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Usura: prova e testimonianza della vittima

Un soggetto viene condannato per il reato di usura sulla base delle testimonianze delle vittime. L’imputato presenta ricorso in Cassazione, lamentando l’imprecisione delle prove a suo carico. La Suprema Corte rigetta il ricorso, confermando che la testimonianza della persona offesa è sufficiente a provare il delitto, soprattutto quando i tassi di interesse descritti sono palesemente esorbitanti, anche in assenza di dettagli precisi su importi e date. La Corte ribadisce il proprio ruolo di giudice di legittimità, che non può riesaminare nel merito i fatti già valutati dai tribunali inferiori.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di Usura: Quando la Parola della Vittima è Prova Piena

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10191 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di reato di usura: il valore probatorio della testimonianza della persona offesa. La decisione conferma un principio fondamentale: la parola della vittima può essere sufficiente a fondare una condanna, anche se non perfettamente precisa su ogni dettaglio, specialmente quando descrive tassi di interesse palesemente esorbitanti. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: La Condanna per Usura

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un uomo per diversi episodi di usura ai danni di più persone. Secondo l’accusa, l’imputato aveva concesso prestiti applicando tassi di interesse altissimi, che in un caso raggiungevano il 120% annuo. La condanna, emessa in primo grado dal Tribunale di Macerata, veniva parzialmente riformata ma sostanzialmente confermata dalla Corte di Appello di Ancona. L’imputato decideva quindi di ricorrere in Cassazione, contestando la validità delle prove a suo carico.

I Motivi del Ricorso in Cassazione: La Prova del Reato di Usura

L’imputato ha basato il suo ricorso su diverse argomentazioni, incentrate sulla presunta inattendibilità e genericità delle prove raccolte. In particolare, la difesa sosteneva che:

1. Le testimonianze delle vittime erano imprecise: Non indicavano con esattezza gli importi ricevuti, le date dei prestiti e, soprattutto, non permettevano di calcolare con certezza il tasso di interesse praticato. Di conseguenza, secondo il ricorrente, non era possibile dimostrare il superamento del cosiddetto “tasso soglia”, elemento costitutivo del reato di usura.
2. Le intercettazioni erano inconcludenti: Le conversazioni telefoniche registrate non avrebbero fornito alcuna prova, neanche indiziaria, dei prestiti usurari.
3. Le dichiarazioni predibattimentali erano state usate illegittimamente: La condanna si fondava anche su dichiarazioni rese da una delle vittime prima del processo, senza che vi fossero, a dire della difesa, adeguati riscontri esterni a corroborarne l’attendibilità.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, dichiarando alcuni motivi inammissibili e altri infondati. La decisione si fonda su principi consolidati sia in materia processuale che sostanziale.

La Valutazione della Prova e il Limite del Giudizio di Legittimità

In primo luogo, la Corte ha ricordato che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti e le prove, compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado. Trattandosi di una “doppia conforme” (decisione confermata in appello), le motivazioni dei due giudizi di merito si integrano a vicenda, creando un corpo argomentativo solido. La Cassazione può intervenire solo in caso di palesi vizi logici o giuridici nella motivazione, non per offrire una diversa lettura delle prove.

Testimonianza della Vittima e Prova del Reato di Usura

Il punto centrale della sentenza riguarda il valore della testimonianza della vittima. La Corte ha stabilito che, per provare il reato di usura, non è necessaria una precisione matematica in ogni dettaglio del racconto. Quando una vittima, ritenuta credibile dal giudice, riferisce di aver pagato interessi a tassi manifestamente sproporzionati (come il 10% mensile, pari al 120% annuo), questa dichiarazione è di per sé prova certa del reato. L’enormità del tasso rende irrilevante l’eventuale incertezza sull’esatto importo del capitale prestato o sulla data precisa. La Corte ha sottolineato come la difesa, del resto, non avesse neppure provato a sostenere che il tasso soglia non fosse stato superato, limitandosi a criticare la genericità delle accuse.

L’Inammissibilità degli Altri Motivi

Gli altri motivi di ricorso sono stati ritenuti inammissibili. Quello sulle intercettazioni è stato giudicato una mera ripetizione di argomenti già respinti in appello, senza un confronto critico con la motivazione della Corte territoriale. Anche la censura sull’uso di dichiarazioni predibattimentali è stata respinta, poiché la Corte d’Appello aveva correttamente applicato i principi secondo cui tali dichiarazioni sono utilizzabili se la loro credibilità è attentamente vagliata e supportata da riscontri esterni, come avvenuto nel caso di specie.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia rafforza la tutela delle vittime del reato di usura. Stabilisce chiaramente che la credibilità del loro racconto è centrale e può essere sufficiente per una condanna, anche in assenza di prove documentali o di una ricostruzione contabile perfetta. Il messaggio è chiaro: di fronte a una palese sproporzione degli interessi richiesti, che rivela la natura predatoria del prestito, le piccole imprecisioni nel ricordo della vittima non possono diventare uno scudo per l’usuraio. La giustizia, in questi casi, dà priorità alla sostanza dei fatti, riconoscendo la difficoltà per chi subisce tali reati di documentare ogni singolo passaggio del rapporto illecito.

Per configurare il reato di usura, la testimonianza della vittima deve essere precisa su ogni dettaglio del prestito?
No. Secondo la sentenza, la testimonianza della vittima può costituire prova piena del reato di usura anche se presenta imprecisioni su dettagli come l’esatta entità del prestito o le date. Ciò è particolarmente vero quando il tasso di interesse denunciato è talmente esorbitante (es. 120% annuo) da rendere palese il superamento del tasso soglia, rendendo irrilevanti le altre incertezze.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove, come le testimonianze o le intercettazioni, per valutare se il reato sussiste?
No. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Non può sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella già effettuata dai giudici di primo e secondo grado. Può intervenire solo in caso di vizi di legge o di motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, come il “travisamento della prova”, ma non per una diversa interpretazione del materiale probatorio.

Una condanna può basarsi esclusivamente sulle dichiarazioni rese da un testimone prima del processo e poi acquisite agli atti (ex art. 512 c.p.p.)?
Sì. La sentenza ribadisce che le dichiarazioni predibattimentali possono costituire la base “esclusiva e determinante” per un accertamento di responsabilità, a condizione che siano state assunte con “adeguate garanzie procedurali”. Queste garanzie includono un accurato vaglio di credibilità e la ricerca di riscontri esterni, anche nel contesto generale dei fatti, come intercettazioni o altre testimonianze.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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