Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11882 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11882 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 30/05/1994
avverso la sentenza del 13/05/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Catania del 6 ottobre 2022, con la quale COGNOME NOME NOME era stato condannato alla pena di anni uno di reclusione ed euro 1500,00 di multa in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, lamentando, con un primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione riguardo l’omesso riconoscimento dell’ipotesi di uso personale non punibile e, con un secondo motivo, vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. In base al consolidato principio affermato da questa Corte in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga – ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo – deve essere effettuata dal giudice di merito, tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (Sez. 4, n. 7191 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272463). La sentenza impugnata, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, opera una logica lettura delle risultanze istruttorie facendo buon governo della pluriennale giurisprudenza di questa Corte Suprema in materia di possesso di sostanze stupefacenti ad uso non esclusivamente personale. E questa Corte di legittimità ha costantemente affermato – e va qui ribadito- che in tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dall’art. 73-bis, comma primo, lett. a), del d.P.R. n. 309 1990 – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione (cfr. ex multis, Sez. 3, n. 46610 dei 9/10/2014, COGNOME, Rv. 260991), fermo restando che il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dall’art. 73, comma primo bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990 se da solo non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione. In conformità a tal principi la destinazione a terzi delle sostanze stupefacenti è stata dedotta non solo dal quantitativo ( pari comunque a 30
dosi di cocaina e 36 di marijuana) ma anche dalle modalità di confezionamento della sostanza rinvenuta, dalle condizioni economiche dell’imputato (il quale, essendo disoccupato, non avrebbe potuto procurarsi la somma per acquistare un tale quantitativo, peraltro incompatibile con la funzione di scorta per il fabbisogno personale) nonché dalla circostanza che egli procedeva a disfarsi dell’involucro prima di uscire dall’abitazione. La Corte territoriale, pertanto, ha fornito una risposta non manifestamente illogica alle doglianze espresse dal ricorrente, le quali, in realtà, benché prospettate come violazioni di legge e di vizi della motivazione, si sviluppano tutte nell’orbita delle censure di merito.
Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va osservato che, in materia di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della conce sione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimen quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o sup rati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello ha negativamente considerato i due precedenti penali specifici a carico dell’imputato.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma in data 11 marzo 2025.