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Usura e fatture false: la Cassazione conferma la condanna

Un imprenditore è stato condannato per usura per aver concesso prestiti a tassi esorbitanti, mascherandoli attraverso fatture emesse dalla sua società. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che l’uso di fatture con IVA e presunti errori procedurali avrebbero dovuto portare alla sua assoluzione. La Corte Suprema ha respinto il ricorso, confermando la condanna. Ha stabilito che l’aspetto formale di una transazione (la fattura) non annulla la natura criminale sottostante dell’accordo di usura. La Corte ha anche chiarito i criteri per l’ammissione di nuove prove in appello, specificando che devono essere “decisive” per poter ribaltare la sentenza.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Usura e Fatture False: Quando l’Apparenza non Esclude il Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31820 del 2025, affronta un caso complesso di usura, fornendo chiarimenti cruciali sulla validità delle prove e sulla irrilevanza di artifizi contabili, come l’emissione di fatture, volti a mascherare l’illecito. Questa pronuncia ribadisce che la sostanza di un accordo criminale prevale sempre sulla sua forma esteriore.

I Fatti del Processo

La vicenda giudiziaria riguarda un imprenditore condannato in primo grado e in appello per tre distinti episodi di usura. Secondo l’accusa, confermata dai giudici di merito, l’imputato aveva erogato diversi prestiti a un altro imprenditore in difficoltà finanziarie, facendosi promettere e consegnare interessi di natura palesemente usuraria. Le operazioni, per un totale di decine di migliaia di euro, erano state formalmente mascherate attraverso l’emissione di fatture da parte di una società riconducibile all’imputato.

La Corte d’Appello, pur dichiarando prescritto un reato minore di appropriazione indebita, aveva confermato la responsabilità penale per l’usura e rideterminato la pena. Contro questa decisione, la difesa dell’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, basandolo su quattro distinti motivi.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha contestato la sentenza d’appello sotto diversi profili, sia procedurali che di merito.

La Prova Nuova e il Requisito della Decisività

Il primo motivo riguardava la mancata ammissione di una prova ritenuta decisiva: la registrazione di una telefonata con un terzo soggetto che, a dire della difesa, avrebbe potuto scagionare l’imputato riguardo a un presunto episodio di rapina subito, collegato ai fatti di causa. La difesa sosteneva che tale prova, sopravvenuta dopo il primo grado, fosse cruciale.

L’Interruzione delle Dichiarazioni Spontanee

In secondo luogo, si lamentava la violazione del diritto di difesa, poiché la Corte d’Appello avrebbe illegittimamente interrotto le dichiarazioni spontanee dell’imputato, impedendogli di esporre argomenti pertinenti ai capi d’imputazione.

La Valutazione dell’Attendibilità dei Testimoni

Il terzo motivo, centrale nella strategia difensiva, si concentrava su un presunto vizio di motivazione riguardo alla valutazione dell’attendibilità dei testimoni chiave dell’accusa. La difesa evidenziava numerose contraddizioni nelle loro deposizioni, sostenendo che i giudici di merito le avessero illogicamente ignorate.

La Questione delle Fatture e dell’IVA nel reato di usura

Infine, l’ultimo motivo contestava l’errata valutazione dei giudici nel ritenere che l’emissione di fatture e l’erogazione dei prestiti tramite bonifico non fossero elementi sufficienti a escludere la natura usuraria dei prestiti. Secondo la difesa, queste modalità formali e la possibilità per la vittima di detrarsi l’IVA dimostravano l’assenza di un danno economico e, quindi, del reato stesso.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo i motivi infondati o inammissibili. Per ogni punto, la Corte ha offerto una motivazione chiara e lineare.

In merito alla prova nuova, la Corte ha specificato che, sebbene il giudice d’appello non possa anticipare un giudizio di merito su una prova prima di ammetterla, l’errore procedurale non comporta l’annullamento della sentenza se la prova in questione non è “decisiva”. Nel caso specifico, la registrazione non era in grado di smontare l’intera impalcatura accusatoria relativa all’usura, poiché riguardava un episodio marginale e mai dimostrato. Il tema probatorio era quindi irrilevante ai fini della decisione principale.

Il secondo motivo è stato dichiarato inammissibile per genericità, poiché la difesa non ha specificato quali argomenti pertinenti l’imputato fosse stato impedito di trattare, non consentendo alla Corte di valutare la fondatezza della censura.

Sulla valutazione dei testimoni, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il giudice di legittimità non può sostituirsi al giudice di merito nel riesaminare i fatti. Le sentenze di primo e secondo grado (cd. “doppia conforme”) avevano fornito una motivazione logica e congruente, riconoscendo che le piccole discrepanze nelle testimonianze sono “fisiologiche” e non minano la credibilità complessiva, specialmente a fronte di un quadro probatorio solido.

Infine, e con particolare rilievo, la Corte ha smontato l’argomentazione difensiva sulle fatture. I giudici hanno confermato che l’emissione di documenti fiscali per mascherare un prestito usurario è una pratica nota e non ne altera la natura illecita. La forma non può prevalere sulla sostanza del patto criminale. È stato inoltre ritenuto inverosimile che un imprenditore presti denaro a sconosciuti, si accolli gli oneri fiscali dell’IVA, per poi vedersi restituire solo il capitale, senza alcun vantaggio economico. L’argomento secondo cui la vittima non avrebbe subito un danno grazie alla detrazione dell’IVA è stato giudicato del tutto infondato, poiché il danno nel reato di usura risiede nella pattuizione stessa di interessi illegali, a prescindere dagli eventuali meccanismi fiscali.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida principi giuridici di grande importanza. In primo luogo, riafferma che il controllo della Cassazione è sulla logicità della motivazione, non una terza istanza di giudizio sui fatti. In secondo luogo, chiarisce che la qualificazione di un’operazione finanziaria come usura dipende dall’accordo sostanziale tra le parti e non può essere elusa attraverso artifizi formali come l’emissione di fatture. La decisione sottolinea come il sistema giudiziario sia attento a guardare oltre le apparenze per colpire la reale natura criminale delle condotte.

Emettere una fattura per un prestito esclude il reato di usura?
No, la Corte ha stabilito che la natura usuraria di un accordo non viene meno per il solo fatto di aver dato agli interessi riscossi la veste formale dell’IVA tramite fattura. La forma non prevale sulla sostanza illecita del patto.

Una nuova prova può essere sempre ammessa in un giudizio di impugnazione?
No. Una nuova prova, anche se in astratto ammissibile, per essere accolta nel giudizio d’appello deve essere “decisiva”. Ciò significa che deve avere la capacità, da sola, di scardinare l’intera impalcatura accusatoria e portare a una decisione diversa, non basta che riguardi un singolo episodio marginale.

Le piccole contraddizioni nelle testimonianze rendono i testimoni automaticamente inattendibili?
Non necessariamente. La Cassazione ha confermato la valutazione dei giudici di merito, secondo cui lievi incertezze e discrasie nelle dichiarazioni testimoniali possono essere considerate “fisiologiche” e, in alcuni casi, indici di genuinità, specialmente quando si riferiscono a numerosi dettagli avvenuti tempo prima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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