Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29850 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29850 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 444/2025
UP – 17/06/2025
R.G.N. 13536/2025
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Nocera Inferiore il 18/05/1985
avverso la sentenza del 04/07/2024 della Corte d’appello di Firenze
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha
l’ avv. COGNOME per COGNOME NOME, l’avv. COGNOME nell’interesse di COGNOME NOME, e l’avv. COGNOME per COGNOME hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, con sentenza emessa in data 9 maggio 2023, aveva ritenuto NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili dei reati di porto e detenzione – in concorso tra loro e con altri soggetti separatamente giudicati – di un ordigno esplosivo artigianale fatto esplodere dinanzi a un ristorante cittadino (capo 1) e di danneggiamento della saracinesca di detto esercizio commerciale (capo 2), con le aggravanti dell’art. 61 n. 5 cod. pen. e di cui all’art. 416bis 1. cod. pen.
Con la sentenza in preambolo, la Corte di appello di Firenze, per quanto qui d’interesse:
ha disatteso l’eccezione, svolta negli appelli di Tortora e Vicidomini, d’inutilizzabilità delle conversazioni tra gli imputati, avvenute mediante dispositivi criptati (c.d. criptofonini), perchØ acquisite in violazione dell’art. 191 cod. proc. pen. e dell’art. 7 della Direttiva 2012/13/UE del 22 maggio 2012, non essendo stati posti a disposizione delle difese i ‘supporti nativi’ e, comunque, tutta la documentazione degli investigativi compiuti dall’Autorità estera;
ha confermato,nei riguardi di tutti gli imputati, l’affermazione di responsabilità per i reati loro contestati, ha escluso l’aggravante di cui all’art. 416bis 1. cod. pen. e ha, invece, confermato la sussistenza dell’aggravante della commissione del fatto in tempo di notte.
Secondo la conforme ricostruzione in fatto dei giudici di merito (sulla scorta della sentenza di primo grado, piø diffusa e richiamata per sintesi da quella di secondo grado)i ricorrenti sono gli organizzatori dell’azione criminale di danneggiamento descritta al capo 2) della rubrica, materialmente eseguita da NOME COGNOME e NOME COGNOME separatamente giudicati.
La responsabilità degli odierni tre ricorrenti Ł stata affermata sulla scorta dei seguenti elementi: i) ilmovente, ravvisato nel contrasto tra due cosche criminali operanti in Nocera Inferiore e, segnatamente, tra quella denominata ‘di Piedimonte’ e quella rivale dei ‘COGNOME‘, capeggiata da NOME COGNOME, fratello di NOME COGNOME, proprietario del ristorante dinanzi al quale era stato fatto esplodere l’ordigno. L’esercizio commerciale, dopo l’arresto del loro vertice e in seguito all’allontanamento degli affiliati dal relativo territorio, era divenuto la base logistica del clan . Secondo la prospettazione accusatoria, fatta propria dai Giudici di merito, gli imputati – appartenenti al clan di Piedimonte – avevano agito con l’intento di indebolire l’avverso clan COGNOME e scoraggiare il ritorno dei suoi affiliati nel territorio fino a quel momento conteso, attraverso un atto dimostrativo di superiorità criminale; ii) l’identificazione dei ricorrenti quali mandanti e organizzatori, attraverso l’acquisizione, con Ordine d’indagine europeo dei messaggi che costoro si erano scambiati, ciascuno con un codice costituto da una sequenza alfanumerica associata a un nickname , presenti nell’archivio della piattaforma di messaggistica crittografata Sky-Ecc. Il contenuto di tali messaggi ha consentito di ricostruire le modalità con cui i ricorrenti si erano procurati l’ordigno utilizzato per l’attentato. Vengono in proposito in rilievo i messaggi del 17 febbraio 2021, intercorsi tra Tortora e Vicidomini, nei quali si fa esplicito riferimento alla pianificazione di azioni violente nei confronti dei COGNOME, della necessità di procurarsi dell’esplosivo, dell’imminente incontro di COGNOME con una persona che l’aveva rassicurato sull’arrivo delle ‘bombe’. Tale circostanza ha, inoltre, trovato conferma nei messaggi del giorno seguente, attestanti che COGNOME aveva ritirato due ‘bombe carta’, la cui foto inviava a Vicidomini, dicendogli di inviarla, a sua volta, a COGNOME e d’informarlo sul buon esito della spedizione. E, del resto, risulta che quella stessa sera COGNOME si era recato presso l’abitazione di COGNOME. Sono stati altresì valorizzati i messaggi che gli imputati si erano scambiati in seguito all’attentato, commentandolo: COGNOME aveva inviato le immagini danneggiamento del ristorante, esprimendo preoccupazione su possibili ritorsioni da parte dei rivali, tanto da suggerire una qualche azione evasiva, al fine di far cadere i sospetti su altri personaggi della malavita locale.
