Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 21831 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 21831 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/02/2025
In nome del Popolo Italiano
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. 254/2025
NOME COGNOME
Relatore –
CC Ð 07/02/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 38740/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a San Pietro Vernotico il 22/11/1974 avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame di Lecce il 11/10/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito lÕavv. L. COGNOME che ha chiesto lÕaccoglimento del ricorso.
Con lÕimpugnata ordinanza, il Tribunale della libertˆ di Lecce ha rigettato l’istanza di riesame proposta da COGNOME Alessandro avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Lecce, applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, in relazione ai reati di cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. 309/90 (capi B e B17), in ordine ai quali confermava il quadro indiziario grave e le esigenze cautelari del pericolo di recidiva.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dellÕindagato deducendo i seguenti motivi di ricorso.
-Violazione di cui allÕart. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 270 e 14 par. 1 della direttiva 2014/41 UE, art. 8 d.lgs 51 del 2018, artt. 6,47 e 52 par. 1 Cedu, art. 24 e 111 Cost., art. 73 e 74 d.p.R. 309 del 1990.
In sintesi, argomenta il ricorrente, lÕinutilizzabilitˆ delle chat Sky Ecc acquisite mediante O.e.i presso l’autoritˆ giudiziaria francese per omessa verifica se lÕattivitˆ di intercettazione svolta sul territorio francese aveva ad oggetto fattispecie di reato rientranti in Italia nel novero dei reati di cui allÕart. 270 cod.proc.pen. posto che il presente procedimento sarebbe fondato sull’utilizzo di attivitˆ di intercettazione, avviata nell’ambito di un procedimento che in Francia, riguardava una determinata ben specifica condotta di reato, relativa alla fornitura di prestazioni di crittografia e di importazioni di mezzi crittografici non autorizzata, che in Italia giammai costituisce reato per cui è possibile disporre intercettazioni.
Sotto altro profilo, l’ordinanza impugnata non avrebbe adeguatamente risposto alle censure della difesa afferenti alla fase di gestione dei dati e quella di abbinamento dei codici identificativi dell’applicativo con i codici Imei. In particolare, posto che è dato assodato e non contestato che il pubblico ministero possa emettere un o.i.e., sarebbe carente la motivazione nella misura in cui non avrebbe affrontato e dato congrua risposta alla lettura dell’art. 14 par. 7 della direttiva 2014/41/ UE che deve essere interpretato nel senso che Òessa impone al giudice penale nazionale di espungere, nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico di una persona sospettata di atti di criminalitˆ, informazioni ed elementi di prova se tale persona non è in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni su tali informazioni ed elementi di prova e questi ultimi siano idonei ad influire in modo preponderante sulla valutazione dei fattiÓ. In tale in tale contesto, il ricorrente, che ha subito gli effetti dell’utilizzo delle risultanze dello Sky EC, non sarebbe stato in grado di svolgerle proprie osservazioni sulle informazioni sugli elementi di prova. Sarebbe stato leso il diritto di avere contezza della procedura, delle modalitˆ di gestione della moltitudine di elementi raccolti dalle autoritˆ investigative d’oltralpe, non potendo ritenersi congruo il riferimento al principio di mutua fiducia reciproco affidamento e affidabilitˆ europea. Si sarebbe verificata, sul punto, una lesione del diritto di difesa che si trarrebbe anche dalla recentissima pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea n. 171 del 2024, emessa a seguito di rinvio pregiudiziale del Tribunale del Tirolo e concernente l’accesso generalizzato ai dati contenuti all’interno di smartphone su apparati in sequestro dalle autoritˆ di polizia. In particolare, secondo
la citata pronuncia, gli articoli 13 e 54 della direttiva 2016/680, letti alla luce dellÕart. 47 e dellÕart. 52, paragrafo 1, ostano ad una normativa nazionale che autorizza le autoritˆ competenti a tentare di accedere a dati contenuti in un telefono cellulare senza informare lÕinteressato, nellÕambito dei procedimenti nazionali applicabili, dei motivi sui quali si fonda lÕautorizzazione ad accedere a tali dati, rilasciata da un giudice o da un organo amministrativo indipendente, a partire dal momento in cui la comunicazione di tale informazione non rischia più suscettibile di compromettere i doveri che incombono su dette autoritˆ in forza di tale direttiva.
