Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 31820 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 31820 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME
UP – 18/09/2025
R.G.N. 19355/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato a Empoli il giorno 22/5/1953 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 10/10/2024 della Corte di Appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che non e stata richiesta dalle parti la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni scritte formulate con atto datato 8/9/2025, con le quali il difensore avv.
COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso riportandosi ai motivi ivi formulati.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 10 ottobre 2024 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza in data 20 maggio 2020 del Tribunale della medesima città ha:
dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di appropriazione indebita di cui al capo D della rubrica delle imputazioni per essere lo stesso estinto per prescrizione;
confermato nel resto l’affermazione della penale responsabilità del predetto imputato in relazione a tre contestazioni di usura ex art. 644 cod. pen. (capi A, B e C);
rideterminato il trattamento sanzionatorio nei confronti dello stesso.
In estrema sintesi, si contesta all’imputato di avere effettuato nel tempo a NOME COGNOME diverse consegne di somme di denaro (euro 9.500,00 in occasione dei fatti di cui al capo A; euro 20.000,00 in occasione dei fatti di cui al capo B ed euro 8.000,00 in occasione dei fatti di cui al capo C) facendosi promettere e dare in tutte le predette occasioni interessi di natura usuraria nel dettaglio indicati nei relativi capi.
I fatti-reato in contestazione si collocano in un arco temporale compreso tra il febbraio 2014 ed il settembre dello stesso anno.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. d) ed e), cod. proc. pen. per mancata assunzione di prova decisiva.
Lamenta al riguardo la difesa del ricorrente il mancato accoglimento da parte della
Corte di appello della richiesta di acquisizione di una prova nuova sopravvenuta al giudizio di primo grado consistente nella registrazione telefonica di un colloquio intervenuto tra l’imputato e NOME COGNOME che avrebbe ammesso di essere stato presente ai fatti del giorno 1 settembre 2014.
Sostiene la difesa del ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nello screditare detto documento acquisito ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. e spiega che il COGNOME non era stato indicato quale teste a difesa stante il perdurare, all’epoca, del suo stretto legame con il COGNOME asseritamente responsabile di una congiura ordita (unitamente a tale COGNOME) ai danni del COGNOME nella data sopra indicata e che portò ad una rapina ai danni dell’odierno imputato realmente accaduta.
2.2. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Lamenta la difesa del ricorrente il fatto che la Corte di appello avrebbe illegittimamente interrotto le dichiarazioni spontanee dell’imputato il quale stava nell’occasione esercitando un proprio diritto difensivo oltretutto trattando argomenti pertinenti ai capi di imputazione.
2.3. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Lamenta la difesa del ricorrente il fatto che la Corte di appello non ha correttamente motivato in merito all’attendibilità dei testi COGNOME e COGNOME.
Con riferimento alla testimonianza del COGNOME evidenzia la difesa del ricorrente (riportando testualmente estratti dei verbali di udienza innanzi al Tribunale) che lo stesso in sede dibattimentale Ł caduto molte volte in contraddizione con quanto in precedenza dallo stesso dichiarato con riguardo:
al momento in cui avrebbe conosciuto il Lupo;
alla collocazione nel corso di una telefonata in cui richiedeva il saldo del pagamento di un primo noleggio il momento in cui avrebbe riferito al Lupo delle difficoltà economiche della RAGIONE_SOCIALE;
alle modalità di utilizzo del denaro relativo ad un primo prestito;
al fatto di avere affermato che il denaro fu consegnato al COGNOME presente ad un incontro;
all’ammontare (errato) degli assegni consegnati per il secondo prestito al Lupo.