Così ricostruita la piattaforma probatoria, il Giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha escluso l’aggravante di cui all’art. 416bis 1 cod. pen., ritenendo che fosse unicamente provata una grave conflittualità tra i due opposti gruppi criminali, ma non anche il coinvolgimento della comunità locale sotto forma di assoggettamento omertoso.
Ha invece confermato, per il resto, l’impianto motivazionale della sentenza di primo grado.
Avverso detta sentenza ricorre COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avv. COGNOME che affida a due motivi.
3.1. Con il primo denuncia piø vizi di motivazione in punto di ribadita responsabilità per i reati per i quali Ł condanna.
Il ricorrente lamenta l’omesso confronto, da parte del Giudice di appello, con le numerose critiche e censure, rispetto alle quali il provvedimento impugnato – dopo aver svolto uno stringato riassunto delle tesi contrapposte – nulla avrebbe aggiunto alla motivazione del Giudice di prima cura, così sostanzialmente omettendo di fornire qualunque motivazione, non potendosi invocare neppure quella per relationem , non ricorrendone i
presupposti.
Segnatamente, ciò che sarebbe mancata Ł una motivazione sulla responsabilità del ricorrente a titolo di concorso nelle condotte, oltre all’insuperata considerazione – per il reato di porto dell’ordigno – che egli non poteva risponderne, causa dell’indisponibilità della cosa.
3.2. Con il secondo motivo, denuncia la violazione del divieto di reformatio in peius e l’erroneità della motivazione resa dalla Corte territoriale in punto di mancata riduzione della pena, nonostante l’esclusione dell’aggravante mafiosa.
Sarebbe stata violata la disposizione di cui all’art. 597, comma 4, cod. proc. pen. e l’interpretazione di essa offerta dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale, nel caso in cui il giudice escluda una circostanza aggravante, la pena complessiva deve essere necessariamente diminuita, in misura corrispondente all’accoglimento dell’impugnazione.
Ricorre altresì NOME COGNOME per mezzo del difensore di fiducia avv. COGNOME e deduce quattro motivi.
4.1. Con il primo denuncia la violazione dell’articolo 191 e dell’articolo 14, paragrafo 7, Direttiva 2014/41/UE, nella parte in cui sono state ritenute utilizzabili le chat acquisite tramite Ordine d’indagine europeo, emesso dal Pubblico ministero italiano, in difetto del deposito della documentazione concernente l’originario procedimento acquisitivo adottato nello Stato di esecuzione (Francia) e il correlato vizio di motivazione.
Il ricorrente lamenta che – a fronte del pedissequo motivo di appello con il quale Ł stata sollevata l’eccezione di inutilizzabilità delle conversazioni intercorse con l’applicativo SkyEcc – il Giudice di secondo grado avrebbe reso una motivazione errata e non rispettosa di quanto statuito da Sezioni Unite Gjuzi, Rv 286573. Osserva sul punto che in tale sentenza la Corte non ha “liberalizzato” l’utilizzabilità delle conversazioni intercorse per mezzo degli applicativi crittografati, ma ha ritenuto necessario – ai fini della valutazione sulla loro utilizzabilità – accertare la natura degli atti d’indagine che l’Autorità estera ha, in origine, disposto. Se, dunque, si tratta di captazione di un flusso di comunicazioni in atto, detta attività si Ł realizzata con intercettazione, con la conseguenza che tali risultati, pur potendo essere richiesti dal Pubblico ministero italiano tramite Ordine d’indagine europeo, devono rispettare quanto stabilito nell’art. 270 cod. proc. pen., spettando, comunque, al Giudice dello stato di emissione dell’Ordine di indagine europeo valutare il rispetto dei diritti fondamentali, quello di difesa e di un equo processo.
Ciò premesso, assume il ricorrente che, nel caso di specie, tale verifica Ł stata del tutto pretermessa, essendo stata depositata esclusivamente la nota trasmessa da Europol e il conseguenziale Ordine investigativo europeo emesso dal Pubblico ministero. Ciò avrebbe impedito la verifica della natura del processo di derivazione di tali conversazioni, ossia se si tratta di comunicazioni captate in corso di trasmissione (dati caldi), oppure di comunicazioni già concluse (dati freddi) e il conseguente diverso accertamento quanto alla loro utilizzabilità.
Rileva, in ogni caso, il ricorrente che – anche a voler ritenere detti dati come ‘freddi’ l’omesso deposito della relativa documentazione non ha consentito di accertare se la loro acquisizione sia avvenuta nel rispetto dell’articolo 254bis cod. proc. pen., ossia mediante una procedura che assicura la conformità dei dati acquisiti a quelli originali.
