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Usura in concreto: quando si applicano le aggravanti?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4906/2024, ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per usura aggravata. L’imputato sosteneva che, trattandosi di ‘usura in concreto’, non dovessero applicarsi le aggravanti ad effetto speciale, con conseguente prescrizione del reato. La Suprema Corte ha invece chiarito che le aggravanti previste dall’art. 644 c.p. sono applicabili a tutte le forme di usura, inclusa quella ‘in concreto’, confermando la condanna e la pena inflitta nei gradi di merito.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Usura in concreto e aggravanti: la Cassazione fa chiarezza

Il reato di usura rappresenta una piaga sociale ed economica che il legislatore ha cercato di contrastare con una normativa complessa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4906 del 2024, offre un’importante chiave di lettura sull’applicazione delle circostanze aggravanti alla fattispecie della cosiddetta usura in concreto. Questo concetto si riferisce a situazioni in cui un prestito, pur avendo tassi inferiori alla soglia legale, diventa usurario per la sproporzione delle condizioni imposte a una persona in difficoltà. La decisione analizza se le aggravanti speciali, che incidono pesantemente sulla pena e sulla prescrizione, possano applicarsi anche a questa specifica forma del reato.

I fatti del processo

Il caso trae origine da una condanna per usura aggravata emessa dal Tribunale e confermata in Appello. Un soggetto, agendo in concorso con altri, aveva concesso un prestito a tassi che superavano il 200% a un’imprenditrice in difficoltà economica. L’operazione prevedeva anche la concessione in garanzia di un immobile di proprietà della vittima. L’imputato, condannato nei primi due gradi di giudizio, ha proposto ricorso in Cassazione lamentando, tra le altre cose, un’errata qualificazione giuridica del fatto. Secondo la sua difesa, il caso andava inquadrato come usura in concreto e, in quanto tale, non sarebbero state applicabili le aggravanti speciali previste dall’articolo 644 del codice penale. Di conseguenza, il reato sarebbe dovuto essere dichiarato estinto per prescrizione.

L’analisi della Corte e la questione dell’usura in concreto

La difesa dell’imputato si fondava su un’interpretazione restrittiva della norma, secondo cui le aggravanti speciali (come l’aver commesso il fatto nell’esercizio di un’attività professionale) non si concilierebbero con la natura dell’usura in concreto, che si basa sulla valutazione soggettiva della sproporzione e dello stato di bisogno. Il ricorrente, inoltre, contestava la valutazione delle prove a suo carico e riteneva la pena eccessiva.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo una motivazione articolata e di grande interesse giuridico. In primo luogo, i giudici hanno chiarito che l’articolo 644 c.p. delinea una norma a più fattispecie, che incrimina sia la “prestazione usuraria” (usura pecuniaria o reale) sia la “mediazione usuraria”. Le previsioni relative all’usura in concreto, contenute nei commi terzo e quarto, servono a definire i contorni della condotta usuraria anche quando i tassi sono inferiori al limite legale, correlando la sproporzione della prestazione alle condizioni di difficoltà economica e finanziaria della vittima. Secondo la Suprema Corte, l’analisi sistematica e letterale della disposizione non lascia dubbi: le circostanze aggravanti previste dal comma quinto, che comportano un aumento di pena da un terzo alla metà, si applicano a tutte le ipotesi di usura previste dall’articolo 644, senza alcuna distinzione. Non esiste alcuna incompatibilità logica o giuridica tra la fattispecie di usura in concreto e l’applicazione delle aggravanti. Pertanto, essendo state correttamente contestate e ritenute sussistenti le aggravanti, il termine di prescrizione non era decorso al momento della decisione d’appello. La Corte ha inoltre respinto gli altri motivi, ritenendoli un tentativo di riesame del merito non consentito in sede di legittimità e giudicando la pena congrua in ragione della gravità del fatto e dell’elevata capacità a delinquere dimostrata.

Le conclusioni

La sentenza n. 4906/2024 consolida un principio fondamentale in materia di usura: la tutela della vittima è ampia e non ammette interpretazioni che possano creare vuoti di tutela. La decisione ribadisce che l’usura in concreto non è una forma minore del reato, ma una sua specifica manifestazione che può essere, al pari delle altre, aggravata dalle circostanze previste dalla legge. Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche: da un lato, rafforza gli strumenti repressivi contro condotte predatorie che sfruttano la vulnerabilità economica altrui; dall’altro, serve da monito, chiarendo che anche operazioni finanziarie apparentemente lecite possono integrare un grave reato se le condizioni imposte sono sproporzionate e approfittano di uno stato di difficoltà.

Le circostanze aggravanti previste per il reato di usura si applicano anche all’ipotesi di ‘usura in concreto’?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’analisi sistematica e letterale dell’art. 644 cod. pen. dimostra che le circostanze aggravanti ad effetto speciale, previste dal quinto comma, sono applicabili a tutte le fattispecie di usura, inclusa quella ‘in concreto’, senza alcuna incompatibilità.

Quando una sentenza di appello che conferma quella di primo grado è considerata sufficientemente motivata?
Quando le due sentenze formano un unico corpo argomentativo (‘doppia conforme’), il giudice d’appello non è tenuto a un’analisi approfondita di ogni singola deduzione, ma è sufficiente che spieghi in modo logico e adeguato le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presenti i fatti decisivi. Le argomentazioni difensive incompatibili con la decisione si considerano implicitamente disattese.

Come viene valutata dalla Cassazione la congruità della pena decisa nei gradi di merito?
La valutazione sulla congruità della pena è insindacabile in sede di legittimità se è sorretta da una motivazione sufficiente e non presenta vizi logici o mero arbitrio. Nel caso specifico, la Corte di appello aveva adeguatamente motivato la pena richiamando le caratteristiche del fatto e l’elevata capacità a delinquere dell’imputato, rendendo la decisione incensurabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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