cod. pen.) -sono tutti delitti per i quali ‘non’ è obbligatorio l’arresto in flagranza.
2.1.2. Tuttavia, il principio enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza ‘COGNOME‘ non preclude l’utili zzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazioni per reati diversi da quelli formalmente indicati a base del provvedimento di autorizzazione alle attività di captazione.
Invero, Sez. U, COGNOME, cit., afferma espressamente che, nell’ambito della disciplina delle intercettazioni, la nozione di ‘ altro procedimento’ , dalla quale dipende l’operatività del divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen, non corrisponde a quella di ‘reato’ (cfr., in motivazione, § 10).
E, a spiegazione di questo assunto, osserva, per un verso, che la nozione di ‘procedimento’ non ha connotati univoci nel lessico generale del codice di procedura penale, e, sotto altro profilo, che il legislatore, anche quando si occupa specificamente della disciplina delle intercettazioni, mostra chiaramente di distingue tra ‘procedimento’ e ‘reato’ , come si desume dalle vicende relative alla disposizione di cui all’art. 270, comma 1bis , cod. proc. pen., in tema di utilizzabilità delle comunicazioni acquisite mediante captatore informatico.
Sez. U, COGNOME, cit., anzi, a precisazione di questa premessa, rappresenta pure che la nozione di ‘procedimento’ non può essere correlata all’iscrizione nel registro delle notizie di reato, di cui all’art. 335 cod. proc. pen. (cfr. ancora § 10).
Evidenzia, infatti, e specificamente, che, a voler ancorare la nozione di ‘procedimento’ all’iscrizione ex art. 335 cod. proc. pen., «dovrebbe essere considerato ‘diverso procedimento’ quello iscritto nei confronti di una persona nota per un certo reato a seguito delle intercettazioni disposte in un procedimento contro ignoti per quel medesimo fatto-reato», per poi sottolineare: «esito, questo, all’evidenza disallineato rispetto alla disciplina codicistica (che, per le intercettazioni “ordinarie”, richiede, ex art. 267, comma 1, cod. proc. pen., solo la sussistenza di ‘ gravi indizi di reato ‘)», oltre che contrario all’univoco indirizzo ermeneutico in forza del quale «se un’intercettazione telefonica è validamente autorizzata, essa può essere utilizzata nei confronti di qualsiasi persona a carico della quale faccia emergere elementi di responsabilità per quel reato», nonché
(esito) «all’evidenza irrazionale». Aggiunge che, seguendo questa impostazione legata al dato formale dell’iscrizione , «dovrebbe essere considerato “diverso procedimento” anche quello nuovamente iscritto a seguito di riapertura delle indagini ex art. 414, comma 2, cod. proc. pen., laddove, come la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di rimarcare, in tale ipotesi non si instaura un procedimento diverso e possono legittimamente essere utilizzati i risultati delle indagini già svolte, compresi gli esiti delle intercettazioni»; e, a tal proposito, cita espressamente Sez. 6, n. 1626 del 16/10/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203741 -01.
Sez. U, COGNOME, cit., inoltre, ritiene utilizzabili i risultati delle intercettazioni anche con riguardo ai reati connessi ex art. 12 cod. proc. pen. proprio perché gli stessi sono da considerare inclusi nel ‘medesimo procedimento’ avente ad oggetto le fattispecie poste a base dei provvedimenti di captazione: precisamente, in queste ipotesi, ricorre un ‘medesimo procedimento’ in ragione del «’legame sostanziale’ tra il reato in relazione al quale l’autorizzazione all’intercettazione è stata emessa e il reato emerso grazie ai risultati di tale intercettazione».
In particolare, la sentenza COGNOME evidenzia: «La parziale coincidenza della regiudicanda oggetto dei procedimenti connessi e, dunque, il legame sostanziale – e non meramente processuale – tra i diversi fatti-reato consente di ricondurre ai ‘ fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede ‘ (Corte cost., sent. n. 366 del 1991), di cui al provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione, anche quelli oggetto delle imputazioni connesse accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione: il legame sostanziale tra essi, infatti, esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di un ‘ “autorizzazione in bianco”», vietata dall’art. 15 Cost. (cfr., in motivazione, § 11.1).
2.1.3. Le indicazioni offerte da Sez. U, COGNOME, cit., hanno trovano significativa rispondenza e ulteriore svolgimento nella successiva elaborazione giurisprudenziale, la quale ha ribadito da più prospettive come la nozione di ‘medesimo procedimento’ è ancorata specificamente a profili sostanziali e non ad evenienze meramente processuali.
In particolare, una pronuncia ha precisato che, sulla base della disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020 n. 70, i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reato legati al primo dal vincolo della continuazione ex art. 12, lett. b) , cod. proc. pen., senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi (Sez. 5, n. 37697 del 29/09/2021, Papa, Rv. 282027 -01).
Secondo altra decisione, poi, i risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente acquisiti nell’ambito di un procedimento penale inizialmente unitario, riguardanti distinti reati per i quali sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall’art. 266 cod. proc. pen., sono utilizzabili anche nel caso in cui il procedimento sia successivamente frazionato a causa della eterogeneità delle ipotesi di reato e dei soggetti indagati, atteso che, in tal caso, non trova applicazione l’art. 270 cod. proc. pen. che postula l’esistenza di procedimenti ab origine tra loro distinti (Sez. 2, n. 4341 del 15/01/2025, COGNOME, Rv. 287542 -01).
Diverse pronunce, ancora, hanno affermato l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni anche in caso di diversa e meno grave qualificazione del reato per il quale le stesse sono state disposte, se questa nuova definizione giuridica del fatto consegua agli esiti delle captazioni o comunque alla fisiologica evoluzione delle investigazioni (cfr. Sez. 6, n. 48320 del 12/04/2022, COGNOME, Rv. 284074 -01, e Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, COGNOME, Rv. 281501 -01).
2.1.4. In considerazione di quanto esposto nei §§ 2.1.2 e 2.1.3, appare ragionevole concludere che, ai fini della utilizzabilità dei risultati di intercettazioni telefoniche o tra presenti, nella nozione di ‘medesimo procedimento’ sono da ricomprendere tutte le fattispecie di reato contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento del provvedimento autorizzativo del giudice, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, sempreché dette fattispecie rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.