Nell’ultima parte del motivo, il ricorrente sottolinea come le comunicazioni della cui inutilizzabilità si controvertere senz’altro superano la prova di resistenza poichØ costituiscono il compendio probatorio su cui si Ł in buona parte fondata la responsabilità penale del ricorrente.
4.2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 191 e 254 cod. proc. pen. e dell’art. 15 Cost., in punto di ribadita utilizzabilità del contenuto di chat intercorse
sull’applicativo Sky-Ecc, sequestrate ed estratte autonomamentedalla Polizia giudiziaria francese, in assenza di un provvedimento motivato dell’Autorità giudiziaria francese, nonchØ il correlato vizio di motivazione.
La Corte di appello ha omesso di considerare che, secondo il granitico orientamento della giurisprudenza costituzionale di legittimità, quando la prova documentale ha a oggetto comunicazioni scambiate in modo riservato tra un numero determinato di persone, indipendentemente dal mezzo tecnico impiegato, occorre assicurare la tutela dell’art. 15 Cost., riguardante la corrispondenza, concetto pacificamente estendibile ai messaggi inviati mediante WhatsApp, SMS o sistemi a questi assimilabili.
Sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, l’articolo 254 cod. proc. pen. dispone che il sequestro della corrispondenza avvenga su disposizione o sotto il controllo dell’Autorità giudiziaria. Nel caso di specie, l’accesso al server e l’estrazione del relativo contenuto sono stati eseguiti dalla Polizia giudiziaria francese in via autonoma e, successivamente, attraverso il Servizio per la cooperazione internazionale di polizia, sono state informate le autorità italiane, sicchØ sono state trasmesse, attraverso l’Ordine investigativo europeo, sole le conversazioni estratte dalla polizia giudiziaria e non l’intero materiale sottoposto a sequestro.
Ciò premesso, secondo la tesi del ricorrente, l’art. 254 cod. proc. pen.sarebbe stato violato sotto un duplice profilo: a monte, perchØ il sequestro di corrispondenza Ł avvenuto in assenza di un atto dell’Autorità giudiziaria; a valle, perchØ la Polizia giudiziaria francese ha selezionato ed estratto in autonomia le conversazioni contenute nel server, anzichØ trasmettere integralmente il ‘contenitore’ dei messaggi sequestrati.
4.3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 191 cod. proc. pen. con riferimento all’art. 132 d. lgs. n. 196 del 2003 e dell’art. 27 d.lgs. n. 108 del 2017, nella parte in cui sono stati utilizzati a fini di prova i risultati del traffico telematico e telefonico acquisiti presso il gestore del servizio con un Ordine di indagine europeo emesso dal Pubblico ministero anzichØ dal Giudice.
Il ricorrente censura la motivazione con la quale la Corte di appello ha ritenuto di superare il pedissequo motivo e, cioŁ, valorizzando la circostanza che le conversazioni erano state già acquisite in un procedimento penale pendente dinanzi all’Autorità giudiziaria francese (Stato di esecuzione), essendo il Pubblico ministero legittimato a emettere l’Ordine d’indagini europeo, in quanto titolare di analogo potere nello stato di emissione.
Nel caso di specie, tuttavia, poichØ gli elementi acquisiti su iniziativa dell’Autorità di polizia non hanno ottenuto la preventiva autorizzazione di un Giudice, secondo la tesi del ricorrente non potrebbero essere legittimamente utilizzati nel presente procedimento, in quanto non sarebbe possibile accertare che l’acquisizione sia avvenuta nel rispetto dei diritti fondamentali.
4.4. Con il quarto motivo, si denuncia la violazione degli artt. 81 e 133 cod. pen. in ordine all’avvenuta conferma della pena irrogata a titolo di aumento per la continuazione, nonostante l’esclusione della circostanza aggravante mafiosa e il correlato vizio di motivazione.
La motivazione del Giudice di appello sul punto sarebbe sperequata rispetto alla gravità del fatto, come impone di ritenere che nel diverso procedimento che ha giudicato gli esecutori materiali del reato, la pena Ł stata ridotta incidendo sugli aumenti per continuazione. Inoltre, il Giudice di appello non avrebbe tenuto in adeguata considerazione la circostanza che i reati-satellite erano aggravati dall’art. 416bis 1. cod. pen. sicchØ l’avvenuta esclusione tale aggravante avrebbe dovuto incidere nella commisurazione,
necessariamente piø contenuta, delle porzioni di pena inflitta a titolo di continuazione.
Infine, ricorre NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avv. COGNOME e denuncia tre motivi.
5.1 Con il primo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di ribadita affermazione della responsabilità con riferimento a tutti i reati per i quali Ł condanna.
