Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27763 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27763 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a FIRENZE il 15/12/1942
avverso la sentenza del 15/12/2022 della RAGIONE_SOCIALE di FIRENZE d;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME jtrya. e e udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurator) COGNOME INDIRIZZO COGNOME, la quale ha concluso per l’inammissibilità.
udito il difensore ‘avvocato COGNOME per l’accoglimento del ricorso. cke
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 15/12/2022 (pervenuto il fascicolo in Corte il :3/05/2024) che, in riforma della sentenza del Tribunale di Firenze e in parziale accoglimento dell’appello del pubblico ministero, ha dichiarato il ricorrente colpevole del delitto di usura contestato al capo C) della rubrica, confermando la sentenza impugnata sia in ordine all’affermazione di responsabilità quanto al delitto di usura di cui al capo B) sia in ordine all’assoluzione dell’imputato quanto al delitto di usura di cui al capo A).
2. La difesa affida il ricorso a quattro motivi.
2.1. Con i primi tre, denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato il giudizio di colpevolezza con riguardo al delitto di usura contestato al capo B) della rubrica.
La cesura attiene al diverso percorso arigomentativo che aveva condotto il giudice di appello ad affermare l’esistenza dell’usura e, in particolare, a determinare il tasso usurario.
Si evidenzia l’illogicità della sentenza impugnata laddove non si era avveduta che il Tribunale, per determinare il tasso usurario, aveva assegnato rilievo anche all’operazione immobiliare che, secondo l’editto accusatorio, sarebbe stata congegnata a garanzia dell’adempimento dell’obbligazione usuraria.
Si precisa che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, la sentenza di primo grado ha imputato a titolo di interessi usurari proprio le somme che l’imputato avrebbe lucrato dall’acquisto dell’immobile, operando una congiunzione (e non distinzione) tra l’operazione del prestito e quella immobiliare, tanto che la misura del tasso usurario era stata individuata “mediante un’elementare sottrazione del valore della somma prestata da quello dell’immobile”.
Peraltro, e in ciò consiste la denuncia di violazione di legge, si era fatto ricorso al parametro degli interessi legali per stabilire il tasso usurario rispetto ad una prestazione in natura non riconducibile ai parametri indicati dalla normativa secondaria che integra l’art. 644 cod. pen., bensì da valutarsi alla stregua dell’eventuale sproporzione tra prestito in denaro e controprestazione in natura.
Si era, quindi, impropriamente utilizzato il parametro di valutazione dell’usura legale, attraverso la previa monetizzazione dell’operazione della prestazione in natura e la successiva riconduzione al concetto di interesse, tipico dell’usura legale, dell’eventuale plusvalore del bene consegnato in pagamento rispetto al denaro prestato.
Si lamenta, infine, l’omessa motivazione in ordine alla «condizione di difficoltà economica» che costituisce un elemento imprescindibile per la sussistenza dell’usura in concreto.
2.2. Con il quarto motivo deduce l’illogicità della motivazione relativamente al capo C) della rubrica, in ordine al quale la Corte di merito, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, aveva riformato il giudizio assolutorio di primo grado.
Il rilievo attiene all’argomento utilizzato per sostenere che l’imputato avesse praticato interessi usurari e che la Corte di merito aveva ricavato dalla circostanza – del tutto deduttiva e foriera di differente spiegazione – che l’imputato avesse trattenuto, stante l’assenza di qualsiasi denuncia di smarrimento, una cambiale di euro 41.550,00, così praticando interessi usurari a fronte di un prestito di euro 80.000,00 per cui erano state emesse cambiali per euro 121.550,00.
Il fatto che la cambiale in questione non fosse stata oggetto di denunzia di smarrimento era invece circostanza che meglio si spiegava, deduttivamente, con l’incertezza che essa potesse o possa, ancora, trovarsi compiegata a uno dei plurimi incartamenti (atti costitutivi di ipoteca, notarili, ecc.) delle varie procedu di cui in atti, comunque non nella disponibilità del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato in ordine al delitto di usura ci cui al capo B); è invece inammissibile con riguardo all’ulteriore episodio di usura contestato al capo C) della rubrica.
