Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 42845 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 42845 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Corigliano Calabro il DATA_NASCITA,
COGNOME NOME, nato a Corigliano Calabro il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 09/01/2024 della Corte di appello di Napoli, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME;
sentito il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; sentiti i difensori:
AVV_NOTAIO COGNOME e NOME COGNOME, per COGNOME NOME ed il primo anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in esito a giudizio abbreviato ed in sede di rinvio della Corte di cassazione, disposto con sentenza del 13 dicembre 2022, parzialmente riformando la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Salerno, emessa il 9 febbraio 2021, ha confermato la responsabilità dei ricorrenti per i reati di corruzione in atti giudiziari, turbata li degli incanti e rivelazione di segreto d’ufficio (capo 1, 2 e 3 della imputazione).
Secondo le contestazioni, il COGNOME, quale pubblico ufficiale delegato alla vendita all’asta di un locale commerciale, aveva concordato con COGNOME, interessato all’acquisto dell’immobile tramite suoi familiari, di ricevere la somma di euro 1500,00 al fine di distogliere eventuali offerenti, tra i quali COGNOME NOME attivatosi per la partecipazione all’asta, comunicandone allo COGNOME le generalità ed altre notizie coperte da segreto, alterando l’andamento della gara conclusasi con l’aggiudicazione dell’immobile in favore dei familiari dello COGNOME.
La Corte di appello ha basato il proprio convincimento sulla base del contenuto di diverse intercettazioni ritenute utilizzabili.
Ricorrono per cassazione gli imputati, con distinti atti.
COGNOME NOME.
3.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte dichiarato inutilizzabili le intercettazioni sulla base delle qua ha affermato la responsabilità del ricorrente, secondo quanto le era stato imposto dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio.
In particolare, la Corte di appello non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, evocati in ricorso, in tema connessione teleologica e continuazione tra i reati contestati nel presente processo e quelli, afferenti a diverso procedimento, rispetto ai quali le intercettazioni eran state autorizzate, consistenti nella contestazione del reato di associazione per delinquere finalizzato alla turbativa d’asta, sodalizio al quale l’imputato non aveva preso parte.
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge per non avere la Corte di appello, eludendo l’accertamento demandatole dalla sentenza rescindente di legittimità, dichiarato inutilizzabili le conversazioni inerenti al reato di cui al 326, comma 1, cod.pen., acquisite non quali corpo del reato ma come “atti e verbali di intercettazione”, in spregio dei limiti di acquisizione fissati dall’art.
cod. proc. pen., che non ne avrebbero consentito l’acquisizione in relazione al reato in discorso, punito con pena inferiore ai cinque anni.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente.
La Corte, per giungere ad affermare la sussistenza di un patto corruttivo tra gli imputati, ha valorizzato il contenuto della conversazione tra costoro intervenuta 1’8 novembre 2018, tuttavia travisandone i contenuti, dal momento che in quel dialogo l’imputato avrebbe esortato COGNOME a partecipare all’asta, contrariamente all’asserito accordo illecito, come dimostrato anche dai successivi messaggi whatsapp del 4 dicembre 2018 scambiati dagli imputati.
La Corte avrebbe reso motivazione illogica e contraddittoria allorquando ha negato attendibilità alla deposizione di NOME COGNOME, moglie del ricorrente, che il ricorso trasfonde nelle parti di interesse al fine di dimostrare che la donna aveva assistito ad una conversazione tra il marito ed il coimputato nella quale il primo esortava il secondo a partecipare alla gara, in contrasto con il tenore del patto corruttivo ipotizzato.
Non sarebbe stato neanche considerato il tenore della testimonianza di COGNOME NOME, il quale aveva negato di aver ricevuto pressioni o indicazioni particolari da parte dell’imputato al fine di non presentare la propria offerta all’asta.
3.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la sentenza ritenuto di confermare la statuizione di primo grado anche in relazione alla contestazione di cui al capo 3 (art. 326, comma 3, cod.pen.), nonostante la stessa fosse stata derubricata in quella di cui all’art. 326, comma 1, cod.pen. dalla precedente sentenza di appello annullata con rinvio dalla Corte di cassazione, sul punto passata in giudicato.
La Corte di appello non avrebbe adottato alcuna statuizione in ordine alla richiesta di assoluzione del ricorrente dal predetto reato.