Denuncia il mancato ossequio, da parte del Giudice di appello, dei criteri di valutazione della prova indiziaria; lamenta, in particolare, l’omessa risposta al rilievo difensivo pertinente all’assenza di un contributo decisionale o consultivo dell’imputato in merito al ruolo organizzativo ed esecutivo oggetto d’imputazione di cui non vi sarebbe traccia nelle molteplici chat pur riconducibili ai coimputati.
Del tutto illogica Ł, poi, ritenuta la motivazione che attribuisce rilevanza dirimente in senso accusatorio all’indicazione di Tortora a Vicidomini di inviare a COGNOME le foto dei danni riguardanti l’esplosione, nonchØ la visita di Tortora a Iannone, la cui causale Ł rimasta ignota, ma che i Giudici di merito hanno ricondotto all’intenzione del primo di far visionare al ricorrente gli ordini e concordare con questi l’azione. Neppure Ł indicativa la soddisfazione espressa da parte del ricorrente rispetto alla notizia dell’esplosione, certamente appresa non dai coimputati, ma da fonti giornalistiche.
5.2. Con il secondo motivo, denuncia la violazione dell’articolo 61, n. 5, cod. pen. e il correlato vizio di motivazione in punto di ribadita sussistenza della aggravante del tempo di notte.
Il Giudice di appello ha trascurato la giurisprudenza di legittimità secondo cui l’aggravante non Ł ravvisabile alla presenza di circostanze idonee a neutralizzare l’effetto della messa in pericolo della pubblica o privata difesa, nel caso di specie ravvisabili nell’allocazione del ristorante oggetto di attentato in una zona centrale della città di Firenze e nella presenza di un impianto di videosorveglianza.
5.3. Con l’ultimo motivo si denuncia la violazione del principio del divieto di reformatio in peius e la mancata riduzione della pena a seguito dell’esclusione dell’aggravante mafiosa con argomenti sostanzialmente assimilabili a quelli svolti nel secondo motivo di ricorso di COGNOME, cui si rinvia.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha prospettato il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, che deducono censure in parte inammissibili e in parte infondate, devono essere complessivamente rigettati, per le ragioni che s’indicano di seguito.
¨ preliminare lo scrutinio dei primi tre motivi del ricorso di COGNOME che investendo il tema dell’utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni svolte dall’Autorità giudiziaria francese e trasmesse a quella italiana in esecuzione di ordine europeo d’indagine (OEI) emesso dalla Procura della Repubblica – ineriscono alla posizione processuale di tutti gli imputati, poichØ tali conversazioni costituiscono il principale elemento di prova della loro responsabilità.
In sede di discussione orale, la difesa ha posto in risalto come detti motivi siano legati da un unico filo conduttore, ossia quello della violazione del diritto di difesa che, difatti, nel presente procedimento sarebbe stata privata della possibilità, invece riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, di conoscere le modalità con cui i dati oggetto delle captazione sono stati acquisiti nello Stato straniero.
La tesi – come si vedrà nel dettaglio di seguito – non Ł condivisa dal Collegio che, al contrario, ritiene che ciascuna delle doglianze contenuta nell’impugnazione sia stata adeguatamente superata dal Giudice di appello seguendo i recenti insegnamenti delle Sezioni unite che si sono, invero, pronunciate sul tema nelle sentenze n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 e n. 23756 del 29/02/2024, NOME COGNOME, Rv. 286589.
Si deve ricordare, invero, che con una prima ordinanza della Sez. 3 R.G.N. 47798/2023 del 3 novembre 2023 erano state rimesse le seguenti questioni:
Se il trasferimento all’Autorità giudiziaria italiana, in esecuzione di ordine europeo d’indagine, del contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decrittate dall’Autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale, costituisca acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell’art. 234bis cod. proc. pen. o di documenti ex art. 234cod. proc. pen. ovvero sia riconducibile ad altra disciplina relativa all”acquisizione di prove.
Se il trasferimento di cui sopra debba essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità, nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
Se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
Con l’ordinanza R.G.N. 41618/2923 del 15 gennaio 2024 della Sesta Sezione erano rimessi alla decisione delle Sezioni Unite gli ulteriori seguenti quesiti:
Se l’acquisizione, mediante ordine europeo d’indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, in un proprio procedimento, su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini integri l’ipotesi disciplinata, nell’ordinamento nazionale, dall’art. 270 cod. proc. pen.
Se, ai fini dell’emissione dell’ordine europeo d’indagine finalizzato al suddetto trasferimento, occorra la preventiva autorizzazione del giudice.
Se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
A tali quesiti, come si vedrà nel dettaglio per quanto qui d’interesse, le Sezioni Unite hanno fornito soluzioni che la Corte di appello di Firenze ha fatto proprie, superando ogni censura che viene in questa sede identicamente e, dunque, infondatamente riprodotta.
