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Utilizzabilità chat criptate: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi di tre imputati, condannati per un attentato esplosivo legato a faide tra clan. La sentenza è cruciale perché sancisce la piena utilizzabilità delle chat criptate ottenute da autorità estere tramite Ordine di Indagine Europeo (OIE), senza la necessità di acquisire i provvedimenti autorizzativi originari. La Corte ha stabilito che spetta alla difesa dimostrare la violazione di diritti fondamentali. Sono stati inoltre chiariti importanti principi sull’aggravante della minorata difesa in presenza di videosorveglianza e sulla corretta applicazione del divieto di “reformatio in peius” in appello.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Utilizzabilità chat criptate: la Cassazione fa chiarezza su prove, OIE e diritti di difesa

Con la sentenza n. 29850/2025, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affrontato una questione di cruciale attualità nel processo penale moderno: l’utilizzabilità chat criptate provenienti da piattaforme sicure e acquisite tramite cooperazione giudiziaria europea. Questa decisione non solo consolida un orientamento giurisprudenziale recente, ma offre anche importanti chiarimenti sui limiti del diritto di difesa, sul principio del divieto di reformatio in peius e sulla valutazione delle circostanze aggravanti.

I fatti del processo

Il caso riguarda tre individui ritenuti responsabili, in concorso tra loro, di aver organizzato un attentato dinamitardo contro un ristorante. L’azione criminale, consistita nel far esplodere un ordigno artigianale che danneggiava la saracinesca dell’esercizio, si inseriva in un contesto di forte rivalità tra due clan criminali operanti nel territorio. La condanna nei primi due gradi di giudizio si era basata in modo significativo sul contenuto di conversazioni intercorse tra gli imputati attraverso un sistema di messaggistica crittografata. Tali comunicazioni erano state acquisite dalle autorità francesi e successivamente trasmesse alla Procura italiana tramite un Ordine di Indagine Europeo (OIE).

I motivi del ricorso in Cassazione

Le difese degli imputati hanno sollevato diverse eccezioni davanti alla Suprema Corte, incentrate principalmente su tre nuclei tematici:

La questione dell’utilizzabilità delle chat criptate

Il motivo principale di ricorso verteva sulla presunta inutilizzabilità delle conversazioni. Le difese sostenevano che l’acquisizione fosse avvenuta in violazione delle norme procedurali e dei diritti fondamentali. In particolare, si lamentava il mancato deposito di tutta la documentazione relativa alle indagini svolte dall’autorità francese, inclusi i provvedimenti giudiziari che avevano originariamente autorizzato l’acquisizione dei dati dal server della piattaforma di comunicazione. Secondo i ricorrenti, questa omissione avrebbe impedito alla difesa di verificare la legalità del processo di captazione originario.

La violazione del divieto di reformatio in peius

Un altro motivo di doglianza riguardava la mancata riduzione della pena in appello, nonostante la Corte territoriale avesse escluso la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.). Secondo la difesa, l’esclusione di un’aggravante così rilevante avrebbe dovuto necessariamente comportare una diminuzione della sanzione finale.

La sussistenza dell’aggravante della minorata difesa

Infine, è stata contestata la conferma dell’aggravante della commissione del fatto in tempo di notte (art. 61 n. 5 c.p.), sostenendo che la presenza di un impianto di videosorveglianza presso il ristorante avrebbe neutralizzato la condizione di “minorata difesa”.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, fornendo una motivazione dettagliata e aderente ai più recenti approdi delle Sezioni Unite.

In primo luogo, riguardo alla utilizzabilità chat criptate, la Corte ha ribadito i principi espressi nelle sentenze “Gjuzi” e “Giorgi Bruno” del 2024. Ha chiarito che l’acquisizione, tramite OIE, di dati informatici già raccolti e decifrati da un’autorità giudiziaria estera non rientra nella disciplina delle intercettazioni in corso, ma in quella relativa all’acquisizione di prove da altri procedimenti penali. Di conseguenza, non è richiesto il deposito dei provvedimenti autorizzativi stranieri. La Corte ha sottolineato che grava sulla parte che eccepisce l’inutilizzabilità l’onere di allegare e provare specifici fatti da cui desumere una concreta violazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali. Le generiche doglianze della difesa sono state ritenute insufficienti a tal fine.

Sul secondo punto, la Corte ha giudicato infondato il motivo relativo alla reformatio in peius. Il ragionamento è stato il seguente: il giudice di primo grado aveva riconosciuto due aggravanti ad effetto speciale (quella mafiosa e la recidiva reiterata), ma, in applicazione del cumulo giuridico previsto dall’art. 63, comma 4, c.p.p., aveva applicato l’aumento di pena solo per la circostanza più grave. Una volta che la Corte d’appello ha escluso l’aggravante mafiosa, è rimasta pienamente operativa l’altra aggravante (la recidiva). Venendo meno il concorso tra aggravanti, non era più applicabile il meccanismo di contenimento della pena, e dunque nessuna riduzione era dovuta.

Infine, per quanto concerne l’aggravante della minorata difesa, la Cassazione ha richiamato la sentenza delle Sezioni Unite “Cardellini” del 2021, affermando che la presenza di un impianto di videosorveglianza non esclude automaticamente l’aggravante. È necessaria una valutazione in concreto: un sistema che consente solo l’identificazione ex post dei responsabili, ma non un intervento immediato, non è idoneo a neutralizzare la ridotta capacità di difesa pubblica e privata in un luogo isolato e durante le ore notturne.

le conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento fondamentale per la gestione delle prove digitali transnazionali. Stabilisce un chiaro onere probatorio a carico della difesa che intenda contestare la legittimità di prove acquisite all’estero, richiedendo allegazioni specifiche e non generiche. Inoltre, fornisce una lettura rigorosa delle norme che regolano il calcolo della pena in appello in presenza di aggravanti, confermando che l’esclusione di una di esse non comporta un’automatica riduzione della sanzione. La decisione rappresenta un punto di riferimento per i processi che si basano su prove digitali complesse, bilanciando le esigenze investigative con la tutela dei diritti fondamentali dell’imputato.

Le conversazioni su chat criptate ottenute da un’autorità estera sono utilizzabili in un processo italiano?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che sono utilizzabili. L’acquisizione tramite Ordine di Indagine Europeo di dati già raccolti e decifrati da un’autorità estera non richiede il deposito dei provvedimenti autorizzativi stranieri. Spetta alla difesa l’onere di provare una specifica violazione dei diritti fondamentali.

Se in appello viene esclusa un’aggravante, la pena deve essere sempre ridotta?
Non necessariamente. La sentenza chiarisce che se, esclusa un’aggravante ad effetto speciale, ne residua un’altra (in questo caso, la recidiva), il meccanismo di contenimento della pena previsto per il concorso di aggravanti non si applica più. Di conseguenza, l’applicazione della pena per la singola aggravante residua potrebbe non portare a una diminuzione della pena complessiva, senza violare il divieto di reformatio in peius.

La presenza di telecamere di videosorveglianza esclude automaticamente l’aggravante della minorata difesa per un reato commesso di notte?
No. La Corte ha ribadito che la presenza di un sistema di videosorveglianza non è sufficiente a escludere l’aggravante. Bisogna valutare caso per caso se tale sistema sia idoneo a neutralizzare in concreto la ridotta possibilità di difesa pubblica o privata, ad esempio se collegato in tempo reale con le forze dell’ordine. Un impianto che permette solo un’identificazione successiva dei colpevoli non è, di per sé, sufficiente a escluderla.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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