Invero, si è già detto che, in materia di intercettazioni, secondo la giurisprudenza anche delle Sezioni Unite, la nozione di ‘procedimento’ è più ampia di quella di ‘reato’ , e si estende anche a fatti per i quali vi è solo parziale coincidenza, quali i reati connessi. In considerazione di questo assunto, di conseguenza, va anche esclusa l’individuazione della nozione di ‘procedimento’ sulla base di quella di identità del fatto evocata nella memoria presentata nell’interesse dei ricorrenti, quale «corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, esso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona»; del resto, la nozione appena richiamata è relativa al ben diverso istituto del divieto di bis in idem .
Ciò posto, deve rilevarsi che la riferibilità del ‘medesimo procedimento’ a tutte le fattispecie contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento dei provvedimenti legittimanti le intercettazioni, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, non sacrifica l’esigenza garantita dall’art. 15 Cost. di evitare che l’autorizzazione del giudice ad effettuare le captazioni assuma la fisionomia di una ‘autorizzazione in bianco’ . La
corrispondenza tra il fatto storico posto a base dell’autorizzazione a disporre le intercettazioni, o parte di esso, e il ‘nucleo centrale’ del fatto storico enunciato della nuova imputazione, in effetti, consente di concludere che pure quest’ult imo rientra tra i «fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede», ossia tra i ‘fatti’ che debbono essere necessariamente predeterminati nel provvedimento del giudice (Corte cost., sent. n. 366 del 1991).
Del resto, è proprio in ragione della medesimezza del fatto storico posto a fondamento delle intercettazioni, o di parte di esso, e del ‘nucleo centrale’ del fatto storico posto a base dell ‘imputazione non enunciata nel provvedimento autorizzativo, che è possibile ritenere, come concludono le decisioni citate al § 2.1.4, l’utilizzabilità dei risultati delle attività di captazione anche in caso di diversa e meno grave qualificazione della condotta delittuosa per la quale le stesse sono state disposte.
2.2. Al fine di valutare se, nella specie, l’utilizzazione dei risultati delle attività di captazione sia da ritenere effettuata nell’ambito del ‘medesimo procedimento’, è fondamentale muovere dall’esame del decreto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni in caso di urgenza, adottato dalla Procura della Repubblica di Catania il 9 giugno 2018, e del successivo decreto di convalida del G.i.p. del Tribunale di Catania, emesso in pari data; per completezza, è utile dare conto di altri atti allegati ai ricorsi e relativi all’evoluzione del procedimento nel quale sono state effettuate le intercettazioni.
2.2.1. Il decreto adottato dalla Procura della Repubblica di Catania il 9 giugno 2018, è stato emesso nell’ambito del procedimento penale n. 2534 del 2018, nei confronti dell’attuale ricorrente NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., in Catania in corso di consumazione.
A base del provvedimento, si riportano innanzitutto dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, imprenditore nel settore del gaming on line vicino al clan COGNOME/Ercolano, il quale ha riferito «dell’attività illecita condotta da COGNOME NOME e della quale aveva avuto contezza diretta nell’ambito della sua attività criminale e imprenditoriale». In particolare, secondo quanto trascritto nel decreto, il collaboratore di giustizia: 1) ha indicato NOME COGNOME come «un grosso noleggiatore di slot machines e proprietario del sito ‘ sport and games ‘»; 2) ha precisato di essere divenuto nel 2002 «agente della ‘ sport and games ‘ proprio attraverso il Padovani», e di aver maturato un debito verso questa società per alcune migliaia di euro nel 2003, poi ripianato a rate; 3) ha riferito che «negli anni successivi un tale NOME cercò spesso di contattarmi, per conto del Padovani. Il NOME era uno stretto collaboratore del Padovani nel settore delle scommesse»; 4) ha aggiunto che, nel 2012/2013, NOME COGNOME gli aveva chiesto nuovamente di collaborare con lui e «mi disse che era in società con un
tale NOME COGNOME di Bagheria, proprietario del sito www.bet2875.com con cui stava avendo dei problemi», ed ancora che da tale collaborazione egli aveva maturato un credito nei confronti dell’attuale ricorrente, da questi adempiuto a rate.
Il decreto, poi, rappresenta che NOME COGNOME nel 2000 era stato sottoposto ad indagini dalle quali era risultato gestire, da ‘monopolista’, gli apparecchi di videogiochi nella Sicilia orientale, i cui proventi risultavano confluire nelle casse del clan COGNOME, e che a carico del medesimo hanno riferito altri due collaboratori di Giustizia, NOME COGNOME ed NOME COGNOME. Secondo quanto riportato nel decreto, NOME COGNOME ha detto di aver conosciuto NOME COGNOME perché questi voleva aprire delle sale gioco a Gela, e, a tal fine, contattare la ‘famiglia COGNOME‘, ed ha aggiunto di averlo perciò fatto incontrare con tale COGNOME, gestore della sala bingo di Gela, precisando: «E in quell’occasione, sia COGNOME che COGNOME, addivennero a un accordo per la fornitura di macchinette, di queste slot-machine e anche per alcuni siti sportivi che erano in dotazione o che li gestiva il signor COGNOME». NOME COGNOME, invece, ha riferito in termini generali de ll’esistenza di rapporti tra NOME COGNOME e la ‘famiglia COGNOME‘.
Ancora, il decreto evidenzia la presenza di contatti tra NOME COGNOME e NOME COGNOME altro ricorrente in questa sede. Segnala, in particolare, i legami tra i due per reati connessi al gioco d’azzardo tra il 2002 ed il 2016, e, poi, con specifico riferimento al 2018, l’attività di autista svolta dal secondo per il primo nei giorni 22 e 23 maggio 2018. Rimarca come, il 23 maggio 2018, il precisato accompagnamento è stato funzionale a consentire ai due di recarsi presso distinti centri scommesse, uno con l’insegna ‘RAGIONE_SOCIALE‘, l’altro con l’insegna ‘RAGIONE_SOCIALE‘ . Aggiunge che i centri scommesse con insegna ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sarebbero riconducibili ad una società con sede in Malta, il cui legale rappresentante era socio di una società, a sua volta, esercente la gestione di software per la società RAGIONE_SOCIALE‘, la quale «ha numerose partecipazioni in aziende che esercitano le scommesse on line tra le quali la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, entrambe riconducibili al COGNOME NOME».
Il decreto del G.i.p. del Tribunale di Catania del 9 giugno 2018 ha convalidato il decreto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni in caso di urgenza, adottato dalla Procura della Repubblica di Catania il 9 giugno 2018.
A suo fondamento, in particolare, il decreto del G.i.p. richiama sinteticamente le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME e sottolinea l’esigenza di intercettare le comunicazioni tra NOME COGNOME e NOME COGNOME indicato come «pregiudicato per reati connessi».