1.1. In particolare, quanto al primo motivo, Ł ben vero che le Sezioni Unite hanno affermato il principio secondo cui, con riferimento alle conversazioni di cui si tratta, per la valutazione della loro utilizzabilità deve aversi riguardo alla modalità con la quale l’acquisizione Ł avvenuta nello Stato che trasmette i dati con l’Ordine investigativo europeo: «In materia di ordine europeo d’indagine, la trasmissione del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen. (Fattispecie in tema di prove, costituite da messaggi scambiati su “chat” di gruppo mediante un sistema cifrato, già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione)» (si veda Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573)
Tuttavia, le stesse Sez. U, nella citata sentenza n. 23756 del 29/02/2024, NOME COGNOME Rv. 286589, in motivazione, nello scrutinare motivo analogo a quello qui in verifica, hanno testualmente chiarito che « (…) non risultano, nØ sono indicate, disposizioni da cui desumere
la giuridica necessità dell’acquisizione e del deposito, nel procedimento in Italia, dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria straniera aventi ad oggetto l’autorizzazione di attività di indagine in un procedimento pendente davanti a essa, i cui esiti sono stati successivamente richiesti dall’autorità giudiziaria italiana mediante o.e.i. 15 (L’art. 78 disp. att. cod. proc. pen., nel disciplinare l’acquisizione di atti di un procedimento penale compiuti da autorità giudiziaria straniera, non richiede anche l’acquisizione dei provvedimenti giudiziari in forza dei quali tali atti sono stati compiuti. La medesima conclusione si evince anche dalla disciplina paradigmatica nel sistema processuale penale italiano per l’acquisizione di atti compiuti o formati in altro procedimento sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, ossia quella relativa ai risultati di intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, dettata dall’art. 270 cod. proc. pen. Questa disposizione, infatti, prevede il deposito dei verbali e delle registrazioni relativi alle intercettazioni effettuate in altri procedimenti, ma non anche il deposito dei relativi provvedimenti autorizzativi. E sulla base di questa disciplina, l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte ritiene che: a) ai fini dell’utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, essendo sufficiente il deposito, presso l’Autorità giudiziaria competente per il “diverso” procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime (così, per tutte, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229244 – 01, nonchØ, da ultimo, con riferimento alla disciplina vigente per effetto delle modifiche recate dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, Sez. 1, n. 49622 del 14/11/2023, COGNOME Rv. 2855579 – 02); b) spetta alla parte che eccepisce nel procedimento ad quem la mancanza o l’illegittimità dell’autorizzazione, e si oppone all’utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in un procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, l’onere di produrre il decreto autorizzativo, in modo da consentire al giudice di verificare l’effettiva inesistenza nel procedimento a quo del controllo giurisdizionale prescritto dall’art. 15 Cost. (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 6947 del 29/10/2019, dep. 2020, Rossi, Rv. 278246 – 01, e Sez. 6, n. 41515 del 18/09/2015, Lusha, Rv. 264741 – 01)».
Le Sez. U Gjuzi hanno, del resto, chiarito che «L’utilizzabilità del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, e trasmesse sulla base di ordine europeo di indagine, deve essere esclusa se il giudice italiano rileva che il loro impiego determinerebbe una violazione dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, fermo restando che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata» (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 – 05) e che «In materia di comunicazioni digitali, l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio Ł inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente». (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 – 06).
Appare evidente, allora, che la ragione principale che conduce all’infondatezza della dedotta questione d’inutilizzabilità Ł ravvisabile nell’assoluta genericità delle censure sollevate in merito all’inosservanza dei principi fondamentali dell’ordinamento europeo e
nazionale da parte dello Stato di esecuzione dell’ordine di europeo d’indagine, affidato al vaglio dell’Autorità giudiziaria dello Stato di emissione e dell’altrettanto assoluta genericità delle doglianze formulate in merito a una presunta incompletezza degli atti ai quali sarebbe stato consentito l’accesso alla difesa.
Ai fini della verifica della legittimità delle intercettazioni disposte nel diverso procedimento penale pendente davanti all’Autorità giudiziaria francese Ł sufficiente l’allegazione dei provvedimenti di autorizzazione emessi da quella autorità, essendo consentito al giudice italiano vagliare la sussistenza dei relativi presupposti solo ai limitati fini della verifica del rispetto dei diritti fondamentali dell’ordinamento e del giusto processo.
