Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14378 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14378 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Carini il 17/12/1968
avverso la sentenza del 04/07/2024 della CORTE di APPELLO di TORINO
Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, riportandosi alla requisitoria in atti;
sentito il difensore, Avv. NOME COGNOME del foro di Asti, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
CONSIDERATO IN FATTO
Con sentenza emessa il 04/07/2024 la Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Ivrea il 14/04/2022, appellata dall’imputato NOME COGNOME previa declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione del reato contestato al capo 4), rideterminava la pena in anni quattro, mesi sei di reclusione ed euro 12.000,00 di multa, in ordine a sette fattispecie di usura ex art. 110, 644, secondo e terzo comma, cod. pen.; limitava altresì la confisca disposta ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 644 cod. pen. alla somma di
euro 48.450 e confermava nel resto (in particolare, con riferimento alla confisca ex art. 240-bis cod. pen. di due immobili di proprietà dell’imputato e delle somme di denaro depositate in conti correnti a lui intestati).
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso l’imputato tramite il difensore di fiducia, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo eccepisce il vizio di motivazione, ritenuta carente, illogica ed affetta da plurime contraddizioni, sia con riferimento alla questione dell’astratta applicabilità ai fatti di causa della norma incriminatrice dell’usur impropria e del calcolo degli interessi, sia sotto il profilo della ritenuta attendibil delle dichiarazioni rese dalle persone offese in sede di istruttoria dibattimentale.
1.1. In relazione al primo aspetto, la difesa rileva come la Corte di appello abbia erroneamente ritenuto usurario il tasso di interesse, basando tale giudizio esclusivamente sulle dichiarazioni delle persone offese anziché su dati certi e concreti, omettendo di affidarsi, ai fini del computo, ad un consulente tecnico; richiama a tal fine il principio secondo cui l’usura mediante dazione è reato a condotta frazionata, per cui l’eventuale sforamento del tasso-soglia doveva essere verificato, trimestre per trimestre, per tutta la durata della rateizzazione, con la massima analiticità possibile e sempre con riferimento all’accertamento trimestrale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con conseguente necessità di determinare il tempo e la durata del prestito e la data dei singoli pagamenti effettuati dal debitore, così da individuare il trimestre dì riferimento e da escludere comparazioni su base annuale.
1.2. Quanto al secondo aspetto, si evidenzia come dalle testimonianze rese in sede di istruttoria dibattimentale non era emersa la prova certa non solo del tasso di interesse, ma anche dell’esatta cadenza con la quale gli interessi usurari sarebbero stati corrisposti dalle vittime all’imputato, risultando perciò impossibile affermare la responsabilità penale di quest’ultimo oltre ogni ragionevole dubbio.
In particolare, per quanto attiene all’usura commessa in danno di NOME COGNOME si sottolinea la mancanza di prova certa sia in ordine alla somma capitale concessa in prestito sia in ordine all’applicazione dì interessi di natura usuraria, e si sostien che il giudice dì seconde cure non avrebbe tenuto conto della testimonianza resa dal geometra NOME COGNOME il quale aveva dichiarato di aver egli stesso predisposto una scrittura privata tra l’imputato e il COGNOME, avente ad oggetto un debito di quest’ultimo nei confronti del primo e tesa a dimostrare l’assenza di pattuizioni di carattere usurario. Neppure dovrebbero ritenersi solide le prove in ordine all’usura ai danni di NOME COGNOME dalle cui dichiarazioni testimoniali emergerebbe unicamente l’intento bonario del COGNOME di voler fare un investimento nella società di costui, in modo da poter rivestire un ruolo all’interno della stessa. Carente ed
illogica risulterebbe la motivazione della sentenza impugnata anche in merito all’usura in danno di NOME COGNOME non essendo stato in grado quest’ultimo di meglio specificare, in sede di istruttoria dibattimentale, l’importo esatto che l’imputato gli avrebbe concesso in prestito, ed avendo altresì egli dichiarato di non aver corrisposto alcuna forma di interesse al COGNOME ma di avergli restituito unicamente la somma capitale di euro 1.000. Si eccepisce altresì la mancanza di prova circa l’applicazione di interessi usurari anche con riferimento alla posizione di NOME COGNOME essendosi la Corte d’appello limitata ad evidenziare che l’imputato avrebbe contestato il ritardo nei pagamenti in maniera alquanto veemente e perentoria, con modalità tipiche dei rapporti tra usurario e debitore, ma senza addurre ulteriori prove circa la pattuizione di interessi usurari e la cadenza precisa con cui gli stessi sarebbero stati corrisposti. Infine, anche in merito all’usura in danno di NOME COGNOME COGNOME, unico elemento valorizzato contra reum dal giudice di merito era indicato nella circostanza che l’imputato aveva riferito che gli assegni gli sarebbero stati consegnati dalla persona offesa in pagamento di forniture di olio effettuate in suo favore, indicando í produttori dai quali era solito approvvigionarsi, i quali tuttavia avevano smentito la sua versione.