I vizi di legittimità denunziati con i primi tre motivi muovono dall’asserita illogicità in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel distinguere, mediante un inesatto richiamo alla sentenza di primo grado, le due operazioni di «prestito» e di tipo «immobiliare» che denotano la vicenda usuraria descritta nel capo di imputazione, per poi unirle contra reum in sede di individuazione del preteso interesse usurario, omettendo persino di motivare circa la verifica della condizione di difficoltà economica in cui avrebbe dovuto versare la persona offesa ai fini della sussistenza dell’usura in concreto.
Dalla lettura delle sentenze di merito risulta, anzitutto, che la persona offesa ebbe a ricevere dall’imputato a titolo di prestito la somma complessiva di euro trecentomila, derivanti da due prestiti di euro centomila e duecentomila avvenuti nel corso del 2004 (rispettivamente nei mesi di aprile e maggio 2004).
Con riguardo al primo prestito, in relazione al quale si precisa che la p.o. non ebbe a restituire alcunché (neppure menzionato nel capo di imputazione), non
sono indicate le condizioni; con riferimento, invece, al secondo prestito, l’accordo prevedeva la restituzione del denaro in tre anni e gli interessi, di natura certamente usuraria in relazione al tasso legale, erano stabiliti in complessivi euro 60/70.000,00 circa.
A garanzia del prestito, la p.o. si impegnava a vendere in favore dell’imputato (o a persona dal medesimo nominata), mediante la sottoscrizione di un preliminare recante la data del 3 maggio 2004, un villino di proprietà di una società alla medesima riconducibile (la RAGIONE_SOCIALE. In sede di preliminare le parti stabilivano il prezzo in euro 550.000,00, «di cui 450.000,00 euro già corrisposti e la restante somma di euro 100.000,00 da versare con il rogito».
Dopo qualche mese, avendo necessità di liquidità, l’imputato aveva proposto alla p.o. di stipulare il definitivo, indicando come acquirente una società, la RAGIONE_SOCIALE, allo stesso riconducibile. La compravendita, alle condizioni stabilite ne contratto preliminare, ebbe luogo il 15/03/2005. Le parti davano atto che la somma di euro 450.000,00 era stata già versata all’atto del preliminare e per il pagamento della restante, pari ad euro 100.000,00, si prevedeva un mandato irrevocabile all’incasso del ricavo di un mutuo bancario che sarebbe stato contratto dalla società acquirente. Lo stesso giorno della vendita veniva stipulato dalla società dell’imputato il mutuo ipotecario con la Cassa di Risparmio di Firenze, per euro 440.000,00, poi versati nel c/c della società il successivo 13 aprile 2005, di cui soltanto euro 210.00,00 venivano versati, quale quota parte del prezzo, alla p.o., trattenendo l’imputato la restante somma di euro 234.000,00 che, nell’ottica accusatoria, corrisponderebbe al prestito di euro 200.00,00 e all’ammontare degli interessi per euro 34.000,00 (l’imputato avrebbe così ottenuto il rimborso del prestito erogato oltre gli interessi usurari).
Inoltre, per come accertato anche dalla G.d.F., nessuna somma venne corrisposta all’atto del preliminare dalla società acquirente, né l’ulteriore importo dovuto a titolo di prezzo di acquisto dell’immobile pari ad euro 100.000,00 risulta mai essere stato versato dall’imputato, tramite la società acquirente, in favore della p.o.
La p.o., in vece dell’imputato, si era anche obbligata al pagamento della rata di mutuo con cadenza mensile pari ad euro 5..000,00, onere soddisfatto per circa un paio d’anni nella misura di euro 120.000,00 (le rimesse della p.o. erano poi cessate e l’imputato non ha versato alcunché in banca pur ricevendo dette somme).
