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Utilizzabilità chat criptate: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati legati al narcotraffico. La difesa contestava l’utilizzabilità chat criptate ottenute dalla Francia tramite un Ordine di Investigazione Europeo (O.I.E.), lamentando violazioni procedurali e del diritto di difesa. La Corte ha confermato la piena utilizzabilità delle chat, qualificandole come prove documentali e ritenendo che l’identificazione dell’indagato come utente del dispositivo fosse supportata da un quadro indiziario solido e coerente, basato sulla sovrapposizione tra i contenuti delle chat e le attività di sorveglianza tradizionali.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Utilizzabilità Chat Criptate: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità e complessità: l’utilizzabilità chat criptate ottenute tramite cooperazione giudiziaria europea. La pronuncia offre importanti chiarimenti sui confini tra le esigenze investigative e la tutela dei diritti della difesa, in un contesto tecnologico in continua evoluzione. Il caso analizzato riguarda una misura di custodia cautelare in carcere per reati di narcotraffico, basata in larga parte su conversazioni avvenute su una nota piattaforma di comunicazione cifrata.

I Fatti del Caso

Il procedimento trae origine da un’indagine su un traffico di sostanze stupefacenti. Le forze dell’ordine, attraverso attività investigative tradizionali, avevano già raccolto elementi a carico di diversi soggetti. La svolta, tuttavia, è arrivata con l’acquisizione, tramite un Ordine di Investigazione Europeo (O.I.E.) rivolto alle autorità francesi, dei contenuti delle chat di una piattaforma crittografata, smantellata nell’ambito di una vasta operazione internazionale.

Sulla base di queste conversazioni e della loro sovrapposizione con le risultanze investigative già acquisite (pedinamenti, localizzazioni GPS, etc.), il Giudice per le Indagini Preliminari disponeva la custodia cautelare in carcere per un individuo, ritenuto l’utilizzatore di uno specifico identificativo (ID) coinvolto nel traffico. L’indagato, tramite il suo difensore, impugnava il provvedimento davanti al Tribunale del Riesame e, successivamente, ricorreva in Cassazione, sollevando una serie di eccezioni.

La Decisione della Corte e la questione dell’Utilizzabilità Chat Criptate

La difesa dell’indagato ha articolato il ricorso su diversi motivi, tutti respinti dalla Suprema Corte. I punti centrali della contestazione erano:
1. Inutilizzabilità della produzione documentale: Si lamentava la mancata concessione di un termine adeguato per esaminare la copiosa documentazione prodotta dal Pubblico Ministero in udienza, per di più in lingua francese e non tradotta.
2. Nullità dell’ordinanza per carenza di gravi indizi: Si contestava l’associazione tra l’indagato e l’ID del telefono criptato, evidenziando discrasie temporali tra gli orari delle chat e quelli dei servizi di osservazione.
3. Illegittimità dell’O.I.E.: Si deduceva l’inutilizzabilità generale dei contenuti delle chat per violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento, sostenendo che l’acquisizione fosse avvenuta in modo massivo e indiscriminato, senza le garanzie previste dalla legge italiana.

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la decisione del Tribunale del Riesame e consolidando i principi già espressi dalle Sezioni Unite in materia.

Le Motivazioni della Cassazione

La sentenza si sofferma analiticamente su ciascun motivo di ricorso, fornendo una motivazione dettagliata e robusta.

Sulle questioni procedurali

La Corte ha ritenuto infondato il primo motivo. Ha chiarito che la documentazione era già stata resa disponibile alla difesa tramite il portale telematico degli atti processuali (Tiap) giorni prima dell’udienza. Inoltre, anche qualora i documenti fossero stati prodotti per la prima volta in udienza, la concessione di un termine ‘ad horas’ (immediato, durante una breve sospensione) è stata ritenuta sufficiente, dato che la difesa non aveva formulato una richiesta specifica per un termine più lungo. Riguardo alla lingua francese, i giudici hanno osservato che la difesa era stata comunque in grado di formulare eccezioni puntuali sul contenuto, dimostrando di averne compreso il senso, e che esisteva una nota riassuntiva in italiano che ne veicolava le informazioni essenziali.

