Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10501 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10501 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli Nord nei confronti di: COGNOME nato a Teverola il 1°/5/1959; COGNOME NOMECOGNOME nato ad Aversa il 20/9/1958; COGNOME NOMECOGNOME nato a Teverola il 15/10/1973; COGNOME NOME, nato a Caserta il 9/11/1982;
COGNOME NOMECOGNOME nato ad Aversa il 20/9/1958
avverso l’ordinanza del 29/11/2024 del Tribunale di Napoli
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi; uditi l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME e gli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso della Parte pubblica;
udito l’Avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha chiesto di accogliere il ricorso del suo assistito e di dichiarare l’inammissibilità del ricorso della Parte pubblica.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord, con ordinanza emessa il 5 novembre 2024, ha applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari: a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione al reato di concorso in corruzione propria di cui al capo 1); a NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato di corruzione impropria di cui al capo 3); a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di corruzione propria di cui al capo 4) e, infine, a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato di corruzione propria di cui al capo 5).
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli, in accoglimento della richiesta di riesame proposta dagli anzidetti indagati, ha confermato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati loro ascritti ai capi 3) e 4), riqualificato quest’ultimo nell’ipotesi di cui all’art. 318 cod. pen.; ha annullat l’ordinanza impugnata relativamente ai capi 1) e 5) per gli indagati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME nonché NOME COGNOME ordinando la liberazione di quest’ultimo, se non detenuto o in custodia per altra causa.
Avverso l’ordinanza del Tribunale hanno proposto ricorso per cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli Nord e il difensore di NOME COGNOME
Il Pubblico Ministero ha dedotto l’inosservanza degli artt. 266 e 270 cod. proc. pen., in quanto il Tribunale avrebbe illegittimamente dichiarato inutilizzabili le intercettazioni eseguite nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Premesso che il presente procedimento trae origine da una più ampia attività investigativa, svolta dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Napoli nel procedimento n. 11733/19 R.G.N.R., dal quale il 15 giugno 2022 è stato stralciato il procedimento n. 16927/22 R.G.N.R., con iscrizione degli indagati per i reati di cui agli artt. 319, 321 cod. pen. e trasmissione degli atti alla Procura della
Repubblica di Napoli Nord per competenza territoriale, il ricorrente ha affermato che la valutazione, compiuta dal Tribunale, di inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto disposte nell’ambito di un altro procedimento, sarebbe errata, dovendosi condividere quella del Giudice per le indagini preliminari, approdato ad opposta conclusione. Il Pubblico Ministero ricorrente ha rilevato, inoltre, che le esigenze cautelari sarebbero sussistenti, in qaunto, come indicato nella nota dei carabinieri del 29 maggio 2023, gli indagati, all’esito delle recenti consultazioni amministrative, avevano collocato esponenti politici e amministrativi a loro vicini nelle cariche di rilievo del Comune di Teverola, al fine di continuare a gestire i loro interessi privatistici
5. Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto i motivi di seguito indicati. 5.1. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di cui all’art. 318 cod. pen. Il Tribunale ha valorizzato una telefonata intercorsa tra il ricorrente e la sua compagna NOME COGNOME, senza considerare che, quale soggetto destinatario dei soldi, gli interlocutori si erano riferiti al fratell COGNOME, che si chiama NOME, sicché l’uso del diminutivo NOME–NOME sarebbe certamente pertinente. L’ordinanza impugnata non avrebbe poi spiegato la ragione per cui il ricorrente avrebbe dovuto riferire alla compagna circostanze relative a NOME COGNOME responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Teverola, alle quali la stessa era estranea, così che sarebbe evidente che il dialogo concerneva conti familiari o personali e nulla avrebbe a che vedere con l’oggetto della riunione, a cui avevano partecipato anche il ricorrente e COGNOME. Il Tribunale non avrebbe individuato, se non in termini meramente ipotetici, l’oggetto dell’accordo illecito, qualificato ex art. 318 cod. pen., e non avrebbe spiegato quando e in che modo sarebbe avvenuta la dazione di denaro in favore di NOME COGNOME Non sarebbe stato, quindi, spiegato in alcun modo il sinallagma illecito, che avrebbe caratterizzato la nomina del responsabile dell’ufficio tecnico e, comunque, la gestione del medesimo ufficio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.2. Violazione di legge con riguardo alla misura cautelare applicata, non essendo stati considerati il tempo decorso dai fatti, l’incensuratezza dell’indagato, la cessazione da ogni incarico di direttore dei lavori e il sostanziale smantellamento del presunto sistema o gruppo di potere, ipotizzato dall’accusa, per effetto dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, sicché allo stato non vi sarebbe il pericolo della reiterazione delle condotte oggetto del procedimento. Peraltro, in una nota dei carabinieri di Aversa, nella quale sono evidenziate intercettazioni, che comproverebbero una presunta perdurante ingerenza illecita nella gestione dell’ufficio pubblico, non vi sarebbero elementi riguardanti, sia
pure indirettamente il ricorrente, il cui unico profilo di responsabilità sarebbe correlato a una sola vicenda, non espressiva di proclività a delinquere.
