Uso personale stupefacenti: quando la detenzione diventa spaccio?
Distinguere tra uso personale stupefacenti e spaccio è una delle questioni più complesse nel diritto penale. Non è solo la quantità di sostanza a fare la differenza, ma un insieme di circostanze. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quali indizi possono trasformare un semplice possesso in un reato di spaccio, rendendo la condanna inevitabile.
I Fatti: La Vicenda Processuale
Il caso ha origine dalla condanna di un uomo per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. La Corte d’Appello di Brescia aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, ma confermato la responsabilità penale dell’imputato. L’uomo ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo due punti principali:
1. La sostanza rinvenuta (quasi 50 grammi di hashish) era destinata all’uso personale stupefacenti, e non vi era prova della sua destinazione allo spaccio.
2. In subordine, chiedeva il riconoscimento della fattispecie di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti, che comporta una pena più mite.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito.
Gli Indizi che Escludono l’Uso Personale Stupefacenti
La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello del tutto congrua e logica, basata su elementi oggettivi che, nel loro complesso, smentivano la tesi difensiva. Questi elementi, che l’imputato non aveva adeguatamente contestato nel suo ricorso, sono stati decisivi per escludere l’uso personale stupefacenti.
Nello specifico, i giudici hanno valorizzato quattro elementi chiave:
1. Le modalità dell’arresto: L’imputato è stato fermato di notte mentre era a bordo di un’auto che viaggiava a fari spenti. Alla vista dei Carabinieri, il conducente ha frenato bruscamente e l’imputato è fuggito a piedi.
2. Il comportamento del ricorrente: La fuga stessa è stata interpretata come un chiaro indizio di colpevolezza e della volontà di sottrarsi al controllo.
3. Il possesso di denaro contante: L’uomo aveva con sé quasi 1.000 euro in contanti, non custoditi in un portafogli, ma divisi in due diverse tasche dei pantaloni, una modalità spesso associata all’attività di spaccio.
4. Il quantitativo di sostanza: Quasi 50 grammi lordi di hashish, da cui si potevano ricavare quasi 400 dosi medie, sono stati ritenuti una quantità non modesta e incompatibile con un consumo puramente personale.
La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile
La Cassazione ha sottolineato come il ricorso presentato fosse inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse censure già avanzate in appello. L’imputato, in sostanza, chiedeva alla Suprema Corte una nuova e diversa valutazione delle prove, un compito che non rientra nelle sue funzioni. La Corte di Cassazione, infatti, è un giudice di legittimità: non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Le motivazioni
La Corte ha evidenziato che la sentenza d’appello aveva fornito una motivazione solida, fondata su risultanze oggettive e non manifestamente illogica. Gli elementi raccolti (fuga, denaro, quantità di droga, modalità di detenzione) costituivano un quadro indiziario grave, preciso e concordante che portava a una sola conclusione: la detenzione era finalizzata allo spaccio. Di fronte a questa motivazione, il ricorso dell’imputato appariva come un tentativo sterile di ottenere una lettura dei fatti più favorevole, preclusa in sede di legittimità.
Le conclusioni
Confermando l’inammissibilità del ricorso, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per distinguere tra uso personale e spaccio, il giudice deve valutare tutti gli elementi del caso concreto. La quantità di sostanza è solo uno dei tanti indici. Il comportamento della persona, il possesso di ingenti somme di denaro e altre circostanze anomale possono, insieme, costituire una prova sufficiente della destinazione della droga al mercato illegale. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quando il possesso di droga non è più considerato per uso personale?
Secondo la Corte, il possesso di droga non è per uso personale quando è accompagnato da altri elementi indiziari, come il tentativo di fuga, il possesso di una notevole somma di denaro contante non giustificata e conservata in modo anomalo, e un quantitativo di sostanza che supera le necessità di un consumo immediato (nel caso specifico, quasi 50 grammi di hashish, pari a circa 400 dosi).
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’imputato si è limitato a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello, chiedendo alla Cassazione una nuova valutazione dei fatti. Questo non è consentito, poiché la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, che valuta solo la corretta applicazione della legge e non riesamina le prove.
Quali elementi hanno impedito di riconoscere il reato come “fatto di lieve entità”?
Gli stessi elementi che hanno escluso l’uso personale hanno impedito di qualificare il fatto come di lieve entità. In particolare, la Corte ha considerato la somma di denaro (quasi 1.000 euro), il quantitativo di sostanza stupefacente e le modalità complessive della detenzione, che nel loro insieme delineavano una condotta non riconducibile a un’offesa di minima gravità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12071 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12071 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 11/07/1991
avverso la sentenza del 12/04/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che con sentenza del 12/4/2024 la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia emessa il 4/6/2021 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo, rideterminava nella misura del dispositivo la pena irrogata a NOME COGNOME con riguardo al delitto di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Rilevato che propone ricorso per cassazione l’imputato, contestando in primo luogo l’affermazione di responsabilità, non essendo stata dimostrata la destinazione allo spaccio della sostanza, rinvenuta in quantitativo e con modalità ben compatibili con l’uso personale, anche alla luce della costante giurisprudenza; di seguito, si censura il mancato riconoscimento della fattispecie lieve di cui all’art. 73, comma 5, decreto citato, con relativo vizio di motivazione.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché – riproponendo le medesime censure avanzate alla Corte di appello – tende ad ottenere in questa sede una nuova e non consentita lettura delle stesse emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole invero preclusa alla Corte di legittimità.
La doglianza, inoltre, trascura che il Collegio del gravame – pronunciandosi proprio sulla questione qui riprodotta – ha steso una motivazione del tutto congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; come tale, quindi, non censurabile. La sentenza, in particolare, ha evidenziato che l’uso personale dello stupefacente risultava smentito da oggettivi e significativi elementi in fatto, peraltro neppure menzionati nel ricorso e, dunque, sottratti ad un doveroso confronto in sede di impugnazione: 1) le modalità dell’arresto dell’imputato (fuggito da un’auto che marciava a fari spenti in piena notte, dopo che il conducente aveva “inchiodato” la marcia, una volta affiancato dalla vettura dei Carabinieri); 2) il comportamento dello stesso ricorrente, che, appunto, era scappato, salvo poi inciampare e cadere; 3) la detenzione – insieme allo stupefacente – di quasi 1.000 euro in contanti, peraltro conservati non in un portafogli ma in due tasche dei pantaloni; 4) il quantitativo della stessa sostanza (hashish), pari a quasi 50 grammi lordi, di certo non modesto anche in rapporto al numero di dosi medie ricavabili, quasi 400.
Con riguardo, poi, alla fattispecie lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, la motivazione della sentenza di appello risulta ancora priva di vizi. Sono state valorizzate, in senso contrario, tutte le circostanze appena richiamate, con particolare riguardo alla somma di denaro ed al quantitativo di sostanza sequestrati, che – unitamente alle modalità della detenzione –
evidenziavano nel complesso una condotta non riconducibile ad un fatto di lieve entità.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve esser dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 14 febbraio 2025
5igliere estensore
Il Presidente