Sotto ulteriore profilo, difetterebbe una congrua motivazione in relazione alla gravitˆ indiziaria nei confronti del ricorrente, quale partecipe allÕassociazione finalizzata al narcotraffico di cui al capo B), quale stabile acquirente dal sodalizio di sostanza stupefacente destinata alla rivendita, fondata sugli elementi indiziari della condotta provvisoriamente contestata nel capo B17) e sulle generiche dichiarazione del collaboratore di giustizia COGNOME soprattutto con riguardo allÕidentificazione dellÕinterlocutore delle chat ÒAlexÓ nellÕodierno indagato COGNOME Alessandro, e al contenuto del linguaggio criptico utilizzato a dimostrazione dellÕattivitˆ illecita.
Infine, contraddittoria sarebbe la motivazione in relazione alla ritenuta aggravante di cui allÕart. 416 bis.1 cod.pen. non essendo stato dimostrato come la commissione del reato contesto sia stato commesso al fine specifico di favorire lÕattivitˆ dellÕassociazione mafiosa e della consapevolezza dellÕausilio prestato al sodalizio.
Violazione di cui all’articolo 606 comma 1, lett. e) cod.proc.pen., mancanza e manifesta illogicitˆ della motivazione in relazione allÕesigenza cautelare del pericolo di recidiva, ai sensi degli artt. 274 e 275 cod.proc.pen. in punto attualitˆ, stante il tempo silente trascorso dal fatto, e la contraddittorietˆ della motivazione lˆ dove avrebbe escluso che i precedenti penali del ricorrente non fonderebbero un giudizio prognostico favorevole di osservanza delle prescrizioni imposte nellÕapplicazione degli arresti domiciliari in un contesto nel quale i precedenti sarebbero riferibili agli anni 1999-2000.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il ricorso è nel suo complesso infondato e va, pertanto, rigettato.
Il primo motivo di ricorso, come articolato nel riepilogo, è, sotto tutti i profili di censura, infondato sulla base delle seguenti ragioni.
Con riguardo al primo profilo di violazione dellÕart. 270 cod.proc.pen., le Sezioni Unite di questa Corte, che si sono pronunciate in merito a varie questioni di diritto sollevate sul tema dal ricorrente (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, COGNOME
Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi), hanno affermato che l’acquisizione dei risultati di intercettazioni disposte da un’autoritˆ giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, non è disciplinata dall’art. 234-bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autoritˆ giudiziarie, trovando, invece, applicazione a tal fine la disciplina di cui all’art. 270 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, COGNOME Rv. 286589 Ð 01).
Di tale principio ha fatto corretta applicazione lÕordinanza in esame tenuto conto che lÕacquisizione, ai sensi dellÕart 270 cod.proc.pen., dei risultati delle intercettazioni disposte è applicabile al caso concreto tenuto conto che per il reato per il quale si procede (art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) è previsto lÕarresto in flagranza.
La diversa opzione ermeneutica propugnata dalla difesa secondo cui verifica se lÕattivitˆ di intercettazione svolta sul territorio francese fosse riferita ad un reato previsto tra quelli per cui è consentito in Italia tale mezzo di ricerca della prova, risulta contraria al dato normativo e alla costante giurisprudenza di legittimitˆ.