3.5. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce vizio della motivazione quanto alla affermazione che il ricorrente poteva avere accesso ad informazioni che gli consentivano di accertare, anche attraverso il deposito delle offerte, se vi erano soggetti interessati all’asta.
3.6. Con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e con riguardo alla determinazione della pena, non avendo la Corte valorizzato i dati a favore dell’imputato.
Si dà atto che nell’interesse del ricorrente sono stati depositati motivi nuovi con distinti atti, sia da parte dell’AVV_NOTAIO che da parte dell’AVV_NOTAIO, attraverso i quali, nel complesso, si insiste su tutti i motivi del ricorso principal
COGNOME NOME.
4.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta utilizzabilità di conversazioni captate a mezzo dell’uso del cosiddetto Trojan e, più in generale, con riguardo alle risposte, che si assumono essere elusive, fornite dalla Corte di appello rispetto a quanto demandatole dalla sentenza rescindente della Corte di cassazione.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione di legge per avere la Corte irritualmente acquisito atti al fascicolo processuale, su richiesta del AVV_NOTAIO generale.
4.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio ed all’aumento per continuazione applicato dalla Corte di appello rispetto a reati già giudicati, ritenut eccessivo senza ragioni a sostegno.
4.4. Con il quarto motivo ci si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME NOME è fondato solo in relazione a quanto parzialmente dedotto con il quarto motivo di ricorso, questione la cui soluzione, come si dirà, si estende al ricorrente COGNOME, il cui ricorso è inammissibile perché proposto per motivi generici e, comunque, manifestamente infondati, al pari degli altri motivi proposti nell’interesse di COGNOME NOME.
COGNOME NOME.
1.1. Quanto al primo motivo di ricorso, il ricorrente non si confronta con l’ampia motivazione offerta dalla Corte di appello ai fgg. 18-22 della sentenza impugnata, laddove, attraverso una lettura degli atti non rivedibile in questa sede, ha messo in luce – esattamente nei termini che le erano stati imposti dalla sentenza di annullamento con rinvio – come le intercettazioni utilizzate ai fini della decisione fossero state autorizzate nell’ambito di una più vasta indagine, della quale quella per cui si procede rappresenta una costola, inizialmente avviata per frode
processuale e turbativa d’asta a carico del ricorrente COGNOME NOME. Basta leggere i seguenti passaggi della sentenza impugnata per avere contezza dell’esistenza di una connessione ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b e c, cod. proc. pen. (sia per la medesimezza del disegno criminoso che per il nesso teleologico), tra gli odierni addebiti e quelli contestati nell’altro procediment conclusosi con sentenza irrevocabile del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari, confermata in appello, che ha condannato il coimputato
COGNOME per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta
e per un nugolo di reati fine di quel genere (ben settanta), maturati nel medesimo contesto spazio-temporale inerente alle contestazioni all’odierno esame.
Fg. 19 della sentenza impugnata: “Dalle operazioni di intercettazione telefonica emergeva che COGNOME coordinava una rete di professionisti dedita non solo alla ricerca di potenziali partecipanti alle aste immobiliari, curandone le relativ pratiche per la presentazione delle offerte, ma anche al raggiungimento di intese collusive con i concorrenti che venivano raggiuti grazie a notizie coperte da segreto d’ufficio di cui il gruppo disponeva. L’emersione di una vera e propria organizzazione finalizzata alla turbativa d’asta… Nel corso delle intercettazioni t presenti emergevano numerosi episodi di avvicinamento di professionisti delegati alle vendite oltre che di cancellieri addetti alle procedure esecutive da parte del sodalizio capeggiato da COGNOME…In taluni casi emergeva che il sodalizio comprava il favore del delegato alla vendita, dando luogo così ad episodi di corruzione in atti giudiziari”.
La prospettiva difensiva secondo la quale la vicenda di odierno interesse processuale sarebbe stata sganciata da tale contesto, è del tutto pretestuosa, dal momento che i fatti coinvolgono direttamente i protagonisti di tutto il contesto illecito e, primo fra tutti, lo COGNOME – ritenuto a capo del gruppo criminos finalizzato proprio a commettere reati di turbativa d’asta resi possibili anche attraverso la rivelazione di segreti di ufficio, con annesse corruzioni dei pubblic ufficiali addetti alla vendita – soggetto interessato all’acquisto dell’immobile di c in questa sede si discute essendosi già aggiudicato due lotti in altro precedente incanto.