2.2.2. Per quanto riguarda gli altri atti, allegati ai ricorsi, e relativi all’evoluzione del procedimento nel quale sono state effettuate le intercettazioni, sembra utile indicare in sintesi il contenuto del decreto di iscrizione nel registro
nelle notizie di reato a carico di NOME COGNOME nel proc. n. 2534/18, ossia del procedimento nel quale sono state disposte le intercettazioni della cui utilizzabilità si discute, del decreto di iscrizione nel registro nelle notizie di reato datato 15 gennaio 2020, e del decreto di archiviazione del proc. n. 2534/18.
Il decreto di iscrizione nel registro nelle notizie di reato a carico di NOME COGNOME nel proc. n. 2534/18, adottato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania in data 5 giugno 2018, è relativo al «reato di cui agli artt. 110, 416 bis c.p. In Catania in corso di consumazione».
Il decreto di iscrizione nel registro nelle notizie di reato, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania in data 15 gennaio 2020, ha ad oggetto l’iscrizione o l’aggiornamento dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato di numerose persone, tra cui tutti gli attuali ricorrenti. Il precisato decreto, in particolare, premette: «Vista la CNR depositata e la richiesta cautelare predisposta nell’ambito del procedimento 2534/18». Dispone, poi, «’iscrizione (o l’aggiornamento delle iscrizioni nei confronti) di» ottantasei persone, tra i quali gli attuali ricorrenti, e per tutti i fatti per i quali è stata poi esercitata l’azione penale nel presente processo, ivi compresi quelli ritenuti sussistenti dalla sentenza impugnata in questa sede. Ordina, quindi, che «le posizioni sopra indicate e limitatamente alle ipotesi contestate vengano stralciate in un nuovo procedimento penale contenente gli atti a fondamento della richiesta cautelare».
Il decreto di archiviazione del proc. n. 2534/18, adottato dal G.i.p. del Tribunale di Catania in data 29 dicembre 2022, fa seguito alla richiesta di archiviazione del 28 dicembre 2022. Lo stesso, emesso nei confronti di persone che non sono indicate nella copia allegata al ricorso, attiene ai reati di cui agli artt. 416-bis, 640 c.p. e 4 legge n. 401 del 1989. Il provvedimento, in particolare precisa: «L’odierno presente costituisce l’originario proc. di cui è stralcio il più corposo proc. pen. n. 1021/2020 R.G.N.R. (e N. 892/2020 R.G.GIP), denominato ‘Apate’ nei confronti di COGNOME Antonio e altri». E aggiunge in immediata consecuzione: «Per la maggior parte delle posizioni è stata esercitata azione penale, mentre restano da valutare, in questa sede, le posizioni dei soggetti nei confronti dei quali non emergono elementi per l’utile esercizio dell’azione penale».
Per chiarezza, va precisato che, per quanto risulta dall’intestazione della sentenza emessa in primo grado nel presente procedimento dal Tribunale di Catania, ufficio del Giudice per le indagini preliminari, in data 12 maggio 2022, il presente procedimento recava il n. 1021/20 R.G.N.R. e il n. 892/20 R.G. G.I.P.
2.3. In considerazione dei principi giuridici applicabili e degli elementi legittimamente valutabili, può concludersi che le intercettazioni di cui si discute sono utilizzabili ai fini dell’accertamento dei reati per cui si procede, in quanto deve ritenersi che le stesse sono state disposte nel ‘medesimo procedimento’.
Si è detto al § 2.1.4 che si è nell’ambito del ‘medesimo procedimento’ quando il reato per il quale si procede, sebbene non enunciato nel decreto di autorizzazione delle intercettazioni, si riferisce ad un fatto storico il cui ‘nucleo centrale’ coincide con -o è incluso in -quello posto a fondamento del precisato provvedimento.
Ora, nella vicenda in esame, il reato di associazione per delinquere finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti, in particolare relativi all’esercizio abusivo di giochi e scommesse, ascritto ad NOME COGNOME nella qualità di capo e promotore, ha ad oggetto un fatto storico il cui ‘nucleo centrale’ è incluso in quello descritto a fondamento della contestazione di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., per la quale sono state autorizzate le intercettazioni.
Invero, la condotta indicata a base dell’imputazione di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., ed ascritta ad NOME COGNOME riguarda proprio l’esercizio della sua attività imprenditoriale nel settore dei giochi e delle scommesse; e, nei decreti autorizzativi delle intercettazioni, si rappresenta che questa attività ha ad oggetto non solo il noleggio di slot machines , ma anche, e specificamente, la gestione di siti internet per la raccolta di scommesse, esercitata in modo organizzato ed avvalendosi di più collaboratori, tra cui NOME COGNOME poi ritenuto partecipe dell’associazione per delinquere oggetto del presente giudizio.
In particolare, come più analiticamente evidenziato nel § 2.2.1, nel decreto autorizzativo di urgenza del P.M. si espone che: a) il collaboratore di giustizia COGNOME indica COGNOME come proprietario del sito ‘ sport and games ‘, e riferisce di essere stato agente della società gerente tale sito «attraverso il Padovani», di essere stato contattato per conto di COGNOME da tale Felix «stretto collaboratore» dell’attuale ricorrente proprio «nel settore delle scommesse», e di aver appreso da COGNOME della partecipazione dello stesso in una società che gestiva un sito scommesse ‘.com’ ; b) il collaboratore NOME COGNOME fornisce notizia di un accordo tra COGNOME e tale COGNOME per la gestione in Gela «anche per alcuni siti sportivi che erano in dotazione o che li gestiva il signor COGNOME»; c) le banche dati in possesso delle forze di polizia documentano rapporti consolidati nel tempo tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, anche specificamente relativi a reati connessi al gioco d’azzardo; d) pedinamenti effettuati nel maggio 2018 hanno confermato il rapporto di collaborazione tra Padovani e Turiano, pure allo specifico fine di recarsi presso più centri di gestione di scommesse.
Inoltre, nel decreto di convalida del G.i.p., pur motivato in modo sintetico, si richiama espressamente e specificamente come rilevante proprio il rapporto intercorrente tra NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Le osservazioni che precedono sono risolutive ai fini del giudizio affermativo dell’utilizzabilità delle intercettazioni nel presente giudizio, atteso che questa conclusione, nella specie, dipende dalla nozione di ‘medesimo procedimento’, e
che tale nozione, come precedentemente rilevato nel § 2.1.4., in linea con le indicazioni di Sez. U, COGNOME, cit., si qualifica per il suo contenuto ‘sostanziale’, e non per profili formali connessi alle iscrizioni nel registro delle notizie di reato.
