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Utilizzabilità chat criptate: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare, confermando l’utilizzabilità di chat criptate ottenute da autorità estere tramite Ordine Europeo di Indagine (OIE). La Corte ha stabilito che le contestazioni sulla raccolta della prova vanno sollevate nello Stato estero e ha ritenuto attuale il pericolo di recidiva, giustificando la detenzione in carcere.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Utilizzabilità chat criptate: la Cassazione fa chiarezza sull’uso di prove dall’estero

Con la recente sentenza n. 24343/2025, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande attualità e complessità: l’utilizzabilità di chat criptate acquisite tramite Ordine Europeo di Indagine (OIE). La pronuncia offre importanti chiarimenti sui confini della giurisdizione italiana nella valutazione di prove raccolte all’estero e sui criteri per l’applicazione della custodia cautelare.

I fatti del caso

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Lecce nei confronti di un individuo, indagato per gravi reati tra cui associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Le prove a suo carico si basavano in gran parte su conversazioni avvenute su piattaforme di messaggistica criptata, i cui contenuti erano stati ottenuti dalle autorità francesi e successivamente trasmessi all’Italia tramite un Ordine Europeo di Indagine.

La difesa del ricorrente ha sollevato due principali obiezioni:
1. Inutilizzabilità delle prove: Secondo la difesa, le chat erano inutilizzabili in quanto acquisite all’estero senza rispettare le garanzie difensive previste dall’ordinamento italiano. In particolare, si lamentava l’impossibilità di verificare le modalità di acquisizione e decriptazione dei dati e l’assenza dei provvedimenti autorizzativi stranieri nel fascicolo processuale.
2. Mancanza di esigenze cautelari: La difesa sosteneva che il pericolo di recidiva non fosse attuale, dato che i fatti contestati risalivano a oltre tre anni prima e che l’indagato, in un precedente periodo di detenzione domiciliare, non aveva commesso violazioni.

Il Tribunale del riesame aveva respinto tali eccezioni, confermando la misura cautelare. Contro questa decisione, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione.

L’utilizzabilità delle chat criptate e il principio di mutuo riconoscimento

Il cuore della decisione della Cassazione riguarda il primo motivo di ricorso. La Corte, richiamando precedenti pronunce delle Sezioni Unite (sentenze Gjuzi e Giorgi del 2024), ha ribadito un principio fondamentale della cooperazione giudiziaria europea: la divisione delle competenze tra Stato di emissione (Italia) e Stato di esecuzione (Francia) dell’OIE.

Secondo la Corte, il giudice italiano che riceve le prove non è tenuto a verificare la regolarità del procedimento con cui sono state raccolte all’estero. Tale controllo spetta esclusivamente all’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione. L’unica verifica che il giudice italiano deve compiere è se, in un caso analogo interno, la legge italiana avrebbe consentito l’uso di quel mezzo di ricerca della prova (nel caso di specie, le intercettazioni).

Poiché i reati contestati (associazione finalizzata al traffico di droga) rientrano tra quelli per cui la legge italiana ammette le intercettazioni, la condizione di utilizzabilità è soddisfatta.

L’onere della prova a carico della difesa

La Cassazione ha inoltre chiarito che spetta alla difesa, qualora lamenti la violazione di diritti fondamentali nel procedimento estero, fornire allegazioni specifiche e prove concrete. Non sono sufficienti contestazioni generiche. La Corte ha sottolineato che la difesa ha la possibilità di attivare rimedi giurisdizionali direttamente nello Stato di esecuzione per contestare la raccolta e la trasmissione delle prove, come confermato anche da recenti sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

La valutazione del pericolo di recidiva

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo all’assenza di esigenze cautelari, è stato ritenuto infondato. La Corte ha giudicato logica e coerente la motivazione del Tribunale, che ha ritenuto il pericolo di recidiva concreto e attuale. Nonostante la datazione di alcuni episodi, il Tribunale ha valorizzato la pendenza di altri procedimenti a carico del ricorrente per reati analoghi e molto più recenti (luglio 2023).

Inoltre, la scelta della misura carceraria, più afflittiva rispetto ai domiciliari, è stata ritenuta giustificata dalla natura associativa del reato, considerato “ancora in permanenza”, che implica un livello di pericolosità sociale superiore.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio del reciproco affidamento tra gli Stati membri dell’UE, pilastro della cooperazione giudiziaria. Ammettere un sindacato del giudice italiano sulla regolarità degli atti compiuti all’estero significherebbe svuotare di efficacia strumenti come l’Ordine Europeo di Indagine. La sentenza ribadisce che la tutela dei diritti fondamentali è garantita, ma attraverso una ripartizione di competenze: le garanzie procedurali relative alla raccolta della prova sono assicurate dallo Stato in cui la prova viene raccolta, mentre lo Stato che la utilizza ne valuta la pertinenza e la rilevanza rispetto al proprio quadro normativo.

Per quanto riguarda le esigenze cautelari, la Corte ha applicato il principio secondo cui la valutazione del pericolo di recidiva non si basa solo sui fatti contestati, ma sull’intera personalità dell’indagato, desumibile anche da procedimenti pendenti e condanne passate. La natura permanente del reato associativo rafforza la presunzione di attualità del pericolo, rendendo inadeguata una misura meno gravosa del carcere.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale ormai chiaro in materia di prove digitali transfrontaliere. L’utilizzabilità di chat criptate ottenute tramite OIE è ammessa, a condizione che il reato per cui si procede consenta in Italia l’uso di tale strumento investigativo. Le contestazioni sulla legittimità della raccolta devono essere sollevate nello Stato estero, e spetta alla difesa l’onere di allegare specifiche violazioni dei diritti fondamentali. La decisione conferma inoltre che la valutazione sulla custodia cautelare deve tenere conto di un quadro complessivo, inclusi procedimenti recenti, per determinare l’attualità del pericolo di recidiva.

È possibile utilizzare in un processo italiano le chat criptate ottenute da un’autorità straniera tramite Ordine Europeo di Indagine (OIE)?
Sì, è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che tali prove sono utilizzabili a condizione che il reato per cui si procede in Italia consenta, secondo la legge italiana, il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova. Il giudice italiano non deve verificare la regolarità del procedimento estero di acquisizione.

A chi spetta contestare la legalità della raccolta delle prove all’estero, come le chat criptate?
La contestazione sulla legalità delle modalità di raccolta della prova (es. decriptazione delle chat) spetta all’autorità giudiziaria dello Stato estero che ha eseguito l’indagine. La difesa ha la facoltà di proporre un rimedio giurisdizionale in quello Stato e ha l’onere di allegare e provare in Italia eventuali violazioni di diritti fondamentali.

Come viene valutata l’attualità del pericolo di recidiva per giustificare la custodia cautelare se i reati contestati sono datati?
L’attualità del pericolo di recidiva non si basa solo sulla data dei fatti contestati, ma viene valutata considerando la personalità complessiva dell’indagato. Nella sentenza in esame, la Corte ha ritenuto attuale il pericolo valorizzando procedimenti penali pendenti per reati analoghi ma più recenti, che dimostravano la persistenza della condotta criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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