Non rileva, in altri termini, la verifica che nellÕoriginario procedimento penale lÕintercettazione sia stata disposta per un reato per il quale è consentita ai sensi dellÕart. 266 cod.proc.pen., bens’ rileva la verifica che nel procedimento diverso da quello nel quale sono state autorizzate, si proceda per uno dei delitti per i quali lÕart. 270 cod.proc.pen. la consente. Trattandosi di reati (lÕart. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) per i quali è previsto lÕarresto obbligatorio in flagranza, i risultati delle intercettazioni acquisite allÕestero nellÕambito di altro procedimento penale, sono utilizzabili in Italia.
Peraltro, osserva il Collegio che la censura è destituita di fondamento anche in fatto lˆ dove risulta, dalla stessa ordinanza impugnata, che in Francia si procedeva per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti nonchŽ per la violazione della normativa sui mezzi di criptografia (cfr. pag. 3).
Ed ancora le Sezioni Unite hanno chiarito che in materia di ordine europeo di indagine, le prove giˆ in possesso delle autoritˆ competenti dello Stato di esecuzione possono essere legittimamente richieste ed acquisite dal Pubblico ministero italiano senza la necessitˆ di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intende utilizzarle. Parimenti è stata esclusa la necessitˆ dell’acquisizione e del deposito, nel procedimento in Italia, dei provvedimenti dell’autoritˆ giudiziaria straniera, aventi ad oggetto l’autorizzazione di attivitˆ di indagine in un procedimento pendente davanti ad essa, i cui esiti sono stati successivamente richiesti dall’autoritˆ giudiziaria italiana mediante o.e.i. in quanto lÕart. 78 disp. att. cod. proc. pen., nel
disciplinare l’acquisizione di atti di un procedimento penale compiuti da autoritˆ giudiziaria straniera, non richiede anche l’acquisizione dei provvedimenti giudiziari in forza dei quali tali atti sono stati compiuti.
LÕemissione, da parte del pubblico ministero, di ordine europeo di indagine diretto ad ottenere i risultati di intercettazioni disposte da un’autoritˆ giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate attraverso l’inserimento di un captatore informatico (troyan) sui server di una piattaforma criptata, è ammissibile, perchŽ attiene ad esiti investigativi ottenuti con modalitˆ compatibili con l’ordinamento italiano, e non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria ex art. 6 Direttiva 2014/41/UE, perchŽ tale autorizzazione non è richiesta nella disciplina nazionale.
LÕutilizzabilitˆ dei risultati di intercettazioni disposte da un’autoritˆ giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, deve essere esclusa, sempre secondo le citate pronunce delle Sezioni Unite, se il giudice del procedimento nel quale dette risultanze istruttorie vengono acquisite rileva che, in relazione ad esse, si sia verificata la violazione dei diritti fondamentali, fermo restando che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata.
3. Alla luce del riepilogo dei principi di diritto enunciati dalle citate Sezioni Unite, risultano infondate le ulteriori censure variamente articolate di mancato accesso, e dunque di violazione del diritto di difesa, alle procedure di acquisizione e modalitˆ di gestione dei dati e di raccolta degli stessi ivi compresi lÕaccesso allÕalgoritmo dei decifratura delle chat e di accesso al software che ha consentito la messa in chiaro del contenuto decriptato, che il ricorrente ha articolato anche in via esplorativa.