Si è, altresì, precisato che l’operazione di vendita dell’immobile aveva il precipuo scopo di frodare la banca mutuataria, in quanto funzionale ad ottenere il mutuo bancario poi spartito tra i due, oltre che denotare la finalità di danneggiare i creditori della persona offesa, precludendo il pignoramento immobiliare, quale
conseguenza diretta della simulazione, per come accertato in separato giudizio dal Tribunale civile di Firenze e dal successivo patto di retrovendita sottoscritto il 30 settembre 2009 dalle parti con riduzione del prezzo laddove fosse stata accertata – come poi avvenuto- la simulazione.
Inoltre, tenuto conto che la ricezione dei prestiti usurari, per quanto riferito dalla p.o., era antecedente all’operazione di mutuo, si è escluso che a detta operazione dovesse attribuirsi valenza usuraria, «che non si confonde nemmeno con la percezione di C 210.000,00 da parte della medesima p.o. a seguito della spartizione del muto bancario ottenuto dall’imputato che attiene invece alle dinamiche della relativa operazione, da ritenere anch’essa distinta e separata rispetto al prestito oggetto del capo di imputazione sub b)» (v. pag. 13 sentenza di primo grado).
A fronte di tale ricostruzione della vicenda, i giudici di merito, pur ritenendo indifferenti le vicende relative al mutuo fondiario che le parti hanno concordemente convenuto di apporre sull’immobile, hanno:
determinato la somma capitale da considerarsi oggetto di prestito usurario in complessivi euro trecentomila, pari ai due prestiti ricevuti dalla p.o. sostanzialmente in un coevo arco temporale coevo (aprile-maggio 2004);
comparato detto complessivo importo con il valore dell’immobile che la p.o. aveva venduto alla società dell’imputato, tanto facendo riferimento a quello contrattuale pari ad euro 550.000,00, quanto a quello, invece, riferibile soltanto al mutuo erogato, pari ad euro 440.000,00, ricavandone, in entrambi i casi un tasso usurario nell’anno considerato;
escluso rilievo, ai fini della misura del tasso di interesse praticato, tanto ai 210.000,00 euro che la p.o. ha ricevuto da parte dell’imputato a seguito dell’erogazione del mutuo bancario che a quanto dalla p.o. versato a titolo di ratei di mutuo;
ricavato l’aggravante di cui al comma 4 cilell’art. 644 cod. pen. sul rilievo che l’immobile era finalizzato a garantire il prestito usurario (v. pag. 6).
Ciò premesso, ritiene il Collegio che, alla luce degli elementi di fatto declinati dai giudici di merito, la sentenza impugnata non abbia appieno considerato traendone poi le successive conseguenziali conseguenze ai fini di una corretta determinazione del tasso usurario – che l’operazione di mutuo congegnata dalle parti ai danni della banca non fosse soltanto volta a frodare i creditori della p.o. sottraendo il bene immobile all’esecuzione forzata, ma anche congegnata quale strumento che consentiva alle stesse di disporre, attraverso un’operazione definita dallo stesso giudice del merito “opaca”, di una provvista liquida, così consentendo all’imputato di rientrare dei prestiti usurari in precedenza concessi per contanti alla p.o.
Invero, a fronte di prestiti ricevuti per contanti, l’immobile di proprietà del p.o. (precisamente della società RAGIONE_SOCIALE al medesimo riconducibile) accede qual “garanzia” ad entrambi i prestiti usurari: con riguardo al primo prestito di euro 100.000,00, le parti lo imputano formalmente ad una caparra che la p.o. riceve dall’imputato per l’acquisto della villa (in località Covigliano di Firenzuola), s prezzo concordato di euro 250.000,00 (scrittura del 4/03/200.4); con riferimento al secondo, invece, le parti stipulano contestualmente un preliminare di vendita (il 3/05/2004) sempre dello stesso bene per il prezzo di euro 550.000,00, di cui euro 450.000,00 si indicano “già versati” e la restante somma da versare al rogito.
La circostanza che si tratti di contratti simulati è asseverata non solo da quanto riferito dalla p.o., ma anche dalle tempistiche delle operazioni (che si succedono a distanza di un mese) e, soprattutto, dall’assenza di riscontri bancari che diano conto delle indicate erogazioni.