Nel che, la dimostrazione del fatto che la Corte di appello ha rispettato i parametri segnati dalla giurisprudenza di legittimità nella nota sentenza delle SS.UU., n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, secondo la quale, in tema di intercettazioni, il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esit relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quel relazione ai quali l’autorizzazione era stata “ab origine” disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen..
Peraltro, nel caso in esame, seguendo gli avvertimenti contenuti nella motivazione della sentenza citata, si è al cospetto del medesimo procedimento, formalmente scissosi soltanto perché al ricorrente, quale giudice onorario del Tribunale di Crotone, sono state applicate le norme sulla competenza funzionale dei magistrati di cui all’art. 11 cod. proc. pen..
“In caso di imputazioni connesse ex 12 cod. proc. pen., il procedimento relativo al reato per il quale l’autorizzazione è stata espressamente concessa non può considerarsi “diverso” rispetto a quello relativo al reato accertato in forza dei risultati dell’intercettazione. La parziale coincidenza della regiudicanda oggetto dei procedimenti connessi e, dunque, il legame sostanziale – e non meramente processuale – tra i diversi fatti-reato consente di ricondurre ai «fatti costituen reato per i quali in concreto si procede» (Corte cost., sent. n. 366 del 1991), di cui al provvedimento autorizzativo dell’intercettazione, anche quelli oggetto delle imputazioni connesse accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione: il legame sostanziale tra essi, infatti, esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di un'”autorizzazione in bianco” (SS.UU. citata, fg. 24).
Tanto dimostra la manifesta infondatezza delle censure difensive.
1.2. Del pari, quanto al secondo motivo, la Corte ha correttamente evidenziato, approfondendo il tema devolutole dalla sentenza rescindente, che il ricorrente ha scelto di definire il procedimento con il rito abbreviato, circostanza, in primo luogo, idonea ad escludere l’esistenza di un fascicolo per il dibattimento, da formare ai sensi dell’art. 431 cod. proc. pen., separato da quello delle indagini, tanto è vero che, ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen., la decisione del giudice del rit abbreviato avviene utilizzando “gli atti contenuti nel fascicolo di cui all’art. 41 comma 2, cod. proc. pen.”.
Ed è per questo che, in ogni caso ed in secondo luogo, le modalità di acquisizione delle conversazioni inerenti al delitto di cui all’art. 326 cod. proc. pen. come corpo del reato – secondo quanto la stessa Corte di cassazione rilevava a fg. 13 della sua sentenza rescindente – ovvero come normali intercettazioni verbalizzate, non configurerebbero una inutilizzabilità di tipo patologico idonea a sopravvivere alla scelta del rito sulla base degli atti, secondo quanto previsto dall’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen..
1.3. Sono manifestamente infondati anche il terzo ed il quinto motivo di ricorso, con i quali si censura il giudizio di responsabilità del ricorrente.
Deve rilevarsi che l’imputato è stato condannato nei due gradi di merito con conforme decisione.
La pacifica giurisprudenza di legittimità, ritiene che, in tal caso, le motivazioni dell sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità
(Cass. pen., sez. 2^, n. 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, COGNOME ed altri, rv. 197250; sez. 3^, n. 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, NOME, rv. 252615).
Si osserva, ancora, che la doppia conformità della decisione di condanna dell’imputato, ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità cassazione del vizio di travisamento della prova lamentato dal ricorrente.
E’ pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio può esse dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute n motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, COGNOME; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013, COGNOME).
Nel caso in esame, l’ampia ricostruzione della Corte di appello in ordine ai profili di merito della vicenda, ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato, è esente da vizi logico-ricostruttivi, che avrebbero dovuto avere, come si è anticipato, carattere macroscopico.
Per di più, al giudizio di condanna la Corte è pervenuta interpretando a fondo il significato di diverse intercettazioni e di messaggi intercorsi tra i ricorren attraverso una operazione coordinata e lineare.
E’ noto che secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, cui anche il Collegio aderisce, in materia di intercettazioni l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez.6 n.11794 del 11/02/2013, COGNOME, Rv. 254439).