La mancata ostensione delle tecniche informatiche impiegate dagli organi inquirenti per riuscire a “bucare” il sistema di comunicazione criptato, per lungo tempo reso impenetrabile rispetto anche alle attività d’intercettazione legittimamente disposte per finalità di repressione di gravi reati, non lede i diritti di difesa, laddove sia comunque assicurata l’autenticità dei contenuti delle captazioni e della relativa decrittazione. Non si ravvisa alcuna necessità di rendere pubbliche le tecnologie impiegate dagli inquirenti per rendere possibile l’esecuzione delle intercettazioni telematiche in sistemi di comunicazioni criptati, sempre che non siano addotte specifiche anomalie tecniche in grado di far dubitare dell’autenticità delle acquisizioni e dell’inquinamento del risultato, rendendosi necessario solo in tali limitati casi operare degli approfondimenti tecnici per verificare se le comunicazioni intercettate possano essere state infedelmente riprodotte ovvero che non siano lamentate specifiche violazioni dei diritti fondamentali.
Nel caso di specie, al contrario, nessuna di tali questioni Ł stata specificamente addotta, essendosi unicamente avanzata una generica e ingiustificata pretesa di conoscere le tecnologie di accesso alla piattaforma criptata e la relativa documentazione.
1.2. Del pari privo di pregio Ł il secondo motivo di ricorso, anch’esso assolutamente generico e, comunque, infondato.
La tesi dell’assenza di controllo nello Stato estero da parte dell’Autorità giudiziaria Ł, infatti, meramente assertiva e, anzi, confligge con l’affermazione contenuta a p. 4 della sentenza di primo grado in cui si precisa che dalla stessa memoria difensiva in data 16 gennaio 2023, depositata nel corso del giudizio, risulta la circostanza che «tutta l’attività Ł avvenuta sotto il controllo dell’Autorità giudiziaria francese ed Ł stata eseguita dalla Polizia giudiziaria con accesso al database delle conversazioni sequestrate e successiva masterizzazione dei risultati ottenuti su un Cd non riscrivibile che veniva sigillato e inviato al Giudice istruttore del Tribunale di Parigi che, a sua volta lo trasmetteva all’Autorità giudiziaria italiana».
SicchØ davvero non si comprende sulla scorta di quali elementi, non a caso non indicati nel ricorso, il ricorrente continui a dolersi della circostanza – invece smentita – che le operazioni siano avvenute da parte della Polizia giudiziaria in via autonoma e in assenza di un controllo dell’Autorità giudiziaria francese.
1.3. Anche per la reiezione del terzo motivo dev’essere richiamato il principio di diritto espresso da Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 – 03 e da Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, NOME COGNOME Rv. 286589 – 04, secondo cui «In materia di ordine europeo di indagine, la sua emissione, da parte del pubblico ministero, diretta ad ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria a norma dell’art. 6 Direttiva 2014/41/UE, perchØ tale autorizzazione, nella disciplina nazionale
relativa alla circolazione delle prove, non Ł richiesta per conseguire la disponibilità del contenuto di comunicazioni già acquisite in altro procedimento».
Quanto, infine, alla lamentata violazione dell’art. 132 d.lgs n. 196 del 2003 occorre, ancora una volta, richiamare la soluzione sul punto fornita dalle Sezioni Unite secondo cui «In materia di ordine europeo di indagine, la disciplina di cui all’art. 132 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, relativa all’acquisizione dei dati concernenti il traffico di comunicazioni elettroniche e l’ubicazione dei dispositivi utilizzati, si applica alle richieste rivolte ai fornitori del servizio, ma non anche a quelle dirette ad altra autorità giudiziaria che già detenga tali dati, sicchØ, in questo caso, il pubblico ministero può legittimamente accedere agli stessi senza chiedere preventiva autorizzazione al giudice davanti al quale intende utilizzarli»(Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 – 04).
Tanto premesso, Ł ora possibile esaminare i restanti motivi di ricorso.
2. Il primo motivo del ricorso di COGNOME non Ł consentito perchØ aspecifico, risolvendosi nella pedissequa reiterazione di censure già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di merito attraverso una disamina completa e approfondita delle risultanze di prova, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità. Esse sono, dunque, inammissibili, dovendosi considerare non specifiche e soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME Rv. 286468 – 01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME Rv. 277710 – 01).
In particolare, anche avuto riguardo a quanto già esposto al § 2 della premessa della presente sentenza, lo specifico tema del coinvolgimento di COGNOME come procacciatore dell’esplosivo utilizzato per il danneggiamento Ł affrontato, con motivazione aderente ai risultati di prova, dal Giudice di primo grado nelle p. da 16 a 18, attraverso l’analitica disamina delle conversazioni intercettate che indicano il ricorrente come colui che ribadisce la necessità di portare a termine l’operazione intimidatoria, che discute sul compenso da corrispondere agli esecutori materiali, che informa COGNOME dell’imminente consegna delle bombe carta la cui foto gli inoltra, chiedendogli di inviarla anche a COGNOME.
