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Usura e tentata estorsione: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per usura e tentata estorsione. La sentenza conferma che il reato di usura si perfeziona con il solo accordo su tassi illeciti, e che le minacce per ottenere il pagamento integrano la tentata estorsione, poiché mirano a un profitto ingiusto derivante da un patto illecito. Il ricorso è stato respinto in quanto generico e volto a una non consentita rivalutazione dei fatti del merito.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Usura e tentata estorsione: la Cassazione chiarisce i confini tra pretesa legittima e reato

Un prestito tra privati può trasformarsi in un grave illecito penale. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 9095/2025, offre un’analisi cruciale sui delitti di usura e tentata estorsione, confermando la condanna di un’imputata e chiarendo i principi che distinguono una pretesa economica, seppur illecita, dal reato di estorsione. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, ribadendo che minacciare qualcuno per ottenere il pagamento di interessi usurari non è un tentativo di far valere un proprio diritto, ma un atto estorsivo a tutti gli effetti.

I fatti del caso: da un prestito privato alla condanna

Il caso ha origine da un prestito di 2.000 euro concesso da una donna, in concorso con la figlia, a un’altra persona. La vicenda è approdata in tribunale quando è emerso che gli interessi richiesti superavano la soglia legale (usura) e che per ottenerne la restituzione erano state utilizzate minacce (tentata estorsione). Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Napoli avevano confermato la responsabilità penale dell’imputata, la quale ha deciso di ricorrere in Cassazione per contestare la sua condanna.

I motivi del ricorso e la contestazione di usura e tentata estorsione

La difesa ha basato il proprio ricorso su quattro punti principali:
1. Errata valutazione delle prove: Si contestava la valutazione della testimonianza della persona offesa e la mancata prova certa della natura usuraria degli interessi, data l’incertezza sulla durata del prestito e sul tasso-soglia applicabile.
2. Insussistenza dell’estorsione: Secondo la difesa, mancavano gli elementi del reato di estorsione, trattandosi di un semplice rapporto negoziale tra privati.
3. Errata qualificazione del reato: Si chiedeva di derubricare la tentata estorsione nel più lieve reato di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, sostenendo che l’imputata agiva nella convinzione di recuperare una somma legittimamente dovuta.
4. Eccessività della pena: Si lamentava un trattamento sanzionatorio troppo severo, considerata l’incensuratezza dell’imputata e la modesta entità del prestito.

Le motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, dichiarandolo inammissibile. La motivazione si fonda su principi giuridici consolidati e chiari. In primo luogo, la Corte ha sottolineato la genericità delle censure, che non facevano altro che riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza confrontarsi specificamente con le ragioni della sentenza impugnata. Questo tipo di ricorso, che mira a una nuova valutazione dei fatti, non è consentito in sede di legittimità.

La Corte ha poi ribadito il principio della “doppia conforme”: quando due sentenze di merito (primo grado e appello) giungono alla stessa conclusione, le loro motivazioni si fondono, creando un apparato argomentativo solido e difficilmente scalfibile. Sul merito dei reati, la Cassazione ha chiarito due aspetti fondamentali. Primo, il reato di usura si perfeziona nel momento stesso in cui viene pattuito un interesse superiore al tasso-soglia, a prescindere dal fatto che tale interesse venga effettivamente pagato. Secondo, la minaccia finalizzata a ottenere il pagamento di un credito derivante da un patto usurario integra pienamente il delitto di tentata estorsione. Questo perché la pretesa si basa su una “causa illecita” e mira a conseguire un “ingiusto profitto”. Non può, quindi, essere qualificata come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che presuppone l’esistenza di un diritto tutelabile dall’ordinamento giuridico.

Infine, anche la censura sulla pena è stata giudicata infondata, poiché la sanzione era stata determinata partendo dal minimo edittale per l’estorsione e ridotta per le attenuanti generiche, con un aumento contenuto per il reato di usura, risultando quindi del tutto congrua.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio cardine del nostro ordinamento: non ci si può fare giustizia da soli, soprattutto quando la pretesa si fonda su un accordo illegale. La decisione della Cassazione è un monito importante per chiunque sia coinvolto in prestiti tra privati, ricordando che la linea tra un accordo economico e un reato grave come l’usura e tentata estorsione è definita dalla legalità degli interessi e dalle modalità di riscossione del credito. La Corte conferma che il ricorso per Cassazione non può diventare un terzo grado di giudizio sul fatto e che, in presenza di una “doppia conforme”, le possibilità di ribaltare una condanna si riducono drasticamente se i motivi di ricorso non denunciano vizi logici o violazioni di legge evidenti.

Quando si perfeziona il reato di usura?
Secondo la Corte, il reato di usura si perfeziona con il semplice accordo su interessi superiori al tasso-soglia legale, anche se questi non vengono poi effettivamente pagati dal debitore.

Perché le minacce per riscuotere un prestito usurario sono tentata estorsione e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni?
Le minacce sono considerate tentata estorsione perché mirano a ottenere un profitto ingiusto derivante da un patto illecito (l’accordo usurario). Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni presuppone, invece, che la pretesa sia legalmente tutelabile, cosa che non avviene in caso di usura.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come la testimonianza di una vittima?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o ricostruire diversamente i fatti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Un ricorso che chiede una nuova valutazione delle prove è considerato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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