Sull’identificazione dell’utilizzatore e l’utilizzabilità delle chat criptate

Il cuore della decisione risiede nella valutazione del quadro indiziario. La Cassazione ha ritenuto logico e coerente il ragionamento del Tribunale del Riesame che aveva identificato l’indagato come l’utilizzatore del dispositivo criptato. Questa conclusione non si basava su un singolo elemento, ma su una pluralità di ‘sincronismi’ tra il mondo digitale (le chat) e il mondo reale (le indagini):
Corrispondenza tra incontri fisici e conversazioni: In più occasioni, incontri tra l’indagato e altri soggetti, monitorati dalle forze dell’ordine, erano preceduti o seguiti da chat tra i rispettivi ID che organizzavano o commentavano tali incontri.
Contenuti specifici: Le chat facevano riferimento a dettagli (come la necessità di ‘bonificare’ un’auto) che trovavano riscontro in telefonate e movimenti reali dell’indagato.
Eventi cruciali: L’arresto di una terza persona, collegata all’indagato, era stato discusso in tempo reale nelle chat, con dettagli che solo i diretti interessati potevano conoscere.

La Corte ha anche chiarito che le lievi discrasie orarie (di una o due ore) non inficiavano la gravità indiziaria, essendo ragionevolmente spiegabili con diverse impostazioni dei fusi orari sui dispositivi o sui server, un fenomeno comune nella pratica giudiziaria.

Sulla legittimità dell’acquisizione tramite O.I.E.

Infine, la Cassazione ha ribadito la piena utilizzabilità chat criptate acquisite in questo modo. Richiamando le Sezioni Unite, ha specificato che quando i dati sono già stati acquisiti e decrittati da un’autorità estera nell’ambito di un proprio procedimento e vengono semplicemente ‘trasmessi’ all’Italia, essi costituiscono ‘prova documentale’. La loro acquisizione non è assimilabile a un’intercettazione in tempo reale e non richiede l’autorizzazione del GIP in Italia. La Corte ha sottolineato che spetta alla difesa l’onere di allegare e provare fatti specifici che indichino una violazione dei diritti fondamentali dell’Unione Europea o della Costituzione. Generiche doglianze su una presunta acquisizione ‘massiva’ o sulla copertura con segreto di stato delle tecniche di decrittazione non sono sufficienti a determinare l’inutilizzabilità della prova.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per il contrasto alla criminalità organizzata, che fa ampio uso di tecnologie di comunicazione cifrata. La Corte stabilisce un punto di equilibrio: da un lato, riconosce la piena validità probatoria delle chat criptate ottenute tramite cooperazione europea, qualificandole come documenti; dall’altro, non chiude la porta a un controllo giurisdizionale, ma lo ancora a contestazioni specifiche e provate da parte della difesa circa la violazione di diritti fondamentali. In pratica, la decisione conferma che l’onere della prova di una eventuale illegittimità nell’acquisizione della prova all’estero grava sull’imputato. Si tratta di una pronuncia che fornisce strumenti operativi importanti alle procure, pur mantenendo aperta la via della tutela dei diritti individuali, sebbene in un quadro processuale ben definito e rigoroso.

Le chat criptate ottenute da un altro Stato tramite Ordine di Investigazione Europeo sono utilizzabili in un processo in Italia?
Sì, sono pienamente utilizzabili. La Corte di Cassazione, conformemente alle Sezioni Unite, le qualifica come ‘prove documentali’ quando i dati sono già stati acquisiti e decrittati dall’autorità straniera. Il loro utilizzo è ammesso a meno che la difesa non provi una concreta violazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione o dal diritto dell’Unione Europea.

Come può essere identificato con certezza l’utilizzatore di un dispositivo con chat criptate?
L’identificazione non richiede una prova diretta (come il ritrovamento del dispositivo in mano all’indagato), ma può basarsi su un complesso di gravi, precisi e concordanti indizi. La sentenza conferma che la sovrapposizione logica e temporale tra i contenuti delle chat (appuntamenti, riferimenti a fatti specifici) e le risultanze delle indagini tradizionali (pedinamenti, localizzazioni GPS, arresti) è un metodo valido per attribuire un’identità all’utilizzatore di un ID anonimo.

La mancata traduzione di documenti probatori in lingua straniera li rende automaticamente inutilizzabili?
No. Secondo la Corte, la questione deve essere valutata caso per caso. Se la difesa, nonostante la mancata traduzione, è in grado di comprendere il contenuto essenziale degli atti e di formulare specifiche eccezioni nel merito, non si verifica una lesione del diritto di difesa tale da comportare la nullità o l’inutilizzabilità. La difesa avrebbe dovuto, inoltre, formulare una richiesta esplicita di un termine a difesa più lungo, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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