In particolare, è stato evidenziato il contenuto della conversazione dell’8 novembre 2018, che faceva emergere un patto corruttivo tra COGNOME – come si è visto a capo di una organizzazione criminosa a ciò finalizzata – ed il ricorrente, avente ad oggetto proprio l’ottenimento di una somma di danaro da parte del COGNOME quale compenso per la sua attività di turbativa d’asta, raggiunta, in combutta con il correo, anche attraverso la rivelazione di segreti di ufficio.
Simbolica, in questo senso, la rassicurazione espressa dallo COGNOME al ricorrente circa il fatto che egli non avrebbe subito alcuna perdita nel suo onorario dal fatto
di adoperarsi affinchè la prima asta andasse deserta e la seconda partisse da una base più bassa alla quale era collegato il compenso del delegato alla vendita (fgg. 28 e 29 della sentenza impugnata).
Altrettanto decisiva per il reato di turbativa d’asta, l’affermazione del ricorrent inerente alla necessità di cercare di “frenare a tutti i costi” eventuali ter interessati alla partecipazione all’incanto, con tutta la certosina ricostruzione cronologica operata in sentenza dei contatti tra gli imputati finalizzati alla riusci del piano criminoso e ad eventuali contromisure da prendere nel caso in cui qualche estraneo avesse comunque presentato una offerta.
La Corte si è anche presa carico di confutare – nel merito – la rilevanza degli elementi a discarico, come la testimonianza della moglie del ricorrente, COGNOME NOME (cfr. fgg. 34 e 35 della sentenza impugnata), rilevandone le contraddittorietà rispetto al tenore delle conversazioni e approfondendo in modo minore il contenuto della deposizione del teste COGNOME in quanto incompatibile con le intercettazioni evidenziate a fg. 36 della sentenza, illustrative del fatto che ricorrente aveva veicolato allo COGNOME notizie riservate coperte da segreto di ufficio inerenti ai suoi contatti professionali con il teste COGNOME, interessato all’as Tutte le diverse e ulteriori argomentazioni difensive – anche per quanto relativo al contenuto dei motivi nuovi – devono intendersi relegate al merito del giudizio e restano assorbite dalle corrette e logiche valutazioni offerte dalla sentenza impugnata.
1.4. Il quarto motivo di ricorso è parzialmente fondato.
1.4.1. Non è fondato nella parte in cui si sostiene, ad onta di quanto affermato dalla Corte di appello ai fgg. 35 e 36 della sentenza impugnata e nei termini che si sono già in precedenza evidenziati, che non sarebbe presente alcuna motivazione circa la sussistenza del reato di cui all’art. 326 cod.pen..
1.4.2. In ordine alla restante censura, deve osservarsi quanto segue.
Al capo 3 della imputazione era stato contestato ad entrambi i ricorrenti il reato di cui all’art. 326, comma 3, cod.pen. di indebita utilizzazione di segreti di ufficio.
Per tale reato essi erano stati condannati nel primo grado del giudizio.
Con la prima sentenza di secondo grado, emessa dalla Corte di appello di Salerno il 17 gennaio 2022 e poi annullata con rinvio della Corte di cassazione, tale reato era stato riqualificato ai sensi della fattispecie meno grave di cui all’art. 32 comma 1, cod.pen., quale rivelazione di segreti di ufficio.
Di tanto, la sentenza oggi impugnata ha mostrato di avere contezza, dandone indicazione a fg. 15.
Tale statuizione di secondo grado, in assenza di impugnazione della parte pubblica, deve ritenersi non pregiudicata dall’annullamento della Corte di cassazione; infatti,
nel giudizio di rinvio, è stata nuovamente affermata la responsabilità dei ricorrenti per il reato di cui all’art. 326, comma 1, cod. proc. pen..
Tuttavia, nel dispositivo della sentenza impugnata la Corte territoriale si è limitata a confermare la sentenza di primo grado, senza tenere conto della differente qualificazione giuridica intervenuta in relazione al capo 3.
Il ricorrente COGNOME ha, pertanto, ragione nel sollevare la questione, alla quale egli, sebbene non precipuamente delineato in ricorso, ha interesse non soltanto formale ma sostanziale, in quanto con la sentenza di appello poi annullata in sede di legittimità, si era proceduto ad una riduzione dell’aumento di pena in continuazione per il reato di cui al capo 3 da mesi due a mesi uno di reclusione, poi ridotti per il rito a giorni venti di reclusione, proprio in forza riqualificazione del fatto in una fattispecie meno grave (cfr. il calcolo de la pena di cui a fg. 21 della sentenza della Corte di appello di Salerno oggetto di annullamento con rinvio).
