Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15998 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15998 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/02/2025
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SENTENZA
Oggi sul ricorso proposto da:
NOME nato a CELLINO SAN MARCO il 29/06/1968
avverso l’ordinanza del 11/10/2024 del TRIBUNALE di LECCE
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28 APR. 2025
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e dell’avv.to NOME COGNOME difensore di COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata il 16/9/2024, il GIP del Tribunale di Lecce ha disposto nei confronti di COGNOME Antonio l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di cui agli artt. 74 d.P.R. 309/90 e 41 bis.1 cod. pen. (capo b) e 81, 110 cod. pen. e 73 d.P.R. 309/90 commi 1 e lbis (capo b10).
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Lecce ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di COGNOME condannando il medesimo al pagamento delle spese.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, che con il primo motivo denuncia la violazione di legge sostanziale e processuale “stabilita anche a pena di inutilizzabilità” e il deficit motivazione lamentando la violazione degli artt. 270 cod. proc. pen., 14 par. 1 direttiva 2014/41/UE, 8 d.lgs. 51/2018, 6, 47 e 52 par. 1 CEDU, 24 e 111 Cost., 73 e 74 d.P.R. 309/90.
Il motivo, in primo luogo, contesta l’utilizzabilità dei dati informatici relativi comunicazioni intercorse sulla rete criptata Sky-Ecc acquisiti mediante l’ordine europeo di indagine per le ragioni di seguito sintetizzate:
non era certo che l’attività d’intercettazione in territorio francese che aveva permesso l’acquisizione dei dati fosse stata disposta per investigare su reati che rientravano fra quelli di cui all’art. 266 cod. proc. pen.;
erano rimasti ignoti: gli elementi che avevano permesso di associare “i codici IMEI con i codici identificativi e con i pin e gli username”; l’algoritmo di decifratu e il software di selezione; “le modalità con cui il rappresentante della pubblica accusa è pervenuto alla messaggistica versata in atti”; gli elementi integranti i presupposti della “necessità” e della “proporzione” delle attività d’indagine nonché le modalità di gestione dei dati”. Si era, quindi, in presenza di “informazioni ed elementi di prova”, in relazione ai quali gli indagati non erano stati in grado di svolgere efficacemente le loro osservazioni, la cui utilizzazione violava l’art. 14 par. 7 della direttiva 2014/41/UE;
si faceva discendere l’esito del giudizio da un “trattamento automatizzato” non regolato da una normativa che preveda garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato, siccome previsto dall’art. 8 d.lgs. 51/2018;
l’utilizzazione dei dati violava i principi sanciti dalla Grande camera della Corte EDU nel caso NOME COGNOME c. Turchia e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella decisione n. 171/2024 del 4/10/2024 C-548/21.
2.1 Venendo poi agli elementi integranti il requisito dei gravi indizi, il ricors contesta, in primo luogo, che il coinvolgimento di COGNOME nel reato fine contestato al capo b10 potesse giustificare la configurazione, a suo carico, anche del reato associativo, per di più aggravato ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen., e ciò in quanto:
COGNOME NOME risultavantr essersi approvvigionato di droga da COGNOME e NOME in quattro mesi solo quattro volte;
il debito accumulato da COGNOME nei confronti di COGNOME e COGNOME, pari ad C 3.800,00, smentiva l’affermazione del Tribunale del Riesame secondo cui il valore della droga acquistata era pari a C 38.000,00;
COGNOME NOME era un “battitore libero” che si riforniva di droga anche al di fuori del circondario brindisino;
la motivazione del Tribunale del riesame non spiega le modalità con le quali COGNOME aveva agevolato la consorteria mafiosa o la ragione per la quale si ipotizza che fosse stato animato dal fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa.
2.2 Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 274 e 275 comma 3 cod. proc. pen. e il deficit di motivazione.