A ogni modo, per completezza, si può rilevare che, dalla documentazione allegata dalla difesa al ricorso, per come sintetizzato in precedenza al § 2.2.2, risulta come il procedimento penale da cui è derivato il presente giudizio sia uno «stralcio» effettuato nel 2020 dal procedimento nel quale sono state disposte le intercettazioni, successivamente all’effettuazione di queste. Sicché, anche da un punto di vista formale, le intercettazioni di cui si discute, possono ritenersi effettuate nel ‘medesimo procedimento’.
Prive di specificità sono le censure esposte nel secondo motivo, comuni a tutti i ricorrenti, le quali contestano la ritenuta utilizzabilità delle comunicazioni intercettate con riguardo al reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, deducendo che per questo reato, in ragione dei limiti edittali all’epoca vigenti, le intercettazioni non erano ammissibili, e, quindi, non possono essere impiegate, come precisato da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, cit.
3.1. Deve premettersi, per chiarezza, che, ad avviso del Collegio, la sentenza ‘Cavallo’ ha fissato, con estrema decisione, e puntuale motivazione, il principio dell’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni per l’accertamento dei reati che, quand’anche connessi, non rientrano nel catalogo di quelli previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.
Invero, che la sentenza ‘RAGIONE_SOCIALE‘ abbia inteso enunciare il principio appena indicato si evince, in particolare, da quanto espressamente affermato dalla medesima pronuncia diffusamente, ma, in particolare, nel § 8.
E il Collegio non ravvisa ragioni idonee ad investire nuovamente le Sezioni Unite in materia, come sarebbe altrimenti doveroso ex art. 618, comma 1bis , cod. proc. pen.
3.2. Tuttavia, nella specie, viene in rilievo il diverso principio secondo cui, nel giudizio di legittimità, laddove risulti l’inutilizzabilità di prove illegalmente assunte, è consentito ricorrere alla cd. “prova di resistenza”, valutando se, espunte le prove inutilizzabili, la decisione sarebbe rimasta invariata in base a prove ulteriori, di per sé sufficienti a giustificare la medesima soluzione adottata (così, per tutte, Sez. 4, n. 50817 del 14/12/2023, COGNOME, Rv. 285533 -01, nonché Sez. 6, n. 1255 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258007 -01).
Invero, la sentenza impugnata a pag. 45 osserva: «nel merito dell’imputazione ex art. 4 commi 1 e 4bis , legge n. 401/1989 di cui al capo 2, le parti appellanti omettono completamente di confrontarsi con il rimanente materiale probatorio che, a prescindere dagli esiti captativi, ha offerto piena
evidenza della sussistenza dei reati in materia di scommesse, rispetto ai quali rilevano in via preponderante gli esiti dell’attività di osservazione della P.G., che ha verificato direttamente la raccolta di scommesse illegali nelle diverse agenzie riconducibili al sodalizio capeggiato da COGNOME NOME». Precisa, poi, che gli atti di appello o si sono limitati a chiedere l’assoluzione per l’imputazione di cui al capo 2 esclusivamente sul rilievo della inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni o hanno chiesto la derubricazione del delitto di cui all’art. 4, commi 1 e 4bis , legge n. 401 del 1989 nella contravvenzione prevista dall’ultimo periodo dell’art. 4, comma 1, della medesima legge, «senza -anche in questo caso -mettere in dubbio la sussistenza dell’attività di illecita raccolta di scommesse contestata agli imputati; e rileva che, proprio per tale ragione, è possibile «farsi richiamo dell’ampia motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui dette risultanze probatorie risultano riportate».
Atteso il difetto di specificità degli atti di appello sul punto, il rinvio effettuato dalla sentenza impugnata a quella di primo grado per l’analitica indicazione delle risultanze delle attività di indagine diverse da quelle costituite dalle intercettazioni è incensurabile. Invero, l’assenza di contestazioni specifiche sulla validità, sull’attend ibilità e sulla concludenza delle risultanze istruttorie addotte a fondamento della sentenza di primo grado esonera il giudice di appello dal dovere di procedere ad analitica motivazione in ordine alle stesse (cfr., in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611 -01, e Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256435 -01).
Di conseguenza, la conclusione della sentenza impugnata, laddove ha confermato il giudizio di colpevolezza degli attuali ricorrenti per il reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 4, commi 1 e 4bis , legge n. 401 del 1989 ritenendo sufficiente il materiale istruttorio diverso dagli esiti delle intercettazioni, non può essere giudicata viziata perché non ha fornito specifiche indicazioni in ordine allo stesso: questa indicazione non era richiesta dagli atti di appello. E, quindi, pur espungendo dal materiale istruttorio utilizzabile i risultati delle intercettazioni, le prove ulteriori restano di per sé idonee e sufficienti a giustificare la medesima soluzione adottata dalla Corte d’appello.
4. In parte infondate e in parte diverse da quelle consentite sono le censure formulate nel terzo motivo, comuni a tutti i ricorrenti, le quali contestano la ritenuta sussistenza del delitto di associazione per delinquere, deducendo che gli imputati sono risultati dediti ad un solo reato, che il profilo organizzativo è proprio già del reato di cui all’art. 4, commi 1 e 4bis , legge n. 401 del 1989, e che mancano elementi da cui desumere una ripartizione degli utili tra i pretesi sodali.
4.1. Infondate sono le censure attinenti alla incompatibilità della fattispecie di associazione per delinquere con la finalizzazione dell’attività illecita ad un solo reato, le quali debbono essere esaminate sotto un duplice profilo.
Per un verso, deve affermarsi che l’unicità della tipologia dei reati oggetto del programma criminoso non preclude la configurabilità della fattispecie di associazione per delinquere.
Invero, il dato letterale dell’art. 416 cod. pen. non risulta ostativo alla configurabilità del reato da esso previsto quando i reati oggetto del programma criminoso siano del medesimo tipo: la disposizione appena citata richiede soltanto che tre o più persone si associno allo scopo di commettere «più delitti», senza però esigere che gli stessi debbano essere di diverse tipologie. E in questo senso si è esplicitamente pronunciata la giurisprudenza di legittimità, la quale ha precisato che l’indeterminatezza del programma criminoso non viene meno per il solo fatto che l’associazione sia finalizzata esclusivamente alla realizzazione di reati di un medesimo tipo o natura, giacché essa attiene al numero, alle modalità, ai tempi, agli obiettivi dei delitti integranti eventualmente anche un’unica disposizione di legge, e non necessariamente alla diversa qualificazione giuridicopenalistica dei fatti programmati (così Sez. 6, n. 11413 del 14/06/1995, COGNOME, Rv. 203642-01, ma anche, in motivazione, Sez. 2, n. 16339 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 255359 -01).