Il Giudice di appello, a sua volta, dopo aver rilevato che COGNOME si era, nell’impugnazione, limitato a dedurre di aver perso la disponibilità dell’esplosivo una volta che l’aveva consegnato agli esecutori materiali, ha adeguatamente risposto a tale obiezione, rimarcando come sussistesse comunque la condotta di porto in luogo pubblico dell’esplosivo da parte dell’imputato quantomeno dal momento del ritiro a Castel San Giorgio fino alla consegna ai due esecutori materiali in Nocera, trattandosi di una circostanza rimasta incontestata, non mancando di evidenziare come dovesse altresì ascriversi a suo carico anche il porto dell’esplosivo in Firenze e il suo utilizzo per l’attentato, a titolo di concorso poichØ i due esecutori materiali agirono come sua longa manus , avendo eseguito le sue direttive e agito nel suo interesse.
Osserva il Collegio che si tratta di motivazione rispettosa del principio secondo cui il concorso nel reato Ł integrato anche dall’istigazione, dalla determinazione, dall’incoraggiamento e dal favoreggiamento al delitto, di cui vi Ł ampia prova nel caso di specie. Questa Corte ha, invero, già affermato che, in tema di concorso di persone nel reato, la circostanza che il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso), purchØ il giudice di
merito renda adeguata motivazione sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà» (Sez. 2, n. 43067 del 13/10/2021, COGNOME, Rv. 282295 – 01).
Quanto poi allo specifico tema del concorso nel delitto di porto illegale di armi, va ricordato che ne risponde chi – come nel caso che ci occupa – aderisce a un’impresa criminosa comportante l’impiego nel luogo programmato di un’arma di cui il compartecipe abbia l’esclusiva disponibilità, e che il concorso di persone nel porto e nella detenzione di un’arma non può essere escluso dalla semplice appartenenza dell’arma a uno solo dei concorrenti, se con questo gli altri abbiano programmato dei reati, prevedendo la necessità dell’utilizzazione dell’arma stessa (Sez. 1, n. 6223 del 05/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285785 – 01; Sez. 1, n. 40702 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 274364 – 01; Sez. 2, n. 46286 del 23/09/2003, Inglese, Rv. 226971 – 01).
2.2. Il secondo motivo Ł infondato.
La Corte di appello ha escluso l’aggravante dell’agevolazione mafiosa e, al § 8.5. della sentenza impugnata, ha spiegato le ragioni per cui a tal esclusione non dovesse conseguire alcuna riduzione di pena.
Ha, infatti, in primo luogo rilevato come il Giudice di primo grado avesse ritenuto sussistenti entrambe le aggravanti a effetto speciale, ossia l’aggravante mafiosa e la recidiva reiterata infraquinquennale (richiamandone l’esplicita motivazione di p. 25 in punto di operatività della recidiva), ma che – in ossequio al disposto di cui all’articolo 63, quarto comma, cod. pen. – non aveva applicato alcun aumento di pena per la pur ritenuta recidiva. In secondo luogo, la Corte territoriale ha correttamente rilevato che, essendo state ritenute sussistenti entrambe le aggravanti, il venir meno in sede di appello di una di esse non comportava alcun obbligo di riduzione della pena, residuando l’operatività dell’altra che, una volta applicata, avrebbe comportato un aumento di pena addirittura maggiore di quello conseguente all’applicazione dell’aggravante esclusa.
Il ragionamento del giudice di appello Ł corretto. Invero, venendo meno l’applicabilità dell’art.63, quarto comma, cod. pen. (che prevede un meccanismo di contenimento della pena, basato sul principio del cumulo giuridico, in virtø del quale, nel caso di concorso omogeneo tra piø circostanze aggravanti autonome o a effetto speciale), il giudice deve applicare soltanto la pena stabilita per la circostanza residua. Ove, infatti, venga esclusa nel giudizio di appello un’aggravante a effetto speciale restandone tuttavia applicabile un’altra, con conseguente esclusione del concorso che ha determinato l’applicazione da parte del primo giudice del contenimento previsto dall’art. 63 quarto comma cod. pen., Ł lo stesso meccanismo di aggravamento della pena a subire una novazione strutturale non permettendo piø l’applicazione dello sbarramento operante nel precedente giudizio, giacchØ, ove così fosse, si introdurrebbe una regola di invarianza priva di qualsiasi logica giustificazione: venendo meno il contenimento determinato dal concorso delle circostanze a effetto speciale, Ł evidente che non si possa piø stabilire alcun termine di comparazione rispetto agli aumenti determinati dal primo giudice.
Milita, a conforto di tale interpretazione, il tenore letterale dell’art. 597 cod. proc. pen., il cui quarto comma prevede che se Ł accolto l’appello dell’imputato in relazione a circostanze o reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena «complessivamente irrogata» Ł «corrispondentemente diminuita», intendendo il legislatore, con tale
puntualizzazione del principio fissato nel comma precedente, significare che il termine di riferimento e vincolo per il nuovo giudice debba comunque essere la pena complessiva.