Sul punto, in forza del coordinamento normativo tra il d.lgs. n. 108/2017 e la Direttiva 2014/41/UE, le Sezioni Unite affermano che, ai fini dell’utilizzabilitˆ di atti acquisiti mediante o.e.i. dall’autoritˆ giudiziaria italiana, è necessario garantire il rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, ma non anche l’osservanza, da parte dello Stato di esecuzione, di tutte le disposizioni previste dall’ordinamento giuridico italiano in tema di formazione ed acquisizione di tali atti. Da un lato, infatti, sia la Direttiva 2014/41/UE, in particolare gli artt. 1 e 14, sia il d.lgs. n. 108/2017, in particolare l’art. 1, evidenziano, come principio generale, l’esigenza di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali, e, tra questi, i diritti della difesa e ad un giusto processo. Dall’altro,
per˜, nŽ l’art. 36 d.lgs. n. 108/2017, nŽ altre disposizioni del medesimo decreto legislativo o della Direttiva 2014/41/UE prevedono, ai fini dell’utilizzabilitˆ degli atti formati all’estero, la necessitˆ di una puntuale applicazione di tutte le regole che l’ordinamento giuridico italiano fissa, in via ordinaria, per la formazione degli atti corrispondenti formati sul territorio nazionale. Anzi, l’art. 14, par. 7, Direttiva 2014/41/UE, proprio laddove impone allo Stato di emissione di rispettare i diritti della difesa e di garantire un giusto processo nel valutare le prove acquisite tramite lÕo.e.i., stabilisce che sono Çfatte salve le norme procedurali nazionaliÈ dizione, quest’ultima, riferita allo Stato di esecuzione. Le Sezioni Unite, quindi, affermano che, ai fini dell’accertamento del rispetto dei diritti fondamentali, assumono rilievo i principi della presunzione relativa di conformitˆ ai diritti fondamentali dell’attivitˆ svolta dall’autoritˆ giudiziaria estera nell’ambito di rapporti di collaborazione ai fini dell’acquisizione di prove, e dell’onere per la difesa di allegare e provare il fatto dal quale dipende la violazione denunciata.
Il principio della presunzione di legittimitˆ dell’attivitˆ compiuta all’estero ai fini dell’acquisizione di elementi istruttori, principio che il ricorrente contesta, oltre ad essere oggetto di costante e generale enunciazione da parte della giurisprudenza di legittimitˆ, trova una precisa base testuale nel Considerando (19) della Direttiva secondo il quale Çla creazione di uno spazio di libertˆ, di sicurezza e di giustizia nellÕUnione Europea si fonda sulla fiducia reciproca e su una presunzione di conformitˆ, da parte di tutti gli Stati membri, al diritto dell’Unione e, in particolare, ai diritti fondamentali. Si tratta, tuttavia, di presunzione relativa con la conseguenza che, se sussistono seri motivi per ritenere che l’esecuzione di un atto di indagine richiesto in un o.e.i. comporti la violazione di un diritto fondamentale e che lo Stato di esecuzione venga meno ai suoi obblighi in materia di protezione dei diritti fondamentali riconosciuti nella Carta, l’esecuzione dell’o.i.e. dovrebbe essere rifiutata. Spetta, in ogni caso, alla difesa l’onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende una causa di nullitˆ o inutilizzabilitˆ da essa eccepita ed è ripetutamente e generalmente ribadito dalla giurisprudenza di legittimitˆ ed ha una sua solida base normativa nellÕart. 187 cod.proc.pen. il quale prevede che i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali sono oggetto di prova, nŽ vi sono dati normativi da cui inferire l’inversione, in questo specifico ambito, della regola generale secondo cui chi afferma l’esistenza di un fatto è gravato dell’onere della relativa prova.
Nel caso in esame, la difesa al di lˆ della contestazione del principio stesso, non ha allegato alcun fatto dal quale desumere la violazione dei diritti fondamentali. La censura, avente carattere esplorativo, presupporrebbe comunque un accertamento di fatto che è estraneo al giudizio di legittimitˆ.
NŽ a diversa conclusione si perviene alla luce di principi della sentenza della Corte di Giustizia UE n. 217 del 2024, richiamata nel ricorso, in quanto non pertinente nel caso che ci occupa. Secondo la sentenza, per la parte che qui assumerebbe rilievo secondo la difesa, gli articoli 13 e 54 della direttiva 2016/680, letti alla luce dellÕart. 47 e dellÕart. 52, paragrafo 1, ostano ad una normativa nazionale che autorizza le autoritˆ competenti a tentare di accedere a dati contenuti in un telefono cellulare senza informare lÕinteressato, nellÕambito dei procedimenti nazionali applicabili, dei motivi sui quali si fonda lÕautorizzazione ad accedere a tali dati, rilasciata da un giudice o da un organo amministrativo indipendente, a partire dal momento in cui la comunicazione di tale informazione non rischia più di compromettere i compiti spettanti a dette autoritˆ in forza di tale direttiva.