Può aggiungersi che una indiretta conferma di questa conclusione può essere desunta anche dalla disciplina di cui all ‘art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. Secondo questa disposizione, il delitto di associazione per delinquere finalizzato al traffico di sostanze stupefacente si configura quando il sodalizio è costituito al fine di «commettere più delitti tra quelli previsti dall’ar t. 70, commi 4, 6 e 10 , ovvero dall’articolo 73 » . Ora, le locuzioni impiegate dal legislatore («tra quelli ovvero») sono chiaramente indicative della configurabilità della fattispecie associativa anche quando il programma criminoso abbia ad oggetto delitti previsti dalla medesima disposizione incriminatrice.
Sotto altro profilo, poi, deve rilevarsi che il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere non può ritenersi escluso quando lo stesso sia ritenuto oggetto di un medesimo disegno criminoso con i reati fine.
Costituisce infatti affermazione costante in giurisprudenza quella secondo cui è ipotizzabile la continuazione tra il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si determina a fare ingresso nel sodalizio (cfr. per tutte: Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271984 -01; Sez. 1, n. 12639 del 28/03/2006, Adamo, Rv. 234100 -01; Sez. 1, 2225 del 19/093/1992, COGNOME, Rv. 192484 -01).
4.2. Manifestamente infondate sono le censure concernenti la incompatibilità della fattispecie di associazione per delinquere con il reato di cui all’art. 4, commi 1 e 4bis , legge n. 401 del 1989.
Può agevolmente rilevarsi, infatti, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, che è configurabile il concorso tra il reato di associazione per delinquere e quello di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, in quanto quest’ultimo, non necessitando di una stabile struttura e predisposizione di uomini e mezzi e non richiedendo necessariamente la partecipazione di una pluralità di soggetti, non si pone in rapporto di specialità rispetto al primo (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 40774 del 06/06/2019, Rigano, Rv. 277164 -03; Sez. 2, n. 29332 del 10/04/2019, Caniglia, Rv. 276781 -01; Sez. 1, n. 33662 del 09/05/2005, COGNOME, Rv. 232505 -01).
4.3. Prive di specificità sono le censure che affermano la non configurabilità del reato di associazione per delinquere per l’insussistenza di elementi da cui desumere una ripartizione degli utili tra i pretesi sodali.
Potrebbe essere sufficiente evidenziare che, come già affermato in giurisprudenza, è configurabile la partecipazione ad una associazione a delinquere anche nel caso in cui l’associato venga pagato di volta in volta, allorquando i reatifine vengano a perfezionamento, essendo questo il momento tipico della ripartizione dei proventi illeciti (così Sez. 2, n. 49523 del 29/11/2019, COGNOME, Rv. 278243 -01). Ovvero che, ai fini dell’integrazione della fattispecie di associazione per delinquere, non si richiede affatto una partecipazione degli associati ad un’eguale, o quanto meno proporzionale, divisione degli utili conseguiti dall’ organizzazione, giacché ciò che conta è la sussistenza di un vincolo associativo permanente e, perciò, la consapevolezza di ciascun aggregato di essere impegnato a dare il proprio contributo al perseguimento dei fini illeciti dell’associazione, in un rapporto di stabile collaborazione tra i vari componenti (vds. Sez. 1, n. 7063 del 05/05/1995, Correnti, Rv. 201907 -01).
Ma, nel caso in esame, la sentenza impugnata evidenzia con chiarezza l’esistenza di una struttura associativa finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti concernenti l’esercizio abusivo di giochi e scommesse, e la partecipazione di tutti i sodali, sia pure in maniera diversificata, alla percezione dei guadagni illecitamente conseguiti.
La Corte d’appello illustra, infatti, con precisione, modalità di funzionamento, organigramma del sodalizio, e ripartizione dei proventi tra i sodali.
In particolare, per quanto attiene al funzionamento del gruppo illecito, la sentenza impugnata rappresenta che l’organizzazione diretta da NOME COGNOME raccoglieva illegalmente scommesse attraverso una rete di punti-gioco, punti vendita ricarica (c.d. P.V.R.) e centri di trasmissione dati (C.E.D. o C.D.T.),
operativi nelle province di Catania, Messina, Siracusa, Enna e Agrigento. Precisa che: a) i punti-gioco erano strutture del tutto occulte, le quali raccoglievano le somme dai giocatori in contanti o con assegni, e le facevano confluire su sistemi di gestione e raccolta on line di bookmakers privi di qualunque autorizzazione in Italia; b) i c.d. P.V.R., collegati al concessionario ‘RAGIONE_SOCIALE ‘ , raccoglievano le somme non on line , ma direttamente (in contanti o assegni), e le facevano confluire o su siti gestiti da provider privi di concessioni in Italia o sul sito della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, effettuando però, in ogni caso, mediante l’incasso ‘fisico’ delle somme, un’attività di intermediazione vietata; c) i c.d. C.E.D. o C.T.D. facevano apparente riferimento ad un non individuato provider comunitario, ma, di fatto, operavano una raccolta ‘fisica’ delle giocate, poi convogliate su sistemi di gestione e raccolta on line di bookmakers privi di qualunque autorizzazione in Italia. Aggiunge che: 1) i c.d. ‘P.V.R.’ e i c.d. ‘C.E.D.’ o ‘C.T.D.’ occultavano l’accesso a siti c.d. ‘.com’, i quali erano sottratti alla imposizione fiscale, e, quindi, assicuravano maggiori margini di profitto; 2) il trasferimento del denaro raccolto, anche presso i c.d. ‘C.E.D.’ e ‘C.T.D.’, avveniva tramite consegna ad incaricati di NOME COGNOME, i quali trasferivano le somme, sempre in contanti o assegni ai bookmakers , mentre il conto cassa si limitava ad una mera registrazione informatica, attraverso i c.d. ‘fidi’, riferiti però ai punti commerciali e non ai clienti, con conseguente anonimizzazione delle scommesse; 3) l’apparente effettuazione delle giocate on line , e quindi l’apparenza di un rapporto diretto tra giocatore e bookmakers , faceva figurare i rapporti contrattuali come rapporti conclusi all’estero, sul sito dei bookmakers , con conseguente applicazione della normativa fiscale del paese di questi ultimi ed esclusione del prelievo tributario italiano.