A ciò si aggiunge, prosegue la difesa del ricorrente, che il Sani:
ha detto di non ricordare di aver chiesto ed ottenuto dal Lupo un terzo prestito;
ha detto di non ricordare dell’incontro avvenuto con il Lupo nel mese di settembre 2014;
ha negato che in occasione dell’incontro del settembre 2014 al Lipo sono stati sottratti con forza gli assegni di cui al momento era in possesso;
non ha saputo spiegare perchØ pur avendo concesso al Lupo una autovettura Citroen C3 in uso gratuito per due mesi, sia stata spedito pochi giorni dopo un telegramma con il quale ne veniva perentoriamente richiesta la restituzione;
ha escluso che NOME COGNOME (figlio dell’imputato) ha svolto attività lavorativa per la RAGIONE_SOCIALE;
ha dichiarato circostanze non corrispondenti al vero allorquando ha riferito in merito ai suoi rapporti con tale COGNOME
Con riferimento, poi, alla testimonianza del COGNOME evidenzia la difesa del ricorrente (anche in questo caso riportando testualmente estratti dei verbali di udienza innanzi al Tribunale) che lo stesso ha manifestato scarsa credibilità allorquando:
ha ammesso di aver presentato denuncia nei confronti del Lupo solo perchØ temeva a sua volta di essere denunciato da quest’ultimo;
ha escluso che NOME COGNOME ha svolto attività lavorativa per la RAGIONE_SOCIALE;
ha dichiarato, rispondendo alle domande della difesa dell’imputato, di avere ricevuto personalmente il denaro del primo prestito dell’imputato.
2.4. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Deduce la difesa del ricorrente che avrebbe errato la Corte di appello allorquando ha ritenuto non condivisibile l’affermazione difensiva secondo cui l’IVA indicata nelle fatture, così come le modalità dei prestiti erogati anche tramite bonifici, erano elementi in grado di escludere che ci si trovava in presenza di prestiti usurari.
Ricorda parte ricorrente he la Corte di appello ha rilevato al riguardo che l’imputato ha solo affermato ma non provato di avere versato l’IVA, ma evidenzia che la prova di tale fatto avrebbe dovuto competere all’Accusa e che comunque l’omesso versamento dell’IVA determinerebbe una irregolarità che nulla ha a che vedere con i contestati fatti di usura.
A ciò si aggiunge che le fatture emesse dal RAGIONE_SOCIALE attraverso la propria ditta RAGIONE_SOCIALE sono state regolarmente registrate dalla RAGIONE_SOCIALE e che pertanto la relativa IVA e stata certamente portata in detrazione da quest’ultima azienda con la conseguenza che ciò che Ł stato qualificato come interesse usurario Ł stato in realtà dedotto dalla RAGIONE_SOCIALE che non avrebbe quindi subito alcun nocumento economico dalle operazioni economiche intraprese con l’imputato e con la RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso Ł fondato nei soli limiti dei quali si dirà nel prosieguo.
Risulta che la Corte di appello (pag. 13 della relativa sentenza) ha sostanzialmente ritenuto non ammissibile l’acquisizione della registrazione del colloquio telefonico tra l’imputato e NOME COGNOME il quale avrebbe ammesso di essere stato presente ai fatti del giorno 1 settembre 2014 evidenziando che dal confronto con le evenienze istruttorie e con le scelte difensive (il teste COGNOME non risulta essere mai stato indicato quale teste a difesa nel giudizio di primo grado) ed emergendo dagli atti che nel relativo decreto di archiviazione Ł stato dato atto delle dichiarazioni che il Costa ebbe a rendere a suo tempo escludendo la sua presenza alla supposta rapina ai danni del Lupo, le modalità dell’incontro con il Costa appaiono sospette, in quanto a dire del Lupo sarebbe avvenuto a distanza di anni e per iniziativa del Costa che avrebbe telefonato al Lupo.
Rileva il Collegio che in punto di diritto nel caso nel caso in esame ci si trovava in presenza di una prova documentale nuova sopravvenuta al giudizio di primo grado per la quale non ostava l’eventuale acquisizione al compendio probatorio ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. salva peraltro ogni valutazione nel merito della stessa che però non poteva essere anticipata – come di fatto avvenuto – ma che sarebbe dovuta seguire al momento acquisitivo.