Orbene, la questione esaminata attiene allÕacquisizione da parte della polizia giudiziaria, dei dati statici contenuti nellÕapparecchio telefonico in assenza di informazione dellÕinteressato, situazione tuttÕaffatto diversa da quella Ð diversa Ð dellÕutilizzazione dei risultati di intercettazioni disposte allÕestero e acquisite mediante o.i.e., secondo il disposto di cui allÕart. 270 cod.proc.pen. su cui ci si è sopra soffermati.
Anche sotto questo profilo la censura non coglie nel segno. Si evidenzia peraltro che la censura è anche priva di specificitˆ non avendo il ricorrente allegato quali dati statici eventualmente tratti a seguito di acquisizioni di telefonini siano rilevanti ai fini del giudizio di gravitˆ indiziaria che qui rileva.
Neppure coglie nel segno la censura che si appunta sulla gravitˆ indiziaria del ricorrente quale partecipe dellÕassociazione dedita al narcotraffico e del delitto scopo di cui al capo B17). Va in primo luogo rilevato che il quadro indiziario si compone dei risultati delle chat Sky ECC decriptate acquisite tramite o.i.e. e utilizzate ai sensi dellÕart. 270 cod.proc.pen., dai servizi di appostamento, dalle riprese video di telecamere e dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME.
Ci˜ premesso lÕordinanza impugnata ha argomentato che non vi erano dubbi sulla identificazione del soggetto a nome NOME delle chat, nellÕodierno indagato COGNOME NOME, atteso che i dati della chat, incrociati con quelli relativi a servizi di osservazione che avevano monitorato due incontri tra lÕindagato e il Soleti, hanno dimostrato la perfetta corrispondenza tra colui che veniva nominato nelle chat con il diminutivo NOME e NOME COGNOME NOME.
Ed ancora, a logica conclusione sono pervenuti i giudici della cautela lˆ dove hanno argomentato che lÕindicazione al numero indicato con le dita corrispondeva al quantitativo di droga che acquistava dal Soleti, circostanza poi confermata da altra
chat tra il COGNOME e il COGNOME (pag. 29), in un contesto nel quale il gesto dellÕindicazione del numero con le dita della mano era stato ripreso dalla telecamere in occasione di un acquisito di come indicato dalle dita della mano dal COGNOME e trovava riscontro nelle chat che riferivano appunto di acquisiti di 200 o 300 (
). Ed ancora logicamente motivata è la gravitˆ indiziaria circa la sua partecipazione quale anello della catena di distribuzione e vendita da parte del clan COGNOME desunta dal compendio intercettato e dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME (cfr. pag. 33 e 34).
La circostanza aggravante di cui allÕart. 416 1 cod.pen., tenuto conto della fase cautelare in cui si esprime il giudizio di gravitˆ indiziaria, risulta argomentata a pag. 34 ed è desunta dalla contante frequentazione del ricorrente con COGNOME la cui caratura criminale mafiosa era a lui nota, sicchè era consapevole, a livello indiziario, dellÕagevolazione dellÕassociazione mafiosa attraverso lÕattivitˆ illecita di partecipazione allÕassociazione dedita al narcotraffico che era unÕarticolazione di un clan di stampo mafioso in grado di esercitare, con la capacitˆ intimidatoria che conferiva agli affiliati e con la violenza, un ferreo controllo del territorio, nel cui ambito non consentiva agli spacciatori esterni allÕorganizzazione di operare se non preventivamente autorizzati e imponeva a quelli autorizzati il versamento di una percentuale dei profitti per ogni grammo di stupefacente ceduto non fornito dallÕassociazione.