Alla luce di tali rilievi il calcolo della pena effettuato dai giudici distrettuali non può ritenersi passibile di alcuna censura.
Le considerazioni appena svolte valgono per il rigetto del quarto motivo del ricorso di Vicidomini e dell’ultimo motivo del ricorso di iannone che, analogamente a Tortora, hanno invocato la violazione del principio di reformatio in peius del tutto insussistente per le ragioni espresse.
NØ rileva l’osservazione svolta dal ricorrente secondo cui la diminuzione della pena finale discenderebbe obbligatoriamente dal fatto che l’aggravante esclusa ha inciso, incrementandole, sulle porzioni di pena applicate a titolo di continuazione, giacchØ – una volta venuta meno l’aggravante mafiosa – tale incremento Ł comunque determinato dalla residua aggravante, ossia dalla recidiva.
Il primo motivo del ricorso di COGNOME Ł motivo non consentito, poichØ aspecifico e interamente versato in fatto.
4.1. La sentenza di primo grado, nelle p. 17 e 20, opportunamente richiamata dal Giudice di appello, ne ha delineato il ruolo di custode dell’esplosivo utilizzato per il danneggiamento sulla scorta dei seguenti elementi, inferiti dalle conversazioni captate: i) COGNOME, una volta ritirate le due bombe carta, ne aveva inviato la foto a COGNOME, chiedendoa quest’ultimo di mandare la stessa foto a COGNOME; ii) lo stesso COGNOME si era recato personalmente presso l’abitazione di COGNOME dopo il ritiro dell’esplosivo; iii) in quella circostanza COGNOME, accortosi della presenza dei Carabinieri che stavano svolgendo il controllo di COGNOME che era sorvegliato speciale, scambiava diversi messaggi con Vicidomini che, contestualmente, riceveva e si scambiava messaggi di analogo tenore con iannone; iv) successivamente all’esplosione, COGNOME manifestava ai suindicati complici apprezzamento per il buon esito dell’operazione, mostrava di temere la ritorsione dei componenti del clan rivale e proponeva di porre in essere un’attività di depistaggio.
Correttamente, dunque, tali circostanze sono state valorizzate, alla stregua della giurisprudenza di legittimità in tema di concorso nel reato cui si Ł fatto riferimento nella presente sentenza trattando della posizione processuale di Tortora, cui si rinvia.
4.2. Il secondo motivo di ricorso Ł infondato, alla stregua dell’insegnamento delle Sezioni unite n. 40275 del 15/07/2021, COGNOME, Rv. 282095 – 01, che ha statuito il seguente principio di diritto:«La commissione del reato in tempo di notte Ł idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta “minorata difesa”, essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto».Per ciò che qui piø interessa, al §19 si tratta specificamente del tema della presenza dell’impianto di videosorveglianza, affermandosi – quanto alla rilevanza o meno dell’esistenza nel locus commissi delicti di un impianto di videosorveglianza, oggetto di un contrasto giurisprudenziale – che essa costituisce mera quaestio facti , riguardo alla quale non Ł possibile enunciare un principio di diritto. L’esistenza di un siffatto impianto potrà, dunque, essere valorizzata per escludere la circostanza aggravante de qua nei casi in cui l’impianto di videoripresa, atto di per sØ a consentire ex post l’individuazione dei responsabili del reato, sia collegato alla centrale operativa di polizia o di un istituto di vigilanza privata, sì da consentire il tempestivo accorrere di soccorsi. In altri casi in cui l’impianto sia spento o altrimenti disattivato dal soggetto agente, o sia privo del collegamento con centrali operative
delle forze dell’ordine o d’istituti di vigilanza privati, la sua installazione non rileverà ai fini dell’esclusione della circostanza aggravante in esame (Sez. 5, n. 12051 del 2021 cit.; Sez. 5, n. 20480 del 26/02/2018, COGNOME, in motivazione, in un caso nel quale l’impianto di videosorveglianza era disattivato).
Trasponendo tali criteri al caso che ci occupa, osserva il Collegio che il ricorso sul punto Ł del tutto aspecifico, essendosi il ricorrente limitato ad affermare la presenza di un impianto di video sorveglianza, sicchØ tale generica affermazione non Ł suscettibile di contrastare la puntuale motivazione del Giudice di appello che, a p. 14, ha valorizzato elementi obiettivi riguardanti il luogo di commissione del reato (si trattava di una strada buia, priva di attività commerciali aperte e, dunque, senza movimento di persone), inferendo – con motivazione scevra da fratture razionali – che l’orario era stato appositamente pianificato, com’Ł risultato dal tenore delle conversazioni captate tra i correi.
Al rigetto dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 17/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
EVA TOSCANI
NOME COGNOME