Deve però essere ricordato che, anche a voler ravvisare un vizio procedimentale nell’operato della Corte territoriale purtuttavia va ribadito che «L'”error in procedendo” rilevante “ex” art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen. Ł configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioŁ tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa; la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito» (Sez. 4, n. 23505 del 14/03/2008, COGNOME, Rv. 240839 01).
Al riguardo non sfugge però che il ricorso qui in esame si limita di fatto ad indicare la
mancata assunzione di detta prova che sarebbe stata asseritamente finalizzata a smentire uno solo degli episodi nei quali si sono sviluppati i rapporti tra le parti e non indica – come avrebbe dovuto fare – come la eventuale accertata presenza del Costa ai fatti del giorno 1 settembre 2014 sarebbe stata in grado di scardinare l’intera impalcatura accusatoria il che caratterizza di genericità il motivo di ricorso sul punto e non ne consente l’accoglimento.
Per dovere di completezza, rileva il Collegio che quella invocata di acquisizione dalla difesa dell’imputato si presentava, alla luce della ricostruzione delle vicende operata in entrambe le sentenze di merito, comunque priva del requisito delle ‘decisività’, sia perchØ contrastante con altri elementi emersi in sede processuale e, come detto, ben rappresentati nelle sentenze di merito, sia perchØ si poneva in contraddizione con altro elemento proveniente dalla medesima fonte già acquisito agli atti processuali, sia perchØ inerente ad un profilo di certo non risolutivo in relazione a tutte le vicende di usura contestate all’imputato vertendo su di una (meramente asserita e mai dimostrata) rapina di assegni che l’imputato ha affermato di aver subito il giorno 1 settembre 2014.
Circa la non decisività della prova appare emblematico quanto evidenziato dal Tribunale (v. pag. 25 della relativa sentenza) laddove ha affermato che «il tema probatorio concernete l’asserita aggressione del 1° settembre 2014 su cui tanto l’imputato e testi a difesa si sono dilungati, perde rilevanza e non merita particolare approfondimento, perchØ, anche laddove dimostrato, non varrebbe ad elidere la delittuosità dell’accordo raggiunto, in epoca antecedente, dall’imputato, rappresentando una vicenda diversa e separata».
Il secondo motivo di ricorso Ł inammissibile per genericità.
Sul presupposto che, ai sensi dell’art. 494 cod. proc. pen., la legge prevede la possibilità che il presidente del collegio giudicante può togliere la parola all’imputato che rende dichiarazioni spontanee qualora non si attenga all’aggetto dell’imputazione, rileva il Collego che la difesa del ricorrente nel motivo di ricorso in esame si Ł solo apoditticamente limitata ad osservare che ‘gli argomenti che l’imputato stava trattando erano assolutamente pertinenti ai capi di imputazione’, così privando questa Corte di legittimità della concreta possibilità di valutare tale affermazione e la conseguente ritualità dell’operato del presidente della Corte territoriale.
Il terzo motivo di ricorso Ł infondato.
Va detto subito che la sentenza impugnata in uno con quella del Tribunale con la quale costituisce una cd. ‘doppia conforme’ risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. Inoltre, detta motivazione, non Ł certo apparente, nØ ‘manifestamente’ illogica e tantomeno contraddittoria.
Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità Ł infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchØ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, Ł – e resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità,
dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).
Al riguardo si Ł anche chiarito che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263601).
Inoltre, deve evidenziarsi che nel caso in esame la difesa del ricorrente, attraverso la confutazione di alcuni passaggi del dichiarato dei testi di accusa finalizzata a contrastare la valutazione di attendibilità finisce per proporre di fatto una ricostruzione delle vicende alternativa a quella operata dai giudici di merito, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perchØ sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (cfr. con riferimento a massime di esperienza alternative, Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, COGNOME, Rv. 212054).
Del resto in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nØ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Modesto, Rv. 196955), ciò perchØ la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa Ł indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.
Infine, deve rilevarsi che, come sopra già si Ł accennato, nel motivo di ricorso in esame, attraverso le estrapolazioni di brani delle dichiarazioni dei testi di accusa (COGNOME e COGNOME), la difesa del ricorrente contesta l’attendibilità dei predetti testimoni.