Per quanto concerne l’organigramma del sodalizio, e la ripartizione dei compiti tra i sodali, la sentenza impugnata espone che: 1) NOME COGNOME costituiva il vertice della ‘rete’ che gestiva i giochi e le scommesse illecite; 2) NOME COGNOME e NOME COGNOME trasmettevano le informazioni a titolari delle diverse agenzie e punti gioco della ‘rete’, e riscuotevano gli incassi di queste strutture sul territorio; 3) NOME COGNOME e NOME COGNOME curavano la gestione tecnica dei rapporti tra piattaforme on line e agenzie, nonché dei flussi di denaro in entrata ed in uscita, operando dall’ufficio costituente la base logistica dell’organizzazione di NOME COGNOME; 4) NOME COGNOME si occupava, unitamente a Turiano e a COGNOME, del pagamento delle scommesse vincenti, interessandosi in particolare di alcune delle agenzie della rete; 5) NOME COGNOME curava le questioni amministrative di interesse del gruppo; 6) NOME COGNOME gestiva l’agenzia denominata ‘Borgo’, nonché per conto di NOME COGNOME, le agenzie denominate ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e ‘ Cannizzaro’.
Quanto alla ripartizione dei guadagni e delle spese, la sentenza impugnata puntualizza: «Ciascuno dei componenti la citata rete commerciale vantava dei profitti in percentuale sul totale del giocato al netto del pagato sulle scommesse vincenti; gli incassi, prima di essere trasferiti al bookmaker , venivano decurtati sia delle vincite pagate ai giocatori, sia delle provvigioni spettanti a ciascuno dei componenti la citata rete commerciale. Talvolta, il COGNOME nella qualità di master doveva ‘ bancare ‘ , anticipando per conto del bookmaker una quota parte delle scommesse vincenti».
Per completezza, può aggiungersi che la Corte d’appello , con riferimento alla «piena consapevolezza» dell’illiceità delle condotte realizzate da parte di ciascuno degli attuali ricorrenti, osserva come tutti costoro: a) «ponevano ampia attenzione a parlare di certi argomenti per telefono, scambiandosi informazioni su attività di controlli in corso e prediligendo l’utilizzo di applicazioni come ‘ Telegram ‘ e ‘ Skype ‘ ritenute più sicure per eludere possibili attività captative»; b) concorrevano «fattivamente all’illecita raccolta fisica e anonima delle poste di gioco», agendo quindi in diretta violazione delle prescrizioni di cui all’art. 4 legge n. 401 del 1989.
Di conseguenza, le censure proposte dai ricorrenti, secondo cui non vi sarebbero elementi da cui desumere una ripartizione degli utili tra i pretesi sodali, sono meramente assertive, perché non si confrontano in alcun modo con le puntuali indicazioni della sentenza impugnata sia in ordine a tale profilo, sia, più in generale, con l’articolato discorso argomentativo posto a base dell’affermazione di responsabilità nei confronti degli stessi per il reato di cui all’art. 416 cod. pen.
Infondate sono le censure esposte nel quarto motivo, comuni a tutti i ricorrenti, le quali contestano la ritenuta sussistenza del delitto di esercizio abusivo di giochi e scommesse di cui all’art. 4, commi 1 e 4bis , legge n. 401 del 1989, deducendo che, in realtà, sarebbe configurabile la contravvenzione di cui all’art. 4, comma 1, ultimo periodo, legge n. 401 del 1989, in quanto i sodali gestivano agenzie legali e giochi autorizzati dall’agenzia delle dogane e dei monopoli, solo facendo ricorso a modalità e tecniche diverse da quelle previste dalla legge.
5.1. Secondo un principio più volte affermato dalla giurisprudenza, integra il delitto di cui all’art. 4, comma 4bis , della legge 13 dicembre 1989, n. 401, e non la contravvenzione di cui all’art. 4, comma 1, della legge citata, l’esercizio abusivo, mediante collegamento a siti internet di bookmakers esteri, di attività organizzata finalizzata all’accettazione, alla raccolta o al favoreggiamento dell’accettazione per via telematica di scommesse relative a giuochi istituiti o disciplinati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (così Sez. 3, n. 45541 del 26/10/2022, COGNOME, Rv. 283834 -01, e Sez. 3, n. 26757 del 05/05/2010, COGNOME, Rv. 248061 -01).
Queste decisioni, in particolare, hanno condivisibilmente precisato che la contravvenzione di cui all’art. 4, comma 1, ultimo periodo, l. n. 401 del 1989 si riferisce a fattispecie del tutto eterogenee rispetto a quella integrata da una condotta di intermediazione in assenza di concessione o di autorizzazione.
Inoltre, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, in tema di esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa, integra condotta di intermediazione, costituente delitto a norma dell’art. 4 l. n. 401 del 1989, anche quella del gestore di un centro scommesse affiliato a un bookmaker comunitario che mette a disposizione dei clienti il proprio conto-giochi, consentendo la giocata senza far risultare chi l’abbia realmente effettuata, perché, in tal modo, si realizza un’illegittima attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse che esclude la configurabilità di un servizio transfrontaliero “puro” dell’operatore straniero, con conseguente irrilevanza di ogni profilo discriminatorio nella partecipazione di quest’ultimo alle gare (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 13657 del 16/02/2024, Strongone, Rv. 286101 -01, nonché Sez. 3, n. 18590 del 09/01/2019, Ferrara, Rv. 275703 -01).
5.2. La sentenza impugnata offre una puntuale descrizione delle modalità operative attraverso le quali il sodalizio provvedeva all’esercizio dei giochi e delle scommesse (cfr. anche quanto indicato in precedenza nel § 4.3).
La Corte d’appello, in particolare, rappresenta che le giocate ritenute illecite sono state effettuate verso bookmakers stranieri, i quali utilizzavano siti ‘.com’ ed erano privi di qualunque concessione in Italia, e si sono caratterizzate per la raccolta ‘fisica’ o ‘da banco’ del denaro, ossia mediante contanti o assegni, e non per il tramite di ‘conti gioco’ riferiti ai singoli giocatori.
La Corte d’appello, inoltre, evidenzia che: a) le giocate sono state raccolte non solo nei c.d. ‘C.T.D.’, ma anche presso agenzie prive della necessaria autorizzazione dell’Amministrazione finanziaria; b) l’attività di intermediazione ‘fisica’ avrebbe richiesto in ogni caso, per essere legittimamente svolta, il rilascio di apposita autorizzazione ex art. 88 T.U.L.P.S. in capo all’intermediario; c) la canalizzazione delle scommesse sui siti ‘.com’ avveniva in modo occulto, con un sistema perciò definito dagli esperti del settore come total black .