Con il secondo motivo di ricorso la difesa eccepisce il vizio di motivazione della sentenza impugnata anche in relazione al profilo sanzionatorio, essendosi omesso di valorizzare il corretto comportamento processuale dell’imputato, la sua partecipazione al processo ed il fatto che abbia acconsentito all’acquisizione di numerosi atti d’indagine rinunciando, al contempo, all’audizione di alcuni testimoni inizialmente indicati, così contribuendo a rendere meno gravosa l’istruttoria dibattimentale; tale insieme di circostanze avrebbe giustificato il riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza – anziché di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti dell’usura. Inoltre, vari elementi – il mancato riconoscimento della recidiva, un solo precedente penale risalente nel tempo, l’assenza di altre pendenze – avrebbe legittimato una rideterminazione della pena più favorevole rispetto a quella derivante dall’intervenuta estinzione del reato di cui al capo 4).
Con il terzo motivo di ricorso si censura il vizio di motivazione in ordine alla confisca disposta ai sensi degli artt. 240-bis e 644, sesto comma, cod. pen.
In particolare, la difesa rileva che il giudice di merito avrebbero errato nel ritenere il valore degli immobili confiscati all’imputato sproporzionati rispetto all sue capacità reddituali, ed evidenzia una serie di elementi che deporrebbero in senso contrario (il lavoro della moglie e la sua capacità di accumulare risparmi) nonché la circostanza che un immobile era stato acquistato all’asta, nel corso di
una procedura di esecuzione immobiliare, al prezzo di 25.000 euro. Contesta altresì l’eccessiva brevità del periodo di riferimento preso in considerazione dalla Corte d’appello per ritenere l’investimento sproporzionato rispetto alle disponibilità patrimoniali dei coniugi; al contrario, un’indagine più approfondita e risalente nel tempo rispetto ai fatti contestati avrebbe consentito di accertare il notevole risparmio economico posto in essere dall’imputato e da sua moglie, tale da rendere l’acquisto degli immobili oggetto dì confisca pienamente proporzionato e coerente con le loro capacità reddituali. Infine, si eccepisce l’evidente sproporzione tra i beni confiscati e l’importo che il ricorrente sarebbe stato eventualmente tenuto a corrispondere; sproporzione che, senza necessità di ulteriori prove da addurre in fase esecutiva, avrebbe dovuto portare ad una attenuazione della misura ablatoria inflitta.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché presentato per motivi non consentiti e comunque privi della specificità necessari ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Quanto al primo motivo di ricorso, la questione concernente il calcolo degli interessi usurari è stata adeguatamente vagliata dalla Corte d’Appello, che, con motivazione logica e corretta in diritto, ha sottolineato che nel caso di specie non si fa questione di elargizione di interessi usurari, bensì di mera pattuizione degli stessi, di per sé sufficiente a ritenere integrato il delitto di usura, che per l’appunt per espressa previsione normativa, si configura non soltanto quando un soggetto si fa dare, ma altresì quando si fa semplicemente promettere interessi usurari. La Corte d’appello ha condiviso le argomentazioni del giudice di prime cure, che aveva calcolato i tassi d’interesse riportati nei capi d’imputazione sulla scorta delle dichiarazioni – ritenute attendibili – delle persone offese, in tal modo determinando le pattuizioni intercorse fra le parti. Di conseguenza, i giudici di merito hanno reputato irrilevante la conoscenza dei dati indicati dal ricorrente, ritenendo, al contrario, ampiamente sufficiente, ai fini del riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato, il dato relativo alla pattuizione di interessi ictu ()cui/ usurari, profilo assorbente rispetto all’asserita incompletezza dell’istruttori dibattimentale e alla mancata consultazione di un perito per ulteriori approfondimenti di carattere tecnico-contabile. In altri termini, secondo la condivisibile argomentazione della Corte di appello, essendo note l’entità della somma mutuata e quella degli interessi mensilmente pattuiti, è stato consequenziale il riscontro della natura usuraria degli accordi in questione.