Dalle dichiarazioni della p.o. riportate in sentenza emerge che l’imputato aveva bisogno di rientrare del prestito effettuato e che, a tale scopo, venne proprio stipulato il contratto definitivo, con cui, pertanto, le parti regolavano ex novo il loro rapporto usurario.
Ciò emerge dagli stessi elementi documentali passati in rassegna dai giudici di merito: dalla spartizione del mutuo, infatti, l’imputato trattiene per sé la somma di euro 235.000,00, pari al prestito di euro 200.000,00 oltre interessi usurari per euro 35.000,00; inoltre non corrisponde alcunché – per come ac:certato dalla G.d.F. – con riguardo all’ulteriore prezzo di acquisto dell’immobile per euro 100.000,00 che corrisponde all’entità del primo prestito. La p.o. si sobbarca – mediante rimesse effettuate a favore della società dell’imputato quale obbligata – il pagamento delle rate di mutuo (di circa cinciuemila euro ciascuna con cadenza mensile), onorate per due anni in numero di 24 (fino al 30/06/2007) per complessivi euro 120.000,00 e poi interrotte.
Del resto, che ci si trovi dinanzi ad una vicenda unitaria si ricava dallo stesso capo di imputazione elevato dal pubblico ministero, il quale riconduce i prestiti, la vendita simulata del bene e il contratto di mutuo al comune filo conduttore di adempiere anche il debito usurario, concludendone per la natura usuraria dell’operazione, anche se considera soltanto come capitale l’importo relativo al secondo prestito.
In conclusione, sebbene correttamente i giudici di merito abbiano dato ingresso in favor nella determinazione del capitale versato anche dell’importo di euro centomila quale precedente prestito sempre legato alle vicende dell’immobile, hanno, però, disatteso, ai fini della determinazione del tasso usurario, le vicende legate alla stipula del contratto di mutuo che, invece, costituiscono le modalità di adempimento dell’originario patto usurario concluso
dalle parti e che necessariamente debbono tenere conto non solo della quota di capitale pari ad euro centomila inizialmente versata dall’imputato alla p.o., ma anche delle pattuizioni di tipo economico che hanno investito l’intera vicenda descritta dalle sentenze di merito.
Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per nuovo giudizio sul punto: il giudice del merito, considerata l’unitarietà dell’operazione di «prestito» e «immobiliare» e determinato il capitale oggetto della contestata usura in euro 300.000,00, dovrà precisare se le componenti economiche dell’operazione diano luogo ad un’ipotesi di usura legale.
Il quarto motivo di ricorso, relativo alla vicenda usuraria contestata al capo C) della rubrica, è inammissibile, in quanto il ricorrente, attraverso la denuncia del vizio di motivazione, intende sottoporre alla Corte di legittimil:à un’alternativa d merito che non risulta essere stata asseverata dai giudici di merito, a fronte, invece, di una ricostruzione che addita l’imputato della mancata restituzione del titolo cambiario fondata su elementi logici.
Si è, infatti, fatto riferimento alla circostanza, indicata anche a corredo dell’appello del pubblico ministero, che gli imputati – in sede di rinnovazione delle cambiali (erano state emesse in precedenza tre cambiali per un totale di euro 81.550,00 pari all’importo del prestito, di cui due per euro 20,000,00 ciascuna e altra per euro 41.550,00; il rinnovo prevedeva quattro cambiali di pari importo, oltre accensione di ipoteca sull’immobile acquistato dalla p.o.) – non avevano restituito alla p.o. il titolo di maggior importo che sostenevano avere smarrito (v. pag. 10 della sentenza impugnata). Da qui il ricalcolo degli originari interessi praticati, correttamente ricondotti ad un tasso usurario.
4. In conclusione:
va dichiarato inammissibile il ricorso con riguardo al delitto di usura di cui al capo C) della rubrica e irrevocabile sul punto l’affermazione di responsabilità dell’imputato;
va annullata la sentenza impugnata limitatamente al delitto di usura di cui al capo B) della rubrica, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio su detto capo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B), con rinv per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso, il 4 luglio 2024
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