Il 20 febbraio 2025 è pervenuta memoria dell’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.
All’udienza del 25 febbraio 2025 l’Avv. NOME COGNOME ha depositato rinuncia al ricorso, formultata da NOME COGNOME e l’ordinanza di sostituzione della misura cautelare applicata a tale ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi proposti sono inammissibili.
Prendendo le mosse dall’impugnazione della Parte pubblica, concernente la valutazione effettuata dal Tribunale di Napoli in ordine all’inutilizzabilità dell intercettazioni disposte in altro procedimento e ritenute decisive al fine della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza degli indagati in ordine al reato di cui al capo 1) dell’imputazione provvisoria, va ricordato che il divieto di cui all’art 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto i flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395 – 01).
La ratio della disposizione è stata individuata dalle Sezioni Unite nella protezione degli interessi in gioco, essendosi rimarcato che «consentire, in caso di commissione dei reati o di emersione del nuovo reato nel procedimento ab origine iscritto, l’utilizzazione probatoria dell’intercettazione in relazione a reat che non rientrano nei limiti di ammissibilità fissati dalla legge si tradurrebbe… nel surrettizio, inevitabile aggiramento di tali limiti, con grave pregiudizio per gl interessi sostanziali tutelati dall’art. 266 cod. proc. pen., che intende porre un limite all’interferenza nella libertà e segretezza delle comunicazioni in conformità all’art. 15 della Costituzione» (Sez. U, n. 51 del 2019 cit.).
2.1. Nel caso in esame, premesso che il “fascicolo madre”, iscritto nei confronti di NOME COGNOME ed altri, aveva ad oggetto i reati di cui agli artt.
416-bis, 416 ter, 452 quaterdecies cod. pen., in relazione alla riorganizzazione del clan dei Casalesi nelle zone di Lusciano e Teverola, il Tribunale di Napoli ha rilevato che il presente procedimento, pur promanando da una medesima originaria indagine, ha ad oggetto non già i reati commessi dall’associazione camorristica per influenzare, anche tramite il voto di scambio, l’attività del Comune di Teverola, ma ipotesi di corruzione, «avulse da contesti di criminalità organizzata» e volte a realizzare interessi degli indagati. I decreti autorizzativi riguardavano, però, non condotte corruttive, ma il reato associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. e, secondo il disposto dell’art. 270 cod. proc. pen. anteriore alla c.d. riforma Orlando, applicabile ratione temporis, il procedimento n. 16927/22 R.G.N.R. è diverso dal procedimento n. 11733/19 R.G.N.R. (iscritto in data anteriore al 31 agosto 2020) ed è relativo a reati per i quali non è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, con la conseguenza che le intercettazioni eseguite dovevano ritenersi inutilizzabili.
Il Tribunale del riesame ha, inoltre, rilevato che analoga decisione è stata adottata da questa Sezione nella sentenza n. 4114 dell’11/11/2024, che ha dichiarato inutilizzabili le intercettazioni disposte nel procedimento penale n. 11733/19 R.G.N.R. con riferimento agli episodi di corruzione ascritti a NOME COGNOME per gli appalti del RAGIONE_SOCIALE (C.I.R.A.).
2.2. Siffatte argomentazioni sono esenti da censure, avendo il Collegio della cautela correttamente valutato l’insussistenza degli elementi normativamente richiesti al fine dell’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni disposte in procedimento.
I due procedimenti in questione, infatti, pur promanando da una medesima originaria indagine, sono diversi, in quanto proprio dalle intercettazioni il Pubblico ministero aveva desunto fatti, costituenti reato, ulteriori e diversi da quelli per i quali stava procedendo, tanto da avere provveduto ex art. 335 cod. proc. pen. a nuova e autonoma iscrizione nel registro delle notizie di reato degli indagati e alla formazione di un nuovo fascicolo, previo stralcio. In particolare, il presente procedimento ha ad oggetto ipotesi di corruzione, «avulse da contesti di criminalità organizzata» e tese a realizzare interessi personali degli indagati, mentre il “fascicolo madre”, iscritto nei confronti di NOME COGNOME ed altri, aveva ad oggetto reati commessi da un’associazione camorristica.
Posto, poi, che si applica la disciplina del previgente art. 270 cod. proc. pen., il Tribunale ha anche escluso che si trattasse di reati per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e che tra i fatti, contestati nel procedimento originario e quelli del presente procedimento, vi fosse connessione.