2.1. Anche in relazione al profilo dell’attendibilità delle persone offese, l’iter motivazionale che ha condotto entrambi i giudici di merito a ritenere attendibili le
persone offese risulta congruo e conforme alle risultanze processuali. In particolare, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritt secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod, proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214).
Ebbene, la sentenza impugnata, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato con il motivo di ricorso in esame, fornisce plausibili ragioni per le quali le persone offese – ad eccezione soltanto di NOME COGNOME le cui dichiarazioni apparentemente mendaci, tuttavia, lungi dallo smentire la ricostruzione del giudice di primo grado, sono state ritenute esplicative della volontà di proteggere l’imputato – sono state giudicate tutte pienamente attendibili: in primo luogo, la Corte d’appello ha osservato che nel caso di specie le persone offese non si erano costituite parte civile, il che, unitamente alla circostanza per cui nessuna di esse aveva ritenuto di rivolgersi spontaneamente alle Forze dell’Ordine per denunciare il reato di cui era vittima, ha consentito di escludere in radice la possibilità di inte calunniatori nei confronti dell’imputato; in secondo luogo, è stata sottolineata la coincidenza tra le varie testimonianze delle persone offese, che si riscontrano l’un l’altra e appaiono connotate da macroscopiche analogie; in terzo luogo, la Corte si è soffermata sulla rilevanza del cospicuo materiale probatorio raccolto nella fase delle indagini, comprensivo dei titoli di credito, pretesi in garanzia dai debitori, ch sono stati rinvenuti presso l’abitazione dell’imputato, e del servizio di osservazione, organizzato su indicazione della persona offesa NOME COGNOME che ha consentito di monitorare la consegna di una rata degli interessi del debito usurario che costui aveva contratto con il COGNOME; in quarto luogo, ulteriori e significative conferme dell’attendibilità delle persone offese sono state tratte dall’analisi della situazione patrimoniale dell’imputato, le cui rilevanti disponibili economiche, così come accertate nel corso delle indagini, sono risultate del tutto sproporzionate rispetto alla sua condizione di disoccupazione e ai redditi da lavoro della moglie, e sono apparse, al contrario, coerenti rispetto all’attività di usura ascritta; da ultimo, le dichiarazioni accusatorie delle persone offese hanno trovato pieno riscontro anche negli esiti delle attività di intercettazione di conversazioni tra presenti e di acquisizione di tabulati telefonici effettuate nel corso dell indagini, attività che non solo ha attestato l’effettiva esistenza di contatti tra persone offese e l’imputato, ma ha altresì comprovato la natura illecita dei loro Corte di Cassazione – copia non ufficiale
rapporti, essendo emersi, dal contenuto delle conversazioni intercettate, numerosi tentativi da parte del COGNOME di occultare i proventi del reato, di cancellarne l prove dai propri apparecchi telefonici e di fornire una giustificazione apparentemente lecita ai propri rapporti con le vittime di usura, il tutto, significativamente, dopo che l’imputato era venuto a conoscenza di essere indagato.