5.3. Le conclusioni della sentenza impugnata, anche nella parte in cui ritengono sussistente il delitto di cui all’art. 4, commi 1 e 4bis , legge n. 401 del 1989, sono immuni da vizi.
Invero, secondo quanto accertato dai Giudici di merito, il sodalizio diretto da NOME COGNOME ha effettuato la raccolta ‘fisica’ del denaro da giocare su piattaforme gestite da bookmakers stranieri e non ha riversato le somme così ricevute su ‘conti gioco’ riferiti ai singoli giocatori, e, così operando, ha reso anonime le ‘puntate’ di costoro. In altri termini, il gruppo criminale, anche quando
si è avvalso delle strutture autorizzate (‘C.T.D., ‘C.E.D.’, ‘P.V.R.’) , ha comunque messo a disposizione dei clienti i propri conti-giochi, consentendo la giocata senza far risultare chi l’avesse realmente effettuata, così realizzando un’illegittima attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse e non un servizio transfrontaliero “puro” per conto dell’operatore straniero.
In parte infondate, o manifestamente infondate, ma in parte fondate sono le censure enunciate nel quinto motivo, formulate dal solo NOME COGNOME le quali contestano la ritenuta sussistenza del delitto di trasferimento fraudolento di valori, deducendo l’inutilizzabilità delle conversazioni intercettate, la mancata indicazione di elementi da cui desumere la provenienza delle risorse economiche impiegate per l’acquisito asseritamente fittizio dei beni oggetto del reato, e l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato.
6.1. Infondate sono le censure che contestano l’utilizzabilità delle conversazioni intercettate, deducendo l’insussistenza di un rapporto di connessione tra il reato di cui all’art. 512bis cod. pen. e quello di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., posto a base dell’autorizzazione delle attività di captazione.
Si è rilevato in precedenza, in particolare nei §§ 2.1.4 e 2.3, che si è nell’ambito del ‘medesimo procedimento’ quando il reato per il quale si procede, sebbene non enunciato nel decreto di autorizzazione delle intercettazioni, si riferisce ad un fatto storico il cui ‘nucleo centrale’ coincide con -o è incluso in -quello posto a fondamento del precisato provvedimento.
Di conseguenza, anche per questo reato, pur non formalmente enunciato nel decreto di autorizzazione delle intercettazioni, l’autorizzazione ad effettuare le intercettazioni deve ritenersi disposta ab origine .
Ne discende, ulteriormente, che si resta sempre nell’ambito del medesimo procedimento anche quando si tratti di reati connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione ad effettuare le intercettazioni deve ritenersi disposta ab origine .
Questa conclusione costituisce infatti applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite, e già richiamato in precedenza al § 2.1.1, in forza del quale «il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni -salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza -non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge» (così Sez. U, n. 51 del 2020, COGNOME, cit., in motivazione, § 12).
E, nella specie, il delitto di trasferimento fraudolento di valori giudicato accertato dalla Corte d’appello risulta connesso ex art. 12 cod. proc. pen. a quello di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di esercizio abusivo di gioco o di scommessa. Il reato di cui all’art. 512bis cod. pen. in questione, infatti, ha avuto ad oggetto l’int estazione di due agenzie di scommesse, nelle quali il sodalizio criminale realizzava le sue attività illecite, ed è stato quindi funzionale al perseguimento del programma criminoso. Inoltre, il medesimo delitto, proprio per questo suo concreto atteggiarsi, è stato espressamente ritenuto dai Giudici di merito legato da un rapporto di continuazione con quello di cui all’art. 416 cod. pen., ossia esattamente un rapporto di connessione rilevante ex art. 12 cod. proc. pen.
6.2. Manifestamente infondate sono le censure che contestano la mancata indicazione di elementi da cui desumere la riconducibilità ad NOME COGNOME delle risorse economiche impiegate per l’acquisito dei beni oggetto del reato.
6.2.1. Secondo un principio ampiamente consolidato, il reato di trasferimento fraudolento di valori, essendo a forma libera, non necessita, per l’integrazione della tipicità, della formale partecipazione ad un atto negoziale, occorrendo, invece, un trasferimento, di fatto, di beni o di valori al fittizio intestatario (cfr., tra le tante, Sez. 5, n. 2640 del 23/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282770 -03, e Sez. 2, n. 15781 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263531 -01).
6.2.2. Nella specie, la sentenza impugnata indica specificamente, richiamando i risultati delle intercettazioni effettuate, perché deve ritenersi che COGNOME abbia gestito in proprio le due agenzie di cui alle imputazioni 3 e 4, dapprima intestandole a NOME COGNOME, moglie del sodale NOME COGNOME, dal 9 dicembre 2015 al 5 settembre 2018, e, poi, da questa data, trasferendole alla sua dipendente NOME COGNOME.
In particolare, la Corte d’appello rappresenta che, nel periodo in cui le due agenzie risultavano intestate a NOME COGNOME, NOME COGNOME si faceva carico della loro gestione, posto che il medesimo sosteneva direttamente anche il pagamento delle bollette dell’energia elettrica concernenti i locali (cita in proposito la conversazione n. 33 del 12 giugno 2018), e chiedeva, inoltre, di non essere mai nominato in relazione a tali agenzie (cita in proposito la conversazione n. 1392 del 3 agosto 2018).
La Corte d’appello, poi, segnala che NOME COGNOME, dopo la denuncia a carico di NOME COGNOME per il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, si è occupato attivamente di far traferire le due agenzie a NOME COGNOME, persona incensurata, impartendo tutte le direttive necessarie sia a NOME COGNOME sia a NOME COGNOME per la diversa intestazione dei contratti di affitto, per l’apertura di un nuovo conto corrente, e per la stipulazione degli atti notarili di
cessione di azienda, nonché per il pagamento delle relative spese e dei canoni di locazione (cita in proposito le conversazioni n. 1742 del 24 agosto 2018, n. 1776 del 27 agosto 2018, n. 1810 del 28 agosto 2018, n. 1890 del 3 settembre 2018, n. 2320 del 28 settembre 2018, n. 2409 del 4 ottobre 2018, n. 2418 del 4 ottobre 2018, n. 254 del 10 ottobre 2018, e n. 3311 del 5 novembre 2018).
Ancora, il Giudice di secondo grado evidenzia come NOME COGNOME fosse una semplice dipendente di NOME COGNOME, la quale eseguiva puntualmente tutte le disposizioni da questi impartite, chiamava il medesimo «capo», e lo informava anche dei costi più minuti da sostenere, ad esempio anche per 200,00 euro (cita in proposito le conversazioni n. 2203 del 20 agosto 2018 e n. 3312 del 5 novembre 2018).