Ne consegue che, non essendo necessari ulteriori approfondimenti di merito ed anche in considerazione della mancanza in ricorso di motivi specifici sull’entità degli aumenti in continuazione, deve, in questa sede, essere eliminato il segmento di pena in continuazione per il reato di cui al capo 3, come riqualificato ai sensi del comma 1 della norma, pari a giorni venti di reclusione, già considerata la riduzione per il rito.
Tale statuizione, investendo la qualificazione giuridica del reato contestato ad entrambi i ricorrenti, ha effetto estensivo nei confronti di COGNOME NOME, che in forza della favorevole riqualificazione, aveva ottenuto, con la sentenza oggetto di annullamento con rinvio, una diminuzione della pena che deve essere tenuta in considerazione e rideterminata in anni quattro e mesi quattro di reclusione, anziché in anni quattro e mesi sei di reclusione.
1.5. E’ manifestamente infondato l’ultimo motivo di ricorso.
L’esclusione delle circostanze attenuanti generiche è stata motivata dalla Corte tenuto conto della gravità dei fatti e del ruolo del ricorrente.
La motivazione della Corte di Appello sul punto (fg. 38 della sentenza impugnata), è ampiamente esauriente, essendosi fatto espresso riferimento ad alcuni parametri di cui all’art. 133 cod. pen., dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 13 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del
15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, COGNOME, rv. 204768).
Il ricorrente, inoltre, non ha motivo di dolersi della determinazione della pena base per il più grave reato di cui all’art. 319-ter cod.pen., essendo al minimo edittale di anni sei di reclusione.
2. COGNOME NOME.
2.1. Quanto al primo motivo, si deve rilevare l’assenza di ogni confronto tra quanto contenuto in ricorso e la motivazione adottata dalla Corte di appello a giustificazione della utilizzabilità delle intercettazioni sulla base delle quali è st affermata la responsabilità del ricorrente, rispondendo a tutte le sollecitazioni rivenienti dalla sentenza rescindente di legittimità (cfr. fgg. 18-28 della sentenza impugnata).
Il ricorso non supera la prova di resistenza, poiché risulta aspecifico nella indicazione delle singole conversazioni in ipotesi ritenute inutilizzabili al contrari di altre.
In tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416). Inoltre, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione s lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 – dep. 23/01/2015, COGNOME, Rv. 262011).
2.2. Altrettanto generico è il secondo motivo di ricorso, dal momento che non vengono adeguatamente indicati gli atti irritualmente acquisiti dalla Corte di appello e la loro rilevanza per la decisione al cospetto delle altre prove.
4.3. In ordine ai restanti motivi, l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche è stata motivata dalla Corte tenuto conto della gravità dei fatti e del ruolo primario del ricorrente in un ampio sistema di corruzione, dimostrativo della sua spiccata capacità a delinquere.
La motivazione della Corte di Appello sul punto (fg. 38 della sentenza impugnata), è ampiamente esauriente e conforme al diritto per le ragioni espresse al punto 1.5. con riferimento al coimputato COGNOME, cui si rinvia.
Anche il ricorrente, inoltre, come il COGNOME, non ha motivo di dolersi della determinazione della pena base per il più grave reato di cui all’art. 319-ter cod.pen., essendo al minimo edittale di anni sei di reclusione.
La Corte territoriale ha anche giustificato adeguatamente l’aumento di pena in continuazione, rientrante ampiamente nei limiti di legge, richiamando di nuovo la gravità dei fatti e la personalità dell’imputato.
Secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, ai fini della determinazione della pena, il giudice – così come si è verificato nel caso in esame – può tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine ad influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del bis in idem” (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, P.G., Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep.2014, COGNOME, Rv. 258011).
1.6. Si richiama, infine e per il resto, quanto già evidenziato a proposito del COGNOME al paragrafo 1.4.2. delle presenti considerazioni in diritto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio inerente al reato di cui al capo 3, già qualificato come violazione dell’art. 326, comma 1, cod.pen. e per l’effetto estensivo nei confronti di COGNOME NOME, determinando così la pena finale per COGNOME in anni quattro e mesi due di reclusione e per COGNOME in anni quattro e mesi quattro di reclusione.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 17.10.2024.
GLYPH
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME GLYPH
NOME