In definitiva, a fronte di una minuziosa motivazione sul punto, i rilievi del ricorrente risultano generici, perché si confrontano in maniera solo apparente ed acritica con il giudizio positivo circa l’attendibilità delle vittime, con conseguen applicazione alla fattispecie in esame del principio dì diritto secondo cui, in tema di usura, la testimonianza della persona offesa in ordine alla natura esorbitante degli interessi praticati sui prestiti può costituire, di per sè, la pr dell’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, senza che sia necessaria, nella motivazione della sentenza, l’indicazione degli elementi di dettaglio del prestito usurario (Sez. 2, n. 10191 del 15/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286053-01)
Privo di specificità risulta anche il secondo motivo di ricorso, che omette di confrontarsi con le argomentazioni della corte territoriale, incentrate sulle modalità della condotta delittuosa.
L’imputato ha agito pervicacemente, ponendo in essere condotte particolarmente odiose, nell’arco di un decennio, in danno di una pluralità di persone offese in stato di difficoltà economica, alcune delle quali imprenditori, conseguendo profitti ingenti per l’applicazione di tassi di interesse particolarmente elevati; inoltre, ha tentato di cancellare le prove dei reati, contattando le persone offese prima che si recassero a testimoniare contro di lui nel corso delle indagini e chiedendo loro di fornire versioni di comodo che lo scagionassero.
A fronte di un quadro così grave, la Corte d’Appello ha condiviso il giudizio di bilanciamento fra circostanze dì segno opposto operato dal Tribunale in termini di equivalenza, respingendo, al contempo, la richiesta difensiva di procedere ad un’ulteriore riduzione della pena, in aggiunta a quella effettuata in conseguenza della declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di cui al capo 4).
Circa il terzo motivo di ricorso, la corte di merito ha adeguatamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la confisca disposta dal giudice di prime cure, fatta salva la rideterminazione di quella inflitta ai sensi dell’art. 644, sesto conmma, cod. pen., che, in conseguenza dell’estinzione del delitto di cui al capo 4), è stata limitata alla minor somma di euro 48.450. In particolare, richiamando il principio secondo cui «in tema di confisca per equivalente il giudice della cognizione, nei limiti del valore corrispondente al
profitto del reato, può disporre il provvedimento ablatorio anche in mancanza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro e senza necessità di
individuare i beni da apprendere, potendo il destinatario ricorrere al giudice dell’esecuzione qualora si ritenga pregiudicato dai criteri adottati dal P.M. nella
selezione dei cespiti da confiscare» (Sez. 5, n. 9738 del 02/12/2014, dep. 2015,
COGNOME, Rv. 262893), ha rilevato che i beni immobili oggetto di confisca appartengono sicuramente all’imputato, e possono in quanto tali soggiacere a
confisca per equivalente, indipendentemente da qualsiasi giudizio sulla proporzionalità del loro valore alle capacità reddituali del medesimo e da qualsiasi
valutazione in ordine alla loro origine lecita, posto che la norma richiamata contempla espressamente la possibilità di aggredire i beni che costituiscono prezzo
o profitto del reato, ovvero somme di denaro, beni e utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un importo pari al valore degli
interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari. È proprio in applicazione di tale norma che, nel caso di specie, i giudici di merito hanno ritenuto congruo disporre
la confisca fino alla concorrenza dell’importo costituente il profitto del delitto di usura, originariamente accertato in euro 80.250 e successivamente rideterminato nella minor somma indicata.
Quanto, invece, alla confisca disposta ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., anche in questo caso la doglianza difensiva non aggiunge elementi di novità rispetto a quanto già contestato con l’atto di appello e adeguatamente smentito nella motivazione della sentenza impugnata, laddove si è rilevata l’evidente sproporzione fra il valore degli immobili confiscati e le capacità reddituali dell’imputato sulla base di elementi in fatto non suscettibili di nuovo esame in sede di legittimità.
L’inammissibilità del ricorso determina, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 06/02/2025
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