Non va trascurato, infine, che la sentenza impugnata ha indicato quale fosse l’interesse di NOME COGNOME di non risultare ufficialmente come titolare delle due agenzie, specificando che detto imputati era stato sottoposto dal Tribunale di Caltanissetta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di tre anni in data 4 giugno 2014, ed era stato imputato in numerosi procedimenti anche per il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen.
6.2.3. Sulla base del principio richiamato e dei fatti indicati dalla Corte d’appello, deve ritenersi correttamente motivata l’affermazione secondo cui NOME COGNOME ha attribuito fittiziamente a terzi la titolarità delle agenzie di scommesse di cui ai capi di imputazione 3 e 4, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali.
Invero, risultano incensurabili, perché fondate su precisi elementi istruttori, valutati sulla base di accettabili massime di esperienza, le affermazioni concernenti: a) la piena disponibilità delle due agenzie di cui ai capi di imputazione 3 e 4 da parte di NOME COGNOME, avendo questi assunto tutte le iniziative relative alla gestione delle stesse, ed essendo direttamente coinvolto anche nelle spese più minute in ordine alle medesime; b) il ruolo di mero prestanome di NOME COGNOME e poi di NOME COGNOME in ordine alle due precisate agenzie; c) il personale intervento di NOME COGNOME nel disporre, e nel curare anche nei particolari, il trasferimento delle due agenzie dalla formale titolarità di NOME COGNOME alla formale titolarità di NOME COGNOME.
Ciò posto, le condotte di NOME COGNOME, così come appena indicate, integrano esattamente un trasferimento di fatto di beni o di valori al fittizio intestatario, ossia un comportamento idoneo a configurare il reato di cui all’art. 512bis cod. pen.
6.3. In parte fondate, invece, sono le censure che deducono l’estinzione per prescrizione del reato di trasferimento fraudolento di valori, come ritenuto dalla
sentenza impugnata, ossia attraverso l’unificazione delle condotte di intestazione fittizia del 5 settembre 2015 e del 5 settembre 2018.
6.3.1. Secondo numerose decisioni, il delitto di trasferimento fraudolento di valori, che ha natura di reato istantaneo con effetti permanenti, si consuma, qualora la condotta criminosa si articoli in una pluralità di attribuzioni fittizie, nel momento in cui viene realizzata l’ultima di esse (così, tra le tante, Sez. 2, n. 38053 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282129 -01, e Sez. 2, n. 39756 del 05/10/2011, COGNOME, Rv. 251192 -01).
Ad avviso del Collegio, però, il principio appena indicato trova un limite quando tra le diverse attribuzioni fittizie vi è una significativa cesura temporale, sì che le stesse non possono ritenersi unificate da un’unica risoluzione criminosa, e, quindi, non è possibile ritenere sussistente un’unic a condotta, integrante un unico reato.
In questa direzione, del resto risultano esprimersi altre decisioni, le quali hanno affermato che, in tema di trasferimento fraudolento di valori, costituiscono ulteriori ed autonome fattispecie dello stesso reato le successive e reiterate condotte di intestazione fittizia dei medesimi beni e compagini sociali al fine di coprire e mascherare la reale proprietà dei beni, come tali autonomamente punibili (cfr. Sez. 2, n. 11881 del 06/03/2018, Szalska, Rv. 272903 -01, e Sez. 6, n. 10024 del 11/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242754 -01). In particolare, sembra utile riportare quanto osservato da una di queste decisioni: « in base ad una nozione ampia di “attribuzione” deve ritenersi che sia la costituzione di nuove società, sia l’intestazione di titoli a nuovi soggetti, qualora siano rivolti a creare nuove situazioni fittizie e nuove realtà giuridiche apparenti, funzionali ad eludere le disposizioni di legge richiamate dall’art. 12 quinquies cit. creando ulteriori schermi per coprire e mascherare la reale proprietà dei beni, integrino un autonomo reato di trasferimento fraudolento di valori, a prescindere dalle precedenti intestazioni fittizie» (così Sez. 6, n. 10024 del 2009, cit.).
6.3.2. Sulla base del principio affermato dal Collegio, risulta censurabile l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui le condotte contestate nelle imputazioni 3 e 4 costituiscono un unico fatto, con conseguenze in tema di estinzione del reato per prescrizione.
In effetti, la distanza tra l’intestazione delle due agenzie a Melinda Gravino, avvenuta il 5 settembre 2015, ed il trasferimento delle stesse alla formale titolarità di NOME COGNOME, datato 5 settembre 2018, nonché la decisione di effettuare questo trasferimento dopo la denuncia a carico di Melinda COGNOME per il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse sono circostanze assolutamente significative. Dette evenienze, infatti, evidenziano una cesura temporale e ideologica tra la condotta di intestazione delle due agenzie a Melinda Gravino e la
condotta di trasferimento delle stesse da questa a NOME COGNOME che rende doveroso ritenere le stesse tra loro autonome e distinte.
Ne discende che, in relazione alla condotta di intestazione delle due agenzie a Melinda Gravino, descritta al capo 3, siccome avvenuta il 5 settembre 2015, risulta decorso il termine necessario a prescrivere il reato, con conseguente necessità di pronunciare, con riguardo alla stessa, sentenza di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Nessun problema di prescrizione, invece, si pone per la condotta di trasferimento delle due agenzie da NOME COGNOME a NOME COGNOME, descritta al capo 4, in quanto commessa il 5 settembre 2018.
6.3.3. La dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato di cui al capo 3 impone di eliminare la sanzione per lo stesso irrogata, ed apportata a titolo di aumento per la continuazione rispetto al delitto di cui all’art. 416 cod. pen., ritenuto reato più grave.
Detta sanzione può essere individuata dal Collegio, a norma dell’art. 622, comma 1, lett. l) , cod. proc. pen., ed è quantificabile, in considerazione dei fatti indicati nella sentenza impugnata, in due mesi e quindici giorni di reclusione.
Di conseguenza, la pena finale nei confronti di NOME COGNOME fissata dalla Corte d’appello in quattro anni e quattro mesi di reclusione, deve essere rideterminata in quattro anni, un mese e quindici giorni di reclusione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione all’imputato COGNOME NOME limitatamente al capo 3, perché estinto per prescrizione ed elimina il relativo aumento di pena di mesi due e giorni quindici di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME NOME. Rigetta i ricorsi di NOMECOGNOME Salvatore, COGNOME NOMECOGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME e COGNOME Salvatore, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/04/2024