Ma, ancor prima, lÕammissibilitˆ della censura relativa allÕaggravante trova ostacolo nel principio giurisprudenziale secondo cui in tema di procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ci˜ incida sull'”an” o sul “quomodo” della misura ( Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, COGNOME, Rv. 284489 Ð 01; Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279508; Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, COGNOME, Rv. 275028; Sez. 6, n. 50980 del 21/11/2013, Fabricino, Rv. 258502 Ð 01).
Incidenza in ordine alla quale il ricorso non fornisce alcun dato e che il reato associativo fondante la misura, per il quale opera la presunzione di cui allÕart. 275 comma 3 cod. proc. pen., rende di non immediata constatazione.
5. Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato.
Deduce il ricorrente la mancata valutazione del c.d. tempo silente dai fatti allÕapplicazione della misura cautelare ai fini dellÕattualitˆ del pericolo di recidiva. Sulla questione del rilievo del tempo silente, rispetto la quale si registrano due
indirizzi interpretativi ermeneutici, ritiene, il Collegio, di aderire allÕorientamento maggioritario, espresso con recenti pronunce, secondo cui in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolositˆ, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202 Ð 02; Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272; Sez. 3, n. 6284 del 16/01/2019, Pianta, Rv. 274861).
Si è, infatti, condivisibilmente affermato che la presunzione menzionata, in particolare nelle ipotesi in cui sono contestati un reato per sua natura non permanente oppure un reato permanente, come quello associativo, ma oggetto di contestazione “chiusa”, perchŽ corredata dall’indicazione del momento di cessazione della condotta partecipativa, tende ad affievolirsi, quando un considerevole arco temporale separi il momento di consumazione del reato da quello dell’intervento cautelare.
Tale soluzione, che il Collegio ritiene coerente con la stessa struttura del reato associativo e, in particolare, con le connotazioni “dinamiche” proprie della condotta di partecipazione, comporta che il giudice della cautela, ai fini della attualitˆ del pericolo di recidiva, debba valutare, senza alcun automatismo, il tempo intercorso tra i fatti contestati e l’emissione della misura cautelare, ove questo sia rilevante e sia privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolositˆ.
Ci˜ detto, lÕordinanza impugnata ha dapprima evidenziato come i fatti per cui si procede erano commessi fino al 2021 e che, al gennaio 2022, i partecipi erano tutti attivi nel traffico di stupefacenti, sicchè era da escludere la ricorrenza del primo elemento di valutazione del Òrilevante arco temporaleÓ in un contesto associativo tendenzialmente permanente, e che non vi era la prova della rescissione del legame associativo, richiamando sul punto una recente sentenza della Corte di legittimitˆ.
Ora, lÕordinanza impugnata ha reso una motivazione congrua in punto attualitˆ delle esigenze cautelari, in presenza di delitto per cui è operativa la presunzione relativa di cui allÕart. 275 comma 3 cod.proc.pen., in assenza di un rilevante arco temporale e del vincolo tendenzialmente stabile (fino al gennaio 2022), in presenza di dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che avevano riferito
dellÕoperativitˆ per un arco temporale maggiore e fino a tempi ÒrecentissimiÓ (cfr. pag. 32), rispetto allÕadozione della misura del GIP in data 16/09/2024, e dei profilo di personalitˆ del ricorrente, sicchè non era superata la presunzione relativa che nella situazione fattuale concreta, richiedeva la rescissione del legame.
Anche lÕadeguatezza della misura risulta motivata lˆ dove lÕordinanza impugnata ha rilevato che i numerosi precedenti penali non deponevano per una prognosi favorevole di osservanza delle prescrizioni connesse con la misura degli arresti domiciliari, motivazione genericamente censurata dal ricorrente.
Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dellÕart. 616 cod.proc.pen.
La Corte dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dellÕistituto penitenziario competente, a norma dellÕart. 94, comma 1-, disp. att. cod. proc. pen.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui allÕart. 94, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Cos’ deciso il 07/02/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME