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Utilizzabilità chat criptate: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato in custodia cautelare per associazione finalizzata al narcotraffico. Il caso si centrava sulla contestata utilizzabilità chat criptate acquisite da autorità francesi tramite Ordine Europeo di Indagine. La Corte ha confermato che tali prove sono utilizzabili in Italia se si procede per reati che prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza, a prescindere dal reato per cui le intercettazioni erano state originariamente disposte all’estero. Ha inoltre ribadito la presunzione di legittimità degli atti compiuti da autorità estere, ponendo a carico della difesa l’onere di provare specifiche violazioni dei diritti fondamentali.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Utilizzabilità chat criptate: la Cassazione fa chiarezza su prove estere e diritti della difesa

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21831 del 2025, affronta un tema di cruciale attualità nel processo penale moderno: l’utilizzabilità chat criptate provenienti da piattaforme di comunicazione sicura e acquisite da autorità giudiziarie straniere. La pronuncia offre importanti chiarimenti sui limiti e le condizioni per l’impiego di tali elementi probatori nei procedimenti italiani, bilanciando le esigenze investigative con il rispetto del diritto di difesa.

I Fatti del Caso

Un soggetto, indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, si vedeva applicare la misura della custodia cautelare in carcere. La decisione si basava, in larga parte, sui contenuti di conversazioni avvenute su una nota piattaforma di comunicazione criptata, i cui dati erano stati ottenuti dalle autorità giudiziarie francesi e successivamente trasmessi all’Italia tramite un Ordine Europeo di Indagine (O.e.i.).
L’indagato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva confermato la misura cautelare, sollevando diverse questioni giuridiche.

L’Utilizzabilità chat criptate: i motivi del ricorso

Il ricorso si fondava principalmente su tre argomenti:
1. Inutilizzabilità delle prove: La difesa sosteneva che i risultati delle intercettazioni svolte in Francia fossero inutilizzabili in Italia. L’argomentazione si basava sul fatto che il procedimento francese originario riguardava reati (come la fornitura di servizi di crittografia non autorizzati) per i quali in Italia non sarebbero ammesse le intercettazioni, violando così l’art. 270 del codice di procedura penale.
2. Violazione del diritto di difesa: L’indagato lamentava di non aver potuto accedere agli atti del procedimento francese, inclusi gli algoritmi di decifrazione e le modalità di gestione dei dati. Ciò avrebbe leso il suo diritto di contraddire la prova, in contrasto con le norme nazionali ed europee.
3. Carenza di motivazione: Si contestava la solidità del quadro indiziario, l’identificazione dell’indagato come utente delle chat e la sussistenza dell’aggravante mafiosa. Inoltre, si eccepiva la mancanza di attualità del pericolo di recidiva, dato il tempo trascorso dai fatti contestati (cd. “tempo silente”).

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato sotto ogni profilo. Vediamo i punti salienti della decisione.

L’applicazione dell’art. 270 c.p.p. e le prove estere

La Corte ha ribadito un principio ormai consolidato, affermato dalle sue Sezioni Unite: per l’utilizzabilità in un diverso procedimento dei risultati di intercettazioni, ciò che rileva non è il titolo di reato del procedimento originario (in questo caso, quello francese), ma quello del procedimento di destinazione (quello italiano).
Poiché in Italia si procedeva per associazione finalizzata al narcotraffico (art. 74 d.P.R. 309/90), un reato per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, i risultati delle intercettazioni erano pienamente utilizzabili ai sensi dell’art. 270 c.p.p. La Corte ha chiarito che non è necessaria una corrispondenza tra i reati per cui si procede in Italia e in Francia.

Il Diritto di Difesa e la Presunzione di Legittimità

Sul tema della violazione del diritto di difesa, la Cassazione ha richiamato il principio di mutua fiducia e reciproco riconoscimento che governa la cooperazione giudiziaria europea. Esiste una presunzione di legittimità e di conformità ai diritti fondamentali dell’attività svolta dall’autorità estera.
Spetta alla difesa, che eccepisce la violazione, non limitarsi a una contestazione generica, ma allegare e provare fatti specifici da cui desumere la lesione di un diritto fondamentale. Nel caso di specie, il ricorso è stato giudicato esplorativo e generico, non avendo fornito elementi concreti a sostegno della presunta violazione.

La valutazione del “tempo silente” e il pericolo di recidiva

Infine, riguardo all’attualità delle esigenze cautelari, la Corte ha riconosciuto che il tempo trascorso dai fatti può affievolire la presunzione di pericolosità. Tuttavia, nel caso specifico, i reati contestati si protraevano fino a un’epoca relativamente recente (gennaio 2022) rispetto all’applicazione della misura (settembre 2024). Trattandosi di un reato associativo, caratterizzato da un vincolo tendenzialmente stabile, e in assenza di prove di una rescissione del legame criminale, il lasso di tempo non è stato ritenuto sufficiente a far venir meno il pericolo di recidiva, giustificando così il mantenimento della custodia in carcere.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione rigorosa delle norme sulla cooperazione giudiziaria e sull’utilizzabilità delle prove. La sentenza riafferma che il sistema dell’Ordine Europeo di Indagine si basa sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri. Acquisire prove già formate all’estero non richiede l’applicazione pedissequa di tutte le regole procedurali italiane, ma impone la garanzia del rispetto dei diritti fondamentali. L’onere di dimostrare una violazione di tali diritti ricade su chi la eccepisce. La Corte ha inteso così bilanciare l’efficienza investigativa nella lotta alla criminalità transnazionale con la tutela delle garanzie difensive, evitando che contestazioni generiche possano paralizzare l’uso di prove decisive.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza nell’era della criminalità digitale e transnazionale. Stabilisce che l’utilizzabilità chat criptate ottenute all’estero non è subordinata alla natura del reato per cui si procedeva originariamente, ma solo alla gravità del reato per cui vengono impiegate in Italia. Allo stesso tempo, chiarisce che il diritto di difesa è tutelato, ma richiede un’allegazione specifica e concreta di eventuali violazioni, respingendo eccezioni meramente esplorative. Questo approccio pragmatico mira a non vanificare complesse indagini internazionali, pur mantenendo un presidio sui diritti fondamentali dell’individuo.

I risultati di intercettazioni su chat criptate, disposte da un’autorità straniera per un certo reato, possono essere usati in Italia per un reato diverso?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’utilizzabilità di tali prove in Italia dipende esclusivamente dal reato per cui si sta procedendo nel nostro Paese. Se il procedimento italiano riguarda un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (come l’associazione per narcotraffico), i risultati delle intercettazioni estere sono utilizzabili, indipendentemente dal reato per cui erano state autorizzate all’estero.

Per usare prove ottenute tramite Ordine Europeo di Indagine, è necessario acquisire anche i provvedimenti autorizzativi del giudice straniero?
No. La Corte ha chiarito che, in base al principio di reciproco riconoscimento e fiducia, non è necessario acquisire o depositare nel procedimento italiano i provvedimenti giudiziari stranieri che hanno autorizzato l’attività di indagine. Si presume la legittimità dell’operato dell’autorità estera.

Il tempo trascorso dal reato esclude automaticamente il pericolo di recidiva e quindi l’applicazione di misure cautelari?
No, non automaticamente. Sebbene il tempo trascorso sia un elemento che il giudice deve considerare, in casi di reati associativi (come le associazioni a delinquere) la pericolosità si presume più persistente. In assenza di prove che dimostrino la rescissione del legame con l’associazione criminale, un lasso di tempo anche di un paio d’anni può non essere ritenuto sufficiente per escludere l’attualità del pericolo di recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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