Si lamenta che il Tribunale non aveva considerato:
il considerevole lasso temporale intercorso “tra la commissione dei presunti episodi illeciti e l’esecuzione della misura cautelare ( più di tre anni e mezzo)”;
il carattere risalente dei precedenti di COGNOME, tutti relativi ad accadimenti antecedenti il 2009, risultando le condanne per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. relative a condotte degli anni 1991 e 1999;
le recenti scelte di vita dell’indagato, sugellate dalla nascita della figlia, c rivelavano una presa di distanza dalle passate attività delinquenziali e dimostravano l’infondatezza della prognosi di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato risultando articolato in motivi a tratti inammissibili comunque infondati.
Le eccezioni sollevate in relazione all’utilizzabilità delle conversazioni acquisite tramite gli ordini europei di indagine risultano o ignorare del tutto le risposte date ai corrispondenti motivi di gravame dal Tribunale oppure riproporre temi che le pronunce delle Sezioni unite in tema di acquisizione all’estero di messaggistica su sistemi criptati ( n. 23755 del 29/2/2024, Gjuzi e n. 23756 del 29/2/2024, COGNOME), richiamate nell’ordinanza impugnata, hanno esaminato giungendo a conclusiond opposte rispetto a quelle del ricorrente.
Alla combinazione dei codici IMEI con i codici identificativi dei soggetti che si erano avvalsi dell’applicazione Sky-Ecc il Tribunale dedica tre pagine dell’ordinanza che richiamano i dati trasmessi dall’autorità giudiziaria francese e li confrontano con quelli forniti dai servizi di osservazione, dalle intercettazioni ambientali telefoniche, dai sequestri e dai tracciati degli spostamenti rilevati dai GPS installat sulle vetture in uso ad alcuni degli indagati per sottolineare la “perfetta coerenza” delle informazioni derivanti dalle differenti fonti di prova. E, in effetti, la dell’ordinanza relativa ai gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato fine rilev la piena convergenza delle informazioni acquisite dalla polizia giudiziaria e quelle ricavabili dalle comunicazioni della messaggistica Sky-Ecc: alla pag. 16 dell’ordinanza impugnata si espongono gli elementi che avevano permesso di
attribuire il soprannome “COGNOME” a COGNOME ed è agevole rilevare la perfetta aderenza dei filmati registrati dalla telecamera collocata nei pressi dell’abitazione di Soleti con i messaggi scambiati sulla piattaforma Sky-Ecc fra il medesimo e NOME; a pag. 21 viene ricostruita la cessione di un quantitativo di cocaina da COGNOME a COGNOME il 29/10/2021 attraverso i convergenti dati: tratti dai filmati ripresi dalla telecamera collocata nei pressi del INDIRIZZO; forniti dal GPS installato sul furgone in uso a Preste; ricavati dai messaggi scambiati tramite l’applicazione RAGIONE_SOCIALE
L’apparato argomentativo esposto nell’ordinanza è, però, ignorato dal ricorrente che si limita a riproporre il tema dell’abbinamento dei codici IMEI agli username senza però individuare concrete ragioni di criticità in ordine i risultati cui l’ordinanza impugnata perviene.
Viene ancora individuata una lesione del diritto di difesa, che avrebbe impedito di assolvere l’onere di allegazione imposto dalle Sezioni unite, nella impossibilità per i difensori di disporre dell’algoritmo che aveva permesso di decriptare le chat e del software che aveva selezionato i messaggi significativi associandoli agli identificati degli utilizzatori sull’assunto che tali programmi erano indispensabili per esercitare un controllo effettivo sulle operazioni di estrazione e individuazione dei messaggi.
Tali doglianze, tuttavia, non risultano ignorate dal Tribunale che le ha superate richiamando i principi enunciati dalle Sezioni unite nonché dalla Corte di giustizia UE nella causa C-670/22 del 30/4/2024.
Militano a sfavore degli argomenti difensivi anche considerazioni di ordine tecnico, già valorizzate in due sentenze di questa Corte (Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022 dep. 2023, COGNOME e Sez. 1, n. 6363 del 13/10/2022 (dep. 2023), COGNOME), che le Sezioni Unite ripropongono osservando che “l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo, utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse, non determina una violazione dei diritti fondamentali di difesa, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, e l’utilizzo di una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente” (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589 – 05).
Inconferente risulta, poi, il richiamo fatto dal ricorrente all’art. 8 d.l 51/2018, non potendo il complesso processo valutativo che ha determinato la custodia cautelare in carcere essere equiparato al trattamento automatizzato dei dati definito dall’art. 8 appena richiamato e dall’art. 22 del RE n. 679 del 2016.
Non maggiore rilevanza, ai fini della decisione, assume la decisione della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa NOME COGNOME c. Turchia risultando la decisione fondata su fatto che all’imputato era stato negato il diritto a conoscere il testo e gli interlocutori dei messaggi scambiati attraverso il sistema criptato di messaggistica telefonica Bylock.
Non pertenente risulta anche la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea n. 171/2024 relativa al sequestro di un telefono cellulare e ai successivi tentativi di analizzarne il contenuto effettuati dalla polizia giudiziaria senza che v fosse stato l’intervento di un pubblico ministero o di un giudice.
Dall’ordinanza del riesame si rileva che i telefoni utilizzati da COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME per comunicare attraverso il sistema criptato Sky-Ecc vennero sottoposti a sequestro il 25/2/2021 e il 13/4/2021 si procedette a un accertamento tecnico alla presenza dei difensori.
La censura incentrata sul titolo di reato per il quale l’autorità francese aveva disposto l’attività d’intercettazione e la sua riconducibilità al novero dei delitti cui all’art. 266 cod. proc. pen. confligge poi con i principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23755 che, al paragrafo 7.5 del considerato in diritto, ha precisato che ai fini dell’utilizzabilità degli atti acquisiti mediante O.I.E. dall’aut giudiziaria italiana “è necessario garantire il rispetto dei diritti fondamenta previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, ma non anche l’osservanza, da parte dello Stato di esecuzione, di tutte le disposizioni previste dall’ordinamento giuridico italiano in tema di formazione ed acquisizione di tali atti”. Ancora, la censura difensiva non tiene minimamente conto di quanto precisato nella medesima sentenza al punto successivo, dove viene ribadito, riferendolo all’attività d’indagine che aveva permesso l’acquisizione dei dati in territorio estero, il principio secondo cui “nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibi fascicolo processuale (perché appartenenti ad altro procedimento o anche qualora si proceda con le forme del dibattimento – al fascicolo del pubblico ministero), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale (così Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244329 – 01, e, in termini analoghi, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229245 – 01; tra le tante successive conformi, cfr. Sez. 5, 23015 del 19/04/2023, COGNOME, Rv. 284519 01, e Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 2018, Nunziato, Rv. 273007 – 01)”.
In ogni caso, sia l’ordinanza impugnata sia la sentenza delle Sezioni unite n. 23755 danno atto che “l’acquisizione dei dati relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato Sky-Ecc venne disposto dall’autorità giudiziaria estera in relazione ad indagini concernenti il narcotraffico”.
Ma vi è di più. Il ricorso censura lo sforzo argomentativo profuso dal Tribunale per dimostrare l’esistenza dell’associazione rilevando che “in sede di impugnazione cautelare ex art. 309 c.p.p.” non era stata contestata né la sussistenza dell’associazione mafiosa né di quella dedita al traffico di sostanze stupefacenti.
Se, però, per la configurazione dei reati associativi, la rilevanza e decisività dei dati trasmessi dall’autorità estera è evidente, a differente conclusione, come già anticipato, si perviene in ordine alle condotte ascritte a COGNOME risultando la loro ricostruzione fondata su una pluralità di fonti di prova.
E’ necessario, quindi, ricordare l’onere di allegazione che grava sulla parte che eccepisca la inutilizzabilità probatoria di un atto processuale.
E’ stato precisato, in tema di intercettazioni telefoniche, che è necessario, a pena di inammissibilità del motivo, che il ricorrente indichi quali siano le conversazioni intercettate che sarebbero inutilizzabili e chiarisca l’incidenza degli atti specificamente affetti dal vizio sul complessivo compendio probatorio già valutato, sì da potersene inferire la decisività ai fini del provvedimento impugnato. (Sez. U., n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416; nello stesso senso, Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De lodo, Rv. 244328; Sez. 4, n. 46478 del 21/09/2018, COGNOME, non massimata).
A ciò consegue che nei casi in cui con il ricorso per Cassazione si lamenti l’inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento; gli elementi di prova acquisi illegittimamente diventano infatti irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la lo espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identi convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011; Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, Izzo, Rv. 287024 – 02).
Il motivo è, quindi, generico, non avendo dimostrato l’indagato la decisività dei a messaggi che si assume inutilizzabili nel ragionamento probatorio contestato.
9. Venendo quindi al ragionamento probatorio dal quale è stato desunto il ruolo di partecipe dell’associazione di COGNOME, non contestando il ricorso l’apprezzamento giudiziale del quadro indiziario relativo alla sussistenza della consorteria e al coinvolgimento di COGNOME nelle cessioni di cui al capo b10, Tribunale ha, a tale fine, valorizzato: le chat relative al reato fine configurato; frequenza dei rapporti dell’indagato con i capi dell’associazione; la stabilità del rapporto e la fiducia che ne discendeva che consentivano a COGNOME di ricevere la droga differendo a un momento successivo il pagamento della fornitura; il rapporto di confidenza fra COGNOME e i capi dell’associazione.
In punto di gravità indiziaria, l’ordinanza sviluppa, quindi, una motivazione lineare e coerente che trova adeguata giustificazione nell’analitica ed esaustiva valutazione degli elementi di indagine richiamati, che palesano la partecipazione di COGNOME all’associazione in qualità di stabile acquirente, e nel consolidato orientamento di questa Corte per cui integra la condotta di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità ad acquistare le sostanze di cui il sodalizio fa traffico, tale determinare un durevole, ancorché non esclusivo, rapporto, qualora la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale, trasformandosi nell’adesione dell’acquirente al programma criminoso, desumibile dalle modalità dall’approvvigionamento continuativo della sostanza dal gruppo, dal contenuto economico delle transazioni, dalla rilevanza obiettiva che l’acquirente riveste per il sodalizio criminale. Non sono, invero, di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo e alla realizzazione del fine comune la diversità degli scopi personali, la diversità dell’utile e il contrasto tra gli interessi economici che i sin partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento dell’intera attività criminale (Sez. 6, n. 47576 del 3/12/2024, COGNOME; Sez. 2, n. 51714 del 23/11/2023, COGNOME, Rv. 285646 – 01; Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, COGNOME, Rv. 279249 – 01; conf. Sez. 6, n. 41612 del 19/06/2013, COGNOME, Rv. 257798 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A tale apparato argomentativo il ricorso oppone una lettura alternativa delle circostanze esaminate dai giudici del merito al fine dì ridimensionare i rapporti fra COGNOME, da una parte, e COGNOME, COGNOME e COGNOME, dall’altra, in modo da ricondurli al rapporto sinallagmatico contrattuale inter partes senza alcun coinvolgimento del primo nell’attuazione dei programmi criminosi dell’organizzazione di cui gli altri erano elementi di spicco.
Le censure difensive, tuttavia, travalicano l’ambito del sindacato riservato a questa Corte sul provvedimento impugnato, risultando finalizzate ad ottenere una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice del merito, senza individuare profili di manifesta illogicità della motivazione in relazione al significa dimostrativo in essa assegnato agli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie ( Sez. U., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, R.v. 215828; Sez. 5, n. 17185 del 21/3/2024, Palermo).
