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Usura: la vittima è credibile anche con precedenti?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un commercialista condannato per usura aggravata. La sentenza sottolinea che la testimonianza della persona offesa può essere sufficiente a fondare la condanna, anche se questa ha precedenti penali, purché la sua credibilità sia vagliata con particolare rigore dal giudice e supportata da riscontri esterni, come in questo caso da consegne di denaro monitorate e dal ritrovamento di assegni.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Usura: la parola della vittima basta per la condanna?

La lotta al reato di usura si basa spesso su un equilibrio delicato: la credibilità della persona offesa contro la negazione dell’imputato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali sulla valutazione della prova in questi casi, confermando una condanna e chiarendo come la testimonianza della vittima, anche se con un passato burrascoso, possa essere pienamente valida. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti del processo

Il caso riguarda un commercialista condannato in primo e secondo grado per il reato di usura aggravata ai danni di due suoi clienti. Secondo l’accusa, l’uomo aveva approfittato delle loro difficoltà economiche per prestare denaro a tassi esorbitanti. La difesa dell’imputato aveva costruito il proprio appello su un punto principale: l’inattendibilità delle persone offese. Si contestava la ricostruzione dei fatti, sostenendo che i rapporti economici fossero di natura professionale e che le dichiarazioni delle vittime fossero mendaci.

Inoltre, la difesa lamentava la mancata riapertura del processo in appello per esaminare nuove prove, tra cui registrazioni telefoniche che, a loro dire, avrebbero smascherato un tentativo di estorsione da parte di una delle vittime ai danni dell’imputato.

L’analisi della Corte sul reato di Usura

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure della difesa una mera riproposizione di argomenti già correttamente valutati e respinti dalla Corte d’Appello. La sentenza è un’occasione per ripassare alcuni capisaldi in materia di prova del reato di usura.

I giudici hanno sottolineato che la decisione di condanna non si basava unicamente sul “sentito dire” delle vittime. Al contrario, le loro dichiarazioni erano state attentamente vagliate e supportate da solidi elementi di riscontro:

1. La spontaneità dell’intervento delle forze dell’ordine: L’indagine non è partita da una denuncia formale, ma da una richiesta di intervento ai Carabinieri da parte di una vittima, timorosa di subire violenze dall’imputato che pretendeva la restituzione del denaro.
2. Il monitoraggio della consegna: I Carabinieri hanno potuto osservare una consegna di denaro avvenuta in un luogo anomalo per una transazione lecita (un hotel), confermando la natura clandestina del rapporto.
3. L’esito della perquisizione: Nell’abitazione dell’imputato, in una cassaforte in camera da letto (luogo estraneo all’attività professionale), sono stati trovati ingente denaro contante, numerosi assegni in bianco e un quaderno con appunti. Elementi che, secondo i giudici, confermavano un’attività illecita.
4. Il ritrovamento degli assegni: Sono stati rinvenuti due dei tre assegni che una delle vittime aveva dichiarato di aver consegnato a garanzia del debito usurario.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha spiegato che, in tema di testimonianza, le dichiarazioni della persona offesa possono costituire, anche da sole, il fondamento di una condanna. Tuttavia, richiedono una verifica della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità del suo racconto più penetrante e rigorosa rispetto a quella di un normale testimone.

Nel caso specifico, tale verifica era stata eseguita con successo. Anche i precedenti penali di una delle vittime non sono stati ritenuti sufficienti a minarne la credibilità, poiché non si trattava di reati contro l’amministrazione della giustizia (come la calunnia) e il codice non prevede un’incompatibilità assoluta. Lo stato di bisogno, elemento costitutivo del reato di usura, è stato ritenuto provato non solo dalle condizioni di vita modeste delle vittime ma anche dalla stessa entità spropositata degli interessi richiesti: è ragionevole presumere che solo chi si trova in grave difficoltà possa accettare condizioni tanto inique.

Infine, la Corte ha respinto la richiesta di rinnovazione del dibattimento in appello, poiché il motivo era stato formulato in modo troppo generico, senza specificare il contenuto e la rilevanza delle presunte nuove prove. Un’impugnazione deve essere specifica fin dall’inizio e non può essere precisata solo in Cassazione.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale: nel reato di usura, la parola della vittima ha un peso determinante, a condizione che il giudice la sottoponga a un vaglio critico rigoroso, cercando riscontri esterni che ne confermino la narrazione. Dimostra inoltre che tentare di screditare genericamente la vittima, magari facendo leva su suoi precedenti penali, è una strategia difensiva debole se non si è in grado di evidenziare contraddizioni manifeste e illogicità nel suo racconto. La decisione serve anche da monito sull’importanza di redigere atti di impugnazione dettagliati e specifici, pena la loro inammissibilità.

La testimonianza della vittima di usura è sufficiente per una condanna?
Sì, le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale, a condizione che il giudice compia una verifica particolarmente penetrante e rigorosa sulla credibilità del dichiarante e sull’attendibilità del suo racconto.

Avere precedenti penali rende la testimonianza di una vittima di usura automaticamente inattendibile?
No. La Corte ha chiarito che la circostanza che la persona offesa sia gravata di precedenti penali non determina di per sé uno ‘status’ di ontologica inattendibilità, specialmente se tali precedenti non riguardano delitti contro l’amministrazione della giustizia e non sono connessi al reato per cui si procede.

Come si prova lo ‘stato di bisogno’ nel reato di usura?
Lo stato di bisogno può essere provato anche con la sola misura degli interessi praticati. Se gli interessi sono di entità tale da risultare iniqui e onerosi, si può ragionevolmente presumere che solo un soggetto in stato di bisogno possa accettare di contrarre un prestito a quelle condizioni. Inoltre, può essere dimostrato da altri elementi come le difficoltà economiche generali della vittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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