A tal riguardo va ricordato che questa Corte ha già affermato che la connessione ex art. 12 cod. proc. pen. «riguarda i procedimenti tra i quali esiste una relazione in virtù della quale la regiudicanda, oggetto di ciascuno, viene, anche in parte, a coincidere con quella oggetto degli altri: si tratta di ipotesi che il nuovo codice di rito pone a base di un criterio attributivo della competenza autonomo e originario» (ex plurimis, Sez. U, n. 27343 del 28/02/2013, Taricco, Rv. 255345 – 01).
Secondo le Sezioni Unite, «il carattere originario della connessione ex art. 12 cod. proc. pen. rende ragione del rilievo dottrinale secondo cui essa è un riflesso della connessione sostanziale dei reati: con specifico riferimento al caso di connessione di cui alla lett. c) dell’art. 12 cit., in particolare, si è rilevato c esso si fondi su un «legame oggettivo tra due o più reati» (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, COGNOME, Rv. 271223 – 01); un legame, dunque, indipendente dalla vicenda procedimentale. Analoga connessione sostanziale – prima ancora che processuale – sussiste in presenza, oltre che di un concorso formale di reati, di un reato continuato (lett. b), in considerazione del requisito del medesimo disegno criminoso, per la cui integrazione è necessario «che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01).
In caso di imputazioni connesse ex 12 cod. proc. pen., dunque, il procedimento relativo al reato per il quale l’autorizzazione è stata espressamente concessa non può considerarsi “diverso” rispetto a quello relativo al reato accertato in forza dei risultati dell’intercettazione. La parziale coincidenza della regiudicanda oggetto dei procedimenti connessi e, dunque, il legame sostanziale – e non meramente processuale – tra i diversi fatti-reato consente di ricondurre ai «fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede» (Corte cost., sent. n. 366 del 1991), di cui al provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione, anche quelli oggetto delle imputazioni connesse, accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione: il legame sostanziale tra essi, infatti, esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di una “autorizzazione in bianco”. Soluzione, questa, che, d’altra parte, attiene alle ipotesi in cui, rispetto al fatto-reato per cui sono state autorizzate le intercettazioni, emergano fatti reato diversi.
Nel caso in esame, invece, come sottolineato dal Tribunale, i reati di corruzione, ascritti agli indagati, non possono ritenersi connessi a quelli dell’originario procedimento, atteso che rispondevano a una progettualità personale degli stessi ed erano avulsi da contesti di criminalità organizzata, mentre gli altri reati concernevano il clan dei Casalesi che, ritenuto in fase di
riorganizzazione, GLYPH mirava GLYPH ad GLYPH infiltrarsi GLYPH nelle attività GLYPH imprenditoriali GLYPH ed amministrative dei Grnuni della zona.
A fronte delle corrette argomentazioni del Tribunale il Pubblico ministero ricorrente si è limitato a riprodurre un ampio stralcio dell’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari, il quale, dopo avere diffusamente ricostruito la disciplina applicabile ratione temporis e le vicende che avevano caratterizzato lo sviluppo del presente procedimento, aveva affermato che «non si è trattato di fatti di reato diversi, ma di un’unica vicenda oggetto delle autorizzazioni intercettive»… come tale idonea a individuare un unico disegno criminoso»; in altro passo, il Giudice aveva rilevato che «non si è trattato in definitiva di un nesso solo occasionale, ma di una variabile costante che ha attraversato sia il procedimento a quo che quello ad quem».
Va rilevato, però, che il Giudice per le indagini preliminari non aveva chiarito le ragioni per le quali dovrebbe essere ritenuta sussistente la connessione tra il reato di corruzione, per ‘klqual,,,si procede, e quelli di criminalità organizzata, per i quali sono state disposte le intercettazioni.
In definitiva, a fronte di un apprezzamento corretto e privo di vizi logicogiuridici, deve rilevarsi che il ricorrente non si è confrontato con la trama motivazionale dell’ordinanza impugnata, a cui, invece, ha sostanzialmente contrapposto una valutazione alternativa: vaglio delibativo che, però, non è consentito svolgere nel giudizio di legittimità.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, stante la rinuncia presentata, con cui si è evidenziata la carenza di interesse in ragione della sostituzione, intervenuta il 21 febbraio scorso, della misura cautelare detentiva, applicata al ricorrente, con quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Da ultimo, va ribadito, in linea con quanto già affermato da questa Corte, che, GLYPH in GLYPH tema GLYPH di GLYPH ricorso GLYPH per GLYPH cassazione, GLYPH qualora GLYPH il ricorrente rinunci all’impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse derivante da causa a lui non imputabile, la declaratoria di inammissibilità non comporta la condanna al pagamento delle spese processuali, né al versamento di una somma in favore della Cassa per le ammende, in quanto il sopraggiunto venir meno del suo interesse alla decisione non configura un’ipotesi di soccombenza (Sez. 1, n. 15908 del 22/02/2024, COGNOME, Rv. 286244 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del P.M. Dichiara altresì inammissibile il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME
Così deciso il 25 febbraio 2025.