Conseguentemente, allorquando sia denunciato con il ricorso per Cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai princip di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 19751 del 17/4/2024, COGNOME, 286527; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME e altri, Rv. 237475).
Sono, quindi, inammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, propongono una differente lettura delle vicende indagate o dello spessore degli indizi e mirano a ottenere una riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate (Sez. 4, n. 19751/24; Sez. 1, n. 7445 del 20/11/2020, Lolli).
In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione del ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti risultanti, cioè, prima facie dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 4, n. 19751/24).
Con la doverosa precisazione che, quanto alla nozione di «gravi indizi di colpevolezza», la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, COGNOME, Rv. 257576). Al fine dell’adozione della misura, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I det indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi) (Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, COGNOME,
Rv. 269179 – 01; conformi, ex multis: Sez. 2, n. 8948 del 10/11/2022, dep. 2023, Pino, Rv. 284262 – 01; Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299 – 02).
10. Le censure difensive, inoltre, sono espressione di una valutazione frammentaria e strumentale del quadro indiziario.
Il motivo in valutazione omette di considerare una serie di elementi atti a comprovare la stabilità del rapporto di fornitura dello stupefacente garantito dall’associazione, concretizzatosi nei mesi cui si riferiscono le attività d’indagine i una pluralità di cessioni, talvolta a distanza di pochi giorni, per quantitativi cocaina significativi, che rivelano, da una parte, l’allarmante capacità di COGNOME e dei suoi sodali di disporre di ingenti quantitativi di cocaina e, specularmente, di COGNOME di immetterli sul mercato, e, dall’altra, proiettano le singole operazioni, per il contenuto economico delle transazioni, valutabile in migliaia di euro, e il carattere ripetitivo degli acquisiti, in una dimensione più ampia che delinea una struttura stabile, volta a facilitare l’attività illecita della consorteria facente ca COGNOME, garantendo alla medesima la disponibilità di un canale affidabile per lo smaltimento di consistenti quantitativi di cocaina.
E difatti, nella chat del 29/6/2020, l’utilizzazione del soprannome COGNOME per indicare NOME e il riferimento al “solito posto” per rappresentare il luogo della consegna della droga rendono evidente che la cessione in quella data avvenuta si inserisce all’interno di un rapporto illecito consolidato nei confronti di un acquirente affidabile verso cui NOME e NOME non avevano alcuna ragione di diffidenza.
La chat di pag. 19 fornisce una descrizione del rapporto che, per stabilità, continuità e modalità dì esplicazione, ricalca quello di somministrazione, ricordando NOME a COGNOME che, al fine di evitare l’insorgenza di problemi, ogni fornitura doveva essere saldata prima che fosse effettuata la successiva (“le cose si debbono mandare mano mano se no poi è un casino”).
Non meno significativi risultano i contatti di COGNOME con i vertici dell’associazione. COGNOME, infatti, concordava le forniture della sostanza sia con COGNOME, sia con NOME sia con lo stesso COGNOME, tant’è che non esitava a presentarsi a casa del capo della consorteria per incontrarlo (chat del 27/11/2020) e per concordare con questi nuove forniture di droga (chat del 29/1/2021 e registrazione della telecamera installata nei pressi dell’abitazione di Soleti), risultanze queste che dimostrano la piena consapevolezza da parte dell’indagato della sussistenza della compagine associativa e delle sue dinamiche operative e, conseguentemente, del contributo che forniva, mediante l’approvvigionamento continuativo della sostanza dal gruppo, all’attuazione del fine comune di trarre profitto dal commercio della droga.