Della questione si sono ampiamente occupati sia il Tribunale (pag. 19 e segg. della relativa sentenza) che la Corte di appello (pagg. 10 e segg).
Il Tribunale ha dato correttamente atto che le dichiarazioni di COGNOME e di COGNOME non sempre sono risultate lineari e collimanti con i documenti acquisiti ma ha anche evidenziato che tali incertezze e discrasie, peraltro marginali, si devono ritenere fisiologiche (e come tali indici di genuinità) ove si consideri la quantità dei dati anche numerici riferiti e le condizioni dell’imprenditore al momento della ricezione dei prestiti.
Sempre il Tribunale ha correttamente dato atto che sono emerse varie irregolarità nella gestione della RAGIONE_SOCIALE da parte dei due testimoni, in ordine ad esempio alle false fatture emerse dal Lupo ed accettate a copertura dei movimenti di denaro intercorsi con l’imputato, ma ha anche spiegato che tali irregolarità, coerenti con il quadro di difficoltà finanziaria della società non incidono sulla credibilità dei testimoni e, in generale, sulla ricostruzione dei fatti.
La Corte di appello, con motivazione congrua e logica, esaminando le doglianze
contenute nell’atto di gravame, Ł giunta sostanzialmente alle medesime conclusioni del Tribunale circa l’attendibilità dei testimoni d’accusa di contro spiegando anche l’inverosimiglianza della versione dei fatti sostenuta dall’imputato.
Sul punto deve solo ricordarsi che non Ł sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623 – 01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362).
La valutazione di manifesta infondatezza investe, poi, anche il quarto motivo di ricorso.
Trattasi anche in questo caso di questione già sottoposta sia al Tribunale che alla Corte di appello e che ha già avuto adeguate risposte.
Ha, innanzitutto, evidenziato il Tribunale (v. pag. 22 e 23 della relativa sentenza) la falsità delle fatture emesse dalla Trade Marketing a copertura dell’attività delittuosa praticata dall’imputato, aggiungendo che Ł inverosimile (oltre che indimostrato) che l’imputato abbia effettivamente dichiarato e versato l’IVA indicata in fattura, in quanto una simile operazione sarebbe stata per lui economicamente priva di ratio e addirittura svantaggiosa in quanto, così ragionando, il Lupo avrebbe effettuato un prestito a soggetti pressochØ sconosciuti ottenendo solo la restituzione del capitale e l’IVA che poi avrebbe dovuto versare all’erario, in tal modo perdendo la disponibilità del proprio denaro per un certo periodo di tempo, ponendo in essere un’operazione illecita sotto plurimi profili ed affrontando rischi ed adempimenti vari, il tutto senza che si prospettasse per lo stesso alcun vantaggio economico.
La Corte di appello (pagg. 14 e 15) ha evidenziato di condividere in toto quanto affermato dal Tribunale, ulteriormente precisando che in presenza della stipulazione del patto usurario, provato dalla effettiva dazione del denaro e dal rilascio degli assegno della Easy Rent, riscossi dal Lupo, appare evidente come la natura usuraria, perfettamente individuata negli interessi pattuiti e quindi all’accordo alla base, non viene meno per il solo fatto di aver dato agli interessi riscossi la veste formale dell’IVA.
Ritiene il Collegio che le osservazioni operate dal riguardo dai Giudici di entrambi i gradi di merito risultano permeate da assoluta logica oltre che ancorate alle emergenze processuali il che incide negativamente sulla fondatezza della ricostruzione di fatti proposta anche in questa sede dalla difesa del ricorrente.
Resta solo da aggiungere che nel quadro sopra descritto, in presenza di fatture soggettivamente ed oggettivamente false, risulta del tutto infondato l’asserto difensivo secondo il quale la persona offesa dal reato non avrebbe subito dalle operazioni di finanziamento un danno avendo la possibilità di portare a credito l’IVA versata.
Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 18/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME
NOME COGNOME