Uso Personale Stupefacenti: Quando la Quantità Esclude la Difesa
La distinzione tra uso personale stupefacenti e detenzione ai fini di spaccio rappresenta una delle questioni più delicate e ricorrenti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i criteri per differenziare le due fattispecie, sottolineando come l’ingente quantitativo, unito ad altri indizi, possa legittimamente fondare una condanna per spaccio. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo condannato dalla Corte d’Appello di Firenze per detenzione di sostanze stupefacenti. L’imputato era stato trovato in possesso di oltre 400 grammi di marijuana, una quantità corrispondente a circa 1294 dosi. La sua difesa si basava su due argomenti principali: in primo luogo, che la sostanza fosse destinata esclusivamente all’uso personale; in secondo luogo, che, in ogni caso, il fatto dovesse essere qualificato come di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990.
La Corte d’Appello aveva respinto tali argomentazioni, ritenendo che la destinazione della droga fosse la cessione a terzi. A sostegno di questa conclusione, i giudici avevano valorizzato non solo l’enorme quantità detenuta, ma anche le condizioni personali dell’imputato, il quale non aveva un’occupazione stabile, rendendo così incompatibile l’acquisto di un quantitativo così rilevante per il solo consumo personale.
La Decisione sul Limite dell’Uso Personale Stupefacenti
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza emessa l’8 gennaio 2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno chiarito che le doglianze dell’imputato non potevano trovare accoglimento in sede di legittimità, in quanto miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa alla Cassazione.
La Corte ha stabilito che la motivazione della sentenza d’appello era logica e coerente. La decisione di escludere l’uso personale stupefacenti era fondata su elementi concreti e non illogici, come l’ingente quantitativo e la situazione economica dell’imputato. Di conseguenza, anche la mancata riqualificazione del fatto come “lieve” è stata ritenuta corretta e non sindacabile.
Le motivazioni
La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. Il suo compito non è quello di stabilire se i fatti si siano svolti in un modo o nell’altro, ma di verificare che i giudici di merito abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione plausibile e ben argomentata per escludere la tesi dell’uso personale. Aveva correttamente collegato due elementi: l’oggettivo dato quantitativo (oltre 400 grammi) e un elemento soggettivo (le condizioni personali e lavorative precarie dell’imputato). La combinazione di questi fattori rendeva inverosimile che una persona senza un lavoro stabile potesse permettersi di acquistare una quantità così grande di droga per il proprio solo consumo. Questa valutazione, essendo immune da vizi logici, non poteva essere messa in discussione davanti alla Cassazione.
Le conclusioni
La decisione in esame conferma che la prova della destinazione allo spaccio può essere desunta anche da elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti. L’enorme quantità di sostanza stupefacente detenuta è un indizio primario, ma acquista ancora più forza se corroborato da altri fattori, come la situazione economica e personale dell’imputato. Per chi si trova ad affrontare un’accusa simile, è cruciale comprendere che la semplice affermazione di essere un consumatore non è sufficiente a superare la presunzione di spaccio di fronte a un quantitativo che eccede manifestamente le esigenze di un consumo personale, anche di lungo periodo. L’ordinanza, infine, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a conferma della manifesta infondatezza del suo ricorso.
Quando una grande quantità di droga può escludere la tesi dell’uso personale stupefacenti?
Secondo la Corte, una quantità molto elevata di sostanza stupefacente (nel caso specifico, oltre 400 grammi di marijuana per 1294 dosi) è un elemento fondamentale che, unito ad altri indizi, può legittimamente far presumere la destinazione alla vendita e non all’uso personale.
Perché la Corte di Cassazione può dichiarare un ricorso inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando non rispetta i requisiti di legge. In questo caso, il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché proponeva motivi non consentiti, ovvero chiedeva alla Corte una rivalutazione dei fatti e delle prove, compito che spetta ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non alla Cassazione, che svolge un controllo di legittimità.
Quali elementi, oltre alla quantità, vengono considerati per distinguere lo spaccio dall’uso personale stupefacenti?
La Corte ha valorizzato anche le condizioni personali dell’imputato. Nello specifico, il fatto che non avesse un lavoro stabile è stato considerato un elemento incompatibile con la capacità economica di acquistare un quantitativo così ingente di droga per il solo consumo personale, rafforzando così l’ipotesi della destinazione allo spaccio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6081 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6081 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/01/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge dal momento che la prospettazione difensiva svolta con i motivi di ricorso sulla responsabilità dell’imputato e mancata qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 è volta a conseguire una rivalutazione meramente in fatto estranea al sindacato di legittimità, in presenza di argomentazioni non illogiche con le quali la Corte territoriale ha ritenuto accertata la destinazione alla cessione dello stupefacente, piuttosto che al mero uso personale valorizzando al riguardo anche le condizioni personali dell’imputato, che non aveva neppure un lavoro stabile, e, pertanto, incompatibili con l’ acquisto di un quantitativo (di oltre 400 gr. di marjuana, corrispondete a circa 1294 dosi) che correttamente si è escluso potesse essere sussunto nel fatto lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990. Anche il motivo relativo alla mancata riqualificazione giuridica del fatto, oltre che generico, si appalesa, pertanto, manifestamente infondato.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 8 gennaio 2024 Il Consiglier elatore
Il Presi inte