Le considerazioni innanzi esposte consentirebbero già di disattendere le doglianze difensive relative alla configurazione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, desunta dal Tribunale dal consolidato rapporto di affari di COGNOME con COGNOME, COGNOME e COGNOME, dal fatto che l’associazione preposta al traffico di stupefacenti era l’articolazione di un clan di stampo mafioso in grado di esercitare, con la capacità intimidatoria che conferiva agli affiliati e con la violenza, un ferreo controllo del territorio, nel cui ambito non consentiva agli spacciatori esterni all’organizzazione di operare se non preventivamente autorizzati e imponeva a quelli autorizzati il versamento di una percentuale dei profitti per ogni grammo di stupefacente ceduto non fornito dall’associazione.
Ma, ancor prima, l’ammissibilità della censura relativa all’aggravante trova ostacolo nel principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'”an” o sul “quomodo” della misura( Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022 (dep. 2023 ), COGNOME, Rv. 284489 – 01; Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279508; Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, COGNOME, Rv. 275028; Sez. 6, n. 50980 del 21/11/2013, Fabricino, Rv. 258502 – 01).
Incidenza in ordine alla quale il ricorso non fornisce alcun dato e che il reato associativo fondante la misura, per il quale opera la presunzione di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., rende di non immediata constatazione.
Infondato risulta anche il motivo volto a contestare la sussistenza della concretezza e attualità delle esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere.
Il Tribunale, innanzitutto, richiama, ribadendone la validità in chiave prognostica, la motivazione del provvedimento genetico in tema di esigenze cautelar’ che aveva fondato la pericolosità del ricorrente non soltanto sull’operatività dell’associazione in tempi prossimi alla data di adozione della misura e sul consolidamento del sodalizio mafioso nel contesto territoriale dove ormai aveva affermato la propria egemonia ma anche sul rischio di commissione, da parte degli indagati, di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che avevano consentito i redditizi traffici dell’associazione, così recependo il consolidato orientamento di legittimità formatosi in materia (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293 – 01; conf. Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243 – 01).
E difatti l’ordinanza del GIP sottolinea:
la prossimità temporale dei fatti per cui era stata disposta la cautela, risultando l’operatività dell’associazione documentata dalle indagini sino al gennaio 2022;
il collegamento fra l’associazione dedita al traffico di stupefacenti con una consorteria di stampo mafioso che “con il passare degli anni aveva consolidato la
propria egemonia”;
la pericolosità degli indagati nei cui confronti era stata disposta la custodia in carcere, anche estranei all’associazione, che, per la “ripetitività e frequenza dei
reati fine”, del “notevole lasso temporale nel quale erano stati commessi” e dell’attualità dei fatti reato, avevano dimostrato di poter contare su canali di
approvvigionamento e reti di smaltimento in grado di movimentare chili di cocaina in tempi assai contenuti.
L’ordinanza impugnata, inoltre, opportunamente rimarca i precedenti penali di
COGNOME, fra i quali spiccano due condanne per la partecipazione ad associazioni di stampo mafioso, chiaramente indicative di una propensione criminale che il
trascorrere del tempo e le condanne subite non hanno in alcun modo scalfito, quanto l’inadeguatezza di misure diverse da quella applicata ad assicurare il
soddisfacimento delle esigenze cautelari.
Si è, quindi, in presenza di un’argomentazione articolata, che non si limita a richiamare la presunzione prevista dal codice per i reati associativi ma ha proceduto alla verifica in concreto della sussistenza delle esigenze cautelari e della inidoneità di misure diverse da quella carceraria con motivazione che, richiamando la gravità del contesto associativo nel suo insieme, la pericolosità del ricorrente e la tipologia di recidiva che si intende contrastare, si sottrae a censure difensive incentrate su un fattore, ossia il trascorrere del tempo, che la storia criminale di COGNOME dimostra priva di incidenza sulla sua determinazione a delinquere, e su valutazioni assertive che non tengono conto né della determinazione a delinquere dell’indagato né della rete di contatti che hanno permesso le condotte ritenute.
All’infondatezza del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 7/2/2025 .